lunedì 27 ottobre 2014

Tra birra, libri e divanetti

Domenica scorsa, con l'occasione della festa organizzata per il traguardo - ormai già superato - di 1000 membri da parte dell'Accademia delle Birre, ho avuto modo di scoprire un nuovo locale in quel di Legnago (Verona): il Winchester Pub, aperto poco più di due mesi fa dall'audace ventiseienne Edik Lunardi (nella foto con il fondatore dell'Accademia, Paolo Erne), che forte degli studi alberghieri - nonché dell'esperienza di homebrewer - ha deciso di fare il salto imprenditoriale con il sostegno della famiglia. E già qui, direi, un primo complimento va fatto, perché ci vuole coraggio ad offrire - parole sue - "qualcosa che in zona non c'era, e in una zona come questa in cui domina il vino": non a caso dietro al banco è esposta anche una lavagnetta con la carta dei vini, dato che non si può prescindere del tutto dal contesto in cui si opera.

Fare bilanci è naturalmente prematuro, ma si può dire che Edik è partito bene. Il Winchester è arredato con gusto in stile "salotto di casa" con tavoli il legno, specchi e divanetti; la chicca sono i numerosi scaffali pieni di libri e gli angoli adibiti a zona di lettura, in cui ci si può sedere comodamente con una pinta in una mano e un romanzo nell'altra. Se non riuscite a finirlo, nessun problema: potete portarvelo comodamente a casa, con l'accordo - secondo il principio dello scambio libri, sperimentato già altrove - di riportarlo, oppure di lasciare sullo scaffale un libro che avete già letto e siete felici di far circolare. Insomma, ci sono le potenzialità perché il Winchester diventi un luogo di cultura non solo birraria.

Ancor prima che le sei spine - più una pompa, con i buoni propositi di procurarsene almeno un'altra - ad attirare l'attenzione è la serie di bottiglie in vendita sugli scaffali: da una buona selezione di Brewdog - tra cui alcune abbastanza difficili da trovare come la Cocoa Psycho o la serie di quattro monoluppolo -, alle St. Peter's, alle Meantime, ad una carrellata di acide dal Belgio, fino alle bottiglie di design del Birrificio di Parma, nata dalle cantine della famiglia Ceci in un interessante connubio tra birra e lambrusco (no, non i popcorn....i fan di Ligabue hanno capito). L'elenco potrebbe proseguire, ma già così si capisce che le birre di qualità e le rarità non mancano, soprattutto dall'area anglosassone.

Venendo invece alle spine, domenica erano disponibili nell'ordine la hell tedesca Andechs, una bitter e una stout della Fuller's, la Punk Ipa della Brewdog, la Meantime Ipa e la Boon Oude Kriek - una particolarità in effetti, in quanto vederla alla spina è inusuale. Personalmente ho trovato un po' troppo forte la gasatura della Meantime Ipa, per quanto si tratti di una Ipa in stile inglese di tutto rispetto, dal finale abbastanza secco; nulla da obiettare invece sulla stout, spinata a dovere con la schiuma pannosa d'ordinanza - "Manca solo il biscottino", hanno osservato scherzosamente i miei compagni di tavolo.

Puntuale e cordiale il servizio: Edik e soci hanno allietato i commensali - e colgo l'occasione per ringraziare tutti per la bella giornata, le birre che gli homebrewers hanno portato, i dolci alla birra, ecc ecc - con taglieri di formaggi e salumi di ottima qualità, accompagnati a pane, olive e cipolline. Per ora sono disponibili solo piatti freddi, ma la tabella di marcia prevede l'apertura della cucina tra un paio di mesi: il menù è in fase di elaborazione, ma Edik assicura che qualche piatto cucinato con la birra ci sarà. Insomma, bisognerà tornare a verificare...

giovedì 23 ottobre 2014

Una serata da Mastro Daniele

Tra i vari locali che mi sono stati consigliati nei miei pellegrinaggi tra un evento e l'altro c'era il Mastro Birraio di Trieste; e così, cogliendo l'occasione di un giro in terra giuliana, mi sono fermata nel covo di Daniele Stepanchich, che da cinque anni ha rilevato l'attività. L'ambiente è caldo e accogliente, con il legno che impera nell'arredamento; fanno poi bella mostra di sé le otto spine di cui tre a pompa, giusto per mettere in chiaro che ogni birra ha il suo metodo di spillatura.


