lunedì 31 ottobre 2016

Mastro Birraio a Pordenone: il primo weekend

Anche quest'anno ho presenziato con grande piacere alla Fiera della Birra Artigianale di Pordenone, in corso tra lo scorso weekend e il prossimo; e ho così avuto modo di incontrare i primi venti birrifici. Per la verità erano tutti già a me noti a parte uno, il Lariano; ma non sono comunque mancate le novità - e mi soffermerò dunque su quelle, senza per questo nulla togliere agli altri.

La prima che ho provato è stata la nuova Limited Edition del Benaco 70, la Smoked Porter - una porter affumicata, come il nome stesso fa capire. Come già ho anticipato nel post sulla mia pagina Facebook, il primo aggettivo che mi è venuto in mente è "morbida": all'aroma l'affumicato è si percepibile ma si amalgama bene con le note tostate, e anche nel corpo - scarico ma non evanescente, come si addice allo stile - la nota di brace rimane elegante e delicata. La peculiarità che ho trovato è come questa "giochi" con i sapori del malto chocolate, che arrivano solo in seconda battuta: e se in sé e per sé sembrerebbero cozzare, il passaggio tra l'uno e l'altro è armonioso, dando anche qui quasi l'impressione di amalgamarsi. Del resto, quella di fare un'affumicata non troppo intensa era l'intento dichiarato di Riccardo; così come quello, direi riuscito, di tenere insieme nel migliore dei modi aromi e sapori molto diversi. Consigliabile a chi trova le porter spesso "blande", rifugiandosi magari nelle stout, perché queste peculiarità la rendono comunque più caratterizzata della media dello stile. In casa Benaco 70 c'è poi un'altra novità, questa volta però mangereccia: il panettone artigianale al cedro e pesca bagnati con la honey ale, la loro birra al miele - e complimenti vivissimi alla pasticceria Poggiana, perché è davvero ottimo. Riccardo aveva inizialmente proposto di bagnarlo ulteriormente con la Honey Ale, intingendolo; personalmente ho trovato però che l'abbinamento per affinità fosse eccessivo, per cui - per quanto detto così possa sembrare eresia - ho apprezzato di più quello per contrasto con la Strong Bitter (che rimane peraltro a mio parere una delle loro birre meglio riuscite).

La seconda novità è stata quella del Salgaro - beerfirm che si appoggia all'Acelum, e con progetti di partire con il proprio impianto quanto prima - che a Pordenone ha portato la blanche Notte Bianca. Se volete una blanche belga così come da manuale, con la speziatura sì presente ma non robusta, fresca e beverina nonostante la buona carica di cereale al palato e senza evidenti note di luppolo, questa è per voi: semplice e pulita, secca e attenuata al punto giusto per "pulire" la bocca. Devo dire che mi ha positivamente colpita, per cui non posso che esprimere fiducia per il momento in cui il Salgaro dovesse iniziare a camminare con le sue gambe.

Novità in toto era invece per me il Birrificio Lariano di Sirone (LC), presnete con il Drunken Duck come distributore: ho provato la la kolsch Michetta, con l'aggiunta del 10% di pane secco. Una luppolatura delicata e floreale, un corpo morbido e fresco e un finale pulito.

Sempre con piacere ho poi rivisto la Brasseria Alpina, che a Pordenone ha portato la sua ultima nata Uvernada: una birra invernale, ispirata alle birre natalizie belghe. Aromi di fragola e rosa canina, sapori di caramello e frutta secca, con una nota finale di amaro data dell'erba alpina tanaceto volgare: si conferma quindi la linea dell'utilizzo delle erbe delle valli in cui si trova il Birrificio, già esplorata in diverse loro birre - dalla Berla Nera alla Genepy -, a mo' di reinterpretazione locale dello storico gruit fiammingo (una miscela di erbe usata a scopo amaricante e di conservazione prima dell'introduzione del luppolo).

Novità anche in casa de L'Inconsueto: nella fattispecie la Piccadilly Bitter - luppolatura delicata, sui toni resinosi, e intenso amaro finale - e la birra natalizia, che personalmente ho trovato un po' fuori dai canoni dello stile dato il corpo relativamente poco robusto - anche il grado alcolico è più basso della media dello stile, 7 gradi - e gli intensi profumi di anice.

Spostandomi invece in quel di Croce di Malto ho provato la Rus, la nuova bitter con riso Ermes - sulla scia del felice risultato ottenuto con il riso Venere nel caso della Piedi Neri - : semplice, fresca e beverina, alla dolcezza del cereale nel corpo contrappone un finale di un amaro secco e pulito. 

Tra i presenti c'era anche Opperbacco, ma su suggerimento del buon Damiano ho assaggiato la birra "ospite" dello stand, la Fucking beer del birrificio spagnolo La Pirata: una lager chiara a cui è stato aggiunto caffè. Ammetto la mia perplessità dato l'insolito contrasto tra la base di cereale, la luppolatura acre e l'amaro esotico del caffè, che ho trovato un po' cozzare; resta comunque una birra senza difetti oggettivi, per quanto a livello di gusti personali l'abbinamento non mi sia apparso riuscitissimo.

Una parola poi per Diciottozerouno - sì, come la foto testimonia sono stata accolta dal consueto cabaret dietro al banco - che pur non avendo portato birre nuove ha comunque apportato degli aggiustamenti a quelle già in lista: in particolare è da segnalare la dark strong ale Granata, a cui il luppolo Nelson Sauvin dà la sua caratteristica nota di uva spina che si sposa in maniera peculiare con la robusta (e dolce) base maltata, e la saison Ocra, in cui alcuni "aggiustamenti" sul fronte del lievito hanno portato ad una speziatura ancora più intensa all'aroma. Un birrificio che pare avere una costante tensione a migliorare insomma, dato che ogni volta trovo qualche piccola ricalibratura, pur senza andare a stravolgere la ricetta originale.

