sabato 31 gennaio 2015

Una birra nera...come l'umore

Lo so, sono in ritardo perché la cosa è successa ieri - e l'avevo pure saputa subito, essendo membra del gruppo: ma mi perdonerete se arrivo solo ora a dare notizia di un'originale forma di protesta contro l'ultimo aumento delle accise sulla birra, nata sul gruppo Facebook di Accademia delle Birre. Il fondatore Paolo Erne ha infatti lanciato l'idea di fare una "cotta comune" - oltre che fronte comune - per lanciare a legislatori e consumatori un messaggio molto semplice: una tassa che ha ormai sforato il tetto dei tre euro per grado plato per ettolitro - semplificando, stiamo parlando di una cifra che va suppergiù dai trenta fino a oltre cinquanta euro a ettolitro a seconda del tipo di birra - non è sostenibile, in particolar modo per i piccoli produttori artigianali. Che già devono confrontarsi con critiche verso i prezzi più alti di quelli praticati dall'industria: e non è sempre facile spiegare al consumatore che - conti alla mano, almeno stando a quelli che mi ha fatto vedere un birraio di cui per discrezione tacerò il nome, a fronte del fatto che Moretti e Castello fornivano la loro birra a 89 cent al litro per Friulidoc - per gli artigiani fare lo stesso a meno di 3 euro e mezzo al litro sarebbe stato impossibile senza rimetterci.

Lanciata la proposta, sul gruppo è nata quindi una discussione su come dovesse essere questa birra già battezzata "Accisa nera": e ne è uscita una "Hoppy American Porter", un fuori stile proposto da Emanuele Beltramini del Grana 40, pensata per essere facilmente realizzabile anche dagli homebrewers (un adattamento successivo è stato poi aggiunto da Antonio De Feo). Una birra scura e leggera in quanto ad alcol - 4 gradi - come provocazione per dire che la nuova tassazione costringe a mantenere una gradazone alcolica più bassa; e altrettanto scura sarà la bottiglia, quasi a segno di lutto. Naturalmente l'invito a produrla non è rivolto solo a birrai e homebrewers membri dell'Accademia delle birre, ma a tutti; così come quello a presentarla poi a fiere, manifestazioni ed eventi, per sensibilizzare sulla questione. L'Accademia delle Birre, dopo la sensibilizzazione sul tema delle produzioni artigianali locali in occasione di Friulidoc - di cui avevo scritto in questo e questo post -, si conferma quindi un gruppo assai attivo sul fronte della difesa del produttore e della formazione e informazione al consumatore, e c'è da augurarsi che anche questa iniziativa abbia successo; e non lo dico per partigianeria - non nascondo, come ho detto sopra, la mia appartenenza al gruppo, anche perché chiunque può verificarla su Facebook - ma per gli effettivi risultati ottenuti dai birrai e homebrewers coinvolti.

Nelle parole di Beltramini, l'Accisa nera si preannuncia "profumata ed intrigante": se non è buona la tassa, insomma, speriamo sia buona almeno la birra di cui ha ispirato la produzione...

giovedì 29 gennaio 2015

Che pirati questi belgi

Trovandoci a passare in queldi Plaino - ok, va bene, "passare" da Plaino è difficile: diciamo che non eravamo troppo lontani da lì -, io e Enrico ci siamo fermati al Samarcanda; e accolti col consueto calore da Beppe e Raffaella, siamo passati a quella che lì è la parte più ardua: scegliere che cosa bere, dato il listino così lungo da scoraggiare chiunque. Per quanto sia difficile rimanere delusi anche puntando il dito a caso sul listino, dato che si tratta sempre di birre di qualità, abbiamo deciso di restringere il campo dando uun'occhiata alle ultime novità: e ad incuriosirci è stata la Piraat, una strong ale belga doppio malto dal colore ramato. In realtà non è ciò che si dice una una birra da aperitivo, e infatti Raffaella ci aveva avvisati: 10 gradi alcolici e sentirli tutti, dato il corpo ben pieno e le note liquorose ben presenti. Ma tant'era, ormai eravamo curiosi, e quindi abbiamo optato per rimediare aggiungendoci un paio di tartine.

