mercoledì 27 marzo 2013

Marò, Vasco l'aveva detto

In questi giorni il caso dei marò è tornato a tenere banco, soprattutto dopo che è di fatto costato la poltrona di ministro degli esteri - per quanto ormai in scadenza - a Terzi di Sant'Agata; e peraltro siamo pure in buona compagnia, dato che una vicenda simile pare stia capitando a due marinai tedeschi.

Ammetto che la cosa non mi ha mai appassionata più di tanto, dato che non nutro un particolare interesse personale in materia; eppure non ho potuto fare a meno di sorridere quando sono capitata, navigando tra i meandri di YouTube, in una canzone di Vasco che non conoscevo: (Quello che ho da fare) Faccio il militare. In tempi non sospetti quali il 1979, il rocker di Zocca racconta di un militare che scrive a sua madre prima di tornare per Natale, e conclude dicendo «Non siamo mica gli americani/che loro possono sparare agli indiani/vacca gli indiani». Profetico, si direbbe. Ok, questi erano altri indiani, e chiaramente si impone cautela nello stabilire colpe e meriti su una questione ancora non del tutto chiarita; però è quantomeno curioso pensare come, più di trent'anni dopo, qualcuno potrebbe trovarsi ad usare - pur in senso diverso - le stesse parole. Tanto più che si impone qualche considerazione su come qualcuno - magari appunto gli americani, vedi il caso Calipari - possa permettersi di sparare più o meno impunemente.

Per fugare ogni dubbio sul fatto che io ce l'abbia con gli indiani, comunque, preciso per correttezza che si tratta di «una canzone ironica nei confronti del servizio militare - cito Wikipedia -, che l'autore aveva terminato pochi mesi prima, riformato per abuso di psicofarmaci». Insomma, proprio tutta un'altra storia.

martedì 26 marzo 2013

Fare birra? Roba da donne

Come avevo anticipato nel post Un compleanno di...penitenza, mercoledì scorso mi sono lanciata, in qualità di giurata, nella gara delle birre artigianali - Home brewing contest, per gli anglofoni - organizzata dalla buona Matilde alla Brasserie di Tricesimo: i fortunati (o coraggiosi, dipende dai punti di vista) dovevano assaggiare tre diverse birre, accompagnate ciascuna da un (ottimo) piatto degustazione allo scopo di esaltarne il sapore, e dar loro un voto utilizzando la griglia di valutazione predisposta allo scopo.


Devo ammettere che, prima di mercoledì scorso, non mi ero mai resa conto di quanti parametri diversi siano da tenere da conto nel degustare una birra: se la prima  - che aveva un aroma che ho giudicato poco attraente - mi ha lasciata poi piacevolmente sorpresa in quanto al gusto fresco, la seconda ha guadagnato piuttosto punti sul retrogusto, mentre la terza si distingueva per l'inconfondibile profumo di anice. Insomma, pur se a ciascuna per un aspetto diverso, avrei dato la palma del vincitore a tutte e tre. Ad ogni modo ho compilato con dovizia la scheda e l'ho infilata nell'urna, curiosa di assistere alla premiazione prevista per ieri sera.

E quale non è stata la mia sorpresa nel vedere che tra i mastri birrai non solo c'era una ragazza, ma che la sua birra aromatizzata all'anice, liquirizia e finocchio si è pure classificata prima, avendo guadagnato un sacco di punti in originalità. Chiamiamola, se vogliamo, fortuna - o abilità - dei principianti: Valentina, alla tenera età di 25 anni, è riuscita a spuntarla sui colleghi dopo appena un anno di esperienza, iniziata quando i suoi amici le hanno regalato un fermentatore per il compleanno. La prima birra è stata una nera stile guinness, riuscita bene nonostante i timori; poi sono seguite una serie di bionde e di rosse, con una spiccata preferenza per le aromatizzate. Finiti gli studi di conservazione dei beni culturali - «sì, lo so che non c'entrano niente» - intende prendere in mano l'azienda agricola dei genitori: magari inserendoci anche un microbirrificio artigianale, chissà, dato che pare abbiano successo. Tanto di cappello all'imprenditoria femminile, tanto più in settori tendenzialmente appannaggio degli uomini.

