venerdì 24 maggio 2019

Birre e birrifici, qualche pensiero sui trend

Sono riuscita soltanto ora a sedermi a leggere con calma il Report 2018 di Unionbirrai, su cui già aveva scritto un'analisi (che sostanzialmente condivido) Andrea Turco di Cronache di Birra in questo articolo. La cosa mi ha stimolato a rivedere un'analisi uscita qualche tempo fa sui birrifici specificatamente friulani, elaborata dall'Ufficio studi di Confartigianato Udine a fine 2018. Va detto che le due indagini non sono del tutto sovrapponibili a causa di alcune differenze metodologiche: su tutto basti citare il fatto che Confartigianato conta 44 piccole imprese attive in Regione nel settore birrario, contro le 34 di Unionbirrai (differenza dovuta al diverso modo di conteggiare i beerfirm, oltre al fatto che i dati Unionbirrai sono riferiti al 2017 e quelli della Cciaa al 30 giugno 2018). Ma ad ogni modo gli spunti di riflessione principali rimangono validi.


Innanzitutto va rilevato che in Fvg il "boom" dei birrifici artigianali sembrerebbe più impetuoso rispetto al dato nazionale: se secondo i dati di Unionbirrai i birrifici sono aumentati del 55% dal 2015, in Regione dal 2015 ne hanno aperto ben 18 su 26 presenti in precedenza. Ne risulta quindi un aumento quasi del 70%. Considerando però che il dato va "corretto" per i beerfirm, che in Fvg risultano essere il 20% del totale (anche se alcuni di questi hanno aperto prima del 2015) e per le aperture dei primi sei mesi del 2018, il trend è solo di poco superiore. Anche il dato che riporta un 16% di brewpub sul totale, se corretto al netto dei beerfirm (9), si avvicina maggiormente al 24% nazionale - e qui mi sarei forse aspettata una percentuale leggermente superiore piuttosto che inferiore al dato italiano, essendo il Fvg terra di alcuni tra i primi brewpub all'inizio degli anni 90.

Il punto più significativo è il confronto per quanto riguarda quelli che nel report Unionbirrai sono classificati come birrifici agricoli, e che a livello nazionale sono il 19%. Nell'indagine Unioncamere non sono classificati a parte; tuttavia, vedendo la lista delle 44 aziende censite, personalmente ne conto una quindicina che so essere birrifici agricoli. Siamo quindi a circa un terzo delle aziende, contro un quinto nel panorama italiano. Anche questo dato, tuttavia, merita di essere ulteriormente analizzato. Innanzitutto non è vera per tutti la considerazione secondo cui quella brassicola è un'attività secondaria rispetto a quella agricola: per almeno quattro di questi la decisione di coltivare l'orzo è nata dopo l'avvio della produzione di birra (e qui sarebbe ipocrita negare che il trattamento fiscale di maggior favore per le aziende agricole possa essere una delle motivazioni), e per altri due è stata sostanzialmente concomitante. Anche per quelle aziende agricole in cui invece la birra è stata un ampliamento della precedente attività, nel prenderle in considerazione non si può prescindere dal ruolo svolto dall'Asprom - di cui ho già parlato qui: per quanto la maggior parte degli oltre ottanta retisti si limiti a fornire l'orzo poi utilizzato per la vendita di malto all'industria (cito su tutti Peroni per la "nuova" Dormisch) o per la birra a marchio "Centparcent furlane", alcuni di questi utilizzano l'impianto turnario Asprom di Pocenia - con un mastro birraio dedicato - per produrre birre a marchio proprio. Potremmo quindi definirli dei beerfirm sui generis, in quanto mettono insieme l'autoproduzione delle materie prime con l'appoggio ad un impianto esterno. Fattore determinante è ovviamente la presenza non solo di numerose aziende agricole, in quella che è una regione - appunto - storicamente agricola; ma - discorso che può essere esteso anche al Veneto - anche di tante cantine: lo sprone all'allargamento e diversificazione della produzione è infatti arrivato in molti casi in aziende che già producevano vino.

