venerdì 31 marzo 2017

Birrai di tutte le regioni, unitevi

E' di un paio di giorni fa la notizia del deposito di una proposta di legge regionale in Fvg, a firma dei consiglieri Marsilio, Gerolin ed Edera, per la creazione di un marchio unico della birra artigianale Fvg e il sostegno finanziario per l'acquisto di attrezzatura. Una proposta a cui si lavorava da tempo e che fa il paio con altre iniziative analoghe, come quella in Veneto - di cui avevo scritto qui - e che ha fatto trarre un "finalmente" di soddisfazione a produttori ed appassionati.

Secondo quanto scrive Il Piccolo, "La bozza di legge prevede allora la creazione di un marchio collettivo che identifichi chiaramente prodotti e produttori, accompagnato dall'istituzione di un apposito registro dei birrifici. La promozione del marchio sarà affidata all'Ersa, che già si occupa di spingere la produzione vitivinicola regionale. L'altro asse della legge è il supporto all'innovazione delle lavorazioni, con finanziamenti ad hoc per l'acquisto di macchinari e la formazione degli operatori. Come spiega Marsilio, «verranno usati i capitoli di spesa già previsti per il sostegno alle aziende artigiane, ma chi investe nella filiera della birra potrà contare su punteggi aggiuntivi nelle graduatorie. Vogliamo favorire la nascita e lo sviluppo di aziende in un segmento in grande crescita, che permetterà inoltre di avviare interessanti filiere produttive in campo agricolo»".

I contenuti sono quindi leggermente diversi da quelli del Veneto, pur rimanendo lo scopo sostanzialmente il medesimo; ad attirare la mia attenzione è stata in particolare la parte riguardante il finanziamento per l'acquisto di macchinari e la formazione. Diciamocelo, la coperta è corta: infatti vengono usati capitoli di spesa già previsti per le aziende artigiane. Non essendo quindi stato stanziato un solo centesimo in più, gioco forza il legislatore si è trovato a fare una scelta, destinando questo denaro ai birrifici piuttosto che ad altre aziende. E fin qui, si dirà, buon per i birrifici - che magari si inimicheranno qualche altra azienda, ma questo è un altro discorso. Interessante sarà però vedere all'opera i criteri con cui questi punteggi aggiuntivi nelle graduatorie saranno assegnati. Se l'intento è quello di "favorire la nascita e lo sviluppo di aziende in un settore in grande crescita", è altretttanto vero che c'è chi accusa come questa crescita sia già eccessiva, con microbirrifici che spuntano ogni giorno come funghi e magari senza solide basi. Di qui l'importanza appunto dei criteri: se si vuole davvero favorire il settore, è evidentemente cruciale evitare finanziamenti a pioggia che rincorrano mille realtà diverse senza davvero sostenerne alcuna in maniera significativa. Come identificare dunque i "meritevoli" è una buona domanda: sulla base di un credibile e dettagliato progetto di investimento per la crescita dell'azienda? Su parametri indicativi della performance dell'azienda (trend del volume di produzione e delle vendite, riconoscimenti ricevuti, ecc)? Naturalmente qualsiasi parametro è discutibile, mi chiedo quali saranno poi alla prova dei fatti: ricordiamoci che stiamo parlando di un progetto di legge, per cui si vedrà soltanto dopo l'approvazione - data praticamente per certa dati i numeri in Consiglio dei gruppi che hanno espresso il loro sostegno - e in sede di applicazione dove si andrà effettivamente a parare.

