venerdì 29 aprile 2016

Santa Lucia, parte sesta: oltre i confini

Pur con notevole ritardo, aggiungo un paio di annotazioni su alcuni birrifici - e mi perdoneranno i numerosi altri - presenti, tramite i loro distributori, nell'ultimo weekend dedicato ai birrifici stranieri. 

A farmi una panoramica - anzi, a farmi fare una vera e propria verticale di assaggi - del birrificio spagnolo La Pirata è stato il caro Damiano, che mi ha fatta iniziare con la ipa Via Krucis - un nome, un programma, viste le numerose "stazioni" che mi aspettavano - : già da lì si nota una delle caratteristiche distintive di questo birrificio, ossia le luppolature audaci sottolineate ancor di più da corpi spesso scarichi a dispetto del grado alcolico. Qui l'agrumato del luppolo all'aroma arriva a ricordare distintamente di limone, che ritorna anche in chiusura; e tra i due c'è...il nulla, almeno dal punto di vista del malto, perché il corpo leggero ha piuttosto i toni dell'amaro resinoso del luppolo. Se vi piacciono le luppolature americane, fa senz'altro per voi; così come un'altra ipa, la Ay Caramela, che a una luppolatura altrettanto citrica fa però seguire un imprevedibile corpo tostato, quasi di mandorla - risultando di conseguenza più robusta al palato, forse l'unica ad esserlo in tutto il repertorio. Andando sullo speziato ho provato la Green Street Imperial Saison (e questo era uno stile che mi mancava; come prevedibile, una saison più corposa e più alcolica, vedasi la lavagnetta della foto): un tripudio di profumi dallo zenzero, al pepe, ai chiodi di garofano, al coriandolo (ognuno può sentirci un po' quel che vuole, diciamo...) che chiude con una "pepatura" decisamente pronunciata. Virando più verso il dolce sono passata alla amber ale Sanda, i cui profumi e sapori finali mi hanno ricordato l'uvetta sultanina; e infine la oatmeal stout Lab001, dall'aroma ben tostato, che nel corpo ricorda il caffè zuccherato e la liquirizia con una distinta nota alcolica finale. Se morbidezza dell'avena c'è, diciamo che è coperta dai sapori forti. Devo dire che a livello di gusti personali queste birre mi sono piaciute e le ho trovate di piacevole bevuta; devo però ammettere, come già accennato, che per molti aspetti potrebbero definirsi eccessive, anche se può discutere a lungo su dove stia (se c'è) la linea dell'eccesso, e su quale sia la differenza tra il superarla con la sregolatezza del genio e lo strafare volendo stupire ad ogni costo.

Sempre rimanendo in Spagna, 2Drink ha portatole birre della Bercelona Beer Company; ho provato la loro novità, la pale ale ByBear, che - al contrario della filosofia di lavoro de La Pirata - vede il luppolo fare la sua comparsa solo in chiusura, con un amaro trerroso "all'europea"; mentre al naso spiccano il caramello, il biscotto e anche qualche sentore tostato, che conduce in bocca ai sapori di nocciola. Per gli amanti del dolce, ma senza risultare stucchevole - data appunto la chiusura di cui parlavo.

Un'ultima annotazione su Beer Gate, che ha portato le birre britanniche di Durham Brewery, The White Hag, Great Newsome e By The Horns: e di quest'ultimo mi ha fatto assaggiare la Old Smoked Tea Bitter, reinterpretazione delle bitter inglesi con malto affumicato, té nero e té Earl Grey (al bergamotto) della Joes Tea Company. Devo dire che l'accostamento tra l'affumicato e il té mi ha sopresa: se all'aroma spicca di più il bergamotto, in bocca il sapore amaro del té nero crea un contrasto con i malti affumicati che si risolve poi amalgamandosi in maniera inaspettatamente armonica, soprattutto risolvendosi nel finale in cui ritorna l'agrume, che va a contrastare quella che - parlando del té - potrebbe essere percepita come astringenza.

E qui chiudo la mia panoramica su Santa Lucia, ringraziando tutti coloro che mi hanno calorosamente accolta ai loro stand.

sabato 23 aprile 2016

Un po' di sproloqui su Birra Del Borgo

Come di consueto quando arrivano notizie grosse di cui non ho l'esclusiva io, piuttosto che ripetere meccanicamente cose scritte da altri che comunque chiunque altro a quel punto avrà già letto preferisco starmene buonina: e infatti così ho fatto ieri, quando i birrofili sul web si sono infervorati alla notizia della cessione totale di Birra del Borgo al colosso multinazionale Ab Inbev - quella a cui fanno capo nomi come Beck's, Budweiser e Stella Artois, per intenderci, e che poco tempo fa aveva dovuto "lasciare" la Peroni alla giapponese Asahi per questioni di antitrust. Insomma, ciò che da tempo si paventava è avvenuto: anche in Italia i grandi gruppi fanno "shopping" di birrifici artigianali, come già accaduto all'estero.


