lunedì 30 giugno 2014

Home sweet home...brewing

Avviso ai non anglofoni: non è che voglio tagliarvi fuori titolando in inglese, è che altrimenti non mi riusciva il gioco di parole. Scherzi a parte, in italiano non avrei potuto rendere il nesso tra l'adagio "Home sweet home" ("Casa dolce casa") e "Homebrewing", l'arte di farsi la birra in casa. Una passione che sta prendendo sempre più piede anche in Italia: per quanto sia possibile solo azzardare delle stime (in quanto non esiste chiaramente un registro), un conoscitore come Lorenzo Dalbove - meglio noto come Kuaska -, direttore culturale di Unionbirrai, già nel 2005 affermava di essere "certo che se azzardo un numero superiore ai 10.000 non vado lontano dalla realtà". Per quanto si fosse tenuto largo, è lecito immaginare che nove anni dopo siamo andati oltre quella soglia.

Naturalmente si sprecano i forum in rete, i concorsi, e anche le degustazioni, per quanto pongano qualche fastidio legale - definiamolo così - perché ciascun partecipante deve firmare una liberatoria in cui solleva gli organizzatori da ogni responsabilità in quanto gli homebrewers non dipongono di nessuna certificazione della Asl o simili; del resto, comunque, tutti gli esperti concordano sul fatto che - salvo improbabili contaminazioni, epidemie, infestazioni, ecc ecc - il peggio che può capitarvi, trattandosi di una bevanda che è stata bollita, è di dover chiedere rapidamente dov'è la toilette più vicina. Spiacevole, certo, e magari imbarazzante, ma difficilmente vi porterà alla tomba.

Ho assaggiato diverse volte birra fatta in casa; e, soprattutto tra coloro che invece del classico kit usano le materie prime in autonomia, mi è capitato di trovare dei veri e propri mastri birrai che non hanno nulla da invidiare a chi lo fa per mestiere (che del resto ha quasi sempre cominciato così). Penso ad esempio al Home Brewing Contest organizzato alla Brasserie lo scorso anno (chi se lo fosse perso clicchi qui), e alla birra aromatizzata all'anice, liquirizia e finocchio che si è classificata prima: opera di una giovane birraia appena venticinquenne, Valentina, che ha tutti i numeri per essere una promessa del settore. Ma anche a tutte - sì, proprio tutte - le birre assaggiate in pausa pranzo durante il corso di per imprenditori della birra organizzato dall'università di Udine (anche in questo caso, chi non fosse aggiornato legga qui), opera degli stessi partecipanti, che spaziavano su tutti i generi e senza mai deludere.

L'ultima che ho assaggiato, e che annovererei tra le migliori, è la "Open" del nostro amico Luca. Una signora Ipa che all'aroma evidenzia tutta la potenza dei luppoli e dal corpo più amaro del consueto, pur bilanciato da alcuni sentori di miele e di banana; che lasciano spazio ad una persistenza decisa che unisce bene tutti i sapori precedenti. Se poi si ha la pazienza di aspettare che si scaldi un po' - leggi: tre secondi prima che diventi troppo calda per essere apprezzata - si può scoprire pure il caramello, che a temperature più basse non risalta. Un'unione di dolci ed amari abbastanza estremi forse inconsueta, ma che fa sì che né gli uni né gli altri risultino eccessivi. Un ottimo risultato per qualcuno che non fa il birraio di mestiere: anche se, c'è da dire, Luca esce dalla scuola del prof. Buiatti, per cui buon sangue non mente.

Non so se vi ho fatto venire voglia di provare a farvi la birra in casa, o piuttosto quella di trovarvi un amico che abbia questo hobby: in entrambi i casi, in bocca al lupo...

giovedì 26 giugno 2014

Tutto il fascino di Bread Peat

Dopo aver letto il mio post sul loro birrificio, l'Antica Contea, Andrea e Costantino si erano sentiti punti sul vivo: ma come, volevi assaggiare la Bread Peat e non ce l'hai detto? Mi hanno quindi invitata ad un viaggio riparatore a Gorizia, per visitare la loro sede e provare la birra che tanto mi aveva incuriosita.

