lunedì 30 maggio 2016

Una birra oltre confine

Cogliendo l'invito di alcuni amici, sono stata ieri a fare ina pedalata nei dintorni di Caporetto; e una volta rientrati, data l'ovvia necessità di reintegrare i sali minerali perduti, la birra d'ordinanza non poteva mancare. Ci siamo così fermati in un bar nella piazza del paese che i nostri amici stessi ci avevano suggerito, dato che tiene - sia in bottiglia che alla spina - le birre di due birrifici sloveni: il locale Pivovarna 1713, e il più noto Reservoir Dogs di Solkan - a pochi km da Gorizia. Abbiamo puntato dritti alle spine, tra le quali c'erano disponibili la ipa Bloody Executioner del primo, e la pale ale Warrior del secondo.

Tra le due, diciamo che la Warrior era quella che più poteva starci per dissetarsi dopo la pedalata: aroma fruttato - più tendente verso la frutta tropicale che verso gli agrumi - ed elegante, che si amalgama con quello leggermente caramellato del malto; che non prelude però ad un corpo eccessivamente dolce, ma che anzi rimane leggero e rinfrescante pur mantenendo sullo sfondo i toni del caramello e del miele. La componente amara, tra il citrico e il resinoso, arriva solo nella chiusura moderatamente secca; senza comunque risultare intenso né persistente, coerentemente con una birra che vuole rimanere facilmente bevibile ed evitare di conseguenza sapori ed aromi troppo forti. Semplice e gradevole, con un buon equilibrio tra le varie componenti.

Di altro genere la Bloody Executioner, che fa subito sentire in forze la buona dose di luppoli americani in aroma con la componente agrumata che la fa da padrona. Anche il corpo è discretamente robusto, con le note di caramello e biscotto del malto che vanno quasi a sovrastare la componente luppolata; tanto che persino la chiusura, che pur rimane di un amaro resinoso, quasi non appare tale, lasciando l'impressione di una birra nettamente più dolce della media delle ipa. Comunque discretamente beverina nonostante i sapori più forti, complice anche la buona carbonatazione. Anche questa piacevole, ma meno "elegante" della Warrior, nella quale mi è sembrato di percepire un maggiore sforzo tendente a raggiungere l'equilibrio dell'insieme - ma stiamo parlando di due generi diversi, per cui si tratta di fatto di un confronto improprio.

Chiudo con un grazie agli amici Marco e Anna Maria che ci hanno guidati in questa scoperta...un saluto e alla prossima!


martedì 17 maggio 2016

Una corsa lungo la Statale 56

Pur avendo mancato la serata di presentazione, sono riuscita a "recuperare" la Statale 56 - birra "one shot" nata dalla collaborazione tra Antica Contea e Borderline Brewery, e che prende il nome dalla strada che unisce i due birrifici - alla Brasserie di Tricesimo (chiedo scusa per la foto "rubata" ad Antica Contea e alla Vineria Avamposto, la foto scattata da me ieri sera al bicchiere è purtroppo inservibile). Trattasi di una scotch ipa, che unisce la tostatura del malto tipica delle scotch ale ad una luppolatura americana (azacca in aroma e dry hopping e centennial in amaro, mi è stato rifrito, se sbaglio i diretti interessati mi corriggeranno). Devo dire che il primo pensiero che mi è passato per la testa avvicinando il bicchiere al naso è stato....questa è strana. Ossia: già in quanto ad aromi, il connubio tra il fruttato del luppolo e la tostatura del malto - che rimane comunque abbastanza "nelle retrovie" in questa fase - risulta quantomeno insolito. In bocca arriva poi, insieme al biscotto del malto, un curioso sapore che sia io che Enrico abbiamo identificato come sambuco; immediatamente prima di una buona sferzata di amaro citrico e secco che potrebbe sembrare la chiusura, e che invece pochi secondi dopo lascia spazio al ritorno della tostatura. Una birra che ho trovato quindi piuttosto complessa nel suo articolarsi, pur mantenendo una buona bevibilità - complice il corpo non eccessivamente robusto; e che ho trovato distinguersi anche per una certa "ruvidità" degli aromi e dei sapori, con passaggi anche abbastanza improvvisi tra l'uno e l'altro, pur senza varcare il confine dell'eccesso né della sgradevolezza. In questo senso devo dire che ho visto un incontro tra lo stile di Antica Contea - che rimane "elegante" anche là dove le luppolature sono generose o i sapori forti, vedi il caso di Dama Bianca o di Vingraf - e quello di Borderline, che invece predilige aromi e sapori più audaci soprattutto sul fronte dei luppoli.