Innanzitutto, c'è da dire che Leonardo Di Vincenzo avrà - ovviamente - fatto i suoi conti nel prendere una decisione che immagino non facile: così come - specie negli Usa - per una startup il più grande successo è considerato il fatto di vendere alle migliori condizioni possibili ad un'azienda più grande, così - cito il comunicato di Birra del Borgo riportato da Cronache di Birra - "La collaborazione darà a Birra del Borgo, uno dei più grandi produttori di birra artigianale in Italia, un’occasione unica per avviare gli investimenti necessari a favorirne lo sviluppo pur continuando a gestire autonomamente la propria attività e a definire le linee di crescita del brand. AB InBev fornirà il supporto necessario per consentire a Birra del Borgo di ampliare il suo know how e le infrastrutture, di continuare a innovare e creare nuove produzioni. Il fondatore, Leonardo Di Vincenzo continuerà a guidare Birra del Borgo come Amministratore Delegato della società". E fin qui, tutto chiaro: sono soldi freschi che entrano, che male non fanno, ed è pure garantita la continuità operativa (almeno sulla carta). Del resto, non ho potuto non sorridere alle parole di Diego Vitucci del Luppolo Station e Luppolo 12 che, commentando le polemiche relative alla questione, ha scritto: "A parlare sono buoni tutti... Poi i conti si faranno quando toccherà a ognuno di noi prendere delle decisioni del genere. [...] Se Borgo ha venduto a una multinazionale ,a quanto pare, per 30/50 milioni di euro... La cosa veramente interessante sono sti numeri, Non le scelte che hanno fatto loro, quelli non sono proprio cazzi nostri" (e pardon per il francesismo).

Non sono un'analista finanziaria né un'esperta di mercati: in quanto giornalista tendenzialmente faccio domande, per cui è più che altro questo che mi sono fatta. La prima riguarda gli sviluppi futuri in quanto al posizionamento di mercato. Alcuni publican, con in testa Manuele Colonna del Ma che siete venuti a fa' - più il già citato Diego Vitucci - hanno annunciato che non terranno più Birra del Borgo nei loro locali, coerentemente con la loro filosofia di lavoro che prevede di commercializzare solo i prodotti di birrifici indipendenti (e l'indipendenza è del resto sottolineata anche nella proposta di legge aui birrifici artigianali all'esame del Parlamento). Difficile credere che questi locali, con una simile scelta, si stiano - e perdonatemi il secondo francesismo - tagliando i gioiellini per fare dispetto alla moglie: la reputazione del "Macche" e degli altri pub di quel calibro non è certo costruita su un singolo marchio, ma sulla qualità complessiva dell'offerta e del servizio, per cui non perderanno clienti semplicemente perché non servono più Birra del Borgo. "Ho appena parlato con Jean Hummler del Moeder Lambic e siamo d'accordo nel rispondere in maniera unita tra locali europei nel rispondere no alla imminente corsa all'acquisizione che dopo gli Stati Uniti si abbatterà presto su di noi, siamo pronti a iniziative il prima possibile che ci vedranno uniti con birrai e publican europei, piccoli e non. Fateci rimanere liberi di scegliere, come lo dovrete essere voi", ha scritto Manuele. Anche Cantillon ha annunciato di aver cancellato la partecipazione di Birra del Borgo al prossimo Cantillon Quintessence. Allo stesso modo, locali che ancora la tengono potrebbero vedere frequentatori affezionati ma "puristi" dirigersi su altre birre, e "calibrare" i loro ordini di conseguenza. Fin qui, quindi, la cosa si risolverebbe a svantaggio di Birra del Borgo, ma è solo la prima parte della questione.

La seconda domanda, infatti, è l'altra faccia della medaglia della prima. E riguarda uno dei grandi campi su cui si gioca il testa a testa tra birrifici artigianali e quelli industriali, ossia quello della distribuzione. Indubbiamente Ab Inbev aprirà a Birra del Borgo canali distributivi prima impensati, soprattutto a livello internazionale - arena su cui sono ancora pochi i birrifici artigianali italiani ad essersi mossi in maniera rilevante. E posso immaginare che Ab Inbev non avrà l'intenzione di "soffocare" Birra del Borgo, che del resto non è propriamente un concorrente diretto non muovendosi esattamente sullo stesso segmento di mercato, ma piuttosto di "usarla" per entrare anche in quel segmento di mercato lì - e l'ingresso degli industriali nella stessa nicchia di mercato delle artigianali per fare i propri interessi a scapito dei birrifici indipendenti, ora sì diventati in tutto e per tutto concorrenti diretti, è appunto una delle cose più avversate. Che conseguenze avrà questo per birra del Borgo? La produzione rimarrà allo stesso livello qualitativo, anche a fronte di di esigenze maggiori in termini quantitativi e magari diverse in quanto a gusti, posti i più vasti canali distributivi, come Leonardo di Voncenzo assicura in un'intervista a Fermento Birra? E posto che - come tutti ci auguriamo - lo rimanga, assisteremo ad una battaglia impari tra gli altri birrifici italiani e Birra del Borgo, che disporrà di risorse molto più ampie in termini economici, di mezzi, e di know how? Domande che mi faccio al di là delle questioni ideologiche. Sperando che la ReAle rimaga sempre la ReAle.

mercoledì 20 aprile 2016

In quel di Villa Manin

Villa Manin è un posto in cui vado sempre con piacere, trattandosi di una magnifica villa veneta poco lontana da Udine; e con tanto più piacere ci sono andata ieri, essendo stata invitata a conoscere alcuni nuovi birrifici all'interno di un evento organizzato da Eurobevande. Alcuni dei presenti già mi erano noti, come il B2O e il Legnone; altri però "sbarcavano" per la prima volta in zona, come lo svedese Nils Oscar.