Il birrificio è più piccolo di quanto mi aspettassi, ma è ben organizzato. All'interno delle (poche) stanze i nostri sono riusciti a ricavare anche un punto vendita arredato in maniera originale, con un vecchio banco da lavoro e una serie di bottiglie - vuote: evidentemente si trattava di birra buona - esposte in vetrina creando una decorazione suggestiva. Giusto per essere chiari sul fatto che di birre in stile anglosassone si tratta, nella stanza troneggiano una bandiera scozzese e una piantina di Londra con indicati i birrifici artigianali della città appena giunta da Oltremanica.

La sala sul retro ospita l'impianto di birrificazione, rispetto al quale Andrea ha ammesso di "non avere alibi": trattasi infatti di quello acquistato da Gino Peressutti di Foglie d'Erba, ora avviato verso più ampi orizzonti. Insomma, se la birra non esce buona, non ci si può giustificare dicendo che è colpa dell'impianto scadente. I nostri hanno comunque pensato a "personalizzare" il tutto, usando un bicchiere di Guinnes come gorgogliatore: anche qui, l'Oltremanica impera.

L'Antica Contea sarà pure piccolo e giovane, ma si è fatto la sua cerchia di estimatori fedeli. Nel paio d'ore in cui siamo stati lì c'è stato un viavai costante di clienti che entravano a chiedere un paio di bottiglie: su tutte la Dama Bianca, che ha avuto un tale successo da essere esaurita, e che è anche - ci ha spiegato Andrea - la più elaborata da fare - tanto che, in termini di tempo, richiede quasi il doppio delle altre birre. Anche i clienti affezionati dovranno aspettare la prossima settimana, quando sarà imbottigliata e disponibile l'ultima cotta.

Tra una chiacchiera e l'altra naturalmente ci è venuta sete, e siamo quindi passati ad assaggiare qualcosa. Quasi per caso abbiamo stappato una bottiglia di una vecchia ricetta della Dark Fog, che Andrea ha detto di aver modificato perché troppo acida. In effetti necessitava di correzioni, perché è un acido che fa un po' a pugni col tostato e con l'amaro e dà una persistenza che può risultare sgradevole; però onestamente, trattandosi comunque di un acido non troppo pungente, ammetto di non averlo trovato azzardato rispetto ai toni di cioccolata e di caffè. Insomma, la Dark Fog che ho bevuto alla Brasserie era tutta un'altra cosa, ma nemmeno questa è da buttare via - cosa che infatti Andrea non ha fatto, visto che la bottiglia era ancora lì, e devolverla allo sciacquone sarebbe stato un vero peccato.

Abbiamo poi avuto l'occasione di provare la Vingraf, prodotta unicamente su richiesta di un locale della zona e non commercializzata. Come il nome lascia intuire, a una base di Zingraf - una strong scotch ale - Andrea ha aggiunto un 15% di sauvignon, ottenendo un risultato che ricorda le lambic belghe. Appunto per questo temevo non mi piacesse, ma anche se non è il mio genere non sono rimasta delusa: per quanto il vino si percepisca sia all'olfatto che al gusto in maniera molto decisa, acidità e dolcezza sono ben bilanciate. Vi avviso però che non sembraaffatto di bere birra; e anche a vederla poi, con il suo colore che Enrico ha definito "da Ramandolo" e praticamente senza schiuma, si penserebbe di avere davanti un calice di vino.