Per intanto si tratta comunque di un gol messo a segno per i friulani, e che conferma come il Nordest sia tra le zone d'Italia più attive su questo fronte.

lunedì 27 marzo 2017

Santa Lucia, weekend primo e capitolo secondo

Ed eccomi, alla fine dell'intenso weekend, a proseguire la panoramica su alcune delle novità provate. Come già anticipato con un paio di foto, allo stand del Legnone ho provato - in bicchiere di vetro, nota di favore all'inappuntabilità del servizio - l'ultima nata, la tripel al cardamomo Divano Belga. Nel complesso mi ha dato l'impressione di una tripel in stile: la speziatura al cardamomo, molto leggera, si amalgama infatti con quella che è la "speziatura" naturale del lievito, aprendo ad un corpo ben pieno e caramellato come da manuale. Il tocco di originalità arriva piuttosto alla fine, quando il cardamomo torna a smorzare i sentori alcolici e zuccherini, contribuendo a un finale più "pulito" di quanto ci si aspetterebbe da una birra del genere. Sempre al Legnone mi è stata consigliata come "particolarmente in forma" la apa Franklin: luppolatura fruttata delicata, corpo molto scorrevole e finale notevolmente secco, a beneficio di bevibilità.

Altra piacevole sosta è stata quella dalla Brasseria della Fonte, accolta sempre con calore da Samuele e Letizia, dove ho assaggiato la porter. Samuele ha riferito di tostare da sé il malto: dai luppoli freschi per la Freshoops a questi malti, insomma, una conferma del fatto che al ragazzo piace mettere mano da sé anche alle materie prime. La tostatura si fa in effetti notare per essere piuttosto "verace", senza tuttavia pregiudicare la morbidezza dell'insieme anche grazie all'aggiunta di avena; e altra nota di particolarità è data dal Columbus in monoluppolo, che - già intuibile all'aroma, per quanto sovrastato dalla tostatura - sul finale dà una chiusura resinosa del tutto peculiare in una porter. Una reinterpretazione personale che, pur in quanto tale disconstandosi dallo stile, ha comunque il merito di non stravolgerlo e id arrivare ad un risultato finale armonioso. Nota curiosa sulla Brasseria della Fonte è che nel sito sono pubblicate tutte le ricette: qualcuno osserverà che Teo Musso con la sua serie Open è arrivato prima, fatto sta che ad oggi è - tra i birrifici di mia conoscenza, perlomeno - l'unico che pubblica tutte le ricette.

Altra tappa è stata quella da L'Inconsueto, che ha portato la nuova ale chiara alla canapa. I sentori erbacei della foglia sono infatti particolarmnete intensi sia all'aroma che in bocca, pur senza risultare eccessivi, anche grazie al finale secco e pulito. Altra novità di casa Inconsueto è la birra allo zafferano afghano, considerato tra i più pregiati al mondo - che personalmente avrei però gradito meno intensa come aromatizzazione.

Naturalmente il mio "giro" a Santa Lucia è stato molto più lungo, e ringrazio tutti gli altri birrifici presenti; il prossimo fine settimana sarà la volta dei birrifici triveneti, rimanete sintonizzati!

sabato 25 marzo 2017

Santa Lucia, le prime impressioni

E' iniziata ieri sera la Fiera della Birra Artigianale di Santa Lucia di Piave, alla quale ho presenziato come di consueto. Il primo weekend è dedicato ai birrifici italiani, tra i quali ho trovato sia vecchie che nuove conoscenze; nonché nuove birre tra le vecchie conoscenze, e mi si perdoni il gioco di parole.

Mi limito qui ad una veloce impressione in merito ad alcune delle nuove birre provate. Innanzitutto la Wasabi, la nuova bitter del Diciottozerouno: aroma tra il terroso e il tostato di puro stampo inglese, inizialmente appare piuttosto annacquata - sì, lo so, "watery" è più figo, però questo vuol dire -, ma svela poi un ben riuscito connubio tra le note caramellate e l'amaro erbaceo in un finale notevolmente secco (quattro gradi alcolici e quattro gradi plato finali). Una birra che riesce bene nel suo intento dell'invitare a bere in quantità, come testimoniano anche le magliette dei ragazzi, che recitano "Stai prendendo troppe decisioni da sobrio. Possiamo aiutarti".