L'amico Kjell ("Si pronuncia Shell, come la conchiglia. O come la compagnia petrolifera, però mi pare meno bello") mi ha condotta in un viaggio attraverso birre assolutamente peculiari, almeno per i gusti italiani, tanto che credo di non aver mai assaggiato nulla di simile. La prima, la God Lager (god nel senso di buono: è svedese, non inglese) è - come dice il nome stesso - una lager bionda e intesa come la più semplice del repertorio, che però già al naso fa senitre una distintiva nota di miele e cereale che sovrasta la luppolatura floreale molto delicata; il corpo rimane comuqnue più legero di quanto ci si potrebbe aspettare, chiudendo poi con n amaro abbastanza secco. Abbiamo però cominciato a fare sul serio con la seconda, una Pale Ale dall'intensissima luppolatura agrumata - mi sembrava di avere in mano una manciata di coni di cascade, o qualcosa del genere - , fresca, e con un amaro che pur intenso non disturba in quanto controbilanciato dall'agrume. Sono rimasta stupita dal fatto che Kjell mi abbia presentato la Celebratio - un barley wine da 9 gradi, dagli intensi aromi e sapori torbati - prima della Double Ipa, preannunciata come l'asso nella manica della casa, dato che i barley wine di solito stanno per ultimi nelle degustazioni; ma poi ho capito il perhcé. Dopo questa double ipa, credete a me, qualsiasi altro sapore potrebbe non esistere più: agli aromi intensissimi tra l'erbaceo e il resinoso, in cui si nota tuttavia anche una punta di miele, fa seguito un corpo ben pieno ed un amaro potente - mi ha ricordato quasi quello del radicchio di Treviso. Tutte birre per palati forti e amanti dei gusti estremi, e per chi cerca qualcosa di assai peculiare - birraio svedese formaotis negli Usa, per la precisione: un connubio scandinavo-americano che non poteva che dare risultati fuori dagli schemi. In tutto ciò, ammetto che un giro in Svezia me lo farei volentieri: perché sono birre che necessitano sì di calma nella degustazione e che magari non berrei solo per togliere la sete, ma che ho trovato ben fatte e segno di maestria anche nel gestire i sapori forti - anche la lager del resto, dove sarebbe stato più difficile nascondere eventuali difetti dietro ad abbondanti luppolature, era pulita e senza sbavature.


Ho comunque fatto un'incursione anche al Legnone, e durante la piacevole chiacchierata con Giulio ho provato una delle loro birre che ancora mi mancava, la stout Spiga Nera. All'aroma ho percepito subito le fave di cacao, che personalmente apprezzo in maniera particolare; direi però che la nota distintiva di questa birra è la chiusura tra il buon tostato e l'acidulo da malto, che ho trovato particolarmente ben fatta e ben riuscita. Una stout semplice e senza eccessi, che però non cade per questo nella banalità.

Da ultimo ho provato un birrificio tedesco, il Braufactum, a proposito del quale Vincenzo - l'amico che mi ha invitata - mi aveva avvisato: questi reinterpretano. In effetti la prima che ho provato, la kolsch Colonia, presenta all'olfatto una luppolatura tra il floreale e l'erbaceo assai più intensa di quanto ci si aspetterebbe per lo stile, accompagnata comunque da note di miele e malto; ma ancor più fuori dai canoni ho trovato la seconda, la pale ale Palor, che nonostante il cascade e il citra ben presenti all'aroma una volta in bocca torna ad essere una birra tedesca, con la maltatura "da cereale" tipica delle birre continentali - a cui si accompagna una nota di caramello, con il malto caramel che dona anche colore. Sempre per rimanere fuori dagli schemi siamo passati alla Roog, una rauchweizen che unisce i malti affumicati, al caramel, a quello di frumento, ottenendo un colore scuro. All'aroma risalta in maniera quasi esclusiva l'affumicato, mentre al palato ritorna anche il frumento con una certa pastosità; mi sarei aspettata che in chiusura fosse di nuovo l'affumicato a persistere, invece quello si nota quasi di più in ingresso. Ha fatto seguito la Darkon, una schwarz in cui più che la componente tostata ho trovato spiccare quella del caramello - evidentemente al birraio piace...- e da ultimo la Clan, una scotch ale, forse l'unica a non avere un'impronta tedesca se non nella gradazione alcolica - appena 6,4 gradi, cosa che non avrei detto, dato che per aromi (soprattutto torbato), corpo e sapori è in tutto e per tutto aderente allo stile che dichiara. Se nel caso di Nils Oscar devono piacervi i saperi forti, qui devono piacervi le sperimentazioni e birre "originali", che arrivano anche a mescolare più stili senza necessariamente riconoscersi alla fine in quello dichiarato: legittimo, ma deve appunto piacere - posta l'assenza di difetti tecnici al di là di quelli specificatamente ricondicibili allo stile, che chiaramente non farebbero testo.

Chiudo con un ringraziamento a Vincenzo per il piacevole pomeriggio, e per avermi fatto conoscere - Legnone a parte - delle birre attualmente al di fuori dei circuiti distributivi comuni.

martedì 19 aprile 2016

Santa Lucia, parte quinta: varie ed eventuali

E' difficile trovare un filo conduttore a questa seconda parte, per cui me la sbrigo così. Inizio da una nuova conoscenza, il beerfirm Salgaro di Campodarsego, in attività da un anno e mezzo, la cui filosifia di lavoro è puntare alla facile bevibilità. Almeno per le due birre che hanno all'attivo - la light ipa New England e la red ale Rossa Intrigante - direi che ci sono riusciti: la seconda in particolare, quella che ho assaggiato, ha peraltro la peculiarità di unire un lievito belga con relativi aromi speziati al caramello della maltatura da bock e ai luppoli inglesi Admiral e East Kent Golding, creando un curioso gioco tra le tre componenti.