Da ultimo siamo passati alla Bread Peat, che ha la particolarità di usare malto torbato. Mettiamo subito una cosa in chiaro: niente a che vedere con l'altra birra torbata che mi era capitato di assaggiare, la Selvaggia di Camerini. In quel caso si trattava infatti di una stout, in cui la torba risaltava meno perché unita a tutti quei gusti e quegli aromi comunque tendenti al torrefatto e al tostato che caratterizzano le birre di quel genere; la Bread Peat invece è una Ale ambrata, in cui la torba spicca in tutto il suo vigore sin dall'aroma. Appunto per questo il corpo può risultare ad alcuni palati abbastanza impegnativo: ma personalmente l'ho trovata davvero una chicca se non altro per la sua unicità, e degna di rivaleggiare con la Dama Bianca al vertice del repertorio dell'Antica Contea. Del resto, se aggiungere il malto torbato ad una nera fa sì che questo risulti meno pungente, è altrettanto vero che insieme a tutti gli altri sapori il risultato finale è comunque molto forte: e a livello di gusti personali, ho apprezzato di più la torba "pura", tanto più che la persistenza non è così "dura" come il corpo lascerebbe supporre. Unico problema, si tratta di una birra un po' difficile da abbinare: Andrea suggeriva formaggi erborinati e Enrico ricotta fresca, ma in effetti non ci è venuto in mente nulla che ci convincesse del tutto. Che dire? Bisognerà procurarsene un'altra bottiglia per fare delle prove...

mercoledì 18 giugno 2014

Una birra tra gli stucchi reloaded

Pur avendo partecipato a numerose degustazioni, non mi era mai capitato di fare da guida ad una serie di assaggi; così lunedì scorso ho colmato anche questa lacuna debuttando al Caffè Al Portello di Udine, di cui già avevo parlato in questo post. L'idea era quella di concretizzare finalmente lo spunto dell'abbinamento tra birra e pane che mi era balenato in testa con la degustazione organizzata da Friuli Future Forum; e così io e il titolare Luca abbiamo messo in moto la macchina da guerra, coinvolgendo l'una il birrificio Valscura, e l'altro il panificio artigianale Orlandi di Adegliacco.

In quanto a Valscura e alle sue birre, chi frequenta questo blog da qualche tempo credo chiuderebbe il browser se iniziassi di nuovo a descriverle: per i novellini, diciamo che sono dei vecchi amici, di cui ho già avuto modo di parlare ampiamente e di cui troverete tutte le informazioni facendo una ricerca nel form qui a destra. Il buon panettiere Pierluigi Orlandi invece è stato una piacevolissima nuova conoscenza, che ha fatto avvicinare in maniera semplice e chiara sia me che il resto dei partecipanti al mondo della panificazione artigianale. Ho così scoperto che esistono lieviti chimici, lievito di birra e lievito naturale - in ordine di preferenza -, che solo quest'ultimo scinde tutti gli amidi rendendo il pane più digeribile, e che generalmente viene usato soltanto nei panifici artigianali. Insomma, se il pane del supermercato tende a rimanere sullo stomaco, un motivo ci sarà.

La cosa curiosa, ancor prima dell'inizio della degustazione, è stato sentir parlare tra di loro Gabriele (il birraio, per chi non lo conoscesse) e Pierluigi: frasi come "Eh sì ma questo lievito non fa fermentare allo stesso modo" o "Questo tal cereale dà delle note davvero uniche" erano comuni ad entrambi, e non si capiva chi stesse parlando di pane e chi di birra. Dopotutto, la birra è soprannominata "pane liquido", e nei monasteri belgi veniva usata come "integratore" durante il digiuno quaresimale. In comune hanno poi anche il principio dell'artigianalità secondo cui nessuna cotta e nesusna informata è uguale all'altra, data l'infinita quantità di variabili - da quelle climatiche alla mano dell'artigiano - che entrano in gioco: ma forse proprio lì sta il bello e la genuinità.

Venendo alla birre, la scelta è caduta su bottiglie "collaudate" che ho già recensito: la pils Liquentia, la weizen Panera, la Blanche de Sarone, la ale doppio malto Matrimoniale, e la nera Valscura. Per me la scoperta sono quindi stati gli abbinamenti, opera di Pierluigi.

Alla Liquentia, che grazie al malto caramellato ha delle note dolci, abbiamo abbinato dei grissini al mais; e in effetti le note altrettanto dolci della farina da polenta, insieme alla sua "grana" un po' più grossa, si sposavano assai bene, specie se arrotolando attorno al grissino un po' di prosciutto cotto che Luca aveva messo accanto. Alla Panera invece, anche per amor di assonanza col nome, abbiamo accostato del pane ai cereali in cui - come ha spiegato con dovizia Pierluigi - i chicchi interi sulla crosta si tostano durante la cottura, conferendo un gusto del tutto particolare. In entrambi i casi due gusti "ricchi", così come quello della caciotta al peperoncino abbinata.