Naturalmente è superflua la considerazione per cui, sia per le cantine che per le aziende agricole tout court, i risultati sono stati quantomai diversificati: chi ha fatto buoni investimenti, e soprattutto si è affidato ad un mastro birraio capace (vuoi esterno all'azienda, vuoi formando adeguatamente qualcuno all'interno), ha ottenuto birre che hanno saputo farsi apprezzare; chi viceversa non ha fatto scelte felici in termini di investimento e di personale, o (peggio) ha avuto la presunzione di fare da sé senza possedere le competenze adeguate, ha fatto uscire dai propri impianti birre discutibili. E questo al di là del fatto che la decisione di produrre birra possa aver avuto motivazioni puramente commerciali invece che di passione. Intendiamoci: non intendo qui demonizzare questa scelta, che - posto che un'azienda deve fare utili - è del tutto legittima; semplicemente stiamo parlando di un contesto imprenditoriale diverso da quello dei birrifici artigianali strettamente intesi. Certo è auspicabile, naturalmente, la trasparenza verso il consumatore: e a questo proposito apprezzo molto la scelta fatta da alcune di queste aziende di indicare chiaramente in etichetta chi e dove produce le materie prime, e chi e dove produce la birra - andando in dettaglio anche oltre gli obblighi di legge.


Alla fine di tutto questo discorso, naturalmente, c'è da chiedersi come questa peculiarità possa influire sullo sviluppo della birra artigianale in Regione. Sicuramente questo ha fatto sì che - vedi anche le leggi regionali approvate, sia in Fvg che in Veneto - ci sia un'attenzione particolare per lo sviluppo di una filiera locale delle materie prime. Questo però, come già ho osservato, lo vedrei rientrare non tanto nella promozione della birra artigianale in sé (che come tale può essere di ottima qualità anche con materie prime acquistate altrove), quanto per la promozione dei prodotti agricoli locali: se le due cose vanno di pari passo, ben venga (e anzi ci sono diversi esempi virtuosi in questo senso), ma credo sia bene tenere presente che non sono del tutto sovrapponibili. Anzi, tenere insieme questi due aspetti richiede un'ancora maggiore consapevolezza da parte dei birrai: se rifornirsi di materie prime locali implica, per forza di cose, limitare la varietà di malti e di luppoli a cui si ha accesso, è necessario lavorare di conseguenza - se non altro per l'ovvia ragione di non arrivare ad esempio alla forzatura di utilizzare luppoli autoprodotti di qualità scadente a causa delle condizioni ambientali inadeguate a quella specifica varietà, o a non usare le tipologie di malto più appropriate per un certo stile semplicemente perché queste non rientrano tra quelle prodotte con il proprio orzo. Insomma, come tutte le cose la filiera locale va usata con consapevolezza, perché sia funzionale allo sviluppo dell'azienda e non le tarpi le ali per la scarsa qualità o la scelta limitata delle materie prime. Fortunatamente Ersa e Università di Udine stanno lavorando da anni alla produzione di varietà sia di orzo che di luppolo che possano essere coltivate con successo in loco: vedremo che frutti questa ricerca porterà anche nei prossimi anni.

martedì 14 maggio 2019

Birre "ancestrali"

La seconda tappa del mio tour nelle Marche è stata al birrificio IBEER di Fabriano, che già avevo visitato un paio d'anni fa in occasione dell'assemblea annuale dell'associazione Le Donne della Birra; e da allora sono rimasta in contatto con Giovanna Merloni, la birraia, avendo modo di apprezzare sia le sue creazioni brassicole che la sua notevole inventiva nel promuoverle - cito su tutte "La Borsa della Birra", con le quotazioni delle diverse birre che variano nel corso della serata. E' stato quindi un onore per me essere invitata da lei, da poco diventata campionessa italiana dei biersommelier, a condurre una degustazione a Lo Sverso - locale in centro città: diciamo che ero incerta se sentirmi come ai tempi dell'università, davanti ad una professoressa all'esame, o estremamente soddisfatta di essere stata ammessa nel vip club. Scherzi a parte, davvero è stato un piacere; e preparare e condurre la degustazione con lei è stata una preziosa occasione di scambio e di apprendimento da qualcuno che ha un'esperienza più lunga della mia e un bagaglio di conoscenze più vasto.