Per la cronaca, sul secondo gradino del podio è arrivata la birra numero due, una weizen rossa opera di Luigi; mentre il terzo posto è andato alla - comunque apprezzatissima - ale chiara brassata in società da Paolo e Tommaso. Ebbene sì, è propio vero: il giornalismo enogastronomico è uno dei settori più promettenti su cui lanciarsi...

lunedì 18 marzo 2013

Questo concorso non s'ha da fare, parte seconda

Curiosa coincidenza che qualche tempo fa si sia registrato un insolito traffico sul post "Questo concorso non s'ha da fare" esattamente nelle stesse ore in cui, per conto del Gazzettino, stavo approfondendo la cosa per un articolo. In altre parole, stavo tornando alla carica per avere qualche informazione in più, questa volta non come partecipante al concorso ma come giornalista.

Di solito, quando ci si presenta per conto di qualche giornale, i casi sono due: o (felice ipotesi numero uno) tutte le porte si aprono, o (infelice nonché più frequente ipotesi numero due) tutti diventano improvvisamente reticenti. In questo caso, fortunamentamente, si è verificata la felice ipotesi numero uno: così ho potuto parlare direttamente con Enrico D'Este, assessore alle risorse umane del Comune di Udine.

Ho quindi scoperto che a pensare male avevo sì fatto peccato, ma non ero andata lontana dal vero. L'assessore ha motivato la decisione con la mancata emanazione del decreto del governo sulla virtuosità degli enti locali, attesa per lo scorso 31 dicembre, che disciplina anche le possibilità di assunzione del personale: «Non è ancora chiaro se nel conteggio vanno comprese anche le società partecipate – spiega –, oltre al fatto che al momento non sappiamo se rientreremo nella fascia dei comuni “virtuosi”: in caso contrario, potremmo addirittura essere costretti a dei licenziamenti». In altre parole: non si sa se e quante persone il Comune potrà assumere, in base a parametri dipendenti da Roma. Ma anche se il governo desse il via libera c'è un altro problema, ossia la stretta ai trasferimenti dalla Regione per quasi 6 milioni di euro, di cui 600 mila destinati al personale: «Si tratta di un -5% sul bilancio di previsione 2013 rispetto al consolidato del 2012 – precisa d'Este –: le spese per il personale sono abbastanza rigide, attorno ai 35 milioni di euro, e non è facile recuperare le risorse che mancano. Le assunzioni bloccate inciderebbero per circa 250 mila euro». Insomma, non si sa se si può assumere, e anche se si può bisogna capire dove recuperare i soldi. Come prevedibile, inoltre, difficile dire quando questo decreto verrà emanato, data la situazione incerta uscita dalle urne che sta dando non pochi grattacapi nella formazione del prossimo esecutivo.

A questo punto, però, una domanda sorge spontanea: tutti i concorsi bloccati erano stati banditi prima del 31 dicembre, ossia il termine entro cui si sarebbe presumibilmente saputo se quelle assunzioni sarebbero state effettivamente possibili (come testimonia il testo del bando): non sarebbe stato più sensato aspettare, invece di spendere dei fondi a quanto pare così preziosi per le prime fasi dei test?

venerdì 8 marzo 2013

Anche Facebook in preghiera per il conclave

Orbene, è ufficiale: il conclave si aprirà martedì prossimo, e si accettano scommesse su quando avremo la fumata bianca. Intanto, oltre alle speculazioni su chi sarà il prossimo pontefice, fervono le (ben più utili, almeno da un punto di vista cristiano) preghiere: qualche giorno fa il portavoce d'oltretevere padre Lombardi, in conferenza stampa, ha annunciato che diverse religiose avevano chiesto di essere presenti in Vaticano a questo scopo.

Ma si sa che per pregare non serve essere fisicamente presenti: tanto meno nell'era del web a quanto pare, come testimonia un post su Facebook arrivato (come buona parte delle bizzarrie) dagli Stati Uniti. A prima vista, sembra un gioco: vi si chiede infatti di pensare a un numero compreso tra 1 e 117. Perché proprio 117, direte voi? Perché, come si specifica due righe più sotto, è il numero dei cardinali che si riuniranno nella Cappella Sistina. Basta un click per aprire il link all'elenco dei nomi, e una volta identificato quello che corrisponde al numero prescelto, non vi si chiede altro che di pregare per quel cardinale fino ad elezione avvenuta, «specialmente perché si apra allo Spirito Santo in mezzo a tutte le pressioni esercitate da questo mondo. Ciascuno di loro avrà molti pensieri nella mente: pregate per uno di loro ed informatevi su di lui, su ciò che fa e sulla sua diocesi». Inoltre, si invita a condividere con gli altri utenti il nome che è uscito e i propri pensieri ed esperienze.