Più indovinato è stato probabilmente il terzo abbinamento, in cui alla Blanche de Sarone abbiamo accostato della caciotta al pistacchio e dei grissini alla cipolla: "Leggermente fritta prima della cottura, altrimenti si sfalda", ha specificato Pierluigi, e in effetti un po' di sentore di fritto c'era. Ma non li definirei pesanti come il concetto di "cipolla fritta" potrebbe far pensare, anche perché si tratta in fin dei conti di una rapida spadellata. Quindi, tranquilli: si può sopravvivere - e con sommo piacere - anche a questo, specie se unendo una birra speziata come appunto la Blanche, dato che - la cucina orientale insegna - spezie e cipolla sono un tutt'uno.

Cambiando totalmente genere siamo passati alla Matrimoniale, di cui Gabriele ha raccontato la curiosa storia del nome: "Una coppia di sposi ci aveva chiesto, come bomboniera, di fare bottiglie da mezzo litro di una birra particolare. Ma il nostro fermentatore fa 300 litri, e a loro ne servivano meno della metà. Così il resto ce lo siamo tenuto e, visto che ci è piaciuta, l'abbiamo rifatta". Indubbiamente una delle più apprezzate anche dalla platea insieme alla mortadella e ai grissini alle olive, "lasciate quasi intere, così che la loro morbidezza contrasti con la friabilità del grissino" ha specificato Pierluigi. In effetti, direi che è proprio questo il loro punto di forza.

Da ultimo la portabandiera della casa, la nera Valscura. In questa cotta peraltro risaltava particolarmente bene il lievito da whiskey che le dà un gusto del tutto particolare e che esalta il malto chocolate, per cui i cubetti di cioccolato fondente che Luca ha distribuito insieme a questa birra erano proprio ciò che si dice "la morte sua". Un'ottima conclusione insomma, con tanto di dissertazione di Pierluigi sui dolci del suo panificio, dato che di una birra da dolce si tratta.

Le facce degli avventori a fine serata mi sono sembrate discretamente felici - no, non sto parlando degli effetti dell'alcool -, come hanno confermato anche i vari commenti raccolti e i contatti presi sia con Gabriele che con Pierluigi per acquistare i loro prodotti. Che dire, dunque? Buona la prima...

martedì 17 giugno 2014

Dalla dama bianca alla contessina

Il passo successivo, come dicevamo, è stato l'Antica Contea di Gorizia: un birrificio giovane - poco più di un anno -, ma che porta già nel nome la storia della città. Come ci ha spiegato il birraio Andrea, infatti, questo deriva dal fatto che questa era parte della Contea di Gorizia e Gradisca; e alcune loro birre, come ad esempio la Zingraf - una strong scotch ale, per la cronaca - prendono battesimo dai quartieri del capoluogo isontino.

Andrea è un grande appassionato di birre inglesi; e a suo dire è stato appunto per risparmiare sui costosi viaggi oltremanica che ha iniziato, come secondo lavoro, a brassare. Per quanto la produzione sia ancora ridotta, non lo è la platea delle birre elaborate: tanto che non erano nemmeno tutte disponibili, e me ne è dispiaciuto, perché alcune mi avevano davvero stuzzicata - come non incuriosirsi davanti ad una "Bread Peat", se non per il gioco di parole? Andiamo, qualsiasi donna vorrebbe provarla.

Ad ogni modo, non che le spine lì pronte fossero poche: Andrea ci ha così guidati in una degustazione, secondo l'ordine da lui suggerito. Siamo partiti dalla Superbia, una best bitter, che indubbiamente all'interno del suo genere si fa onore grazie alla persistenza amara ed erbacea ben potente che contrasta in pieno la dolcezza iniziale - brevissima, peraltro - del corpo; devo ammettere però che a livello di gusti personali non è ciò che prediligo, per cui sono passata oltre. Molto più gradevole è stato infatti il secondo assaggio, la Contessina, una standard bitter in cui i luppoli molto aromatici donano un agrumato particolarmente dissetante che, complice la gradazione alcolica molto bassa, la fa scendere che è un piacere.