La carta delle birre è discretamente nutrita ed esposta con dovizia su una lavagnetta; per cui, giusto per non confondermi, mi sono limitata a considerare quelle alla spina, equamente divise tra fisse e a rotazione. "Giusto per iniziare" mi era stata consigliata dal mio buon compare Andrea una Theakston Best Bitter, nel solco della miglior tradizione inglese; ma, complice il buon ricordo che avevo del Birrificio Rurale conosciuto all'Expo, ho preferito passare direttamente alla loro Terzo Miglio, una Apa dalla schiuma da far invidia alla panna montata. L'aroma tra l'erbaceo e l'agrumato e il balsamico rende bene giustizia ai luppoli, e il corpo ben bilanciato e discretamente leggero per una birra di questo genere dà una buona bevibilità. A chiudere un amaro che onestamente non ho trovato così pungente come da descrizione, e soprattutto un sentore balsamico che lascia la bocca ben pulita.

A dire il vero l'ho scelta prima di decidere che cosa mangiare e quindi senza pensare all'abbinamento, ma metterci il pollo con verdure grigliate non è stata comunque eresia totale. E approfitto quindi per fare una parentesi sulla cucina del Mastro Birraio: la chicca della serata è stato probabilmente lo stinco in crosta di pane cotto nella birra, ma anche il chili - carne di manzo tritata e speziata con fagioli, per i non adepti - di Enrico si è difeso bene. La curiosità sono però i dolci, nella fattispecie il birramisù servito in un bicchiere da mezza pinta di Guinness, e la sacher con gelatina di birra al posto della marmellata. Ammetto che non l'ho particolarmente amata a livello di puro gusto personale (e che ce posso fa', la sacher non mi piace), ma indubbiamente l'idea di abbinare la gelatina con un dolce al cioccolato è indovinata e originale. Ottima poi la scelta di Andrea di accompagnarla ad una Mar Nero del Grana 40, che con i suoi aromi di caffè e liquirizia si sposa alla perfezione.

La mia idea era quella di chiudere con una Lupulus Hibernatus, una strong ale belga tipicamente invernale - dati anche i suoi quasi 9 gradi - dai netti aromi caramellati e tostati che trovano poi riscontro nel corpo, discretamente consistente e che non fa sconti al tenore alcolico. Però Andrea mi aveva fatto incuriosire rispetto alla Chimay Dorée, una blanche trappista, che per chiudere una cena sarà pure fuori luogo ma ho molto apprezzato. L'aroma di frumento con qualche leggera nota speziata e agrumata fa da biglietto da visita al corpo assai ben bilanciato tra cereale e luppolo, che rimane leggero pur senza dare la sensazione di non essere sufficientemente intenso e lascia un finale piacevolmente secco. Da bere con piacere e permettendosi anche di indulgere nella quantità, dato che fa poco più di 4 gradi.

In conclusione, definirei il Mastro Birraio un locale piacevole, tranquillo e che sicuramente viene incontro ai gusti e alle esigenze degli intenditori pur senza avere nulla di "spettacolare"; insomma, se cercate il locale "unico" o la stravaganza probabilmente non fa per voi, ma per una serata tra amici con una buona birra è una scelta indovinata.

