È un tranquillo pomeriggio nella periferia udinese, quando squilla il campanello. È una coppia di agricoltori-allevatori di mezza età, che vogliono vendermi le uova fresche di giornata delle loro galline. Rifiuto con cortesia, spiegando che, per mia fortuna, posso contare su alcuni familiari che hanno il pollaio in casa (e senza doppi sensi, non pensate sempre male). Riaggancio il citofono, ma i due insistono: davvero non voglio? Sono fresche, davvero buone. No, ho già detto di no, e riaggancio nuovamente. Inutile, fanno un terzo tentativo, dopodiché desistono.
Ohibò, mi dico: che i prezzi dei prodotti agricoli pagati al produttore siano una vera miseria mentre quelli al consumo fanno rizzare i capelli, non è una novità; che sempre più gente si rivolga direttamente agli agricoltori e viceversa, per avere un rapporto qualità-prezzo più equo per entrambe le parti, nemmeno; ma qui siamo davvero alla canna del gas.
La cosa però ormai mi ha incuriosito, tanto più che un mio amico americano su Facebook inveisce contro i limoni venduti a 1 dollaro al pezzo defininendo la cosa «un crimine verso chi li ha coltivati»; così mi dico che, visti i fiumi di dati periodicamente riversati in proposito su diversi media, non dovrebbe essere troppo difficile recuperarne qualcuno.
I più aggiornati sono quelli dell'Ismea, che li offre praticamente in tempo reale. Secondo quanto riportato nel sito, il prezzo medio mensile delle uova al produttore è di 14,94 euro ogni cento unità. Otteniamo quindi, spostando la virgola di due cifre come ci insegnava la maestra alle elementari, circa quindici centesimi a pezzo. Secondo l'Istat, i prezzi al medi al consumo sono di 22,5 centesimi a pezzo (ed è d'accordo anche un sito come smsconsumatori.it, che raccoglie le segnalazioni di chi fa la spesa): un rincaro dunque nel 50% circa. E fin qui potremmo anche rimanere nell'ambito dell'accettabile. Ma su altri prodotti, in effetti, c'è da rimanere più perplessi. Volendo tornare ai limoni, Ismea parla di un prezzo medio mensile al produttore di 44 centesimi al kg, mentre quello medio al consumo è di 2 euro; discorso simile per le arance (30 centesimi all'origine e circa 2 euro al consumo) e per il latte che, a fronte di una media di 1,42 euro nei supermercati, viene pagato al produttore 37 centesimi al litro. Poco più, insomma, delle 700 lire che mio nonno racconta pagavano a lui quando ancora teneva la stalla (dismessa ormai da quasi vent'anni). E il discorso potrebbe continuare.
Che i costi della filiera siano pesanti, non è una novità; però mettere qualche cifra, giusto per ricordarlo meglio, non guasta. C'è poi ancora più soddisfazione nell'andare dal macellaio di fiducia, che acquista la carne direttamente dagli allevatori del luogo (quella che al supermercanto verrebbe venduta a peso d'oro come biologica, per intenderci), pagandola tanto quanto quella del Despar.
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