Il meglio però doveva ancora venire: la Dama Bianca, una Ipa - alias Isonzo Pale Ale, siamo a Gorizia - con malti di frumento, e che è davvero un unico del suo genere. Non solo per la curiosa storia che le dà il nome - quella del fantasma della contessa Caterina, che apparirebbe nelle notti di luna piena sui bastioni del castello di Gorizia - o perché non le si darebbe neanche la metà dei suoi 7 gradi; ma perché l'unione del luppolo cascade e citra, pur conferendo un amaro molto deciso, dà comunque delle note di agrumi che vi si amalgamano in una maniera che non mi era mai capitato di trovare. Insomma, se non fosse sufficientemente chiaro, entra a pieno titolo tra le mie birre preferite.

Abbiamo poi chiuso con la Dark Fog, una brown porter in cui io personalmente ho sentito note di torba - in teoria "proprietà" della Bread Peat, visto che "peat" significa torba -, e il tostato viene immediatamente accompagnato ad un aroma di cioccolato che vira al caffè - ancor più che alla liquirizia come afferma la descrizione nel volantino, secondo me - e lascia una persistenza che reclama decisamente un accostamento consono.

A questo proposito, nota di merito allo sforzo di accompagnare la descrizione di ciascuna birra non solo a diversi abbinamenti gastronomici, ma anche ad un piatto tipico della cucina goriziana: così ho scoperto che la Dark Fog va abbinata al Kugelhupf (che wikipedia mi dice essere un dolce natalizio di origini austrache e dalle infinite varianti), o che la dama bianca si accompagna alla gubana goriziana (evidentemente diversa da quella delle Valli del Natisone, almeno al palato degli indigeni).

Non è per piaggeria se concludo con una nota di elogio più o meno sperticato: non è scontato in un birrificio di breve esperienza trovare non solo birra di alta qualità, ma ancor più diversi tipi di birra che non sbagliano un colpo. Credo - pur nella mia ancor breve esprienza - sia nata una piccola stella nel panorama dei birrifici artigianali, che avrà certo modo con l'esperienza di affinare ancor di più le sue realizzazioni, e alla quale auguro uno sfolgorante futuro. Perché, semplicemente, se lo merita.

lunedì 16 giugno 2014

Una birra...abrasiva

Anche quest'anno, come lo scorso giugno, la Brasserie di Tricesimo ha organizzato la manifestazione "Birra artigianale in festa": peccato per la pioggia, ma nemmeno quella ha scoraggiato gli appassionati. Tanto più che, oltre agli amici di vecchia data Garlatti Costa e Foglie d'Erba - sui quali non mi dilungherò non perché non meritino, ma perché delle loro delizie ho già avuto modo di dissertare ampiamente - c'erano due novità: il birrificio Antica Contea di Gorizia, e il Borderline di Buttrio.


Quest'ultimo ospitava allo stand anche il Grana 40, sempre del Manzanese, che imbottiglia però a Bernareggio (MB). Il nome deriva dall'impiego originario del birraio Emanuele, che lavora in una ditta che produce prodotti abrasivi per la lavorazione di legno e metallo; e di qui anche l'aggettivo che ha dato alla sua birra, "abrasiva".

Le birre disponibili alla spina erano due, la Orange Ipa di Borderline e la Mar Giallo di Grana 40. La prima è una buona Ipa che, pur facendo onore a dei birrai ancora giovani, non mi ha colpita forse perché rimane un "classico del genere", senza note che la contraddistinguano in maniera particolare; di più mi ha colpita invece la Mar Giallo, per quanto meno vicina ai miei gusti personali. Non era particolarmente "aggressiva" come la definizione di Emanuele avrebbe potuto far supporre; del tutto peculiare sì però, perché questa single hop blonde ale ha come unico luppolo una specie a me assolutamente sconosciuta, il sorachi (nella foto). A me come a molti, almeno a sentire Emanuele: "E' un luppolo giapponese usato pochissimo - ha spiegato -, ma quando mi è capitato di provarlo per caso, in unione con altri tre luppoli, ho sentito che questo proprio spaccava. E così sono arrivato alla single hop".

