venerdì 31 gennaio 2014

Rhex, parte terza: cannella, malto e luppolo


La tappa più impegnativa per quanto riguarda il numero di degustazioni, però, è stata senza dubbio il Birrificio Italiano di Limido Comasco: non solo perché produce tanti tipi di birre diverse (quasi una ventina), ma soprattutto perché aveva al suo stand una quantità di spine nettamente superiore alla media. Superiore alla media era poi anche la loquacità della ragazza che ci ha accolti e guidati nella girandola di assaggi, per cui, inutile specificarlo, ne è nato un mix potenzialmente pericoloso.

In realtà, per orientarsi in questa selva, il birrificio un aiuto lo dà: nel depliant informativo aveva già infatti provveduto ad una sorta di "classificazione" tra "Freschezza", "Luppolo", "Malto", "Forza" e "Altri mondi", a seconda di ciò che ognuno cerca (non oso quindi immaginare nel caso di "Altri mondi"). Giusto per non sbagliare ne abbiamo assaggiata una per tipo; anzi, due per la sezione "Luppolo", dato che la ragazza ha tanto insistito (è stata lei, lo giuro).

In quanto alla "Freschezza" siamo andati sul classico, con la "B.I.-Weizen": che genere di birra sia lo dice il nome stesso, ad alta fermentazione e rifermentata in bassa, più profumata delle altre dello stesso tipo. Interessante ma non "unica", mentre qualche peculiarità più notevole l'abbiamo trovata passando al "Luppolo": dopo la Tipopils, una chiara caratterizzata dall'uso dei luppoli tedeschi della zona di tettnag - almeno così mi hanno detto -, siamo infatti passati alla Nigredo, una nera in cui ad essere tostato oltre al malto è il luppolo: una novità, almeno per me, beverina nonostante il corpo particolarmente forte data l'abbondante tostatura accostata all'amaro del luppolo.

Per il "Malto" la ragazza ci ha proposto la Bibock, un'ambrata doppio malto in stile inglese che abbina note resinose e quasi di miele con una persistenza comunque discretamente amara - dato che il Birrificio italiano pare non risparmiare sul luppolo. Più curiosa però ho trovato per il capitolo "Forza" la Sparrow Pit, una doppio malto dorata da 10 gradi, dall'aroma tra il fruttato e l'erbaceo e il gusto tendente quasi al liquoroso. Forse non il mio genere, ma indubbiamente una delle specialità della casa.

E veniamo al capitolo "Altri mondi" - sì, lo so che siete curiosi -, usato non per catalogare strane sostanze, ma birre più "sperimentali", quasi esotiche, vuoi per l'uso di spezie, vuoi per la maturazione in botti di legno provenienti da aziende vinicole. Ed è qui che è spuntata la cannella con la Cinnamon Bitter Ale, una real ale ambrata in stile inglese, che mischia in maniera decisamente peculiare l'aroma della cannella ed altre spezie, il malto del corpo - comunque abbastanza leggero - e la persistenza inaspettatamente amara. Un mix che mi ha lasciata quasi confusa in realtà, quasi con la sensazione di non aver bevuto una birra ma un qualcosa di diverso: se però è proprio qualcosa di "diverso" quello che si cerca, indubbiamente è una buona soluzione. Appunto, altri mondi....

giovedì 30 gennaio 2014

Rhex, parte seconda: lo sbarco in Sardegna


Intendiamoci: io in Sardegna non ci sono mai stata, per quanto un viaggio nell'isola rientri da tempo nei miei buoni propositi. Però un assaggio l'ho avuto allo stand del Birrificio di Cagliari, dove sono stata accolta dal mastro birraio Marco Secchi (a sinistra nella foto). Un personaggione non da poco, come si suol dire, che sta or ora per iniziare a commercializzare le birre che da sei anni produce nel suo brewpub.

Per assaggiare gli abbinamenti gastronomici che ha elaborato per le sue creazioni, purtroppo o per fortuna, bisogna andare fino a Cagliari: solo nel locale infatti vengono preparati una serie di piatti, soprattutto a base di carne, cucinati con la birra prodotta nei fermentatori lì accanto - quando si dice il km zero. Dallo spezzatino alla stout, agli straccetti di cavallo alla weizen, all'arrosto di maiale alla helles, ho solo potuto immaginare che profumi debbano uscire dalla cucina.