Vecchia conoscenza di Santa Lucia, ma nuova per me, è il birrificio Conense. Tra le tante ho provato la Milkshake, definita come Imperial Vanilla Milk Stout - e anche qui potremmo aprire un dibattito sul proliferare delle categorie, ma sorvoliamo - spillata a pompa. Ben marcato il caffè all'aroma, lascia trasparire una lieve vaniglia soltanto in chiusura, rifuggendo da soluzioni troppo dolci: è stato interessante peraltro farsi raccontare dai ragazzi come hanno lavorato i baccelli - pelandoli uno ad uno - per ottenere l'effetto desiderato, con ammirevole dedizione al lavoro...

Ho avuto poi modo di fermarmi con un po' più di calma da Borderline, peraltro fresco di premio Slow Food per la sua Ipa Simcoe, Robust Poter e Kolsch. Ho provato per prima la Celebration Pale Ale, brassata per il primo anniversario del birrificio, con fiocchi di avena e avena maltata: se all'aroma risalta bene l'agrumato del luppolo citra (come del resto il nome stesso dice) il corpo è tutt'altro che pungente, grazie anche alla nota di morbidezza dell'avena, e chiude con un amaro discreto che non cancella la componente maltata. Su tutt'altro tono la ipa London Docklands, una "vera ipa inglese" dallo spiccato amaro resinoso, con in più una lieve nota di tostato percepibile al palato. Due birre che, pur nelle loro peculiarità, qualificherei come pulite, senza eccessi - nemmeno per l'amaro della London Docklands - e ben costruite.


Spendo due parole anche per la Apa di Benaco 70, in edizione limitata, che ho avuto modo di riprovare dopo Rimini: questa volta ho apprezzato assai meglio il dry hopping con il luppolo Simcoe, che conferisce profumi di frutta esotica per un risultato finale fresco e dall'amaro meno pronunciato di altre dello stesso stile. Auguri peraltro a Erica e Riccardo, che hanno festeggiato proprio a Santa Lucia i tre anni di attività del birrificio; e di come si siano trovati a far nascere praticamente in contemporanea un birrificio e un figlio, fatevelo raccontare da loro (se vogliono).


Da ultimo, un appunto sulla scotch ale Winternest di Luckybrews: non solo perché è sempre un piacere, con i suoi forti aromi e sapori torbati e bassa carbonatazione (complice la spillatura a pompa), ma anche per il delizioso connubio con i tartufi al cioccolato fondente de La Bottega del Dolce, che ha saputo unire in maniera encomiabile i due sapori facendo sì - dote rara - che i due non si sovrastassero l'un l'altro. Anche questi sono i piaceri di Santa Lucia...

lunedì 18 aprile 2016

Santa Lucia, parte quarta: il gusto della sperimentazione

Nel weekend dei birrifici triveneti ne ho trovati diversi che si sono dilettati a sperimentare, vuoi "sfidando" il fuori stile, vuoi semplicemente provando qualcosa che non avevano mai provato prima. Anche per sperimentare però, come direbbero i friulani, "al ul mistir" (che tradotto letteralmente suonerebbe qualcosa come "ci vuole mestiere", ossia "bisogna saperlo fare", "ci vuole abilità"): ma devo dire di aver visto qualche risultato interessante.

Parto da Mr Sez, conoscenza a me ben nota, che si è cimentato in una cascadian dark ale in monoluppolo jarrillo ancora innominata. Complice la spillatura a pompa, già la schiuma era "buona" - sia per la consistenza, sia per il sapore tostato che ho colto "addentandola" -; e anche il monoluppolo fa il suo lavoro conferendo un aroma deciso, tra l'agrumato e la pera, che se la gioca con i toni di malto tostato e caffè. Sul finale ho percepito una leggera nota di liquirizia, prima di chiudere con un amaro abbastanza netto. Nel complesso una birra che ho apprezzato, e che pur tirando in ballo sapori forti non risulta eccessiva.

Un altro che ha voluto sperimentare è stato Villa Chazil con la sua Strar-ipa, una (dichiaratamente) "fuori stile" definita come "belgian ipa". Ai tre luppoli americani coltivati nel luppolaio di Nespoledo - willaimette, cascade e chinhook - è infatti stato unito un lievito belga, che dà una ben percepibile nota speziata al naso insieme ad un amaro floreale del willaimette, e zucchero candito, che contribuisce a rendere il corpo nettamente più dolce delle ipa canoniche esaltando la parte maltata. Anche il finale, di un amaro resinoso, quasi di pino, in cui risalta il chinhook, mi ha ricordato di più le birre continentali che quelle d'oltreoceano: ragion per cui, discutendo con Lucio, ho osservato che - per quanto sia una birra che incontra i gusti di chi non ama né gli eccessi agrumati né quelli amari di certe ipa - non la inquadrerei in questo stile. Cosa che, del resto, non era nemmeno del tutto nelle intenzioni.