Da sotto la schiuma non molto persistente saliva un aroma intenso di nocciola e di biscotto, mentre in bocca la facevano da padrone la densità del malto e delle note alcoliche. La dolcezza del corpo è comunque smorzata nel finale, più asciutto - per quanto, in pieno rispetto dello stile, il luppolo non sia evidente - e discretamente lungo: per cui risulta comunque una birra bilanciata, nella misura in cui non lascia la bocca "impastata di caramello" - come uso ironizzare. Già dopo il primo sorso l'abbiamo definita "Belgio allo stato puro", in quanto rispetta in pieno lo stile: con il tocco in più di sapori e aromi particolarmente intensi, che le conferiscono una nota distintiva.

Ad attirare la nostra attenzione è stata poi una scatola in legno molto graziosa, in cui erano ordinatamente disposte delle bottiglie che non avevo mai visto prima: quelle della Ypres di De Struise, un'altra belga. Considerata la gradazione alcolica della Piraat, abbiamo concluso che una birra per quella sera era sufficiente: se non altro, abbiamo una scusa per ritornare...


martedì 27 gennaio 2015

Una visita in casa Camerini

Trovandomi in Veneto, ne ho approfittato per cogliere un invito fatto già da lungo tempo: ossia quello a visitare il birrificio Camerini di Piazzola sul Brenta, di cui ho avuto modo di parlare già in diverso post precedenti (no, non ve li linko tutti altrimenti diventa una lista: la maschera "cerca" qui a destra l'ho messa per un motivo, usatela, grazie). Curioso è il fatto che lo stabilimento si trovi accanto ad una palestra: peccato che a quanto pare gli atleti non non siano sufficientemente informati sul fatto che la birra è un ottimo integratore, dato che - a quanto ci ha riferito in buon Giampaolo, nella foto, che ci ha accolti - la clientela in arrivo dagli spogliatoi potrebbe essere più numerosa: ad ogni modo la posizione rimane strategica per future possibilità di sviluppo in seguito a debita campagna informativa.

Ok, basta con l'ironia e veniamo a noi. Lo stabilimento non è enorme, ma è in crescita: il Camerini ha infatti messo in cantiere un progetto di ampliamento degli impianti, che dovrebbero auspicabilmente portare ad un'incremento dell'80% sui 380 ettolitri di produzione annua e consentire di varcare i confini italiani con la distribuzione. Non è poi solo la quantità di birra a crescere, ma anche il numero di birre prodotte: novità del 2014 sono state la Ink Ipa - che avevo avuto modo di assaggiare a Arte, Cultura e Luppolo - e la Trick, una Belgian Pale Ale pensata - per dirla con Giampaolo - "per essere bevuta facilmente, dai giovani, anche agli eventi e ai concerti, con preponderanti sentori di malto e lievissimi sentori di luppolo sostenuti da un buon corpo". In effetti, è una birra leggera sia sotto il profilo della gradazione alcolica - 3,8 gradi - che della facilità a bersi; il tutto comunque senza sacrificare una buona consistenza del corpo. Con un'insolita inversione rispetto a quanto più frequentemente accade, poi, l'erbaceo amaro del luppolo è ben percepibile all'olfatto ma lascia poi spazio al malto non solo nel corpo, ma anche in chiusura: insomma, il classico "retrogusto amaro" da luippolo qui non c'è, per quanto il buon equilibrio lasci comunque la bocca pulita. Una birra semplice ma non banale, che certo non deluderà chi cerchi i gusti semplici e puliti pur con un tocco di originalità.

Nel farci visitare il piccolo spaccio annesso - con quattro spine pronte all'uso, più una serie di bottiglie ben disposte sugli scaffali - Giampaolo ci ha poi riservato una sorpresa: ha infatti stappato una bottigila di una cotta speriemntale della Seducente, una American Ale dal colore ramato aromatizzata agli agrumi. Una sorpresa accompagnata da una sfida, alias "indovinate che frutto abbiamo aggiunto questa volta". Ebbene, posso vantarmi di aver indovinato: il bergamotto, e nemmeno un bregamotto qualunque, in quanto il Camerini li fa arrivare direttamente da un agricoltore biologico calabrese. Bisognerà aspettare che la birra arrivi alla giusta maturazione per dare un giudizio definitivo - la cotta risale infatti a poche settimane fa, e l'aroma del bergamotto tendeva ancora a sovrastare tutti gli altri -; ma le premesse per una variante della Seducente classica sono buone in quanto, a mio parere, il bergamotto è un accostamento indovinato agli altri aromi che la caratterizzano.