martedì 21 ottobre 2014

Brucia nella gola birra a sazietà, parte seconda

Eccomi dunque qui a soddisfare la curiosità di chi fosse rimasto sulle spine - magari nessuno...ma io ci spero sempre - in attesa di sapere come fosse finito il concorso per homebrewers "Luppolando" organizzato dalla birreria Samarcanda, e di cui avevo avuto l'onore e il privilegio di essere nella giuria. Come avevo annunciato nel precedente post, il 20 ottobre c'è stata la premiazione: in parte una sorpresa anche per me, in realtà, perché i nomi dei vincitori non mi erano tutti noti. Nel giudicare infatti avevamo deciso di usare un metodo "misto": assegnare delle "menzioni d'onore" per quelle tipologie di birra di cui erano arrivati troppi pochi esemplari per poter stilare una classifica - di blanche, ad esempio, ce n'era soltanto una - o che per qualche motivo di fossero distinte dalla massa, e scegliere invece un primo, secondo e terzo classificato per le Ipa e le Apa, con 7 e 8 esemplari rispettivamente. Mentre per le menzioni avevamo deciso la sera stessa, i conteggi matematici per la classifica erano stati rimandati ad un momento più tranquillo dato il tasso alcolemico verosimilmente al di sopra dello 0.5 - vabbè, ammettiamolo: Beppe aveva anche già affettato il salame di cervo, per cui a quel punto fogli e calcolatrice sono andati a farsi benedire. E così anche per me i nomi dei primi tre classificati sono stati una novità.

La serata si è aperta con una dotta quanto piacevole dissertazione del professor Buiatti a cui potremmo dare il titolo di "Udine, città della birra": pochi sanno che il capoluogo friulano aveva ben due birrifici in pieno centro, il Moretti e il Dormisch, oggi parte del gruppo Heineken e da tempo non più a Udine (il primo), e scomparso (il secondo). Di qui quella tradizione che ha portato Udine ad essere l'unico ateneo in Italia ad avere un corso dedicato specificatamente alla produzione della birra, con tanto di impianto sperimentale in piena attività. Dare esami dev'essere più piacevole che in altre facoltà, per quanto non meno impegnativo. Da lì siamo poi passati a consegnare le mezioni d'onore, con tanto di suspence iniziale: la prima, assegnata per la weizen, è infatti "caduta nel vuoto" in quanto gli autori Davide e Giovanni non erano presenti. Vabbè, si sono persi una bella serata in compagnia, sappiano comunque che l'attestato della loro menzione li aspetta. Meglio è andata la seconda, assegnata al - presente - Paolo Galizio (nella foto) per la sua kolsch; seguito da Emiliano Santi per la sua porter, Roberto Di Lenarda per la sua quadrupel in stile trappista con lievito recuperato dal fondo di una Rochefort e brett dall'abbazia di Orval, e Paolo De Candido per la neo battezzata FriulAle, con il 100% di malto friulano. Come vi avevo anticipato, insomma, le curiosità non mancavano.

Siamo poi entrati nel vivo con la premiazione delle tre Ipa: al terzo posto Emiliano Santi - "Non potevo dirti di aspettare qui dopo averti premiato per la porter sennò si capiva", ha scherzato Buiatti -, al secondo Paolo De Candido - idem come sopra -, e al primo Walter Cainero; per le Apa si è aggiudicato il terzo posto Luca Dalla Torre, mentre al secondo sono ricomparsi gli scomparsi Davide e Giovanni, e al primo - ohibò - Walter Cainero (che nella foto esibisce infatti entrambi gli attestati), che ha accolto la notizia con un "Ci dev'essere un errore". Che dire, evidentemente ci sa davvero fare, e non posso che augurare la miglior fortuna a questo metalmeccanico che per ora brassa nel tempo libero, ma potrebbe avere un futuro promettente nel settore.

Ora non resta che attendere l'uscita del bando del prossimo concorso, che Beppe e Raffaella hanno annunciato per il primo gennaio; da lì ci sarà poi tempo fino al 31 agosto per sbizzarrirsi con le proprie creazioni. Brassate, gente, brassate...

lunedì 20 ottobre 2014

L'Expo non è solo a Milano


Eh già, il nome forse sarà abusato, però quantomeno il contenuto era di tutto rispetto: lo scorso fine settimana ho infatti avuto modo di presenziare all'Expo "una birra per tutti", che la Brasseria Veneta organizza da ormai 5 anni al Park Hotel Villa Fiorita di Monastier. A distinguere l'evento da altre manifestazioni è non solo la presenza, accanto ad una decina di birrifici, di altrettanti homebrewers come espositori, sullo sfondo di una lunga serie di laboratori e tavole rotonde tenute da esperti del settore; ma soprattutto la finalità benefica, in quanto il ricavato viene devoluto alla Lega italiana per la lotta ai tumori di Treviso, ad un'adozione a distanza in Costa d'Avorio, e a progetti scolastici sul territorio. Insomma, a bere una pinta sapendo che si sta anche facendo del bene c'è più gusto.