Un altro birrificio che si è divertito a lanciarsi in nuove avventure non con gli stili ma usando luppoli a km zero è il Bradipongo con la pils Franzisca, con luppolo Perle fresco e in fiore coltivato da ormai una decina d'anni sulle pendici del Grappa e orzo dal padovano. Ammetto che inizialmente mi aveva lasciata perplessa, perché il luppolo si sentiva ben poco ed era viceversa abbastanza pungente l'odore del lievito; la temperatura leggermente più alta ha però riequilibrato le sorti della birra, facendo riemergere un pur lieve aroma tra l'erbaceo e lo speziato del luppolo, e rendendo maggior giustizia anche alla pienezza del cereale al palato. Rimane comunque del tutto peculiare nel panorama delle pils, meno aromatica e più "grezza" sotto il profilo del cereale - o almeno così l'ho percepita io - : peraltro Anna mi ha confermato che l'accoglienza della nuova pils al locale è stata molto buona, a conferma dell'interesse per le materie prime locali - oltre che del fatto che è evidentemente una birra che piace. Al di là delle mie personali perplessità iniziali sulla Franzisca, il Bradipongo è comunque ormai da tempo un caposaldo del panorama brassicolo veneto, forte anche dei numerosi riconoscimenti ricevuti - l'ultimo da Slow Food per la BradIpa -; e sono certa che anche in futuro Anna e Andrea non mancheranno di affinare ed ampliare ancora la loro produzione.

In fase sperimentale - nel senso che i birrai dicono di volerla ancora "aggiustare" - è poi la Cream Ale di Camerini - per ora battezzata "Scoppiettante", ma il nome non è definitivo -, in cui sia al naso che al palato risulta ben presente la dolcezza del mais di Maranello. Per quanto l'aroma possa far presagire una birra che sconfina nello zuccheroso, il corpo nel complesso non è squilibrato nonostante la notevole presenza del cereale; e anche il finale, per quanto rimanga sui toni dolci del mais, non sconfina nello stucchevole. Decisamente beverina e fresca, per quanto tutt'altro che secca. Attendo comunque futuri sviluppi, peraltro già annunciati, che potrebbero risultare interessanti; cosa che del resto vale anche per Villa Chazil, che ha annunciato l'arrivo di una milk stout con fave di cacao (che aspetto al varco).

Altra sperimentazione che ho provato è la Steel Rose di Baracca Beer, in cui ad una base weizen sono state aggiunte in fermentazione delle ciliegie selvatiche. La lavagnetta la definiva come "fruit sour", ma chi si aspetta di trovarvi sapori acidi o profumi intensi di ciliegia probabilmente onn troverà ciò che cerca: non solo la parte della frutta è molto delicata, ma anche la componente acida è quasi del tutto assente, tanto che all'aroma il connubio tra queste componenti più quella del frumento risulta in un profumo quasi floreale. Al corpo risalta bene il frumento, che ho trovato sposarsi bene con la dolcezza leggera della ciliegia: e nel complesso rimane infatti una birra dolce, fresca e beverina nonostante i sette gradi alcolici, piacevole, e ben distante da quella che un purista definirebbe una fruit sour.

Certo discutere di fuori stili o di sperimentazioni è sempre terreno spinoso, per cui - al di là del dire che le ho bevute volentieri, e rilevare eventuali aspetti che mi hanno sopresa o lasciata perplessa - non mi dilungo nella diatriba "famolo strano sì, famolo strano no" o "luppoli locali sì, luppoli locali no", che meriterebbe altre sedi ed altre voci; mi limito a passare al resto del resoconto del secondo weekend, rimanete sintonizzati....

mercoledì 13 aprile 2016

Santa Lucia, parte terza: i vecchi amici


Buona parte dei birrifici presenti a Santa Lucia erano a me già conosciuti; ed oltre ad essere stato un piacere ritrovarli, è stato un piacere provare le novità che alcuni di loro hanno portato. Il Croce di Malto esibiva ad esempio la Cabossa, una chocolate stout con fave di cacao spillata a pompa. Al naso spiccano i profumi delle fave tostate, che accompagnano anche il resto della bevuta in cui si ritrovano anche i toni del caffè; la tostatura rimane comunque la nota dominante, con una persistenza discretamente lunga nonostante il corpo non particolarmente robusto. Una birra che nel complesso ho apprezzato, e che conferma le opinioni positive che già ho espresso più di una volta sul Croce di Malto. 

Opinioni positive che del resto ho sempre avuto anche sul Birrificio di Cagliari, per quanto nel tempo l'abbia variata - se inizialmente avevo apprezzato in particolare la Figu Morisca al fico d'India, ora la trovo invece troppo dolce per i miei gusti. Bella sorpresa è invece stata la Mutta Affumiada, una lager ispirata alle rauch tedesche, ma con quel tocco di legame col territorio dato dalla presenza delle bacche di mirto. C'è da dire che personalmente amo le rauch, per cui, presentandomi una birra ispirata a queste, Marco è cascato bene già in partenza; ma al di là di questo ho apprezzato la leggera nota balsamica data dal mirto sul finale, che pur non andando ad imporsi sull'affumicato nel corpo, fa sì che la gola alla fine non risulti "riarsa" - ma al contrario discretamente "pulita" - come a volte accade con certe rauch particolarmente spinte.

Ottima impressione anche per quanto riguarda la Berla Nera della Brasseria Alpina, una oatmeal stout, questa volta aromatizzata alla liquirizia di montagna (in realtà si tratta della radice di una felce, il polypodium vulgare detto infatti "falsa liquirizia"). Già l'avena conferisce uuna notevole morbidezza; e questa ben si coniuga con la delicatezza della liquirizia di montagna, ben meno forte della liquirizia propriamente detta, che non va quindi a sovrapporsi ma ad armonizzarsi con il tostato del corpo dando - anche in questo caso - un tocco balsamico.