Ora non resta che stappare la bottiglia di Gioiosa - la numero 147 per la precisione - che ho portato a casa, la birra di Natale uscita in edizione limitata - 256 bottiglie: 2 come il civico del birrificio, 56 come i km di lunghezza della vecchia ferrovia Piazzola-Padova dal cui costruttore il birrificio prende il nome. Come si suol dire, rimanete sintonizzati...

lunedì 26 gennaio 2015

Una kriek...che è una kriek

Parlando appunto di kriek, qualche giorno fa mi è capitato di assaggiarne una fatta secondo il metodo tradizionale belga: l'occasione era la mia terza visita in casa Sancolodi per una cena di famiglia, provvidenzialmente capitata pochi giorni dopo l'imbottigliamento della kriek che stava nelle botti del buon Roberto da quasi un anno. Anche questa volta il cuoco si è fatto onore: pizzoccheri con code di gambero e carciofi alla "Luna bianca" (la loro blanche), e trancio di pesce spada in crosta di nocciole alla stout "Guilty" e porcini accompagnato da un tortino di erbe e patate spadellate. Il tutto accompagnato naturalmente dalle loro birre che già ho descritto in questo e questo post - nella fattispecie la lager chiara "La vita è bella" con il primo, e la stout Guilty con il secondo - più una piacevole sopresa in fase di aperitivo, ossia un'altra lager chiara di nuova sperimentazione di cui i fratelli Sancolodi hanno "rivisto" i lieviti: lieviti che in effetti risaltano molto bene all'olfatto insieme ad una rosa ben corposa - perdonate la rima - di profumi di cereale, che lasciano poi in bocca un sapore pieno di crosta di pane che mi ha per certi versi ricordato alcune pils ceche. Decisamente una birra con una sua personalità assai più che "La vita è bella", che personalmente - almeno in questa cotta, con una ricetta leggermente diversa da quella provata nella mia prima visita - non ho mai trovato avere note altrettanto particolari. Quest'ultima rimane comunque la birra più versatile tra quelle della casa nell'accompagnare i piatti, per cui sotto questo profilo certo non la sconsiglio.

Ma dicevamo quindi della kriek, in merito alla quale Roberto mi aveva creato una certa curiosità. Una kriek di pura scuola belga, con l'aggiunta delle cilegie non denocciolate (nella foto) ad una base di lambic, e l'invecchiamento in botti di rovere; con tanto di piccolo inconveniente di una botte "rotolata" a causa del cedimento di un piedino e risollevata da Roberto con in cric della sua macchina, il che me l'ha fatta scherzosamente ribattezzare "la kriek col cric". Cric o non cric, il buon risultato c'è stato, e la guida di Roberto nel degustarla mi ha consentito anche di apprezzarlo appieno (le birre acide, diciamocelo, sono birre "difficili", che rischiano di essere derubricate a "puro aceto" da chi non abbia un minimo di conoscenza della materia): se all'aroma risalta quasi unicamente l'acidità, in bocca questa si accompagna in maniera equilibrata al dolce della ciliegia, per poi chiudere con la nota amara dei noccioli che arriva soltanto in un secondo momento. Anche quest'ultima peraltro crea un buon connubio con l'acido, lasciando la bocca pulita - e ben sgrassata, nel caso l'abbiate accompagnata ad un formaggio o a qualche pietanza ben corposa. Anche questa dunque una piacevole sorpresa, in quanto - almeno da noi in Italia - non capita spesso di trovare kriek così "pulite" e ben riuscite. Certo vi devono piacere le birre acide - perché non è nonostante tutto una kriek "ruffiana", che possa carpire esaltando il dolce del frutto anche chi non le ama: però merita un assaggio se non altro "per conoscenza", in quanto, come dicevo, si tratta indubbiamente di una rarità nel nostro panorama.