Anche il pubblico, devo dire, mi è sembrato piuttosto "selezionato": non tanto perché la manifestazione non fosse adatta a tutti - il titolo parla da sé -, quanto perché il genere di espositori e di laboratori era più appetibile agli intenditori e ai curiosi che all'"appassionato generico": interessantissimo un laboratorio come quello tenuto dal ricercatore Nicola Fiotti sui difetti della birra, ma quella che era di fatto una lezione di chimica difficilmente avrebbe catturato l'attenzione di chi era lì solo per farsi una bevuta; così come la tavola rotonda sulla birra nella grande ristorazione, pur con un ospite del calibro come il presidente di Unionbirrai Simone Monetti, andava a toccare interessi specifici. Ad ogni modo, anche chi non fosse stato interessato ai laboratori non si è annoiato: oltre ai dieci birrifici di cui parlavo a dilettare i presenti c'erano anche espositori come la gelateria Ciokolatte di Villorba con il gelato alla birra, la Malga Valmenera con i formaggi del Cansiglio e molti altri. Insomma, anche se non siete homebrewer o operatori di settore, tranquilli che alla prossima edizione dell'Expo ci potete andare senza sentirvi dei pesci fuor d'acqua. Anzi, potrebbe essere l'occasione per avvicinarsi a questo mondo grazie appunto agli homebrewers, la cui sezione ho trovato assai curiosa e interessante nonché uno dei punti di forza - insieme all'alta qualità dei laboratori - dell'Expo: tanto di cappello, per fare soltanto due esempi, alla Apa di Stefano Maniero (a destra nella foto), o alla Sweet Ipa di Mirko Bortolozzo (a sinistra).

In quanto ai birrifici (i cui birrai vedete schierati nella foto), oltre ai già noti Antica Contea, Bradipongo, Grana 40 e Foglie d'Erba, qualche nuova conoscenza l'ho fatta. Per primi la Fabbrica della Birra di Perugia, "erede" di unbirrificio fondato nel 1875, che ha portato tra le altre una White Ipa creata specificatamente per un locale e che ho trovato caratterizzarsi per la sua piacevole bevibilità; seguiti da una nuovo nato, il birrificio Habemus di Montebelluna, il cui proprietario nonché unico lavorante Fabio alla tenera età di 28 anni ha deciso di fare il grande salto imprenditoriale. Congratulazioni per lo spirito di iniziativa e per il panorama di produzione, che con sette diverse birre copre più o meno tutti gli stili; e un incoraggiamento a proseguire su questa strada perché, dopo aver provato la Flower Power - una saison con luppoli neozelandesi dal netto aroma di frumento e finale con una punta di acido -, direi che c'è potenziale di sviluppo per affinare la decennale esperienza di homebrewer. Altra conoscenza interessante è stato il Birrificio Rurale di Desio, al quale mi sento di rivolgere i miei più vivi complimenti per la Special Seta, una blanche al bergamotto: nome indovinatissimo perché, se dovessi trovare un'equivalente al tatto della sensazione di delicatezza che danno al palato le note di questo agrume, sarebbe appunto quella della seta. Finalmente ho avuto poi modo di parlare personalmente con i birrai del Birrificio Indipendente Elav, di cui già avevo apprezzato la Punks do it Bitter - e il nome la dice tutta: se cercate qualcosa di facile beva, ma dal finale davvero ma davvero secco e amaro pur senza risultare stucchevole, questa fa per voi: il buon Gabriele mi ha così raccontato del progetto da poco avviato della società agricola Elav per la coltivazione di luppolo e frutti rossi, per il quale rivolgo loro i migliori auguri. Da ultimo, il Piccolo Birrificio Clandestino: nonostante i miei scetticismi, ho molto apprezzato la Santa Giulia, una american Brown Ale con note di whisky all'olfatto e dal corpo che insieme al birraio Pierluigi ho scherzosamente definito "britannico", che scende che è un piacere ed è infatti una delle più gettonate pur essendo un genere relativamente poco conosciuto.