Chiudo qui, anche se molto altro da dire ci sarebbe; a cominciare dal Birrificio di Cagliari con la sua affumicata Mutta Affumiada, che pur non essendo nuova ha colpita una volta di più per la sua morbidezza ed equilibrio. Un grazie poi anche a Sognandobirra, Zahre, Weiherer Bier, Birradamare, La Buttiga, e tutto il resto dell'allegra (e di qualità) compagnia. Non mi resta che attendere il prossimo weekend con altri venti birrifici: alcuni tra questi mi hanno già anticipato delle novità, per cui rimanete sintonizzati....

lunedì 24 ottobre 2016

Alla corte degli Scaligeri, parte seconda

Trovandomi in zona Verona, ne ho approfittato per una visita al birrificio Mastino: sono così passata dai Mastino e Cangrande "storici", su cui mi ero documentata al museo di Castelvecchio, a quelli birrari, con il mio passaggio allo stabilimento di San Martino Buon Albergo. Qui ha sede la produzione dal 2013, una volta lasciato l'impianto di Mezzane: che comunque non è rimasto inattivo, perché lì vengono ancora fatte le fermentazioni spontanee e tenute le botti (così anche da evitare contaminazioni in birrificio, aspetto non certo secondario).

Dopo la calorosa accoglienza da parte di Oreste, sono passata alla zona produzione. Devo dire che, rispetto alla media dei birrifici artigianali che mi è capitato di visitare in zona, mi ha colpita per l'ampiezza: oltre 600 metri quadrati, in cui trovano spazio un impianto da 30 hl (la produzione annua è al momento poco sotto i 2000 hl), una cella alla temperatura costante di 18 gradi per lo stoccaggio (anche delle isobariche, che vengono infustate in modo tale da avere carica batterica zero), sei fermentatori e otto tank per la lagerizzazione (tenuti a zero gradi). La curiosità dell'impiano è che è stato concepito in collaborazione con il produttore come "impianto pilota", pensato in modo tale da essere "modulare": ai tre tini attuali, ha spiegato Oreste, può in futuro esserne aggiunto un quarto, arrivando a raddoppiare la produzione attuale grazie al "gioco" di doppie cotte. Una collaborazione che, a suo dire, si sta rivelando fruttuosa per entrambe le parti perché da un lato permette al birrificio di farsi fare l'impianto "su misura", e dall'altro al produttore di usarlo come test e vetrina (tanto che porta alcuni clienti a vederlo all'opera). Al Mastino, a quanto pare, questo genere di collaborazioni piacciono: Oreste ci ha riferito ad esempio che sono stati tra i primi in Italia a collaborare con la belga Enzybras per la sanificazione degli impianti grazie agli enzimi. Nei progetti futuri c'è poi un laboratorio: il birrificio già dispone di strumentazione che consente di effettuare analisi di base, ma l'intento è quello di farne arrivare altra. Insomma, l'impressione che ho avuto parlando con Oreste è stata quella di un birrificio che, complice l'esperienza già maturata con lo stabilimento precedente, presta un'attenzione ancor più meticolosa di altri a tutti quelli che sono gli aspetti tecnico-logistici e a quello che può essere il futuro.

Naturalmente a quel punto non poteva mancare un assaggio di birra direttamente dai tank. Abbiamo iniziato dalla Monaco, che al Mastino considerano uno dei propri fiori all'occhiello in quanto stile caduto in disuso e tenuto vivo da pochi. All'aroma si notava che, per quanto non "prematura", era ancora birra giovane (e del resto va bevuta come tale): al naso, oltre ai toni maltati di biscotto e crosta di pane, personalmente ho sentito una lieve punta di lievito. Per quanto in bocca siano appunto questi toni di malto a dominare, rimanendo comunque lievi e morbidi, la chiusura è di un amaro altrettanto morbido ma allo stesso tempo deciso, senza compromessi verso la dolcezza precedente: il finale è quindi ben pulito, senza che la maltatura risulti stucchevole, cosa che del resto lo stile richiede. Da bere a litri e senza stufarsi, dote non sempre scontata nelle birre in cui la componente preponderante è quella dei malti. Siamo poi passati alla pils Milledue91, che già avevo descritto qui; e che ha confermato anche da tank le impressioni che già avevo avuto alla spina (anzi, se proprio volessimo trovare una differenza, complice la temperatura più bassa, è apparsa ancora più secca e meno amara).

La visita si è poi conclusa nel piccolo spaccio e tap room, dove oltre alle birre a marchio Mastino fanno bella mostra di sé quelle di "Giulietta e Romeo" - kolsch, altbier e belgian ale al riso -, altro marchio che il birrificio firma e che è "figlio" di "Birra Verona", marchio di uno storico birrificio cittadino chiuso ormai da tempo che il Mastino aveva rilanciato qualche anno fa.

Concludo con un ringraziamento a Oreste, Mauro e a tutti i collaboratori per la calorosa ospitalità.

venerdì 21 ottobre 2016

Dall'Abruzzo..."a modo loro"

Ho avuto il piacere di partecipare ieri al Plagurmé di Pordenone alla degustazione delle birre della linea "A modo mio", del Birrificio San Giovanni di Roseto degli Abruzzi. Il mastro birraio Lamberto non ha potuto purtroppo essere presente, ma i suoi collaboratori Gilberto e Martina hanno comunque fatto "gli onori di casa fuori casa", presentandone l'operato con dovizia di particolari.

Il birrificio è nato nel 2009 dall'esperienza dell'azienda agricola di famiglia, dove sin dal 2005 Gilberto e compagni avevano iniziato a cimentarsi nell'arte brassicola; all'olio e al vino si è così aggiunta anche la birra (non si tratta comunque di un agribirrificio, scelta motivata con la volontà di garantire la costanza della materia prima). In questi sette anni il birrificio è cresciuto fino a una produzione di 1500 hl annui (l'impianto, ha specificato Gilberto, ha la possibilità di arrivare a 6000); e l'export arriva a coprire quasi il 20% della produzione, tra Usa, Finlandia, Norvegia e Ucraina. La scelta di chiamare le birre con un nome diverso da quello del birrificio è intervenuta in un secondo momento, per questioni di tutela commerciale del nome; e la scelta è caduta sull'espressione "A modo mio" perché "in una vita che spesso ci costringe a fare ciò che si deve più che ciò che si vuole, un'espressione di questo genere significa soddisfare il proprio gusto".