mercoledì 21 gennaio 2015

Una kriek che kriek non è

Perdonate se ho parafrasato il titolo di un post precedente - "Una stout che sout non è" -, ma bisogna ammettere che cascava proprio "a fagiolo". Ieri sera infatti, quando Enrico mi ha chiesto che birre ci fossero in cantina, nel fargli l'elenco mi sono trovata a dirgli "Ah, e c'è anche una kriek": salvo poi rendermi conto che, per quanto aromatizzata alle ciliegie - e "kriek" in fiammingo identifica appunto un particolare tipo di ciliegia tradizionalmente utilizzata per aromatizzare la birra -, proprio una kriek nel senso tradizionale del termine non era. Vabbè, a dire il vero di kriek non c'è solo la lambic, ma anche la ale scura fiamminga: questa però era appunto una cosa ancora diversa. Sto parlando della Marals di Meni, una ale chiara doppio malto dal colore ramato; che ho portato a casa da Cavasso nella simpatica bottiglia da 0,33, decorata come vedete nella foto.

Anche in questo caso bisogna dire che Meni riesce ad ingannare: in altri termini, se è una kriek che state cercando, avete sbagliato indirizzo. Non perché non sia buona, ma perché l'uso che viene fatto dell'aroma alla ciliegia è del tutto diverso: al di là di una leggera nota fruttata e una punta di acido e di lievito all'aroma, infatti, l'ho trovato quasi impercettibile nel corpo - che dà piuttosto sapori di frutta secca e un tono leggero di biscotto -, salvo ricomparire per un attimo al retrogusto prima di chiudersi in un amaro bilanciato e non invadente, che rende giustizia più alla corposità del malto che al luppolo. Personalmente l'ho apprezzata perché ho sempre ritenuto che le birre aromatizzate alla frutta finiscano troppo spesso per essere "snaturate" da una dolcezza eccessiva, cosa che non si può certo dire di una birra equilibrata come la Marals; e perché ha saputo comuqnue trovare una sua originalità, volendo dare un'interpretazione personale all'aromatizzazione alle ciliegie. Certo, ribadisco, non aspettatevi una kriek: ma se siete curiosi di provare una birra diversa, o se le birre alla frutta non vi piacciono ma a questa siete disposti a dare un'opportunità, potrebbe fare al caso vostro.

venerdì 16 gennaio 2015

Una birra sulle rive del Danubio

Avendo già visitato con sommo piacere Praga e la Repubblica Ceca - come rendicontato in un post sulla capitale, uno sul suo festival della birra e uno su un piccolo birrificio artigianale di Zvikov - questa volta ho optato per Bratislava, capitale della Repubblica Slovacca adagiata sulle rive del celbre fiume. Certo non una città dal fascino turistico della sua omologa né dalle dimensioni altrettanto imponenti - meno di mezzo milione di abitanti -; ma tranquilla e piacevole, e meta da scoprire anche per gli amanti delle birre in quanto - sebbene quelle importate dalla Repubblica Ceca rappresentino una buona parte dell'offerta - non mancano nemmeno le produzioni locali e i brewpub (ristoranti che servono la birra da loro prodotta, ndr) di un certo interesse.

Il primo locale che ho visitato su consiglio di un amico, a onor del vero, non era propriamente "slovacco": trattasi dello Uisce Beatha - "acqua di vita" in gaelico, nome di un whisky irlandese - pub gestito appunto da un simpatico e socievole espatriato dalla terra di San Patrizio. Oltre all'ambiente pittoresco - una vecchia cantina con volte di mattoni rossi, arredata con autentici pezzi d'antiquariato - nota distintiva del locale è il listino stampato sulla bottiglia che si trova al centro di ogni tavolo; e per quanto riguarda le birre a rotazione, basta vedere il talloncino legato al collo della bottiglia. Il pub serve perlopiù birre ceche di marchio Primator, e quindi anche in questo senso non può definirsi del tutto espressione dello spirito locale; c'è però da dire che, se la lager bionda classica non si distingue all'interno del genere, la English Pale Ale offre un buon connubio tra il sapore di cereali tipico della tradizione ceca e l'amaro delicato del luppolo, e la stout con le sue marcate note di caffè probabilmente non fa rimpiangere a turisti ed espatriati irlandesi avventori del locale la loro birra nazionale.