Fare una panoramica degli eventi mi porterebbe a dilungarmi troppo, ma almeno per un paio devo spendere due parole. Il primo è l'Officina delle birre acide di Paolo Erne, che ha riscosso un inaspettato successo data la difficoltà ad avvicinarsi a birre di questo genere: complice indubbiamente la spiegazione dettagliata di come vengono prodotte, che ha incuriosito la platea e fatto venire poi voglia di assaggiarle (come testimonia la ressa che vedete nella foto). Il secondo è il pranzo di domenica, con ricette di piatti cucinati con la birra di Daniela Riccardi preparati dagli chef di Villa Fiorita: tanto di cappello al pasticcio di indivia belga alla Ipa accompagnato alla Capriccio di Bacco del Campagnolo - una birra al mosto d'uva Vitovska che mi sento di invitarvi a provare, se riuscite a trovarne data la produzione limitata -, mentre qualche problema l'ha creato il pollo alla saison con cannella e zenzero abbinato alla birra al miele creata appositamente per l'Expo. Lì infatti, è, per così dire, caduto l'asino su due punti: innanzitutto c'è stato più di qualche mormorio tra il pubblico perché il pollo non era cotto bene né secondo la ricetta originale; in secondo luogo la birra era purtroppo troppo giovane per esprimere le sue potenzialità, essendo stata preparata solo venti giorni fa. Sono fiduciosa che, come ha osservato Antonio Di Gilio, tra qualche tempo la si berrà con maggior piacere: certo è che non me la sento di esprimere opinioni, in quanto ritengo che quella che abbiamo assaggiato ieri non sia la birra su cui doverle esprimere. Meno male che il tutto si è chiuso in gloria con le ottime crepes alla pecheresse - birra alla pesca, per i non adepti - abbinate alla Kriek "Rinnegata" - battezzata così perché nata da una cotta che avrebbe dovuto essere buttata via e che è stata recuperata barricandola - di Paolo Erne, da lui definita "l'ingresso nel mondo delle acide": abbinamento indovinatissimo perché si sposava benissimo alla marmellata di fragole, e "sgrassava" benissimo anche la panna montata.



E proprio la Rinnegata si è infatti aggiudicata il titolo di miglior birra dell'Expo, insieme all'Antica Contea come miglior birrificio: e chiudo qui anch'io in gloria con le congratu

lunedì 13 ottobre 2014

Una domenica alla scoperta di Arte, Cultura & Luppolo

Su invito del buon vecchio Stefano Gasparini, mente pensante del portale www.nonsolobirra.net , ho presenziato ieri all'ultima delle tre giornate della mnifestazione Arte, Cultura & Luppolo a Marano Vicentino. Invito che comprendeva anche quello a far parte della giuria che avrebbe selezionato la birra migliore, per cui l'occasione diventava ancora più interessante, oltre al fatto che le premesse erano buone: nelle tre edizioni precedenti l'evento si era attestato sulle 12 mila presenze, ed era prevista la presenza di dieci birrifici artigianali, due distributori, una serie di espositori - dall'artigianato del legno all'apicultura - e uno stand gastronomico con piatti tipici vicentini curato da ristoranti, pasticcerie, caseifici e panifici locali.