Un'ultima nota la riservo all'altra birra che ho provato, la Busillis di Toccalmatto spillata a pompa - new entry della Brasserie -; spillatura che in questo caso si è rivelata cruciale, trattandosi di una bitter leggerissima come stile britannico vuole - se non fosse per la luppolatura tra l'agrumato e il tropicale, che riporta piuttosto oltreoceano. Da godere a grandi sorsi e con poca carbonatazione nelle giornate calde (che speriamo si avicinino), dato il corpo scarico ed il finale agrumato ben secco e fresco. L'arrivo della pompa, insomma, promette ulteriori interessanti evoluzioni alla Brasserie, dato anche il parco birre rinnovato dopo la riapertura.

giovedì 5 maggio 2016

Tra Barley Wine, Black Ipa e vinili

Dopo tanto tempo, ho fatto ritorno al Samarcanda; accolta sì da Beppe e Raffaella, ma anche da un delizioso sottofondo musicale con "Redemption Song" di Bob Marley che usciva dal giradischi - peculiarità che sotituisce inndubbiamente uno dei valori aggiunti del Samarcanda, e che stimola interessanti conversazioni non solo su che birra prendere ma anche su che disco far girare. Come di consueto abbiamo buttato l'occhio sulle birre alla spina, con l'idea - come consueto per me e Enrico - di sceglierne due diverse per poi condividere. Se sul Progressive Barley Wine di Elav ci siamo subito trovati d'accordo, più laboriosa si è rivelata la scelat della seconda; alla fine l'ha spuntata Enrico con la Black Ipa di The Kernel.

Come già anticipato da Beppe - che le birre che ha in casa "le sa tutte" - il Barley Wine al naso evidenzia un intenso aroma di frutta, che io ho accostato a quello delle fragoline di bosco; ma ce n'è un po' per tutti, dalla frutta tropicale al lichi - che nemmeno io sapevo che cosa fosse finché un mio altolocato coinquilino milanese mi ha erudita. Mi ha sorpresa leggere poi nella descrizione che si tratta di una monoluppolo sorachi, perché ammetto che non l'avrei riconosciuto - dato che il sorachi ricorda di più gli agrumi. Il caramello, che pur si coglie già all'aroma, arriva in forze al palato, virando poi verso il biscotto; per chiudere con una nota liquorosa e alcolica che, pur ben percepibile, non farebbe mai immaginare gli undici gradi alcolici. Essendo abbastanza beverino per essere un barley wine, quindi, occhio all'etilometro - e al mal di stomaco, per chi è più delicato.

Mentre passavamo a Amy Winehouse con Back to Black, per coerenza sono passata ad assaggiare la Black Ipa. Nell'accostarla al naso sembra di avere in mano dei coni di luppolo sbriciolati, tanto è intenso l'aroma di agrume. Il tostato è praticamente assente, per farsi notare poi in bocca - ma sempre in maniera molto delicata, essendo il corpo relativamente scarico - prima di chiudere con una sferzata amara tra l'agrumato e il resinoso.