La prima birra di produzione slovacca che ho provato è stata quindi la Zlatý Bažant (letteralmente "fagiano d'oro"), che mi era stata descritta come uno dei marchi più significativi dela Paese: anche qui però nel 1995 è arrivata la lunga mano del gruppo Heineken, che l'ha acquisita. Rimane comunque una delle bandiere nazionali in campo birrario; e pur trattandosi di una lager che ho trovato del tutto ordinaria, pur nelle sue varie declinazioni - la bionda da 10 e da 12 gradi plato e la scura - proprio questo suo essere abbastanza "neutra" la rende particolarmente versatile nell'accompagnare i piatti della tradizione locale - dalla zuppa di crauti e salsiccia a quella all'aglio servita in una pagnotta scavata, agli gnocchetti di patate "halusky" con il bryndza, tipico formaggio di pecora. Piatti che ho peraltro provato in un ristorante dal nome che è un programma, "Slovak pub"; dove, se capitate da quelle parti, vi suggerisco di affrontare una volta nella vita e poi mai più - magari documentandola con tanto di foto - l'impresa della tipica colazione del luogo: tre uova con cipolla, prosciutto, cetriolini e pane, accompagnati magari da una delle birre suddette. Se sopravvivete, siete pronti ad entrare nello spirito della città - per la cronaca, non ce l'ho fatta: il terzo uovo l'ho dovuto cedere a Enrico, abbandonando il campo di battaglia con disonore. Onore invece a lui, che di uova ne ha quindi affrontate quattro, non toccando più cibo fino a sera.

Per bere qualcosa di davvero "a km zero" mi sono così rivolta al Bratislavsky Mestiansky Pivovar - "birrificio cittadino di Bratislava -, un brewpub che considererei la chicca della mia trasferta: non solo i piatti offerti - dai bocconcini di pollo alla stout allo stinco di maiale - erano davvero notevoli, ma la birra prodotta nei sotterranei del locale mi ha colpita per il sapore di cereali maltati particolarmente deciso e del tutto peculiare, che pur nell'intensità del corpo lascia comunque la bocca pulita grazie ad una luppolatura ben calibrata. Oltre alla lager chiara che ho appena descritto il brewpub offre anche una scura: ho trovato però che quest'ultima avesse meno "personalità", perché, se la prima mira non solo all'eccellenza all'interno di un genere canonico ma anche a trovare una sua nota distintiva, la seconda rinuncia un po' all'unicità non distinguendosi molto da altre dello stesso tipo.

Per concludere, una città che, posto che amiate le pils, non è da disdegnare; magari facendovi guidare da qualcuno che sappia consigliarvi, non essendo l'offerta turistica e birraria pari a quella di altre capitali mitteleuropee come Praga o Vienna, ma avendo appunto per questo il pregio di essere meno "inflazionata" sotto il profilo del numero di visitatori.

lunedì 12 gennaio 2015

Una serata da diciotto spine

Sempre nel periodo di Natale, mettendo finalmente in pratica un consiglio che da tempo mi era stato dato, sono andata ad esplorare la birreria Nidaba di Montebelluna. Già il banco e la lavagnetta all'ingresso sono roba da far girare la testa: diciotto tra spine e pompe con altrettante birre artigianali italiane ed estere, sia fisse che a rotazione. Inutile dire che la scelta di che cosa bere è stata lunga e laboriosa, per quanto io e i miei accompagnatori avessimo usato la tattica diplomatica di prenderne una diversa per ciascuno - e piccola, lasciando spazio per un eventuale secondo giro.

In listino c'erano nomi più e meno noti: una buona scelta da Le Baladin, Birrificio Italiano - personalmente ho optato per un'intramontabile come la Tipopils - ed Elav - su tutte la Techno, una double Ipa da 9 gradi con un solo malto e un generoso dry hopping (per i non adepti, il luppoloi aggiunto a freddo, dopo la bollitura, a scopo aromatico); ma anche dall'estero la presenza era nutrita, con Dupont, Nogne, Thornbridge e diversi altri. Di quest'ultimo ho provato la Kipling (la bottiglia nella foto è solo per amor di etichetta, l'ho bevuta alla spina), una "South Pacific Pale Ale" - ormai le definizioni si sprecano -, incuriosita dall'uso di un luppolo che non conoscevo, il Nelson Sauvin, che - da descrizione - dovrebbe ricordare l'aroma di uva spina tipico del Sauvignon Blanc, da cui prende il nome. Ammetto di saperne poco di vini, per cui non saprei dire se davvero ricordi un Sauvignon; certo si nota che la luppolatura è particolarmente fresca e fruttata, pur con un finale nettamente amaro, rendendola una birra non molto corposa e ben dissetante.