In secondo luogo la nuova creatura di Chiara Baù del Jeb, la Zaffron, golden ale allo zafferano coltivato vicino al birrificio nell'ambito di un progetto più ampio di valorizzazione dei prodotti del territorio.Lo zafferano in sé si accompagna bene alla golden ale, la più "neutra" tra le birre del Jeb nonostante la leggera punta speziata del lievito; forse l'avrei apprezzato leggermente più delicato, dato che risalta molto bene sia all'aroma che nel corpo - Chiara ha comunque confermato che sta pensando anche ad una versione meno aromatizzata. Va detto che lo zafferano non è comunque eccessivo neanche nella versione attuale; interessante sarebbe l'abbinamento con cibi che "chiamano" lo zafferano, come risotti o formaggi freschi, così che sia la birra e non la spezia a dare l'aromatizzazione. Degna di nota comunque anche la Indedark, nuova formulazione della oatmeal stout.

La Brasseria Alpina mi ha invece riservato la Sberla Nera (sorella maggiore della Berla Nera), una imperial stout "di quelle toste": nove gradi e una girandola di profumi e sapori tra il tostato, la liquirizia, il caffè, il cacao, e significative note balsamiche. Nota distintiva che ho trovato è il finale decisamente secco e amaro - 60 ibu -, che rende una birra dal corpo molto robusto e dalla gradazione alcolica alta decisamente beverina.

Non potevo poi mancare la black ipa Buco Nero del Calibro 22, fresca di primo premio nella sua categoria a Birra dell'Anno. In effetti è una birra che stupisce, a partire dalla generosa luppolatura agrumata; e il corpo, pur presentando i sapori tostati d'ordinanza, risulta comunque molto scorrevole nonostante gil oltre sei gradi alcolici. Finale secco e pulito, di un amaro resinoso persistente ma non invadente, che chiama il sorso successivo.





Da ultimo, ma non per importanza, La Gilda dei Nani birrai. Già avevo avuto modo di provare la scottish ale Cordis e la blonde ale al peperoncino Shire, così questa volta mi sono diretta sulla saison Kinzy. Una birra che personalmente ho trovato un po' sui generis all'interno dello stile, data la maniera in cui risalta la componente tra il fruttato e l'agrumato - che si coglie essere anche da luppolo, non solo da lievito - e che predomina sulla componente speziata; che ritorna poi come d'ordinanza in bocca, soprattutto sul finale.

Che dire, tra poche ore si ricomincia...per chi c'è vi aspetto!


mercoledì 22 marzo 2017

Birra nera e ostriche, le mie impressioni

Ho avuto il piacere di condurre venerdì scorso al Plus di Portogruaro la degustazione "Birra nera e ostriche", promossa dal Birrificio B2O - con la presenza del birraio Gianluca Feruglio -  e dallo spazio di coworking di cui sopra, con la partecipazione del Benaco 70 e Birra di Meni. Per il resoconto della degustazione rimando al post pubblicato sul sito del B2O; qui mi limito a qualche considerazione che la degustazione mi ha suscitato.


Innanzitutto, ho trovato indovinata la scelta delle birre sotto il profilo "didattico": tre birre nere sì, ma diversissime l'una dall'altra - una schwarz "sui generis" la Pirinat di Meni, una stout la Renera di B2O, e una porter torbata la Smoked Porter di Benaco 70. Per chi quindi si fosse sempre e solo limitate alla classica stout di impronta Guinness, l'occasione era ottima per scoprire che varietà di stili e sottostili si celino sotto al comun denominatore del colore nero.

In secondo luogo, le ho trovate essere tre birre che esprimono bene la "personalità", se così la possiamo definire, di ciascun birrificio e ciascun birraio. Ricca e robusta ma con una pulizia e "austerità" di fondo la Pirinat, a conferma del fatto che Meni gioca sì anche con sapori forti, ma rifuggendo "fronzoli" eccessivi; morbida e raffinata la Renera, con i toni di caffè, cacao e liquirizia che si armonizzano nel finale liquoroso e secco al tempo stesso - "emanazione" di un birraio che mi ha a volte dato l'idea di uno stilista che cerca di vestire le birre alla sua elegante maniera, spingendosi magari anche sulla linea del fuori stile (penso ad esempio alla Jam Session). Sperimentale infine, ma senza allontanarsi dallo stile di riferimento, la Smoked Porter: in coerenza con un birrificio che ha chiamato le sue birre con i nomi degli stili, pur senza esimersi dal darvi il proprio tocco.