Nel berla, non fatevi ingannare dall'iniziale scarsa consistenza del corpo: subito subentrerà una certa dolcezza fruttata, che vira poi al cocco - particolarità di questo luppolo - per chiudere in maniera secca, lasciando un amaro discreto. Forse non la mia birra preferita, ma ho dovuto ammettere di non aver mai bevuto nulla di simile, per la gioia di Emanuele: "Proprio questo è il mio intento - ha affermato soddisfatto - fare qualcosa che nessun altro fa. Questa è la qualità, perché di fare la loro "ipa ignorante" - suppongo intendesse "una birra del tutto ordinaria", ma non ho osato interromperlo - sono capaci tutti".

Una rivelazione che potrebbe ritorcermisi contro, ma che va fatta in onore del birraio in questione, è che si tratta di una persona molto generosa: preso dall'entusiasmo per la sua opera a suon di assaggi ci ha fatto bere più di quanto avremmo voluto, nonostante le nostre insistenze. Così che abbiamo dovuto fare una "sosta tecnica patatine" prima di passare alla conoscenza successiva, l'Antica Contea...

giovedì 12 giugno 2014

Ipa-hip: urrà!

Ormai i miei post sull'amena località di Sauris non si contano: e infatti una volta di più abbiamo approfittato della giornata libera di Enrico per farci un giro da quelle parti, non solo per andare a trovare gli amici di Zahre Beer, ma anche per fare una breve camminata. Inizio con una nota sull'escursione, perché merita davvero: siamo arrivati fino a Sella Feston, a cavallo tra la valle di Sauris e la Val Pesarina, da dove si gode un panorama a dir poco stupendo. Consiglio una scampagnata a tutti i locali, ma anche non: lungo il sentiero abbiamo trovato una coppia di turisti olandesi, arrivata fin lì con somma soddisfazione - "beautiful, beautiful!!!" - perché aveva letto su un giornale in patria un articolo sull'albergo diffuso di Sauris. Incuriosita, era venuta fin lì a vedere, così come altri amici. Mi compiaccio dunque con chiunque sia l'incaricato della promozione turistica in quello che altrimenti rimarrebbe soltanto un paesino sperduto tra le montagne, poco frequentato dai turisti stranieri a dispetto delle bellezze naturali e delle prelibatezze gastronomiche.


E a proposito di prelibatezze, dopo la passeggiata non è potuta mancare la sosta al birrificio. Lì il buon Max ci ha generosamente offerto da portare a casa una bottiglia della loro nuova creazione, la Ipa "Primavera, con tante raccomandazioni da parte di Danila di far loro sapere che cosa ne pensavamo. Naturalmente, non abbiamo resistito alla curiosità: e così, scesi a Sauris di Sotto per procurarci un vassoio di speck con i grissini allo spaccio di Wolf - veloce, sennò la birra si scalda - siamo subito passati alla fase degustazione.

La mia prima reazione è stata "Accidenti, sembra di annusare pellet di luppolo": al di là della battuta volutamente ironica, il luppolo è ben notevole all'aroma, e lascerebb presagire sia un corpo che un finale altrettanto decisi e amari. In realtà, non è così: una volta in bocca lascia un gusto di pompelmo ben "pulito", che equilibra bene con l'agrumato l'amaro dei luppoli. Luppoli che, devo dire, mi chiedevo dove fossero: molte Ipa tendono a far sentire la "rosa" di sapori in momenti diversi del sorso, questa mi ha dato piuttosto l'impressione di amalgamarli. Riflettendo meglio sul nome, però, si è svelato l'arcano: "Primavera Ipa single hop". Sta a vedere che hanno usato un luppolo solo? Cosa abbastanza insolita in una Ipa, dato che generalmente ne vengono appunto usati diversi. A quanto pare è andata così, e il risultato è del tutto peculiare. La definirei quindi una Ipa del tutto adatta anche a chi non gradisce troppo l'amaro senza deludere chi invece lo apprezza, tanto più che, come ha osservato Enrico, "prepara proprio la bocca al sorso successivo".