Piacevole riscoperta è stata poi la Summer del Jeb, che non bevevo da tempo: non ricordavo una tale rosa di profumi floreali, intensi ma allo stesso tempo delicati ed armonici, che lasciano poi spazio ad un corpo leggero e fresco che chiude sui toni amarognoli dell'agrume. Nota di merito anche alla birraia Chiara Baù che, come vedete nella foto, oltre a spillare birra ed accogliere gli avventori non si tira indietro nemmeno quando c'è da essere all'altezza della situazione - letteralmente - per allestire lo stand.

Ultima novità l'ho provata da L'Inconsueto, che ha portato quest'anno la sua Belgian Strong Ale: risaltano subito in forze i toni di miele e caramello, che fanno il paio con il corpo maltato ben pieno - maris otter, mi è stato riferito - ed una chiusura in cui continua a dominare la componente dolce e anche una lieve nota alcolica - lo zucchero scuro caramellato fa evidentemente il suo mestiere. Per gli amanti delle birre belghe "toste", patiti del luppolo astenersi.

Naturalmente non posso non nominare gli altri, da cui ho ribevuto coon piacere le birre che già avevo apprezzato: la white ipa Sirena del Della Granda e la Kalaveras di Terre d'Acquaviva, la Mummia di Montegioco - che ho per la prima volta provato alla spina, trovandola più morbida rispetto a quella in bottiglia -, la Deep Underground di Opperbacco: per concludere il quadro di un weekend in cui la qualità media delle birre che ho provato è stata più che soddisfacente.

martedì 12 aprile 2016

Santa Lucia, parte seconda: le nuove scoperte


Proseguo con i birrifici nuovi - almeno per me, e alcuni anche per la Fiera. Il primo che ho visitato è il Calibro 22 di Cavriglia (Arezzo), così chiamato "perché è una pistola di piccolo calibro: noi siamo piccolini", hanno spiegato Raimondo ed Elena. In effetti sono agli inizi, avendo aperto lo scorso giugno; ma contano comunque un discrteto repertorio con cinque birre. La portabandiera della casa è la One Shot One Kill, una session ipa (4,2 gradi alcolici, per lunghe bevute) dalla gradevole lupolatura tra il floreale e l'agrumato, corpo leggero, e ben attenuata e dissetante. C'è poi la apa CCCP, acronimo dei luppoli utilizzati (Cascade, Columbus, Centennial e Palisade: ho voluto fare l'acculturata facendo notare a Raimondo che la sigla in questione è in cirillico per cui in alfabeto latino sarebbe SSSR e l'acronimo non funziona più, ma mi ha zittita perché già lo sapeva); la bitter JB Fletcher; la pale ale Santa Barbara e la mild Dark Kiss, spillata a pompa pre l'occasione. In generale, una filosofia di birre semplici e pulite, di bassa gradazione, facile bevuta e senza aromi né sapori estremi, aderenti ai rispettivi stili.

Mi sono poi tolta la curiosità di assaggiare finalmente la Masalabir del birrificio Hibu, nome noto nel panorama brassicolo italiano con nove anni di attività e una trentina di birre all'attivo, ma che non avevo mai avuto occasione di conoscere personalmente. Trattasi di una ale aromatizzata ispirandosi al Masala, miscela di spezie usata in Nepal variabile a seconda dell'uso che se ne fa: tra le tante si trovano la curcuma, la cannella, il cardamomo, lo zenzero, i chiodi di garofano e il pepe. Il risultato è appunto una birra in cui le spezie hanno una presenza poderosa, che ad alcuni palati potrebbe forse risultare eccessiva; la consiglierei agli amanti di saison e affini, che troverebbero in questa - che rimane una birra fresca e profumata - una speziatura diversa ed originale. Da menzionare è poi il fatto che il ricavato della vendita della Masalabir - a "tiratura limitata" - sarà devoluto ad un progetto umanitario ideato dall'alpinista e medico Annalisa Fioretti, che trovandosi in Nepal durante il terremoto ha voluto dare seguito aiprimi soccorsi mettendo in piedi un progetto umanitario a lungo termine. Insomma, bevi e fai del bene. 

Altra nuova conoscenza è stata il Birrificio della Ghironda, dalla provincia di Bergamo, "in proprio" dallo scorso luglio dopo sei anni di beerfirm. Il repertorio - dato che alla musica si ispirano i nostri - è vasto, dalla alta alla bassa fermentazione: si va dalla tripel 3/8, alla bianche Aromatis, alla pils Ghirò, alla Ipa Mellis. Su consiglio del ragazzo allo stand ho provato la Rubis, una dubbel: classica belga di questo stile, ben mielosa al naso, con toni di zucchero caramellato in bocca. Ha comunque il merito di non essere stucchevole, grazie ad una leggera nota amara sul finale.

Da ultimo (ma non per importanza) il Sensolibero, il cui slogan è "Bevi ciò che sei": loro filosofia, come testimoniato anche dalla grafica che rappresenta in forma di bicchiere varie popolazioni del mondo, è fare birre semplici e aderenti ai rispettivi stili, ma che nella diversità di questi stili consentano a ciascuno di trovare la "sua birra" e di esprimersi. Il repertorio lo vedete nella foto (cliccate sopra per ingrandirla); su consiglio dei gentili signori allo stand ho provato la loro ultima nata, la Airtime session ipa - pare essere uno stile gettonato, dopo il l'epoca d'oro delle Ipa più estreme. In effetti si tratta di una birra semplice e che è ciò che dichiara di essere: aroma esotico, corpo leggero e rinfrescante, con un finale secco e di un gradevole amaro agrumato. 