Non ho provato birre in bottiglia, ma anche lì - tra belghe, italiane e scozzesi - la scelta non manca: dalle Boon, alle Traquair, a più o meno tutto il parco Baladin. Insomma, non ci sono scuse, se capitate da quelle parti un qualcosa che vi piacerà lo troverete. Curata nel servizio anche la cucina, sia per i piatti che per gli snack: indubbiamente chi li prepara ha gusto artistico oltre che abilità culinarie, dato che vengono serviti come delle piccole opere d'arte. Ultima nota di merito alla spinatura: fatta a dovere - sia quella a spina che quella a pompa -, prendendosi il tempo necessario ad ottenere il risultato ottimale. Unico neo della serata, la folla: vabbè, era un sabato sera alle 21 e quindi non avrebbe dovuto sorprendermi, ma davvero abbiamo dovuto letteralmente sgomitare fino al banco per poter riuscire a dissetarci. D'altronde, se è così frequentato, un motivo ci sarà...

venerdì 9 gennaio 2015

La disfida delle birre di Natale

Date le feste in arrivo, non poteva mancare una serata dedicata alle birre di Natale: e l'occasione è arrivata il 22 dicembre, serata in cui alla Brasserie di Tricesimo si è tenuta la degustazione, giudizio e premiazione del primo concorso "Homebrewer Noel" organizzato dall'Associazione Homebrewers Fvg. Le birre in lizza erano soltanto sei, ma la cosa è stata probabilmente dovuta, più che alla scarsa volontà dei soci e degli organizzatori, alla giovinezza anagrafica dell'Associazione - poco più di un mese: fatti quattro conti sui tempi necessari alla maturazione della birra, di fatto soltanto chi avesse già avuto una cotta avviata a tale scopo prima della fondazione ha potuto partecipare. Poco male comunque: tenuto conto che il giudizio doveva tenersi in una sola serata nel giro di un paio d'ore, sei degustazioni erano più che sufficienti, grazie.


Ciascun socio, munito di regolamentare scheda di valutazione, ha così giudicato le birre dei compagni - e anche le proprie, nel caso dei concorrenti: un grande esercizio di onestà, dato che voglio credere siano stati corretti nel farlo. Essendo il genere "birra di Natale" definito solo in termini abbastanza generici - quali il grado alcolico elevato, lla presenza di spezie e il colore scuro - mi ha colpita la varietà del lavoro degli homebrewers: le sei birre presentate erano infatti molto diverse tra loro, segno che ciascuno aveva cercato il suo tocco di originalità. La prima, ad esempio, mi ha ricordato all'olfatto quasi un barley wine; mentre la terza presentava una luppolatura insolitamente pronunciata per una birra di questo genere, tanto da farmela sembrare quasi "fuori stile". Ad ogni modo, tutti lavori di buona qualità, senza difetti percepibili né sapori sbilanciati - rischio sempre presente quando si vuole sperimentare.

Alla fine, la giuria di è pronunciata: ad aggiudicarsi il gradino più alto del podio è stato Luca Dalla Torre (nella foto) - già terzo classificato per la categoria delle Apa a Luppolando -, con la birra che ho trovato forse più rispondente all'idea canonica di "birra di Natale" - a conferma che il cassico non muore mai; secondo Davide Galiussi, che evidentemente è riuscito a stupire con i sapori forti - nominate una spezia, e non potete sbagliare: c'era; e terzo l'ormai noto Walter Cainero, primo classificato sia per le Ipa che per le Apa a Luppolando, nonché presidente dell'Associazione. Certo un concorso "interno" e quindi di dimensioni ridotte, ma che definirei ben riuscito soprattutto nell'intento di motivare i soci ad ulteriori iniziative future: se questa volta sono stati soltanto in sei ad osare, è verosimile che la prossima qualcun altro si unisca a loro, e che vengano apportati miglioramenti sotto il profilo organizzativo.