Il tema scelto per la degustazione è stato "Birre ancestrali", facendo rientrare in questa definizione sia alcune di quelle che il Bjcp inserisce nella categoria delle birre storiche, sia alcuni stili o metodi di produzione poco utilizzati; e facendo riferimento sia a birre di IBEER che di altri birrifici. A ciascuna è stato poi accostato un abbinamento gastronomico, preparato dalle abili mani di Donatella Bartolomei. Hanno così "sfilato" nell'ordine la Grodziskie di B2O abbinata ad un tipico salume locale, la Gose all'ananas di Evoqe con un'insalata di legumi e mango, la Never Mild - una mild, naturalmente - di IBEER accanto ad un crostino con burro e alici, il Sahti di Bionoc'-Asso di Coppe accostato a dei bocconcini di cinghiale, e la Iga "A testa in giù" con Lacrima di Moro d'Alba, sempre di IBEER, con una mousse al cioccolato bianco e frutti di bosco.

Della Grodziskie di B2O ho già parlato diverse volte: semplice e beverina per lo stile, con una componente affumicata tutto sommato delicata, ha aggiunto una leggera nota di carattere al salume contribuendo allo stesso tempo a "sgrassarlo" con il suo tono acidulo. Più "originale" la Gose di Evoqe, che riprendendo la tradizione di salare la frutta tipica di alcune tradizione culinarie ha, per così dire, salato l'ananas con un finale del tutto peculiare molto rinfrescante; e che si amalgamava bene con l'insalata, unendo anch'essa fruttato e salato. Nel caso dell'abbinamento tra Mild e crostino il "rapporto di forza" tra birra e cibo tornava di nuovo a favore del cibo, essendo la Never Mild - come da stile - di una dolcezza biscottato-caramellata elegante e non invadente; che ha fatto da buono "sfondo" alla sapidità delle alici sul crostino, con la dolcezza salata del burro a fare da legante.

Due parole a parte merita il Sahti di Bionoc'-Asso di Coppe, realizzato appunto da Nicola Coppe all'interno del progetto portato avanti congiuntamente da lui e dal birrificio. Pur essendo realizzato nella maniera quanto più tradizionale possibile - cereali misti cotti per ore ad un singolo step di temperatura, senza mai arrivare ad ebollizione, in una botte di rovere per simulare i tronchi anticamente usati; e filtrata con i rami di ginepro lasciati in infusione - è stato poi fatto fermentare con miele di melata di bosco e maturato per oltre un anno in botti di rovere, dove ha continuato a fermentare per ben otto mesi raggiungendo il ragguardevole traguardo degli oltre dieci gradi alcolici. Il risultato è quindi un Sahti sui generis, molto diverso da altri che mi era capitato di assaggiare in precedenza; in quanto a dominare sulla notevole complessità sia del corpo che dell'aroma - dal cereale puro, a note quasi caramellate, a quelle balsamiche - sono i toni elegantemente aciduli del legno. Indovinato anche l'accostamento al cinghiale, in quanto la robustezza sia della birra che del cibo andavano di pari passo.

Da ultimo la Iga di IBEER, inserita nella degustazione non perché si tratti di uno stile storico, quanto perché è storico il procedimento con cui Giovanna l'ha realizzata: la birra ha infatti riposato "a testa in giù", come nel metodo classico di produzione dei vini spumanti, sulle fecce del vitigno, per oltre un anno. Il risultato è stata una birra intrigante e complessa, in cui la Lacrima di Moro d'Alba - vitigno a bacca rossa tipico della zona di Jesi - si fa sentire bene ed è chiaramente distinguibile, pur ben armonizzato nell'insieme, anche da chi - come me - non l'avesse mai provato prima. L'abbinamento con il dolce ha fatto il paio in particolare con i frutti rossi, nel gioco di contrasti tra l'acidulo fruttato e la dolcezza grassa del cioccolato bianco.

A conclusione del tutto, un piacevole finale con i cocktail elaborati con la Mild di Giovanna da Silvia Piergigli, del Corallino Coffe'n'cocktails di Falconara Marittima: un capitolo, quello della mixology, che per quanto riguarda la birra mi ha sempre lasciata personalmente un po' sulla difensiva; ma che si sta rivelando terreno fertile per le idee di chi si occupa di questo settore e ci sa fare.

Nell'insieme devo dire di aver trovato un pubblico decisamente interessato - oltre che "fidelizzato", essendo questo incontro parte di un ciclo organizzato da Giovanna a Lo Sverso - , anche se non necessariamente esperto di birra nel senso tecnico del termine; che infatti si è accostato con spirito di curiosità a birre anche non facili. Sicuramente anche il contesto è stato adatto, in quanto Lo Sverso è un locale accogliente ma non troppo grande, che si presta a simili eventi essendo strutturato su due sale. Una formula che mi è sembrata insomma ben riuscita, e che sicuramente può offrire in futuro altre occasioni per fare cultura birraria.