Qualche novità l'ho poi trovata anche nei birrifici che già conoscevo...rimanete sintonizzati!

lunedì 11 aprile 2016

Santa Lucia, parte prima: timbriamo il cartellino

Anche querst'anno, come in molti già saprete, sono in prima linea con la Fiera della birra artigianale di Santa Lucia di Piave; che quest'anno peraltro ha proposto già dal primo weekend diversi birrifici a me nuovi. Per quanto non sia il primo che ho conosciuto, mi è venuto spontaneo iniziare con il Diciotto Zerouno: perché se io con questo post timbro il cartellino di inizio orario di lavoro, il nome dell'attività avviata da Marco e Davide in quel di Oleggio Castello è invece ispirata all'orario in cui timbrano per l'uscita dai rispettivi uffici e possono (finalmente) dedicarsi all'arte brassicola. Un fisioterapista e un consulente informatico hanno così avviato la loro attività nel 2014 in una cascina ristrutturata, dando anche un tocco di "colore locale" al tutto.



Il loro repertorio copre diversi stili - ed hanno pure insistito per farmelo assaggiare tutto, 'sti due poco di buono. Portabandiera della casa è la bohemian pilsner Caraibi, "aiutata" dall'acqua particolarmente dolce della zona: una birra semplice, pulita e aderente allo stile, con un tocco di personalità dato dall'aroma floreale del luppolo Saaz particolarmente intenso. Leggermente meno corposa e meno amara sul finale rispetto alle pils ceche, caratteristiche che, almeno al palato italiano, contribusicono a renderla ancor più facile a bersi. Sempre sulla stessa linea di "beverinità" troviamo la Flamingo, una american wheat pensata per le calde giornate estive, con aromi tra il pompelmo e la frutta tropicale dati dal cascade e dal galaxy; e la weizen Avorio (nome provvisorio, hanno specificato, ci stanno ancora lavorando...), dalla schiuma ben persistente e dagli aromi di banana come da manuale.

Venendo a qualcosa di un po' più complesso troviamo la saison Ocra, speziata con pepe rosa, coriandolo e scorza d'arancia. Interessante qui è soprattutto l'equilibrio dell'insieme, che la fa risultare una birra morbidissima e dalla speziatura delicata e rinfrescante, e grazie anche al finale leggermente acidulo non lascia alcuna persistenza "pungente". Più pungente - almeno per i miei gusti - ho invece trovato la apa Ruggine, che alla luppolatura americana abbastanza intensa unisce la scorza d'arancia amara, risultando sia al palato che nel finale di un amaro citrico ben pronunciato e appunto "pungente". Forse troppo per i miei gusti, ma sicuramente fa la felicità di chi ama questi sapori (chiedere a Enrico per relazione dettagliata).

Personalmente ho apprezzato di più la dark strong ale Granata, dall'aroma fruttato - dal melone, alla papaya, all'ananas, potete sentirci un po' quello che volete - dato dal magnum (a cui si aggiunge il willamette). Il corpo è decisamente dolce, tra il biscotto e il caramello, ma senza risultare stucchevole - tanto è vero che non lascia alcun retrogusto zuccheroso, ma chiude in maniera più secca di quanto ci si potrebbe aspettare per una birra del genere. Forse la meglio riuscita dal punto di vista tecnico è la Caraibi, ma questa è quella che più mi è piaciuta (ma si sa, i gusti sono gusti).

Una nota di merito, infine, ai due ceffi che vedete in foto: perché, se parte del lavoro del birraio è anche quella di saper accogliere l'avventore, lo sanno fare con passione ed entusiasmo. E qui me la sento di concludere con una loro chicca sul tema dei gusti personali: "Le birre sono come figli per noi, non è che ce n'è uno che ami più degli altri....però a qualcuno fai fare inegneria, qualcun altro lo mandi a zappare i campi!". Arrivederci al prossimo post...

lunedì 4 aprile 2016

Ultime evoluzioni in casa Sancolodi

Trovandomi dalle parti di Vicenza, non ho potuto mancare un passaggio da Sancolodi: del resto fermarmi da quelle parti è sempre per me un grande piacere, non solo per il buon cibo e la buona birra, ma anche per l'aria di famiglia che vi si respira. Roberto, Luca e Alessandro mi hanno accolta con il consueto calore, e soprattutto con le birre: e devo ammettere che, dato il carattere assai informale della serata, l'ordine in cui le abbiamo degustate è stato tale da far gridare all'eresia non dico un esperto, ma chiunque abbia un minimo di conoscenza in questo campo. Ma tant'è, le abbiamo comunque apprezzate; e a "pulire" la bocca tra una e l'altra ci ha pensato la pizza di Roberto, appositamente poco condita e leggera per andare ad influire il meno possibile sui sapori.