Insomma, direi che a Zahre hanno fatto un buon lavoro, ottima premessa per lanciare una novità rispetto alle quattro birre classiche che ne hanno fatto la fama. Certo prima di scalzare l'affumicata dalla vetta della mia personale hit parade delle creazioni di Sandro, Max e compagnia ci vorrà parecchio impegno: ma questa si guadagna di buon diritto il secondo posto, surclassando anche la Canapa che tanti punti aveva guadagnato ultimamente nella mia opinione...


mercoledì 11 giugno 2014

Alla corte di re Michal

Naturalmente la Repubblica Ceca non finisce a Praga, e non soltanto per gli amanti della birra: dalle terme di Carlovy Vary, ad autentici gioiellini come i castelli di Karlstejn o Cesky Krumlov, i luoghi da visitare certo non mancano. E appunto di un castello siamo andati a caccia io e Enrico, quello di Zivkov: dico a caccia perché questo posto da sogno adagiato sulle rive di un lago, che custodisce alcuni degli affreschi meglio conservati dell'intera Repubblica Ceca, si trova letteralmente nel mezzo del nulla, tanto che dopo kilometri e kilometri di campagna abbiamo finito per chiederci se non avessimo sbagliato strada (e in effetti era proprio così). Fortunatamente, parlando io in italiano e l'ignoto passante in ceco, siamo riusciti a raggiungere il castello: visita apprezzatissima, tanto più che è tenuto con una cura encomiabile, e il ragazzo all'ingresso ci ha accolti con un calore che metteva di buonumore.


A metterci di buonumore era però anche la prospettiva di alloggiare al Pivovarsky Dvur Zvikov: una birreria, ristorante e albergo, dove da vent'anni l'abile mastro birraio Michal offre agli ospiti le sue creazioni nella caratteristica sala in cui spiccano due vecchi bollitori in rame. La prima nota di colore la merita indubbiamente il personaggio: un omone in stile "gigante buono", che oltre a seguire la sua attività artigianale è anche direttore del birrificio Platan di Protivin. La sera rientra nel suo maniero, dove le spine sono collegate direttamente ai tank della zona produzione al piano inferiore - "per conservare meglio la birra", afferma - e chi vuole portarsi a casa un souvenir lo può fare in bottiglie di pet riempite al momento alle spine suddette - "mi raccomando, va bevuta entro venti giorni al massimo, perché non si conserva". Ho sorvolato sullo specificargli che era una raccomandazione del tutto superflua.

Perché in effetti le birre brassate al Pivovarski Dvur sono davvero dei pezzi unici, al di là dei gusti personali - che vengono comunque accontentati un po' tutti, data la varietà. Oltre alla Zlatà Labut' ("cigno dorato"), che di fatto non si discosta molto dalle classiche lager ceche dal corpo pieno e dalla persistenza di cereali, una vera particolarità è la Pale Ale, in cui le note amare del luppolo hanno una straordinaria evoluzione al variare della temperatura. Ad ingannarmi in pieno è stata la lager scura, che avrei giurato essere una stout date le note di tostato particolarmente piene; "No, no, questa è una stout", ha precisato Michal versandomene un'altra nonostante la mia faccia allibita. Venti gradi e non sentirli, per una birra che ricorda quasi un liquore alla liquirizia. Se la weizen, particolarmente dolce e dal corpo in cui ho colto note di mais, non mi ha entusiasmata, il meglio è arrivato alla fine: la 26° (gradi plato, non alcolici, anche se l'alcol si sente così tanto che glie ne avrei dati il doppio dei suoi 12), una scura invecchiata 14 mesi, che sprigiona aromi fruttati e note dolci e liquorose senza tralasciare una chiusura amara. Insomma, una specialità, che mi ha lasciata a bocca aperta.