Ringrazio di nuovo Giovanna e tutto lo staff de Lo Sverso per la cordiale ospitalità!

lunedì 13 maggio 2019

La birra di Morrovalle

Se non sapete dove si trova Morrovalle vi ritengo più che giustificati, dato che nemmeno io avevo mai sentito nominare questo paesino in provincia di Macerata; fino a quando non ho colto l'invito di Alessandro Dichiara, birraio formatosi al Cerb e poi alla Doemens (dove l'ho conosciuto), a visitare il suo birrificio aperto a fine 2018. Il nome prescelto è stato Sothis, divinità egizia identificata con la stella Sirio, in virtù della sua passione per la mitologia egizia e per l'astronomia; e anche tre delle sei birre in repertorio sono state battezzate con nomi di ispirazione egizia - anche se Alessandro mi ha riferito che in zona è conosciuta come "la birra di Morrovalle".

L'ispirazione di Alessandro è fondamentalmente britannica, pur spaziando anche su altri stili; e lo si coglie probabilmente al meglio nella sua Fotone. Sulla carta una american ipa, in virtù della luppolatura tra l'agrumato e la frutta tropicale - sempre con una prevalenza però di toni asprigni su quelli dolci -, esibisce poi un corpo robusto con note tostate e biscottate più affine alle ipa inglesi che a quelle Usa, che prediligono maggiore snellezza per amor di bevibilità; prima di un finale di un amaro netto e acre, tra l'erbaceo e il citrico, lungo e persistente, che nulla concede a toni più morbidi, per quanto non superi mai il confine dell'invadenza. Una birra che suggerirei agli amanti delle ipa inglesi "veraci", che la troveranno sicuramente ben costruita nell'equilibrare la robustezza sia del corpo che del finale e l'amaro "genuino".

La predilezione di Alessandro per la tradizione inglese traspare poi anche nella Ptah, una English Pale Ale che nel berla mi ha fatto proprio pensare alla canonica descrizione di come debbano essere le birre nate a Burton upon Trent. In virtù dall'amaro netto ma "neutro" sul finale, peraltro, si rivela discretamente versatile negli abbinamenti: nel corso della cena da Armida - ristorante di specialità locali, dove abbiamo cenato con le birre di Alessandro - l'abbiamo usata infatti per accompagnare una serie di antipasti misti molto diversi tra loro - dagli affettati, ai formaggi, fino alla frittata con la coratella l'agnello.

Ottima nell'abbinamento si è dimostrata anche la Dunkelweizen Renenet, interpretazione a mio avviso ben riuscita dello stile nel coniugare con equilibrio il caramello tostato del malto con la componente aromatica del lievito caratteristico: abbiamo infatti "osato" accostarla al bis di primi - tagliatelle "da Armida" al ragù di capriolo e tartufo, e ravioli al ragù di cervo ripieni di burrata - giudicando indovinato il modo in cui il caramello sposava sia la carne che il formaggio, mentre l'acidulo finale puliva i sapori forti.

La carrellata di birre comprende poi la Nepri, una blanche che alle spezie d'ordinanza aggiunge l'anice: in realtà in maniera un po' troppo preminente per i miei gusti, dato che tende a sovrastare arancia e coriandolo. Non ha in ogni caso sfigurato nell'accompagnare i secondi, spezzatino di cervo e cinghiale, dato che andava sostanzialmente a speziare la carne.

Il panorama si completa con la Giapeto, una smoked porter che punta un maniera decisa sui toni affumicati - la vedrei meglio con una carne alla brace o con un cioccolato al tabacco che con il tradizionale dessert al cioccolato - e con la Prototipo, una Golden Ale beverina e semplice - ma non banale, nel conservare comunque una componente di cereale fresco nel corpo che si accosta all'agrumato del Mandarina Bavaria.

Nel complesso ho trovato le birre di Sothis più "mature" e studiate di quelle che mediamente i birrifici producono a pochi mesi dall'apertura; segno evidentemente di un lavoro precedente che ha portato a non improvvisarle, e che auspicabilmente costituirà una buona base per futuri aggiustamenti e per nuove birre.