Data anche la collocazione strategica sotto il Gran Sasso, che fornisce un'acqua dalle caratteristiche chimiche ottimali, le due basse fermentazioni - Pils ed Extra Pils - mi erano state presentate come il punto di forza del birrificio: e devo dire che ci ho creduto nell'assaggiare la prima birra presentataci, la Blanche. Non nel senso che la Blanche fosse fatta male e mi augurassi quindi migliori risultati per gli altri stili, ma perché con l'aroma estremamente delicato, dalla speziatura appena accennata, che lasciava spazio piuttosto alle note di malto che aprivano ad un corpo ben pieno di cereale - decisamente più presente la dolcezza dell'orzo, il frumento rimane molto nelle retrovie - più che la tradizione birraria belga mi ha ricordato quella continentale tedesca, patria appunto delle basse fermentazioni. Infatti siamo passati poi alla Pils (nella foto): anche qui aromi tra l'erbaceo e il floreale sempre molto delicati, corpo esile, e un finale che ho trovato più dolce e meno secco e attenuato rispetto alla media dello stile - per quanto rimanga comunque discretamente pulito, garantendo la facilità di beva. In generale al San Giovanni sembrano non prediligere troppo l'amaro, perché nessuna delle birre assaggiate ieri lo presenta in maniera robusta. Più "controversa", mi si passi il termine, la Extra Pils, che alla base della Pils aggunge il luppolo Cascade in dry hopping dando sia profumi che sapori agrumati ben decisi: eresia secondo alcuni, dato che in una degustazione alla cieca la si potrebbe quasi scambiare per una ipa, interessante innovazione secondo altri - a ciascuno l'ardua sentenza. Amanti delle pils astenersi, questo è certo, ma può fare la felicità di chi cerca appunto qualcosa di più sperimentale.

Se fino a qui ammetto di essere quindi rimasta abbastanza perplessa, ho trovato "materiale" più interessante nelle birre successive, a partire dalla Scotch Ale (nella foto): aroma intenso tra il torbato e l'affumicato, corpo pieno che sposa in maniera interessante le note tostate e quelle di caramello, e un finale insolitamente secco e pulito per una birra del genere. La sorpresa sta nel fatto che questa birra fa 4,8 gradi alcolici (e fidatevi che glie ne avrei dati il doppio), pur mantenendo un corpo molto robusto: come ho osservato ieri, sarei proprio curiosa di chiedere personalmente al birraio come ottiene il risultato. Siamo quindi passati alla Torbata (che fa 6 gradi, ma anche qui sembrano molti di più) e che sotto una schiuma pannosa e discretamente persistente cela aromi - appunto - torbati (viene utilizzato il 5% di malti torbati) e un corpo invece relativamente esile, che fa risaltare ancora di più anche al palato questa componente; senza comunque cadere nello squilibrio, per quanto si intuisca che il birraio abbia voluto spingersi fino alla "sottile linea rossa" oltre la quale c'è il troppo che stroppia.

Cambiando completamente genere siano arrivati alla Ipa (che ammetto di aver apprezzato più dell'Extra Pils): schiuma a grana medio-sottile ben persistente, aromi agrumati da manuale ben equilibrati ed armoniosi, corpo di media robustezza con note maltate tendenti al miele, e un finale che pur non molto attenuato risulta comunque pulito grazie al tocco finale di amaro citrico - forse l'unica birra del San Giovanni in cui l'amaro è più evidente. Forse non "abbastanza" per gli amanti delle ipa "toste", ma consigliabile a chi preferisce quelle equilibrate e senza esagerazioni. Da ultima la birra natalizia nata dalla collaborazione con Roberto Parodi, la Noel, che viene lasciata maturare un anno: aromi intensi di frutta sotto spirito - dalle prugne, alle albicocche, alle amarene -, whisky, una leggera speziatura; ma per certi versi mi ha ricordato anche in vinsanto, tanto che vi avrei intinto volentieri un cantuccio. Dieci gradi e sentirli tutti, dato il carpo caldo, pieno e avvolgente, e un finale sì dolce e "alcolico" ma non stucchevole.

In generale ho quindi paradossalmente apprezzato più le loro alte fermentazioni che le basse: su tutte mi ha colpita appunto la Scoth Ale, per le ragioni che ho spiegato sopra. Alla mia domanda se nei progetti futuri ci fosse anche una Italian Grape Ale (birra con mosto d'uva, unico stile ufficialmente riconosicuto come tipicamente italiano) sfruttando il vino dell'azienda agricola di famiglia, Martina e Gilberto non l'hanno escluso: chissà, magari ci sarà da riaggiornarsi in quanto a birra "A modo loro"...

giovedì 20 ottobre 2016

Festival Nonsolobirra, capitolo terzo: nuove conoscenze in quel di Perugia

Uno dei nuovi ospiti a Marano, come già anticipato, era la Fabbrica della Birra Perugia: nome già noto per quanto relativamente giovane (ha aperto nel 2013), soprattutto dopo aver ottenuto il titolo di Birrificio dell'anno 2016 assegnato da Unionbirrai. Anche qui stiamo peraltro parlando di un birrificio "in rosa" , essendo capitanato da Luana Meola. Avevo già avuto occasione di conoscerla un paio d'anni fa all'Expo della Brasseria Veneta, ma non avevo avuto modo in quella sede di fermarmi per una chiacchierata approfondita con lei a proposito delle sue birre; e a Marano mi sono così avviata a colmare questa lacuna.

Mi sono trovata davanti spine che facevano riferimento a birre assai diverse a livello di "scuola di pensiero", ossia quelle della linea definita "classica" e quelle della linea "creativa": come dicono gli aggettivi stessi, si tratta quindi da un lato di birre che, pur con i dovuti tocchi di personalizzazione, rimangono nei canoni dello stile di riferimento; e birre che invece si lanciano nel terreno della sperimentazione. Alla mia domanda se si riconoscesse di più nella filosofia "classica" o in quella "sperimentale", Luana ha risposto di non sentirsi legata in maniera particolare a nessuna: e che sia "onnivora" non c'è dubbio, anche se personalmente vedo in lei più una vena di sperimentazione. Basti dire che anche la linea classica vede, nel caso della porter, l'aggiunta di granella di cioccolato per farne una chocolate porter; e la rossa è definita come "american red ale", con una luppolatura di mosaic, amarillo e citra che non solo lascia pochi dubbi in merito a quale Paese le abbia dato l'ispirazione, ma ne fa anche una birra al di fuori dei canoni della "solita rossa".