Arrivata lì, la prima cosa a colpirmi positivamente è stata la cospicua presenza di famiglie con bambini: complice la diversificazione sia degli stand che degli eventi - si passava da Peppa Pig ai laboratori sui difetti della birra -, la manifestazione poteva definirsi adatta a tutti, diventando una "festa" nel senso lato del termine e non solo una "festa della birra". Magari gli intenditori avrebbero potuto storcere il naso di fronte al fatto che gli eventi dedicati specificatamente a loro fossero solo due - il laboratorio "Aromi di birra" tenuto da Marco Corato il sabato e la cotta pubblica di domenica -, ma Gasparini in quanto organizzatore ha assicurato la volontà di incrementarli; e il fatto di avvicinare anche i non intenditori alla birra di qualità, magari grazie ad iniziative come presentazioni di libri, esibizioni dal vivo di scultura o concerti è sicuramente meritorio. Insomma, diciamo che l'ho trovato un buon connubio tra "purismo" e "eterodossia", per quanto rimanga materia di discussione quale sia il giusto equilibrio tra i due.

Tra i birrifici presenti c'erano alcune vecchie conoscenze: il Jeb, che avevo incontrato a Santa Lucia; l'Acelum, di cui tanto mi aveva entusiasmato la Freya al festival di Fiume; l'Estense, di cui già avevo assaggiato la Red Ale e che questa volta mi ha presentato l'ultima nata della casa, la imperial stout Django - sulla quale però mi riservo un commento più preciso una volta riprovata, dato che non l'ho degustata a bocca pulita; e il Camerini, della cui torbata avevo un buon ricordo, e che mi ha a sua volta fatto fare conoscenza con l'ultima novità Ink Ipa - che non è una black ipa come credevo, ma solo un riferimento alla ragazza tatuata che campeggia sull'etichetta. Una Ipa che a dire il vero mi ha lasciata un po' interdetta, in quanto, essendo particolarmente discreta nella luppolatura, non la si direbbe quasi tale: non certo una birra riuscita male, per carità, ma ritengo che la loro punta di diamante siano piuttosto la torbata Selvaggia di cui sopra e la red ale Seducente, di cui peraltro - mi ha riferito il buon Giampaolo - sta avendo discreto successo il gelato preparato da un gelataio artigianale della zona.

Ho dovuto quindi iniziare, in quanto giurata, il lungo pellegrinaggio delle nuove conoscenze. Ho iniziato dal Birrone, birrificio di Isola Vicentina, che dispone di una decina di creazioni. Per quanto le più gettonate fossero la hell classica SS46 e la pils Brusca, ho apprezzato maggiormente le birre più sperimentali. In primo luogo la Gerica, che unendo malti e luppoli da amaro tedeschi e luppoli da aroma americani (di qui il nome, Germania e America) crea un curioso connubio tra aromi erbacei ed agrumati e le note di crosta di pane il bocca; oppure la Mortisa, birra alle castagne, "figlia" del raccolto dello scorso anno arrostito e tostato. Qualche curiosità rimanendo sul classico, secondo la filosofia di "dare una reinterpretazione agli stili canonici", l'ha offerta invece il birrificio bresciano dei fratelli Trami: la Col De Serf, una weiss a cui a leggere la descrizione non avrei dato un soldo, si è invece rivelata una piacevole scoperta sul fronte dell'aroma floreale insolitamente ricco e della persistenza fruttata, e posso dire lo stesso della porter Saslong in quanto al bilanciamento indovinato tra le note decise di caffè e di cacao.

Buone potenzialità le ho trovate anche al birrificio Ofelia di Sovizzo (Vicenza). E dico "potenzialità" perché le idee in quanto ad originalità non mancano: dalla saison Piazza delle Erbe che amalgama senza risultare soverchiante erba luisa, buccia d'arancia, cardamomo, anice stellato, coriandolo e camomilla; alla Amitabh, che recupera l'antica ricetta delle India Pale Ale inglesi - assai meno amare di quelle americane in voga oggi -; alla Beer Gamotto, una golden ale monoluppolo aromatizzata, i birrai sono una fucina di spunti sia in quanto a sperimentazione che a interpretazione personale delle birre classiche. Per questo, coerentemente anche con la filosofia che mi ha esposto il buon Andrea di "cercare i clienti adatti a noi, piuttosto che adattarci ai gusti dei clienti", li inviterei ad osare ancora di più: avendo il pregio di saper sperimentare senza strafare né ottenere risultati che "stufano", come si suol dire, ritengo che in margini di sviluppo siano ancora ampi e promettenti.