In quanto all'abbinamento, ammetto che quello tra Pirinat e ostrica gratinata - per quanto azzeccato nell'usare il pane come "trait d'union" tra l'ostrica e il tostato della birra - ha forse scontato un po' il sapore molto deciso della gratinatura; che è arrivato quasi a sovrastare quello di una birra pur robusta, e che venerdì ho trovato peraltro particolarmente "in forma". Classico il secondo tra ostrica al naturale e Renera, che ha esemplificato in una maniera "da manuale" il contrasto tra il sapore del mare e quello dei malti scuri; e "da manuale" anche l'ultimo, che ha accompagnato con i sapori torbati la nota affumicata della pancetta. Al di là di questo, c'è da dire che parliamo di tre birre che si prestano ad essere apprezzate appieno anche da sole: cosa che del resto c'è stata la possibilità di fare, non essendo la quantità di ostriche tale da "assorbire" l'intero bicchiere.

Un complimento lo riservo poi al cuoco Paolo Gianola, che ha fatto un lavoro di fino tra ostriche, risotto al nero di seppia e focaccia, e a tutto lo staff del Plus.

Per concludere, interessante come sempre lo scambio che si crea tra conduttore della degustazione, birraio e partecipanti in questi casi: un confronto che non si è limitato alle birre nere, ma a questioni molto più ampie che hanno toccato l'iintero settore della birra artigianale italiana. Una volta di più un'occasione per fare cultura, che sarà tanto più valida quanto più riusciremo a portare queste degustazioni al di fuori dei loro spazi usuali.

Un ringraziamento a Vudù Films per le immagini.

lunedì 20 marzo 2017

Birra al calzino e pensieri in libertà

Veramente non era mia intenzione scrivere qualcosa sull'articolo di Valerio Visintin apparso il 17 novembre su Vivimilano del Corriere della Sera, con il provocatorio titolo de "L'era della birra al calzino"; non ritenevo infatti di dare seguito a quella che definirei appunto semplicemente una provocazione, basata peraltro su cliché riguardanti la birra artigianale non certo nuovi, e a cui già è stata ampiamente data risposta. Ma dato che continuo a ricevere provocazioni e richieste di opinioni in merito, eccomi a cedere alla vanesia dei fuffblogger - come nell'articolo vengono definiti - e a dare libero sfogo alla mia arte di scribacchina.

Do innanzitutto atto ad Eugenio Signoroni di aver dato forma in questo suo pezzo a buona parte dei pensieri che mi erano nati leggendo l'articolo: in particolare per quanto riguarda affermazioni del tipo "Purtroppo esiste un numero ancora troppo alto di persone che producono (e vendono) birra solo perché qualche amico un paio di volte gli ha detto che le prove casalinghe fatte nel garage e portate alla grigliata erano buonissime. O peggio ancora che produce solo perché crede nel sillogismo per cui visto che tutti parlano di birra artigianale allora con questa si fa una valanga di soldi" - o che sia una valida alternativa alla disoccupazione che purtroppo colpisce molti giovani, mi verrebbe da aggiungere: lode allo spirito imprenditoriale, senza dubbio, però senza le competenze necessarie non si va lontano. Lo stesso dicasi per la critica al paragone tra birra e vino in quanto al legame con il territorio - questione nota, ma evidentemente non chiara a tutti. Così come per quanto riguarda il concetto che "la birra artigianale, purtroppo, da più parti viene interpretata come l’eccezione e in quanto tale deve essere strana, eccentrica, con qualcosa di diverso dallo standard" - ma meno che in passato, mi verrebbe da dire, dato che tra i birrai vedo la volontà di tornare a produzioni più semplici e pulite.