La prima della lista è stata la stout di casa Sancolodi nella nuova ricetta, a cui è stata eliminata l'avena e aggiunti i fiocchi d'orzo, nonché una buona dose di luppolo in amaro - stiamo parlando di una birra da 60 ibu. Ammetto che al naso mi aveva lasciata un attimo perplessa, perché a spiccare, invece della tradizionale rosa delle stout - tostato, caffè, cioccolato, liquirizia e affini - era invece la componente del luppolo, cosa che non appartiene allo stile; è bastato però avere un attimo di pazienza che la birra si scaldasse e raggiungesse la sua temperatuta ideale per renderle giustizia. Per quanto l'aroma non sia in ogni caso particolarmente pronunciato, la sorpresa arriva al primo sorso: particolarmente calda, quasi liquorosa, tanto da apparire più alcolica dei suoi sei gradi, con una lunga persistenza da liquore al caffè che non lascia tuttavia alcuna nota dolce. Ben presente e tenace anche la schiuma, che nonostante la grana non proprio sottilissima regge praticamente per tutta la bevuta, accompagnando - con il suo accentuare l'amaro - l'intera degustazione. Personalmente l'ho apprezzata più della precedente, in cui avevo colto dei residui di acidità da malto base. Una birra per gli amanti delle stout di buon corpo, ma che trovano da obiettare su quelle che indugiano troppo sulla componente dolce.

Il secondo step è stata la birra alle castagne, che avevo assaggiato solo nella versione della stagione scorsa (nella foto vedete un soddisfatto Roberto dietro al bicchiere). Sulla base della loro brown ale, i Sancolodi hanno aggiunto castagne lessate e arrostite. Sia all'aroma che in bocca le note di caldarrosta rimangono molto morbide e delicate - e via via più evidenti con la temperatura -, tanto da non sovrastare ma piuttosto accompagnare la base maltata, tra il biscotto e il caramello, della brown ale. Sul finale rimane moderatamente dolce ma non stucchevole, senza lunghe persistenze, coerentemente con la volontà di fare una birra "discreta" pur partendo dalla base di un sapore discretamente forte qual è quello delle castagne. Anche in questo caso, una versione più elegante e pulita della precedente, che presentava qualche spigolosità in più soprattutto al palato.


Da ultimo la brown ale, anche qui in nuova ricetta, monoluppolo northern brewer - un luppolo originario dell'Inghilterra, usato prevalentemente in amaro. La componente di amaro è infatti nettamente più accentuata rispetto alla versione precedente, pur senza perdere l'equilibrio dell'insieme, valorizzato da un finale ben pulito e secco - ben più della versione precedente, che strizzava maggiormente l'occhio alla componente caramellata del malto.  Non mi soffermo invece sulla lager helles, che è ormai una certezza ed è mantenuta tale, visti anche i riconoscimenti che sta ottenendo.

Non mi rimane che ringraziare ancora i Sancolodi per l'accoglienza e la piacevole serata in amicizia, oltre che per le birre, che ho trovato evolute in maniera interessante nella costante tensione a sperimentare - ed auspicabilmente migliorare - che caratterizza i tre fratelli. Ora rimane una kriek del 2014 da stappare, che a sentire Roberto promette bene: rimanete sintonizzati...



venerdì 1 aprile 2016

Se il barrique è di castagno

Ho avuto ieri sera il piacere di condurre a Pordenone una delle serate della manifestazione Villa Cattaneo Incontra, in cui diverse aziende del territorio hanno l'opportunità di presentarsi. Nel caso di specie si trattava del Parco Agroalimentare Friulano, che riunisce oltre un migliaio di aziende nell'area di San Daniele - dai produttori di prosciutti, a quelli di formaggi, a quelli di prodotti da forno - rappresentato dal presidente Claudio Filipuzzi; e il tutto si è concluso con la presentazione di un'altra azienda locale già nota ai lettori di questo blog, Birra Galassia, che ha portato le sue birre da degustare in abbinamento con gli stuzzichini preparati da Germano Vincenzutto - anche lui già noto ai lettori del blog.

Non mi dilungherò nella descrizione delle tre birre di Galassia - Nova, Colony e Galassia - su cui già più volte mi sono espressa (chi non avesse avuto modo di leggere o non ricordasse, clicchi qui e qui); due parole meritano però gli abbinamenti particolarmente riusciti di cui vedete due foto - Nova con prosciutto San Daniele e composta al figo moro; Colony con carne salada di maiale; Galassia con frant e cren. In particolare ho apprezzato il secondo, dato che l'amaro acre ma non invadente della Colony - che va a bilanciare i toni di nocciola che lo precedono - fa il paio con i sapori forti della carne secca di maiale andando ad ingentilirli.

Chicca della serata dal punto di vista birrario è però stata una piccola anteprima delle sperimentazioni in botte che Birra Galassia - e Christian in particolare - sta conducendo: nella fattispecie un lambic di due anni, maturato un anno e mezzo in botti di castagno. Se l'aroma farebbe presagire un'acidità abbastanza spiccata, quasi pungente, in bocca risulta decisamente più morbido e vellutato di quanto ci si potrebbe aspettare; e in chiusura arriva, insieme alla caratteristica persistenza acida dei lambic, una nota più dolce che a me ha richiamato appunto il miele di castagno - che diventa peraltro sempre più notevole anche all'aroma con il salire della temperatura. Ho trovato peraltro che facesse molto bene il paio con il frant e soprattutto con il prosciutto, andando a contrastare la componente dolce e a pulire quella grassa.

Per ora si tratta appunto di un'anteprima, ma c'è altro che bolle in pentola - pardon, che matura in botte: non resta che aspettare Christian e soci al varco all'Arrogant Sour Festival di Reggio Emilia, dal 3 al 5 giugno, a cui i ragazzi saranno presenti.