Meno male che invece le birre non me le sono dovute solo immaginare, anzi, ne ho pure assaggiate più del dovuto. Tutte quante prendono il nome di un quartiere o di una zona del capoluogo sardo, necessitando in qualche caso di traduzione: perdonate l'ignoranza, ma a capire che "Tuvixeddu" significa "Colle dei piccoli fiori" proprio non ci arrivo. Più immediato è invece capire che "Casteddu" significa "Castello", nome dato alla stout intitolata al quartiere dove risiedeva l'aristocrazia cittadina. Non sapevo, prima di parlare con il buon Marco, che questo tipo di birra ha le sue origini nell'incendio che devastò  Londra nel 1666: il re Carlo II decise di usare comunque l'orzo "bruciacchiato" per la fabbricazione della birra, che prende così il tipico aroma tostato. Indubbiamente una signora stout, per quanto non l'abbia trovata particolare rispetto ad altre dello stesso genere.

Di più mi ha colpita la Biddanoa - anche in questo caso il nome di un quartiere -, una helles in stile tedesco leggera e beverina. Di solito non è il mio genere, ma gli aromi che questa sprigiona, tra l'erbaceo e il floreale, risultando poi non troppo amara al gusto, mi hanno lasciata stupita. Merita comunque anche la Sant'Elia, una doppio malto in stile belga, dal gusto caramellato piuttosto deciso che forse non incontrerà il favore di tutti i palati, ma che lascia comunque intendere la maestria che ci sta dietro.

La specialità della casa è però indubbiamente la Figu Morisca, una birra al fico d'india che, a detta del mastro birraio, incontra i favori soprattutto delle donne: almeno nel mio caso aveva ragione, perché è quella che più mi ha colpita. Leggera e fresca, molto dissetante, ricorda quasi una blanche in quanto a leggerezza del corpo, pur essendo tutta un'altra cosa in quanto ad aroma. Oltretutto non avevo nemmeno mai assaggiato il fico d'india, per cui per me è stata una novità anche in questo senso. Che dire, un motivo in più per andare in Sardegna...

mercoledì 29 gennaio 2014

Rhex, parte prima: il fascino dell'Amarcord


Rieccomi qua, dopo una lunga assenza. In fondo, di ferie ho bisogno anch'io, soprattutto dopo una "maratona" come quella del Rhex di Rimini: alias la fiera dell'industria alimentare nel senso più lato che possiate immaginare, dai produttori dei forni per pizze ai gelatai, con tanto - chiaramente - di settore dedicato ai birrifici. E proprio per questo è stata una maratona, perché davvero era impossibile assaggiare tutto senza ipotecare fegato e lucidità mentale in un colpo solo: ho cercato di fare del mio meglio, ma chiedo umilmente perdono a tutti quegli stand che non sono riuscita a visitare. Proporrò quindi una carrellata di quelli più interessanti, vuoi per la qualità in quanto tale delle birre presentate, vuoi per altre curiosità o abbinamenti.

Tra questi indubbiamente rientra il birrificio Amarcord di Rimini, tra quelli "storici" della zona; che, ancor più che per la qualità del prodotto, mi ha stupita per gli abbinamenti gastronomici, curati dallo chef Simone Bertaggia - che, va detto, oltre che un bravo cuoco è pure un ottimo showman nel presentare le sue creazioni. Per l'occasione aveva preparato quattro abbinamenti in formato finger food per altrettante birre, e guidava con dovizia i visitatori nella degustazione: massimo due per volta, mettetevi in coda (e fidatevi che era parecchio lunga).

Si cominciava con una fettina di salmone affumicato con mandorle e albicocche secche abbinato all'Ama Bionda, una birra dorata ad alta fermentazione con dei sentori fruttati, e discretamente secca nonostante i luppoli non fossero predominanti. Come ben ha fatto notare Bertaggia, una birra che "sgrassa" il salmone pur non contrastandolo con una persistenza amara, creando un accostamento interessante.

Il più curioso è però probabilmente stato il secondo, la Ama Bruna - una doppio malto ispirata alle birre d'abbazia belghe, con una maltatura parecchio decisa e un dolce assai persistente - abbinata ad una fettina di filetto di maiale all'aceto balsamico: una birra da bere sia prima, per "preparare" la bocca alla carne, che dopo, per esaltare il sapore dell'uno e dell'altro. L'abbinamento più indovinato per i miei gusti, per quanto i 7 gradi e mezzo si sentano tutti e anzi di più.

A quel punto i tempi erano maturi per passare al dolce, anzi, ai dolci. Il primo era una mousse di ricotta e cioccolato bianco con marmellata di ciliege insieme alla Riserva speciale, una birra dal colore ramato la cui particolarità sta non solo nei lieviti dello champagne - e in effetti mi ha ricordato un po' il vino - e nel miele d'acacia e millefiori, ma anche nella leggera aromatizzazione al prugnolo e alla visciola: non a caso quindi accostata alla marmellata di ciliege, alla quale, non c'è che dire, va a braccetto. Occhio però ai dieci gradi, per quanto non sia troppo beverina.