Filosofia diametralmente opposta a quella della birra Mastino, che intende invece "affinare" gli stili classici: tanto da aver recuperato la ricetta di uno storico birrificio veronese chiuso nel 1932 per la loro Rossa Verona, che si affianca alla pils 1291, alla american wheat Beatrice, alla red ale Alboino e alla dry stout Canis Magnus - tutti storici nomi degli scaligeri, in omaggio alla città. Birre che hanno indubbiamente la dote di farsi bere facilmente, al contrario forse della chicca che avevano portato per l'occasione, la sour alle prugne: un anno di barrique in una botte di amarone, che ha fatto di questa birra a base pale una particolarità nel panorama del Mastino.

Da ultimo due birrifici giovani, il Luckybrews e il K&L. Il primo ha aperto da due anni, ma grazie ai dodici da homebrewer di Davide e Samuele non ha nulla da invidiare ad altri di più lunga esperienza. Tra tutte segnalo la Whale - che sta per white hoppy ale -, di cui spicca l'aroma di fiori e di coriandolo e le note di pepe rosa che anticipano la chiusura amara; e la Winternest, una schotch ale che bilancia in maniera encomiabile il torbato, l'affuminato, le note di caffè e quelle di whisky. In quanto al K&L, nota di merito all'originalità della bière de garde 2 fuochi - stile assai raro da trovare - e soprattutto la tripel Special 3, che smorza il dolce del miele di castagno con spezie acide creando un insieme sapientemente bilanciato.

Naturalmente ci sarebbe molto da raccontare e da descrivere, ma rischierei di dilungarmi troppo; posso comunque dire di essere stata soddisfatta in quanto non solo ho trovato birra di qualità, ma anche un ambiente che la sa far conoscere in maniera semplice ed accogliente. Ed è indubbiamente il primo passo di quell' "educazione del consumatore" di cui tanto si parla.

sabato 4 ottobre 2014

A tavola con la birra

Vi avverto: questo sarà un post di lodi sperticate, tanto da far credere a tutti senza dubbio alcuno che il soggetto di cui parlo mi abbia pagata, e scatenare la finanza a scandagliare i miei risparmi alla ricerca di compensi incassati in nero. Ma vi giuro che non è andata così. Al di là degli scherzi, non posso che dirmi del tutto soddisfatta della mia visita al locale della famiglia Sancolodi a Mussolente (Vicenza). Da fuori lo si direbbe un ristorante pizzeria come ce ne sono mille altri: se non fosse per i tini di bollitura in rame in una stanzetta accanto all'ingresso, che fanno capire il perché dell'insegna "birrificio". Nel ristorante di famiglia, infatti, i fratelli Roberto e Alessandro hanno avviato la produzione di birra con malto "a km zero" da orzo coltivato nella zona: un "brewrestaurantpizzeria", insomma, dato che definitrlo brewpub sarebbe improprio. L'occasione dell'invito era una cena degustazione della loro creazioni, abbinata a piatti a base delle stesse birre: opera questi dello chef della casa Luca Sancolodi e della "cuoca ufficiale" delll'Accademia delle birre Daniela Riccardi.

Il pomeriggio è iniziato con una piacevole chiacchierata con Roberto, che oltre a farmi visitare gli impianti - nonché le botti in cui, per puro diletto personale, nel tempo libero "coltiva" le sue lambic - mi ha spiegato la filosofia di produzione dei Sancolodi. Che comprende, tra l'altro, il fatto di essersi decisi soltanto recentemente a dare un nome alle loro birre: "Quando la battezzi, la gente si affeziona alla birra così com'è uscita in quella particolare cotta - ha spiegato -, e quindi standardizzare diventa una necessità. A noi invece piace sperimentare: la chiamo blanche, ma per il resto è una sorpresa". Fatto sta che alla fine hanno dovuto piegarsi alle esigenze del marketing, seppur a malincuore: e così nel menù della serata tutte le birre apparivano con loro nome.