A tal proposito mi è stata in qualche modo rivelatrice la visita alla Doemens Akademie di Grafelfing, una delle maggiori istutuzioni per quanto riguarda la formazione di mastri birrai. L'impressione che ne ho avuto è che in Germania fare la birra sia considerata una scienza e un mestiere, e per farla si studi e si studi tanto: chimica, fisica, biologia, legislazione relativa al settore birrario, e molto altro. In Italia, per contro - complice anche la limitatezza dell'offerta formativa in questo senso -, la scuola dei birrai è prevalentemente l'homebrewing - utilissimo, certo, ma l'equazione tra bravo homebrewer e bravo birraio non è automatica. Mi capita di sentire a volte qualche birraio italiano dire "Questa birra non mi è venuta come volevo, ma non so perché": ho pensato che un birraio tedesco non avrebbe magari saputo concepire quella ricetta lì - e in questo senso sono pienamente d'accordo con Alfonso Del Forno nel paragonare un bravo birraio ad un bravo chef -, però più facilmente avrebbe saputo dire perché, scientificamente parlando, la birra non è uscita come previsto. Questo per dire: la creatività i nostri birrai ce l'hanno, non posso che invitarli ad usarla bene, prendendo coscienza del fatto che formarsi anche sotto il profilo teorico è condizione necessaria per far fruttare al meglio l'esperienza pratica. Una consapevolezza che del resto si sta diffondendo, tanto che diversi birrai seguono corsi di formazione sia in Italia che all'estero; ma sono forse ancora pochi rispetto al totale.

Sottoscrivo anche la necessità di formarsi e di formare da parte dei ristoratori: purtroppo mi è capitato di sentire in certi ristoranti palesi inesattezze nel presentare le birre in listino, e la cosa non ha potuto che contrariarmi. Alcuni birrifici organizzano dei veri e propri momenti di formazione per i loro clienti e distributori, e sono convinta che sia la strada giusta; senza tralasciare le scuole alberghiere - anche questa una carenza nota da tempo, e che ci si sta muovendo per colmare. Il giorno in cui la maggior parte dei ristoratori sarà in grado di scegliere con cognizione di causa che birre tenere e presentarle nella maniera giusta avremo risolto molti dei problemi sollevati da Visintin. Nonché arginato il problema di chi, sia tra birrai che tra publican, lavorando male danneggia l'immagine di tutto il settore - chi di voi non ha un amico che ha una cattiva opinione della birra artigianale perché ne ha provata solo una, ed era per giunta fatta o servita male?

Devo però dar ragione a Visintin su un punto, quando parla di "estremizzazione culturale maturata nel mondo introverso dei birricoli": io stessa ho a volte la sensazione, quando parlo con appassionati di birra artigianale, di confrontarmi con una piccola cerchia di iniziati; in cui i pochi eletti avvezzi a gusti nobili snobbano chi quei nobili gusti non ce li ha e stroncano senza mezze misure quei birrai che a loro insindacabile giudizio non sfornano prodotti all'altezza dei loro palati. Ok, ho volutamente estremizzato, ma il senso della mia estremizzazione è "calmiamoci un po' tutti quanti": nessuno ha la verità in tasca, e - al di là del far notare eventuali difetti nella birra che stiamo bevendo, se abbiamo le conoscenze necessarie a farlo - dare della capra a chi non apprezza l'ultima barricata uscita dal blasonato birrificio XY mi pare francamente un po' eccessivo. Più volte nelle degustazioni che ho condotto ho sentito ad esempio persone chiedermi che cosa penso di una tal birra, affermando che non è di loro gusto, ma di sentirsi quasi "moralmente costretti" a berla da veri o presunti intenditori: un caso estremo per dire che la "fanatizzazione" del settore birrario è controproducente, allontanando anche chi magari sarebbe interessato a saperne di più. Se c'è chi ha gusti diversi dai nostri, ed è nella natura delle cose, spieghiamo il nostro punto di vista ma facciamocene una ragione senza giudicare. Né arrocchiamoci nel sillogismo secondo cui la birra artigianale è sempre buona e quella industriale sempre cattiva: sono due prodotti diversi, e sia nell'uno che nel'altro caso esistono esempi virtuosi e non, l'importante è saperli riconoscere. Se nascono articoli di questo tono - e non mi riferisco solo a questo perché non è il primo -, magari pure infarciti di inesattezze o affermazioni tendenziose, trovo che gli appassionati di birra artigianale debbano chiedersi se non sia stato il loro stesso comportamento a fornire parte del materiale per questi pezzi.