I luppoli americani o comunque cosiddetti "del nuovo e nuovissimo mondo" (includendo quindi anche quelli australiani) sembrano peraltro appassionare Luana: lo si nota bene nella prima birra che ho provato, la apa Calibro7, che a livello di luppoli mette insieme Motueka, Galaxy, Citra, Mosaic, Sorachi, Galena e Chinhook. Per chi non li conoscesse, basti dire che all'aroma il risultato è un tripudio di frutta tropicale con un fondo agrumato, seguito da un corpo abbastanza esile - ma non del tutto evanescente, dato che una pur leggera nota maltata rimane - e da una chiusura di un amaro citrico e secco, ben dissetante. Sulla stessa scuola di pensiero è quella che ho definito la sua "sorella maggiore", la Experimental, una imperial ipa che porta a livelli più intensi (nonché più alcolici) le stesse caratteristiche della Calibro7, pur mantenendo un corpo di altrettanto facile beva e una notevole attenuazione che invoglia al sorso successivo (pericolosamente, oserei dire, dati gli 8 gradi alcolici).

Tra le sperimentazioni ci sono poi da segnalare la Ila, una scotch ale nata in collaborazione con il noto produttore di distillati Samaroli, affinata in barili di whisky; e la Cosmo Rosso, una amber ale che non rinuncia alle note agrumate grazie alla luppolatura con Equinox, Mandarina Bavaria e Citra. Un birrificio, insomma, che consiglierei in particolare agli amanti delle luppolature all'americana, sperimentate peraltro anche là dove tradizionalmente non vengono usate.

Chiudo questa carrellata sul Festival Nonsolobirra con un ringraziamento a tutti gli altri birrifici presenti, di cui non ho parlato qui per questioni di brevità e per la volontà di dare spazio alle birre nuove che ho provato; ma che non sono certo meno meritevoli di quelli a cui ho dedicato un post. In particolare le congratulazioni vanno ai fratelli Trami, vincitori del concorso "popolare" per il miglior birrificio presente. E con questa, arrivederci alla prossima edizione...

lunedì 17 ottobre 2016

Festival Nonsolobirra, capitolo secondo: quattro chiacchiere con Mr Birrone

Marano Vicentino è in provincia di Vicenza, e - dal punto di vista birrario - se dici Vicenza dici Birrone: non certo perché sia l'unico birrificio artigianale in provincia, ma perché è stato uno dei pionieri in zona (ha aperto nel 2008) nonché uno dei più affermati - tanto che il mastro birraio, Simone Dal Cortivo, ha ottenuto il titolo di birraio dell'anno nel 2014. Ed è appunto con lui che mi sono fermata a fare due chiacchiere, prima di farmi illustrare le novità messe alla spina.

A onor del vero la nostra chiacchierata è iniziata da uno dei temi più inflazionati, triti e ritriti che ci siano negli ultimi tempi, ossia il proliferare di nuovi birrifici e di feste della birra: ormai parlare di questo è diventato un po' come parlare del tempo, anche se ciò non toglie che siano questioni che stanno incidendo profondamente sul panorama della birra artigianale in Italia. "Per carità, ci sono anche tanti giovani birrai che lavorano bene - ha osservato -, ma trovami qualcuno che sa fare bene le birre tecnicamente più difficili, e in particolare le basse fermentazioni come le helles: già sono pochi quelli che le fanno, e quelli che le fanno bene anche meno". Per questo, nel fiorire - per quanto ormai l'onda si sia esaurita - delle ipa e delle luppolature mirabolanti, "io voglio ribadire che noi siamo quelli delle basse fermentazioni: sono sempre stati i nostri punti di forza, e su quelle intendiamo continuare a lavorare".

E proprio due basse fermentazioni sono state quelle che mi ha proposto Simone: la "Zia Marn", definita come "Neues Pils" - per distinguerla dall'altra pils del Birrone, la Brusca - e la SD & R, una Festbier "che in realtà è una Marzen, perché le birre usate per le autentiche feste della birra autunnali nei villaggi bavaresi erano e sono le Marzen". La Zia Marn, ha spiegato Simone, "prende il nome dalla padrona tedesca dei luppoli"; e alla base della Brusca aggiunge come luppoli il Mandarina Bavaria, il Polaris e il Melon. Per quanto questa lista potrebbe far pensare ad una luppolatura di quelle che prima ho definito "mirabolanti", questa è e rimane una pils, per quanto unica nel suo genere: alla tradizionale luppolatura floreale aggiunge sì leggeri toni agrumati, e il polaris svela la sua presenza in seconda battuta con una lieve nota balsamica, ma per il resto rimane la classica pils "pulita" e senza fronzoli, dal corpo fresco ed esile ma non evanescente, e senza particolari persistenze. Anche in questo caso, buona per chi cerca una pils sì in stile, ma un po' più caratterizzata.

La SD & R - che sta per Sesso, Droga & Rock'n'roll, "gli elementi spesso associati al fare festa" - mi era stata preannunciata da Simone come quella che più gli ha dato soddisfazione. L'aroma delicatissimo viaggia tra le note di nocciola e quelle che a me hanno ricordato un po' le caldarroste, per quanto le castagne non c'entrino nulla (sarà perché la birra alle castagne del Birrone ancora la ricordo con grande piacere); e se l'ingresso in bocca rimane su questi toni maltati, chiude poi su un amaro erbaceo altrettanto delicato, che lascia la bocca perfettamente pulita. Una birra che fa dell'equilibrio tra questi due poli e della pulizia il suo punto di forza, caratteristiche che sono del resto dei capisaldi della filosofia di lavoro di Simone, e che pur nella sua (almeno apparente) semplicità sa risultare piacevole ed appagante.

Ultima nota: il panificio Dal Cortivo - altro espositore a Marano - offre diversi prodotti da forno, tra cui i biscotti alla birra battezzati Birrini: interessante il birramisù fatto con questi e la Scubi, la lager scura del Birrone.