La piacevole serata si è chiusa con una visita alla sala cotta al piano di sotto, e un invito alla giornata di raccolta del luppolo coltivato appena lì fuori, prevista per fine agosto. "Beh, c'è da lavorare, ma alla fine si brinda". E chi ne avrebbe mai dubitato.


mercoledì 4 giugno 2014

Cesky Pivnì Festival, dove la bibita verde non è acqua e menta

Nel sito lo descrivono come "L'Oktoberfest di Praga", dotato di tendone con 4500 posti a sedere, cibo e birra a volontà, e un palco su cui si sono alternate 45 band: ma dato che l'aver presenziato il celebre evento bavarese è una gravissima lacuna che purtroppo non sono ancora riuscita a colmare, non posso dire se i promotori del Cesky Pivnì Festival - o Festival ceco della birra, per i non indigeni - dicano il vero. Quel che è certo è che, qualunque cosa accada a Monaco ad ottobre, nemmeno quel che accade a Praga nelle ultime due settimane di maggio lascia a desiderare.

Tanto per cominciare, erano circa un centinaio i tipi di birra disponibili: inutile specificare che ce n'era davvero per tutti i gusti, per quanto con una nettissima predominanza delle tipiche lager ceche. Non fatevi ingannare, però: le interpretazioni sono così varie che non possono dirsi nemmeno parenti l'una dell'altra, e anzi, molte sono così corpose che le si potrebbe quasi prendere per belghe. Dato che i boccali erano solo da litro, abbiamo deciso di condividere, scegliendo peraltro abbastanza alla ceca - oops, cieca....scusate la gag: scelta che è caduta sulla Musketyr della Krusovice, una lager non filtrata, dal colore che vira quasi verso l'ambrato e una schiuma molto consistente. Il corpo è ben pieno e rende giustizia ai numerosi malti boemi e moravi pubblicizzati nella descrizione (che in realtà abbiamo visto solo a posteriori), e pur essendo piuttosto dolce è ben bilanciato dalla luppolatura decisa che chiude il sorso. Forse non troppo beverina, ma gradevole.


Ad attirare la nostra attenzione sono stati però dei bicchieri pieni di una bibita verde, che ci hanno fatto domandare come mai l'acqua e menta avesse diritto di cittadinanza ad un festival della birra. Ebbene, perché acqua e menta non era: trattasi della Zelene Pivo - appunto "birra verde" -, produzione del birrificio Starobrno nonché creazione speciale per la primavera del birrificio Malastrana. E' una lager chiara a cui Starobrno aggiunge una miscela - naturalmente segreta, sennò non c'è gusto - di erbe e un goccio di liquore, mentre Malastrana ottiene il tipico colore grazie alla clorofilla. Il risultato è comunque una birra dalle notevoli note erbacee - perdonate il gioco di parole - e dalla persistenza amara assai decisa, pur se diversa nell'uno e nell'altro caso. Insomma, le curiosità non mancavano.

Per chiudere, nota di merito e di encomio all'organizzazione: ciascun avventore viene dotato, al momento di pagare l'ingresso al festival, di una tessera magnetica tipo carta di credito, su cui caricare i propri "tol" - sorta di "gettoni", del valore di 45 corone l'uno. Al momento di ordinare qualcosa, la carta viene strisciata dai camerieri provvisti di palmare, e i "tol" sono automaticamente scalati dal credito disponibile. Niente contanti che girano, né resti da dare, tutto è molto più rapido. Se poi vi servissero altri "tol" lo stesso cameriere che vi prende l'ordinazione vi può anche ricaricare la carta, e se viceversa a fine serata ve ne fossero rimasti non avete che da farveli rimborsare alla cassa. Insomma, non saranno tedeschi, ma il senso dell'ordine e dell'efficienza ce l'hanno. Pienamente soddisfatti poi anche del cibo, nella fattispecie un goulasch che non aveva assolutamente nulla da invidiare a quello di un ristorante pur essendo stato servito sotto un tendone. Insomma, altro che le patatine fritte e una birra qualsiasi alle sagre...