Devo ammettere però di aver apprezzato di più il secondo dolce, il birramisù - ossia tiramisù con i savoiardi bagnati nella birra invece che nel caffè - accompagnato dalla Ama Mora: una doppio malto ad alta fermentazione con caffè e zucchero di canna, che lascia pressoché la stessa persistenza di una buona tazzina di espresso. E se i nove gradi dell'Ama Mora scendono che è un piacere, soprattutto insieme al birramisù, riguardo a quest'ultimo ho imparato un segreto "analcolico": "La birra va scaldata per far evaporare l'alcol prima di bagnare i biscotti - ha spiegato lo chef -, altrimenti diventa troppo pesante". Hai capito tu, non si finisce mai di imparare.

In tutto e per tutto, una degustazione molto apprezzata non tanto o quantomeno non solo per gli abbinamenti, ma soprattutto per il modo in cui è stata guidata: altrimenti non avrebbe sicuramente avuto lo stesso senso, perché farsi spiegare il perché e il per come di ciascun accostamento ha dato tutto un altro sapore.

Pienamente soddisfatti, ci siamo diretti allo stand successivo: prossimamente su questi schermi...


giovedì 9 gennaio 2014

Il birraio dell'anno

Il 3 gennaio al Lambiczoon di Milano si sono tenute le premiazioni del concorso "Birraio dell'anno", che aveva stuzzicato la mia curiosità visto che conoscevo tre dei cinque birrifici che hanno partecipato: il Foglie d'Erba, il Birrificio del Ducato e l'Extra Omnes. Se dei primi due conoscevo bene anche le birre che hanno presentato - la Freewhilin' Ipa, di cui ho parlato in questo post, e la Verdi, una della stout che ricordo con maggiore affetto - dell'ultimo non conoscevo la Bloed, aromatizzata alla ciliegia (avendo provato con somma soddisfazione solo la Migdal Bavel): e guarda caso è stata proprio questa a vincere, imponendomi di colmare questa terribile lacuna. Cosa che purtroppo devo ancora fare, dato che non sono riuscita a trovarla: ma ho rimediato con la Zest, che ha vinto il primo premio nel 2011 al Beer Festival di Milano, e ho così comunque onorato il birraio vincitore Luigi d'Amelio (nella foto).

Indubbiamente al concorso deve aver guadagnato parecchi punti sull'aroma: deciso e pungente, che unisce l'erbaceo ai sentori di frutta (personalmente ho sentito in particolar modo la pera). Le premesse quindi erano buone: bastava non aspettarsi che tutti questi profumi trovassero corrispondenza nel gusto, che a dire il vero mi ha lasciata un po' perplessa perché tende a dissolversi subito. La nota caratteristica della Zest è comunque l'amaro insolitamente persistente: se vi piacciono le birre ben secche, che rimangono in bocca lasciando una sensazione dissetante anche ben dopo averle bevute, questa fa per voi. Va detto che ero particolarmente assetata dopo una giornata sugli sci, e davvero mi è scesa che era un piacere (complice anche la gradazione alcolica bassa, appena 5 gradi, e il corpo leggero): anche per questo probabilmente non mi ha dato fastidio "l'amaro in bocca", anzi, una volta tanto l'ho apprezzato contrariamente alle mie abitudini.

In quanto al concorso "Birraio dell'anno", vado male a pronunciarmi: conosco personalmente solo Gino Perissutti di Foglie d'Erba, e anche in quanto a birre, come già detto, ne avevo provate solo due. Ciò che posso dire, però, è che la scelta deve essere stata difficile: sia la Freewheelin' che la Verdi sono dei pezzi da novanta, come si suol dire, e posso quindi immaginare che le altre non siano da meno. Per la cronaca, al secondo posto si è piazzato Giovanni Campari del Birrificio del Ducato, al terzo Nicola Perra del Barley di Maracalagonis (Cagliari), al quarto Riccardo Franzonis del Montegioco (Alessandria), e al quinto il buon Gino: vincitore peraltro nel 2011,così come Franzonis lo era stato nel 2009. Certo si potrebbe dire che si tratta di un circolo di habitués: ma il fatto che ci sia un certo "ricambio al vertice" in quanto a classifica può a sua volta significare che un concorso di questo genere stimola una sana competizione. E se i risultati sono questi, ben venga...