Su tutt'altro stile invece la tappa successiva, vi attendo al prossimo post...

Festival Nonsolobirra, capitolo primo: alla corte di Cangrande

Sono tornata anche quest'anno, e con molto piacere, al festival della birra artigianale Nonsolobirra: che però, e Stefano Gasparini mi perdonerà, per me rimarrà sempre "Arte, Cultura e Luppolo" perché così l'ho conosciuto, e così mi è rimasto nei ricordi come uno dei primi a cui ho partecipato e a cui ho fatto alcune tra le conoscenze che reputo più care nel mondo della birra artigianale. Pur nelle dimensioni relativamente contenute, continua a confermarsi come evento di qualità all'interno di un panorama di fiere, sagre, feste e festini sempre più fitto. I birrifici presenti quest'anno erano sia vecchie conoscenze della kermesse - Birrone, Mastino, Ofelia, Jeb, Trami, Benaco 70, Estense, e Diexe distribuzione con Zahre, Fiemme e Montegioco ed altri ancora - che novità - Foglie d'Erba, Birra Perugia, ed alcune portate da Diexe: un festival che allarga i suoi orizzonti quindi, senza risultare ripetitivo di edizione in edizione.

Anche perché sono i birrifici stessi ad essere propositivi in quanto a novità: già alla prima tappa del pellegrinaggio, in casa Mastino, ho avuto modo di trovarne qualcuna - assaggiata nel contesto diuna piacevole chiacchierata con Oreste Salaorni, che ringrazio. La prima che ho provato è la loro nuova pils battezzata Milledue91 in onore di Cangrande della Scala (il 1291 è infatti il suo anno di nascita), brassata in decozione: già all'aroma colpisce per i profumi molto intensi ma armoniosi tra lo speziato e il floreale (i luppoli dichiarati sono Mittelfrüh e Tettnanger in dryhopping), cha fanno da preludio ai torni altrettanto robusti di cereale. Per quanto il corpo, coerentemente con l'insieme, sia più robusto della media delle pils, lascia comunque presto spazio ad una chiusura ben amara e secca e molto persistente: una birra che ci siamo trovati scHerzosamente a definire "imperial pils" - facendo il verso alla mania del giorno d'oggi di mettere l'aggettivo "imperial" davanti a qualsiasi stile, solo per indicare che si tratta di una birra più robusta (non sotto il profilo alcolico, però perché fa 5 gradi) - e che sicuramente si addice a tutti coloro a cui buona parte delle pils "non dicono niente". Oreste l'ha peraltro definita "un parto difficile", una birra frutto di un lungo lavoro: e del resto si capisce che nulla è lascitao al caso, per ottenere un tale equilibrio dell'insieme pur lavorando con toni forti all'interno di uno stile "delicato".

Dopo un breve passaggio per la belgian strong ale Vicarium - in stile, senza particolari fronzoli - sono approdata alle sour: fronte su cui Mastino negli ultimi anni ha saputo distinguersi, tanto da essere una presenza costante nella bottaia dell'Arrogant Sour Festival. La prima che ho provato è stata la Duchesse, una saison a cui è stata aggiunta uva fragola per avviare la fermentazione spontanea, marasche e ciliegie. In effetti ricorda il fragolino, in particolare all'aroma; in bocca a risaltare è invece la fragola vera e propria, che si impone sulle marasche (nonostante Oreste mi abbia riferito che, in proporzione, questa sono quattro volte tante rispetto alle fragole). La chiusura è decisamente dolce, pur senza obliterare del tutto la punta di acido che "pulisce" la bocca: una sour gradevole e del tutto abbordabile anche chi si accosta per la prima volta alle acide, nonché da consigliare agli amanti delle birre alla frutta.

Da ultima, dato che il meglio arriva sempre alla fine, Oreste ha calato l'asso con la sour all'Amarone: il frutto di oltre due anni di lavoro e paziente attesa, tra una prima fermentazione in acciaio, una seconda in tonneaux con l'aggiunta del 20% di mosto completo di Amarone, e otto mesi di riposo in barrique (Oreste mi correggerà se ho sbagliato qualcosa, del resto davanti a premesse di questo genere è chiaro che l'attenzione agli appunti cala). Anche qui i sentori caldi e pieni di vino rosso la fanno da padroni, con profumi di frutta matura (amarena su tutte); note di legno e di tannino sì presenti, ma in maniera del tutto equilibrata ed armoniosa (anzi, quelli tanninici proprio nelle retrovie direi), senza essere invasivi. Personalmente l'ho molto apprezzata, per come ha saputo sposare birra ed Amarone in maniera encomiabile. Vale la pena peraltro precisare che stiamo parlando di una birra di dodici gradi alcolici: da bene (ed apprezzare) a piccole dosi.

E mi fermo qui per quanto riguarda la prima tappa: rimanete sintonizzati...

sabato 15 ottobre 2016

Al pub di Luré

Dopo essere stata qualche mese fa a visitare il birrificio The Lure (chi se lo fosse perso clicchi sul nome) sono tornata in quel di Fogliano per visitare anche il brewpub, appena aperto da Lorenzo. Un pub che segue la stessa filosofia del birrificio, ossia di utilizzare quanto più possibile ciò che i terreni dell'azienda agricola offrono: dall'orzo per la birra, al frumento per il pane (cotto in forno a legna), al luppolo sia per la birra che per i grissini. L'occasione era peraltro interessante, ossia il debutto alla spina della nuova saison alla zucca Smashed Pumpkin (in onore degli Smashing Pumpins - come avevo già spiegato, ognuna delle birre di Lorenzo è un tributo musicale): 25 kg di zucca mantovana cotta al forno (se avete occasione fatevi raccontare l'epopea di che cosa significhi farlo nel forno di casa...) per una cotta di 200 litri, cannella, zenzero in polvere e noce moscata.