Ammetto che, in quanto a gusti personali, ho apprezzato di più il Barley Wine, con la sua complessità e i suoi toni dolci; oltretutto, ammetto che certe luppolature all'americana particolarmente audaci e spettacolari hanno ormai iniziato a lasciarmi perplessa - e non sono certo l'unica. Devo riconoscere però che la Black Ipa del Kernel non mi ha dato l'impressione di una birra che vuole "strafare", ma piuttosto che il birraio sapesse esattamente fin dove voleva spingersi e che cosa voleva ottenere. Volendo proprio metterci la citazione, "la potenza è nulla senza il controllo"...

martedì 3 maggio 2016

Una serata al Cooper's

Da tempo mi era stato consigliato di farmi un giro al Cooper's di Usago (Pordenone), brewpub che serve la birra Praforte: e l'occasione si è presentata qualche giorno fa, dato che la cosa avrebbe implicato una deviazione relativamente breve sulla via di casa (che poi, quando è per bere una buona birra, la deviazione è sempre "relativamente" breve).

Il locale è ampio e accogliente, con tre sale arredate in maniera diversa - dalla sala Vichinga alla sala Van Gogh -, attorno al "fulcro concettuale" del grande bancone centrale; e il birrificio è una sala attigua, visibile attraverso le vetrate. Dopo che ci era stata servita la cena - un piatto locale, la "Balota", una "palla" di polenta ripiena di formaggio asìn e spolverata di ricotta - abbiamo avuto modo di fare una piacevole chiacchierata con il proprietario - nonché agricoltore (il mais biologico per la polenta viene dai suoi campi) e mastro birraio - Walter Magris, davanti a due delle quattro birre in produzione - la bionda e la rossa (ci sono rimaste da assaggiare la nera e la Alpina, versione più leggera e luppolata della bionda).

La discussione è partita dalla mia impressione della bionda: mentre la rossa - una Vienna - mi era apparsa pienamente rispondente a ciò che mi sarei aspettata, con il caramello della maltatura bilanciato da un amaro secco e netto ma non invasivo sul finale, la bionda mi aveva invece stupita. Descritta come una helles, con un delicato aroma tra il mielato del malto e il floreale del luppolo, al corpo rivela una pienezza inaspettata, con il cereale che fa uscire tutta la sua componente di pane fragrante e miele. L'insieme mantiene una buona rotondità ed un equilibrio finale, con una chiusura morbida e pulita in cui la componente dolce e quella amara si "annullano" bilanciandosi. Ho quindi concluso che, se la rossa è sì ben fatta, ma non "unica", la bionda invece porta un "marchio di fabbrica" del Cooper's, che ho apprezzato per la maniera in cui il mastro birraio ha saputo caratterizzare il corpo dipingendo allo stesso tempo un quadro finale senza sbavature.

Da qui è quindi partito il racconto di Walter sucome gli piaccia lavorare in assoluta libertà, senza pensare troppo allo stile di riferimento: del resto, sedici anni di onorata attività di brewpub (e venti di apertura del locale) gli hanno dato il tempo di affinare le ricette, nonché l'esperienza per andare anche al di là delle regole se ritiene di farlo. Vent'anni di progressi lenti e costanti dell'attività, tra locale, birrificio e azienda agricola: per ora Walter ha ritenuto di non fare il passo dell'agribirrificio, in futuro si vedrà.


L'impressione che mi ha lasciato la chiacchierata con lui è quella di un "artista solitario" (non perché scontroso, ma perché ama fare da sé e suo modo), che nella sua casa di campagna porta avanti la sua opera secondo le sue idee, senza preoccuparsi troppo di opinioni esterne, marketing e affini. Del resto è fedele alla filosofia del brewpub: per cui punta ad un prodotto pensato per essere gustato al meglio lì direttamente dai suoi tank e davanti a un buon piatto di prodotti locali, più che alla commercializzazione in altri luoghi - magari distanti, con tutto ciò che questo implica per le basse fermentazioni (la nera è l'unica ad alta). Devo ammettere peraltro che anche il quadro bucolico, nel mezzo della campagna, aiuta a godere una buona birra (specie in una sera di primavera o d'estate): per cui come dar torto a Walter nell'invitare a degustarla lì...