La cena si è aperta con un aperitivo di concentrato di pesca e Grizzly: una special ale con un solo malto e un solo luppolo rifermentata con miele di montagna, in cui il dolce - che a volte ho trovato eccessivo in birre di questo genere - viene sapientemente bilanciato dalle bacche di ginepro. Nonostante la mia diffidenza per il fruttato ho quindi ampiamente apprezzato, così come è stato di mio gradimento il primo antipasto - a base di una pietanza che generalmente non amo: il patè d'anatra, nobilitato però da polvere di caffè e gelatina a base della birra che accompagnava in piatto, la Guilty. Può sembrare inusuale, come hanno notato alcuni, iniziare con una chocolate stout: in questo caso però, per quanto ad un primo acchito i sapori tendessero a cozzare, la gelatina creava un effetto "ponte", proponendo un abbinamento curioso e forse audace che definirei riuscito.

Più classico l'accostamento del secondo antipasto - un'ottima tartare al salmone -, mischiata e abbinata alla Luna Bianca: una blanche con avena e segale, in cui la fanno da padrone il cardamomo e il coriandolo uniti ad un aroma di pepe. Personalmente avrei apprezzato un corpo più robusto, per quanto Roberto mi abbia spiegato come sia stato intenzionale il fatto di lasciarlo più delicato; ma forse per questo ha accompagnato meglio sia la tartare che la portata seguente - "bigoi de Bassan" fatti in casa con trota del Brenta sfumata con la stessa birra -, non risultando invadente rispetto al pesce. Ad accompagnare il secondo primo - pasticcio di indivia belga cotta nella birra in questione - è stata un'originale lager helles, battezzata "La vita è bella": l'innovazione sta nell'uso di luppoli amaricanti agrumati, che le conferiscono un'aroma del tutto insolito per il genere. "Un tedesco non l'avrebbe mai fatto", ha commentato Paolo Erne; e meno male che l'hanno fatto i Sancolodi, commento io, perché è stato un esperimento ben riuscito.

E' stato con i secondi che ha fatto il suo ingresso l'ammiraglia della casa: la Torbata, un'ambrata che all'aroma dà insieme delle note di whisky e di caramello assolutamente peculiari. Ho avuto peraltro la fortuna di assaggiare con i fianchetti di manzo marinati in questa ambrata - autentico capolavoro di Luca - una versione più giovane, in cui risaltava maggiormente il caramellato; e con la lonza di maiale alla senape e Torbata una più invecchiata, in cui i lieviti, avendo lavorato più a lungo, avevano lasciato spazio al torbato. Diverse, ma entrambe tra le migliori del genere che mi sia capitato di assaggiare. Meno male che è arrivato il sorbetto alla Luna Bianca e zenzero, reintepretazione curiosa del tradizionale sgroppino fatta da Alessandro, giusto per digerire un po'.

Ad attenderci c'erano infatti i pezzi forti di Daniela: il birramisù alla Grizzly e la torta Mon Cheri alla Kriek - una pasta a base di cioccolato bagnata nella birra e spalmata con cioccolato fondente e ciliege: ogni cucchiaiata di entrambi i dolci, che andava a rilasciare un po' della birra in cui erano stati bagnati e che li accompagnava, era un autentico piacere. Tanto più che a quel punto, tanto per gradire, il buon Paolo Erne ha aggiunto due sue creazioni: una imperial russian stout dalle note di caffè particolarmente accentuate e schiuma degna del celebre disegnino di quadrifoglio, e una kriek imperial russian stout, ossia la stessa birra tagliata a metà con una kriek. In tutto e per tutto una cena di ottima qualità, sia sul fronte birrario che su quello gastronomico.

Se già state pensando di far visita ai Sancolodi, non posso che consigliarvelo: anche senza che vengano organizzate cene come queste, infatti, sono sempre disponibili dei menù degustazione che variano in base alla stagione, e pizze - opera di Roberto - preparate con farina integrale e pasta madre. Ma soprattutto perché le loro birre le potete assaggiare soltanto lì: il che - soprattutto per la Torbata e la Grizzly, a mio parere dei veri pezzi unici - giustifica da solo un viaggio fino a Mussolente...