Il pub è fresco di inaugurazione, e arredato con gusto: colori caldi, materiale riciclato in maniera originale (tipo le bottiglie sui lampadari), predomimanza del legno, e una cinquantina di posti a sedere (lo so, non c'entra con quanto stavo dicendo, ma è un altro dettaglio da dare). Il menù è molto semplice, ma curato: oltre alle birre di The Lure (di cui una a pompa, la Bird) sono disponibili una decina di panini gourmet (tutti con pane della casa e prodotti tipici del territorio, dal Montasio al prosciutto cotto a legna con i cren) e altri snack rigorosamente non fritti (come le patate al forno con grana e paprika). Per ciascuno è consigliata in abbinamento una delle birre: a dire il vero io ho fatto il contrario, perché volendo assaggiare la birra alla zucca sono andata d'ufficio su quello che aveva come abbinamento consigliato la Smashed Pumpkin - pane integrale con crema di zucca, ricotta affumicata e speck.

Come snack ci sono stati offerti i grissini con il luppolo Golding coltivato da Lorenzo: per amanti dell'amaro, ma comunque equilibrati nell'insieme. In quanto alla Smashed Pumpkin, Lorenzo mi aveva parlato a lungo della sua volontà di non ottenere una birra troppo dolce, e di come avesse fatto lavorare il lievito ad una temperatura tale da mettere in evidenza piuttosto la parte speziata: e in effetti, portandola al naso, la si direbbe una saison ben profumata punto e basta (senza zucca), con in più la cannella e la noce moscata in risalto, ma senza sovrastare il bouquet tipico dello stile. La zucca arriva dopo, con un sapore ben pieno, una volta fatto il sorso; senza però persistere in alcun modo, perché la speziatura unita ad un amaro ben secco arriva a chiudere senza compromessi sul dolce. Resta, come ricordo al palato, solo la speziatura, e in particolare la cannella. Ho trovato che lo "sposalizio" fosse ottimo soprattutto con la ricotta affumicata, che personalmente apprezzo molto come condimento sui piatti di zucca e speziati (zuppe, pasta e gnocchi in primo luogo). L'intento dichiarato di Lorenzo di fare una birra equilibrata e non stucchevole, dunque, pare riuscito.

Ultima nota per la Bird spillata a pompa (e con maestria, devo dire): sotto alla magistrale "cremina da cappuccino", che ho addentato con voluttà, ho trovato una birra molto più rotonda ed equilibrata di quanto la ricordassi (complice anche la minore carbonatazione), in cui la componente torbata si amalgamava meglio alla rosa di aromi e profumi legati alla tostatura. Una di quelle birre che potrebbe essere portata ad esempio calzante ed emblematico di come il metodo di spillatura faccia la differenza.

venerdì 14 ottobre 2016

1000 "Mi piace"...e qualche pensiero

Da tempo, per una pura questione di piacere personale, attendevo il millesimo "mi piace" sulla pagina Facebook dedicata al mio blog - sì, ero già pronta a fare lo screenshot e postarlo, giusto per dare una botta di vita al mio ego. E ieri, quando è successo, siccome ero impegnata me ne sono resa conto soltanto quando i "like" erano ormai 1001. Vabbè, come direbbero gli appssionati di hashtag, #epicfail (fallimento epocale): ma tant'è, si tratta - più che di un traguardo - di un passaggio simbolico, che serve più che altro a dare da pensare.

Già, perché quando sono partita meno di quattro anni fa, la birra artigianale manco sapevo cosa fosse: il mio blog era solo uno spazio dove scrivere tutte quelle cose che, per qualche motivo, non venivano pubblicate su nessuno dei giornali con cui collaboravo. Poi la proposta di Maltilde Masotti de La Brasserie di scrivere una recensione del suo locale, l'incontro con Severino Garlatti Costa e Gino Perissutti, e tutto il resto è storia - o meglio, birra: dai primi stentati post con le mie impressioni su ciò che assaggiavo, al documentarsi sui libri e su web, al cominciare a scrivere per pubblicazioni di settore, al confrontarsi con birrai ed altri esperti, ai corsi di degustazione, fino a tenerle io (le degustazioni, naturalmente). E posso dire di aver scoperto un mondo (anche dal punto di vista geografico, viste le migliaia di km che ho percorso in giro per l'Europa) in cui mi sono sentita a mio agio, di aver conosciuto tanta gente e di essermi fatta diversi amici; perché sì, tra birrai e tra birrofili possono spuntare anche i coltelli, però il più delle volte una buona pinta risolve tutto come nel terzo tempo del rugby.

Di solito in questi casi sono doverosi i ringraziamenti: in primo luogo a mio marito Enrico (nella foto: non badate alla Villacher, era ancora giovane e inesperto) che, una delle prime volte che siamo usciti insieme, al mio rifiuto dell'invito ad andare in birreria perché "la birra non mi piace" ha risposto "non è possibile, almeno una che ti piace deve esserci, vieni con me che te la trovo". Ha clamorosamente fallito con una kriek di bassa lega, ma la seconda volta - con una St Bernardus abt 12 - si era già assicurato amore eterno (a lui e alla birra). Poi a Matilde, che per prima mi ha spinta sulla via del blog, e a tutti i birrai che ho conosciuto e ai loro collaboratori - a Severino e Gino spetta il posto d'onore per essere stati i primi, ma tutti gli altri non sono da meno. Poi a quelli che sono stati i miei maestri anche sotto il profilo "accademico": Paolo Erne, il prof. Buiatti e i suoi collaboratori, Andrea Camaschella, e Kuaska (che oltre a qualche lavata di capo in quel di Santa Lucia di Piave mi ha pure insegnato qualcosa). A tutti coloro che hanno avuto fiducia in me, chiedendomi di collaborare alle loro manifestazioni o per i loro locali, aprendo le loro porte alle mie iniziative o invitandomi alle loro, o sostenendomi nelle mie pubblicazioni: Guido Antoniazzi, Stefano Gasparini, Giuseppe Burello e Raffaella Bianchi, la famiglia Sancolodi, Confartigianato Udine e l'Associazione Birrai Artigiani Fvg, la Fiera di Pordenone, The Good Beer Society, Maurizio Maestrelli, Filiberto Zovico, Vincenzo Alessandro Dal Pont e il Palagurmé, Elio Parola, Mirko Raguso, Massimo Prandi, Andrea Turco, Marco Tripisciano, Kjell Andersson, Christian Gusso, Lorenzo Serroni, Gabriele e Renata, Simona Maldarelli, Daniele Piagno, Luca Lombardo, l'Associazione Homebrewers Fvg, Tulliio Zangrando...e sicuramente mi sono dimenticata qualcuno, tra abbiocco post-pranzo ed età che avanza. E, più in generale, un grazie alle attualmente 1018 persone che mi seguono sulla mia pagina, più a tutte quelle che mi seguono su altri canali: voglio considerare quei "mi piace" un segno di fiducia, che intendo meritare.