Un ultimo punto su cui mi sento chiamata in causa, poi, è quello dei "Fuffblogger". Da giornalista sono la prima a dire che purtroppo nel marasma del web c'è tanta gente - anche giornalisti professionisti miei colleghi - che scrive con scarsa cognizione di causa, senza la formazione adeguata per farlo, sia in termini di ortografia e sintassi che di contenuti. E questi danneggiano il settore intero tanto quanto il birraio che fa birra scadente o il publican che la serve male. Sono arrivata al punto di dovermi spesso "difendere" dall'etichetta di blogger, nella misura in cui il blogger è nella visione comune colui che chiede bottiglie gratis in assaggio e poi spara a zero senza sapere quel che dice, osannato o silurato da lettori che non sanno quel che leggono. Ho sempre difeso e sempre difenderò la professionalità che mi impone di (in)formarmi costantemente, di scrivere solo ed unicamente nel rispetto delle persone e del loro lavoro, di confrontarmi con il birraio sulle perplessità che nutro rispetto ad una sua birra prima di scriverne senza magari avere nemmeno le informazioni necessarie, nonché eventualmente di tacere. Essendo un blog niente più che un mezzo, il problema è come viene usato: e generalizzare considerando i blog e i blogger un male è sbagliato. Piuttosto, come lettori, premiate i blog e le testate validi: condividete i post, sosteneteli come potete (sì, anche economicamente, perché gli articoli che leggete online qualcuno li ha pur scritti: un abbonamento  a un giornale online non è una contraddizione in termini). E dico ai birrai: puntate all'informazione di qualità. Perché anche la buona comunicazione è un elemento fondamentale per andare oltre i luoghi comuni che la reazione all'articolo di Visintin ha messo all'indice.

martedì 14 marzo 2017

In quel di Graefelfing

Come alcuni di voi già sanno, la scorsa settimana sono stata a Graefelfing - a pochi km da Monaco di Baviera - per il corso di biersommelier alla Doemens Akademie, tra le maggiori istituzioni a livello internazionale in quanto a formazione e ricerca nel settore birrario. Certamente un passo importante per me e che non è ancora del tutto compiuto, dato che siamo solo a metà del corso; ma che già mi ha consentito di ampliare il mio bagaglio di conoscenze, soprattutto per quanto riguarda l'approccio tedesco all'arte brassicola - perché lì fare birra è una scienza, o almeno questo è il messaggio che passa a livello accademico. Appunto perché il corso non è ancora finito, non mi soffermo su quello; quanto piuttosto su alcune esperienze degustative interessanti che mi è capitato di fare in questa (lunga) settimana.

Già nella mia prima serata a Graefelfing ho fatto conoscenza della Uerige, una Altbier - stile pressoché sconosciuto in Italia, originario della zona di Duesseldorf, che ha la peculiarità di usare un lievito ad alta fermentazione a temperature più basse. Una birra sui generis all'interno dello stile: di colore marrone scuro, ha profumi tostati particolarmente intensi con qualche punta fruttata; e al corpo, che sa essere snello nonostante le note tostate siano ben presenti anche bocca, segue un finale di un amaro pieno per quanto non troppo persistente. Neanche 5 gradi e sentirli tutti, anzi di più, data la ricchezza di questa birra a livello sensoriale.