A onor del vero, c'è da dire che non tutti i numeri sono - letteralmente - papabili: non scegliete il numero 20, il cardinal Darmaatmadja, assente per malattia; né il 48, il cardinal O'Brien, che ha deciso di non partecipare al conclave in seguito alle ammissioni di «condotta sessuale inadeguata»; ma ne rimangono comunque parecchi per cui pregare.

Al di là della bizzarria dei modi, la provocazione rimane comunque forte nella sostanza: per un credente, la preghiera per l'elezione del nuovo Papa non può essere cosa di poco conto, ma certamente pochi ci pensano.  Personalmente, mi è sempre stato simpatico il numero 7: trattasi del brasiliano monsignor Geraldo Majella Agnelo, vescovo emerito di San Salvador de Bahia. E vai con la samba...

sabato 2 marzo 2013

Il dinamismo di idee dei giovani immigrati

Al di là di quanto spesso venga fatto notare lo scarso dinamismo della scuola italiana, nonché la pressoché assoluta assenza di collegamenti con il mondo del lavoro e delle imprese, a voler ben vedere gli esempi di collaborazione non mancano: uno degli ultimi di cui mi è capitato di avere conoscenza è stato il concorso "Industriare arte giovani" - promosso da Confindustria Udine, Friuladria Crédit Agricole, l’associazione Le Arti Tessili e Juliet Art Magazine - in cui sono state coinvolte tutte le scuole della regione. Ad ispirare gli ottantadue studenti che hanno partecipato è stata la visita alla mostra di arte tessile contemporanea Mixing Cultures; a quel punto, è toccato a loro liberare il genio creativo e realizzare la propria opera. In palio c'erano uno stage in un'azienda tessile e la pubblicazione delle foto delle migliori opere sulla rivista d'arte promotrice: un vero e proprio talent scouting, come si usa chiamarlo, in cerca di menti giovani e brillanti che portino idee innovative in questo settore dell'industria.

E fin qui, il concorso non ha probabilmente nulla di diverso da altri che vengono promossi seguendo gli stessi principi. A colpirmi, tuttavia, è stato il nome dei vincitori - anzi, delle vincitrici, premiate ieri: al primo posto si è classificata Aisha Gomaa (con l'opera Protect me - Project me, nella foto), e al secondo Mengqi Wu (con addirittura due opere ex aequo). Non conosco la loro provenienza né la loro storia, ma i nomi fanno capire che sono figlie di genitori immigrati (data la giovane età, è del tutto verosimile che le ragazze siano nate qui). Mi ha colpito non soltanto perché mi sembra un esempio virtuoso e significativo della realtà multiculturale dell'Italia e del contributo positivo che i giovani di origine straniera possono portare - anche sotto il profilo economico, dato che si tratta pur sempre di un concorso finalizzato a trovare nuove idee per l'industria; ma anche perché sembra fare perfettamente il paio con i dati diffusi oggi da Unioncamere, secondo cui nel 2012 le imprese guidate da immigrati sono cresciute di 24.329 unità (+ 5,8%), sfiorando quota 480 mila (il 7,8% delle imprese totali): «un contributo che si è rivelato determinante per mantenere in campo positivo il bilancio anagrafico di tutto il sistema imprenditoriale italiano - sottolinea Unioncamere nel comunicato stampa - cresciuto, lo scorso anno, di sole 18.911 unità».

Il presidente Ferruccio Dardanello ha dichiarato a La Repubblica che si tratta «di forze giovani con una grande motivazione alle spalle e dunque capaci di offrire opportunità di lavoro che, in questa fase, possono essere importanti nel recupero dei livelli occupazionali. La geografia dello sviluppo dei territori e del rilancio del Paese passa anche per la valorizzazione di queste forze imprenditoriali, che scelgono la via del mercato per integrarsi prima e meglio nella nostra società». Insomma, per dirla in parole povere: gli immigrati sembrano avere più idee e più voglia di rimboccarsi le maniche rispetto agli italiani, almeno stando ai numeri. Chissà che, a partire - come in questo caso - dalle scuole, possa essere il punto di partenza per un passo avanti non solo sotto il profilo economico, ma anche culturale e sociale.