Un'ultima nota di merito va ai dolci preparati per la Brasserie dalla collaboratrice Sonia, serviti in abbinamento con le birre natalizie: una fetta di torta alle mele e cannella, una di pain d'épices - dagli originali aromi d'anice -, e una di gubana. Vabbè, si sa, quando si degusta e si giudica bisognerebbe evitare di accostare qualsiasi sapore che possa sovrapporsi a quello della birra: ma questa volta, credetemi, valeva davvero la pena di abbandonare i dogmi e abbandonarsi ad una fetta di queste bontà...

giovedì 8 gennaio 2015

Alla Buca del Castello

Eh già, il silenzio è stato piuttosto lungo; ma anch'io mi sono presa ferie - come giusto e doveroso in questo periodo -, e quindi ho lasciato riposare un po' anche la tastiera del computer. Ad ogni modo, in ordine rigorosamente cronologico per non fare ingiustizie, colmerò tutte le lacune accumulate in merito ad eventi, nuove birre e quant'altro.

Partiamo dall'ormai lontano 19 dicembre, giorno in cui La Buca del Castello - birreria poco sotto il celebre monumento di Udine, come dice il nome stesso - ha organizzato il "Beer Festival in Buca": una serata in cui il locale ha riunito le creazioni di sei birrifici artigianali esteri e cinque friulani, per un totale di tredici birre pronte alla degustazione. Il format della serata era infatti pensato appunto per provare un po' di tutto: ciascun gettone da un euro dava diritto ad un bicchiere assaggio, in una sorta di piacevole istigazione a delinquere per togliersi la curiosità.

Mentre i birrifici friulani mi erano già tutti noti - Garlatti Costa, Villa Chazil, Borderline, Zanna Beer e Antica Contea - non conoscevo nessuno di quelli esteri: e anche lì i "pezzi originali non mancavano. Ad iniziare dalla prima che ho provato, la Fuck Art del birrificio danese To Ol - una pale ale dalla luppolatura che definirei floreale e dalla brettatura delicata, che non risulterebbe fastidiosa nemmeno ai palati più sensibili -; alla Hazelnut Brown Nectar dell'americana Rogue - una brown ale alla nocciola, la cui aromatizzazione ho però trovato eccessiva per quanto avesse il merito di non scadere troppo sul dolce -; alla #500 del norvegese Nogne (nella foto) - una Imperial Ipa da ben 10 gradi, che se all'olfatto rende giustizia alla luppolatura, in bocca ricorda quasi un barley wine - alla rauch del tedesco Hummel - la cui particolarità è una nota di salmone affumicato al finale.

In quanto alle friulane, conoscendo già sia la Savinja di Zanna Beer, che la Liquidambra di Garlatti Costa, che la Dama Bianca di Antica Contea, che la lager di Villa Chazil, non mi rimanevano che la bock e la dark mild di Borderline - i cui spillatori vedete all'opera nella foto. Come ha apertamente dichiarato il birraio Giovanni nel presentarmele, la prima di fatto non risponde ai canoni - e non sarà un caso se il loro slogan è "Birre fuori stile": la luppolatura all'olfatto è ben presente e dai notevoli toni erbacei, e sovrasta nettamente il malto nel corpo. Quasi più una pale ale insomma, seguendo la filosofia secondo cui l'importante non è il nome che le si dà, ma che la birra sia buona. In effetti si tratta di una birra piacevole e dalla facile beva, che ho apprezzato più di quanto - a livello di puro gusto personale - apprezzi di solito le bock. Più perplessa mi ha invece lasciata la dark mild: anche qui la luppolatura è audace e all'olfatto lascerebbe quasi presagire una black ipa, per poi lasciare spazio ad un corpo meno robusto e dall'amaro maltato più rispondente al genere. Devo comunque riconoscere che, se in questo secondo caso non ho trovato il contrasto "in calando" tra questi due aspetti particolarmente indovinato, la "bock che bock non è" ha invece il merito di saper osare e sperimentare senza cadere nello sbilanciato: il che è apprezzabile in un birrificio giovane qual è Borderline.

In tutto e per tutto una serata piacevole, che ho apprezzato per l'atmosfera conviviale; ma soprattutto perché è stata, oltre che l'occasione per un bicchiere insieme, un'occasione di scoperta.