La vera "maratona" a livello degustativo è stata però la serata al Brauereigashof Hotel Aying, dopo aver visitato il birrificio Ayinger: quattro portate abbinate ad altrettante birre, rigorosamente brassate secondo l'editto di purezza e senza concedersi troppe libertà rispetto allo stile di riferimento - un po' l'approccio maggioritario in Germania: non famolo strano, ma famolo "pulito". La cena si è aperta con un filetto di trota alle erbette di campo con cavolfiere marinato e crema di peperoni rossi, abbinato ad una Pils. Sulla carta l'abbinamento mi aveva lasciata abbastanza perplessa, ma in realtà il leggero affumicato della trota ha fatto perfettamente il paio con l'amaro ebaceo della pils - stile peraltro adatto a non sovrastare i sapori - ulteriormente contrastato dalla dolcezza del peperone. Interessante anche il gioco tra la morbidezza del filetto e la croccantezza delle verdure, che alla rosa di diversi sapori ha aggiunto la rosa di diverse consistenze.

Come in tutte le cucine del centro-nord Europa, non poteva poi mancare la zuppa: in questo caso un ristretto di manzo, con uno knell (piccolo gnocco) di semolino all'erba cipollina e coriandoli di verdura, abbinato ad una Fruehlingsbier (birra di primavera, che predilige i toni dolci dolci e maltati). Qui l'abbinamento mi ha lasciata un po' più perplessa, nel senso che andare ad aggiungere dolcezza ad un brodo già di per sé molto saporito mi è sembrata un po' una forzatura; è altrettanto vero però che una birra del genere ha avuto la funzione di accompagnare il passaggio dall'umami deciso (eh già, umami is the new flavour: il famoso sapore identificato con il salato tipico di alcune pietanze orientali, o con il glutammato dei nostri dadi da brodo) della zuppa, al dolce mielato più delicato della birra, fino alla chiusura su un amaro gentile che smorzava i sapori precedenti.

Piatto centrale è stato il brasato di bue con sedano glassato e purè di patate al rafano, abbinato alla Urweisse: una weizen dal colore quasi ambrato e dalla notevole presenza di lievito, dai caratteristici aromi speziati e di banana, più piena delle weizen classiche in quanto a corpo e con un sottile amaro finale. Ancor più che alla carne l'ho vista accompagnarsi bene al puré, grazie al curioso gioco tra l'acidità del rafano e i toni di frumento della birra.

Infine il semifreddo alla birra con mini brioche accompagnato dalla Celebrator, la doppelbock della casa. In effetti come periodo c'eravamo: le Doppelbock sono storicamente state create dai monaci per affrontare il digiuno quaresimale grazie alla loro ricchezza nutritiva, e un grado alcolico più basso di quanto ci si potrebbe immaginare da una birra del genere (6,7 gradi, in Belgio sarebbe considerata poco più che acqua fresca). Profumi di caramello, frutta sotto spirito, finanche liquirizia - con qualche nota tra il vinoso e liquoroso - fanno da apripista ad un corpo ben pieno in cui i malti tostati (e il colore non lascia dubbio) fanno sentire tutta la loro forza, prima di un finale sì dolce e alcolico ma più attenuato di quanto ci si possa aspettare. Anche qui, la pienezza di questa birra farebbe presupporre un grado alcolico più elevato; senza tuttavia pregiudicare una relativa facilità di beva. Personalmente ho apprezzato l'accostamento tra due dolcezze diverse, quella maltata della birra e quella pannosa del gelato; due dolcezze in cui proprio la componente del cereale fungeva da trait d'union, essendo presente in entrambi. Una nota di merito al servizio impeccabile, oltre che al cuoco o cuochi che fossero.