Pensare che all'inizio era già tanto se ottenevo un centinaio di visualizzazioni per un post, mentre ora i parametri sono più che decuplicati, spinge chiaramente ad interrogarsi sul futuro. Per ora intendo proseguire in primo luogo a formarmi: c'è un corso di grande spessore che mi aspetta, di cui racconterò a tempo debito. Ma più di tutto intendo lavorare sempre più a fianco a fianco con i birrai: perché la più grande soddisfazione che posso avere è che la loro arte sia utile a me, e la mia sia utile a loro. Grazie di nuovo a tutti e...cheers!

venerdì 7 ottobre 2016

Report di assobirra e pensieri in libertà

E' uscito recentemente il rapporto annuale di Assobirra, riferito al 2015, che fotografa la situazione del settore birrario nel suo complesso - quindi sia sul fronte industriale che dei microbirrifici (il report non utilizza il termine "artigianale"). Come sempre quando escono studi di questo genere, alk centro dell'attenzione sono prima di tutto i numeri, per quanto da soli non bastino a spiegare la realtà.

Innanzitutto, i consumi annuali pro capite: pressoché stabili, anzi in lieve flessione, pur in anni in cui si è tanto parlato di boom della birra artigianale - da 31,1 nel 2007 a 30,8 nel 2015. E fin qui, si dirà, nulla di nuovo. Anche la tendenza a bere più in casa che fuori - il 58,8% dei consumi, contro il 54,5% del 2007 - non è cosa nuova, ed è spesso spiegata con la crisi che spinge a contenere i costi. Però, verrebbe da pensare, con la passione nata per i birrifici artigianali del territorio questi avranno "eroso" mercato agli altri - vuoi gli industriali italiani, vuoi quelli esteri in generale: eppure nel 2015 abbiamo importato la cifra record di 7 milioni di ettolitri contro i 6,2 del 2014, per un saldo commerciale altrettanto record di -4,7 milioni di ettolitri, il massimo storico - nonostante anche l'export sia cresciuto a 2,3 milioni di ettolitri, contro gli 1,9 del 2014. E abbiamo pure lasciato per strada il 5% degli occupati nella filiera negli ultimi 3 anni, da 144.000 a 137.000. I dati non sono qui disaggregati tra microbirrifici e birrifici industriali; ma il report riconosce ai primi e al loro fiorire il merito di costituire "la novità più significativa dell'ultimo decennio" e di portare buone nuove anche in termini di crewazione di lavoro, in quanto "settore ad alta intensità occupazionale". E infatti la cifra si riferisce al totale dell'indotto: l'occupazione diretta è al contrario salita da 4.700 a 5.350 unità. Lecito pensare quindi che questa sia legata in buona parte all'esplosione del numero dei microbirrifici.

Esplosione che, però, pare semplicemente spartire tra più persone una torta che è rimasta più o meno la stessa: la produzione totale è stata di 14 milioni di ettolitri nel 2015 contro i poco meno di 13 di dieci anni prima, con i consumi saliti a 18,7 milioni contro 17,3. Entrambi in salita, certo, ma nello stesso arco di tempo il numero dei birrifici - micro, soprattutto - è praticamente decuplicato (da 60 a 528: la cifra non comprende i beer firm né i brewpub). Curioso anche notare che, se nel 2006 c'erano più brewpub (68) che birrifici (60), nel 2015 si era 529 a 145. C'è comunque da tenere conto, a parziale giustificazione, che i consumi di alcol sono in costante diminuzione dal 2004: anche solo rimanere stabili, insomma, è buona cosa (basti dire che il vino ha visto un -4,8% dei consumi tra il 2014 e il 2015).

Il report tocca naturalmente anche l'annosa questione delle accise: una media di 36,48 euro per ettolitro, che ci pone al terzo posto in Europa dietro all'Estonia (39,84) e alla Slovenia (con il poco invidiabile primato di 58,08. Qualcuno allora mi deve spiegare perché la birra in Slovenia costa comunque meno che qui...).

Utile, infine, vedere la segmentazione del mercato: dal 2011 è più che raddoppiata la "fetta" della birra analcolica (dallo 0,71% del mercato all'1,74%), così come le private label (ossia le birre "di marchio" della grande distribuzione, da 4,41 a 7,45). Un dato, quest'ultimo, che si contrappone invece al calo di quelle "economy" dal 2,17 all'1,5%, pur facendo riferimento sostanzialmente alla stessa fascia di mercato. Pressoché stabile il segmento mainstream - 49,1% contro 48,7% -, mentre registra un calo sensibile quello Premium - 26,2% contro 33,5% - e viceversa una crescita quello Specialità - 14% contro 10,5%. Dati che devono essere presi con le pinze  in quanto riferiti alle sole aziende associate ad Assobirra; utile comunque dire che Heineken da sola ha fatto nel 2015 il 28% del mercato, in calo di un punto percentuale dall'anno predente e di due dal 2011; mentre quelli classificati come microbirrifici, dal 2011 a oggi, hanno conosciuto un tira e molla dal 2,8 all'1,5%, assestandosi attorno a 2.

Alla fine di tutto ciò, che dire? Non mi lancio in valutazioni da economista, perché non è il mio mestiere; tuttavia questi dati mi sembrano confermnare ciò che già si sapeva, ossia che la birra artigianale si è sì imposta negi ultimi anni, ma più come fenomeno culturale che come rilevante fenomeno di consumo. E dato che il numero di birrifici cresce, le strade sono due: o aumenta la torta (export compreso, cosa che in effetti è accaduta), o si fanno fette più piccole. Sarà la Heineken a vedere dimezzata la sua, o sarà qualche microbirrificio a rimanere con le briciole? E le briciole possono, almeno in alcuni casi, comunque bastare?

mercoledì 5 ottobre 2016

La strada per Eldorado

Diciamocelo: da un certo punto di vista, c'era quasi da non crederci. Severino Garlatti Costa, il "purista" del lievito belga, che si mette a fare un ipa, appariva come cosa quantomeno improbabile. Eppure è capitato anche questo: è stata infatti presentata ieri sera al Samarcanda la Eldorado, una ipa (per l'appunto) nata dall'incontro tra le idee (e i gusti, conoscendoli) di Beppe (che festeggiava il suo compleanno) e Raffaella del Samarcanda e la mano di Severino.

Nella piacevole chiacchierata che ci siamo fatti ancor prima che io la bevessi, il birraio ha ammesso che per lui era stata un po' una sfida: e per uno che pone come peculiarità del suo lavoro il fatto di usare sempre lo stesso lievito, giocando sul fatto di farlo lavorare in maniera diversa, si capisce che passare ad un lievito diverso (american ale per la precisione) fosse un bel cambiamento. Ma del resto Severino non è il tipo da tirarsi indietro, e così si è lanciato anche sugli stili americani. C'è da dire comunque che, se era giusto e doveroso nonché inevitabile che Severino ci mettesse comunque qualcosa di "suo", nemmeno Beppe e Raffaella cercavano una ipa del tutto comune: dal loro incontro è quindi nato qualcosa di peculiare, pur rimanendo all'interno dello stile.

Se nell'immediato all'aroma si impongono i classici profumi agrumati, man mano compaiono anche quelli più vicini alla frutta - sia tropicale che pera e mela -, e poi addirittura una lieve nota di caramello: una rosa quindi più varia rispetto alle ipa classiche, dati anche i luppoli usati - Equinox, Calypso e appunto Eldorado, che dà il nome alla birra. Sia il colore che l'aroma fanno intuire poi l'uso di una parte di malto caramellato: scelta spiegata da Severino con la volontà di dare comunque un corpo ben pieno e ricco - e soprattutto qui sta la sua mano direi, più avvezza allo stile belga - in vista anche dell'inverno alle porte (senza escludere la possibilità di una futura versione estiva, comunque). C'è da dire del resto che, appunto per l'unione di queste caratteristiche assai variegate, è una birra che vede un'evoluzione interessante con la temperatura: se all'inizio prevalgono appunto i sentori agrumati, il corpo appare più scarico e la chiusura di un amaro più secco e netto, scaldandosi rivela più la componente fruttata all'aroma e quella maltata al palato, con una chiusura amara assai più lunga, intensa e persistente. E si capisce che è pensata per essere gustata anche così, perché mantiene comunque il suo equilibrio ad una temperatura di servizio leggermente più elevata. Ormai passata l'onda modaiola delle ipa tutto agrume, insomma, anche questa va alla ricerca di un suo carattere peculiare; e pur rientrando, come già detto, pienamente nello stile, comunque non risulta banale appunto per queste ragioni.

Giusto per chiudere in gloria la serata, mio fratello mi ha convinta a dividerci un Progressive Barley Wine dell'Elav: un barley wine che, se l'intensissimo aroma tra il limone - dato dal luppolo sorachi - e l'ananas (almeno questo ho colto io, data la maniera in cui la componente dolce si mescola a quella fruttata) farebbero presagire quasi fuori stile, in bocca si conferma un barley wine a pieno titolo, con le sue note calde tra il caramello, il miele, la frutta secca e il biscotto. Da bere con giudizio, dati gli 11 gradi alcolici; ma indubbiamente con estrema soddisfazione...

martedì 4 ottobre 2016

Gli homebrewers a concorso

Lo so che, complici alcuni impegni di lavoro tra il weekend e ieri, arrivo tardi; ma, essendo stata nella giuria, mi sembrano doverose due righe di commento al primo concorso organizzato dall'Associazione Homebrewers Fvg, in cui ho avuto il piacere e l'onore di essere tra i giudici.

La prima cosa secondo me degna di nota è che, su una ventina di birre pervenute, c'è stata una buona varietà - più alta rispetto a quella che mi è capitato di vedere in altri concorsi, quantomeno - in merito agli stili: per quanto le pale ale nelle loro varie declinazioni fossero le più numerose, non sono mancate nemmeno le tripel, le porter, le bitter, e addirittura una gose (mai capitata nei concorsi homebrewer che ho visto). Paura di osare, insomma, non ce n'è, neanche quando il timore del giudizio spingerebbe verso stili più consolidati e più facili da gestire a livello domestico.

Pur in questa eterogeneità di inventiva, tuttavia, più o meno tutti i giudici hanno concordato sul fatto che, all'interno dello stesso stile, capitavano spesso e volentieri birre molto simili tra loro, tanto da rendere quasi difficile il giudizio: simili i punti di forza, simili anche quelli di debolezza - quello più frequentemente riscontrato è stata la gestione non ottimale del lievito, con conseguente aroma fenolico più marcato del dovuto a scapito della componente del luppolo (specie negli stili in cui questa avrebbe dovuto essere più robusta). E questo lo dico non per voler mettere il dito sulla piaga, ma per dare un'indicazione generale che possa essere utile a tutti gli homebrewers.

In quanto ai vincitori, che dire? Si è di nuovo imposto senza mezzi termini Luca Dalla Torre, ormai un habitué del podio, con il primo posto per la sua porter - ispirata alla Accisa Nera - e il terzo per la sua pale ale. Devo dire che la porter ci ha colpiti sopra a tutte le altre, oltre che per la notevole originalità, per come ha saputo unire la robustezza del corpo al grado alcolico basso e alla pulizia ed armonia dell'insieme, rimanendo nella memoria di tutti noi giudici; così come ha positivamente impressionato la birra della seconda classificata, Anna Facchin - giusto a confermare la presenza sempre più nutrita di donne nel mondo brassicolo -, anche questa una porter, e anche questa per motivi simili. Complimenti naturalmente anche al quarto classificato Walter Cainero, e a Manuel Piccolo e Nicola Ruminato giunti al quinto posto. Mi spiace non essere stata presente alle premiazioni alla Brasserie sabato scorso, in quanto fuori Udine per lavoro, ma colgo l'occasione per fare le congratulazioni ai premiati e a tutti i partecipanti.