Naturalmente il corso ha riservato molte altre degustazioni, coronate dall'esame finale del sabato (sei birre e sei difetti alla cieca); nonché condite dal confronto tra di noi, persone di provenienze e professionalità diverse - birrai, distributori, publican, ristoratori....-, e che è quindi risultato non meno importante delle lezioni propriamente intese. Un grazie a tutti i miei compagni di corso, e arrivederci a Santarcangelo di Romagna!

giovedì 2 marzo 2017

Una serata con Foglie d'Erba

Da qualche tempo non avevo occasione di degustare una birra di Foglie d'Erba, birrificio spesso sotto i riflettori date le notevoli performance ai concorsi - di cui l'ultimo, Birra dell'Anno, appena concluso: così con piacere ho partecipato alla serata organizzata alla Brasserie, con il birraio Gino Perissutti.

La serata prevedeva tre birre con altrettanti abbinamenti: la birra di frumento Joyce con la frittata alle erbe e patate, la tripel Gentle Giant con la polenta e formaggio erborinato, e la porter Hot Night at the Villlage Breakfast Edition con la gubana. Ho colto l'occasione per fare due parole con Gino a proposito della Joyce, una birra che volutamente sfugge a qualsiasi categorizzazione in uno stile preciso e che per questo ho definito (come del resto fa Gino stesso) semplicemente "birra di frumento". C'è chi afferma di cogliere aroma di banana, ma non è una weizen; qualcuno la classifica come blanche perché usa un lievito belga, frumento non maltato (un 40%), coriandolo e bucce d'arancia; eppure all'aroma non la si direbbe del tutto tale, data la robusta presenza del frumento mentre lievito e speziatura rimangono nelle retrovie. Una birra sui generis dunque, che Gino ha volutamente - così mi ha confermato ieri sera, quando gli ho chiesto delucidazioni - costruito come tale. La freschezza della Joyce e la leggera acidità finale si accostano bene al sapore dell'uovo, lasciando la bocca pulita - ho trovato cozzasse un po' di più con quello delle patate, ma la lascio come mia opinione-; fondamentalmente è comunque una birra versatile, data la sua facilità di beva e la sua delicatezza complessiva.


Del tutto indovinato ho trovato il secondo abbinamento, Gentle Giant con polenta e formaggio erborinato. Anche qui ho voluto scambiare due parole con Gino, in quanto si tratta di una birra che mi ha sempre lasciata perplessa: nel panorama di Foglie d'Erba, perlopiù di impronta anglosassone e dalle luppolature ben studiate, una dolce tripel di puro stampo belga ci azzecca poco. Semplice desiderio di sperimentare qualcosa di diverso, o c'è di più? Gino è una persona semplice, e quindi semplice è stata anche la risposta: volevo fare una birra diversa dalle altre, le tripel mi piacciono, e quindi ho fatto una tripel. Elementare, Watson. Stesso ragionamento anche per la Golem, una pils, unica bassa fermentazione di Foglie d'Erba. Come da stile, l'aroma unisce i toni caramellati del malto a quelli speziati e fruttati del lievito, con qualche punta alcolica (dopotutto fa 8 gradi); ma nonostante la dolcezza predominante al palato e l'assenza di amaro percepibile nel finale, chiude in maniera più secca di quanto ci si potrebbe aspettare. Ho trovato che si sposasse quindi bene con il formaggio fuso, andando a contrastare la sapidità con la dolcezza e la componente grassa con la secchezza finale.

Da ultimo la gubana con la Hot Night at the Village, nella sua versione con bacche di vaniglia del Madagascar e cacao. Per quanto l'abbinamento avesse il suo perché, accostando la frutta secca della gubana ai toni di cacao, la Hot Night at The Village - soprattutto in questa versione - rimane una birra da godersi così com'è, almeno a mio parere: tra i sapori di cacao ben spiccati, quelli tostati e di caffè, e i sentori di vaniglia, la complessità è tale da poter essere colta al meglio "da sola", magari sorseggiando la birra a temperature diverse per coglierne i cambiamenti - sfruttando peraltro la lunga persistenza, che fa da "ponte" tra assaggi successivi.

Una degna conclusione ad una serata piacevole, per la quale ringrazio Gino - per la chiacchierata e le birre -, e Matilde e lo staff - per la cucina e il servizio come sempre ben curati.