lunedì 9 settembre 2013

Un angolo d'America

Chi ben conosce il Friuli Venezia Giulia, avrà già capito a che parte di mondo mi sto riferendo: Aviano, in provincia di Pordenone, celebre per la sua base aerea americana. Un paese di poco più di 9 mila abitanti, che ospita attualmente circa 6 mila militari Usa (di cui molti con le famiglie), ma ne ha ospitati in passato più del doppio: facile capire come, una volta arrivati lì, sembri di essere sbarcati oltreoceano. Molti avvisi in strada sono bilingui, così come le insegne di diversi negozi; e anche i nomi dei locali sono molto evocativi, rimandando ai saloon, al Texas, agli hamburger e ai barbecue.

Ed è infatti in uno di questi che sono capitata, il California Beer Parlor: un pub birreria dove non solo gli aviatori della base, ma anche gli appassionati delle stelle e strisce possono sentirsi a proprio agio sia per gli arredi, sia per il biliardo, sia per il listino. Detto tra noi, era dai bei tempi dell'università a Berkeley che non mangiavo un'enchilada (sorta di piadina ripiena di pollo, riso, cipolle e peperoni) fatta a quel modo, con una serie di salsine dal sapore indefinibile che qui non saprei assolutamente dove trovare: il fegato ringrazia, ma con che soddisfazione. Manco a dirlo, il menù offre una serie di burritos, chili, nachos, hamburger e cheeseburger di ogni genere, che mi hanno fatto scendere la lacrimuccia di nostalgia (per la California, non per il cibo, intendiamoci: però si sa che odori e sapori sono la molla più potente del ricordo).


Top della serata è stato però l'incontro con il proprietario, Johnny: un tatuatore senza tatuaggi, piercier senza piercing e birraio che non beve birra, "Perché se consumassi quello che vendo sarei rovinato". Come se non bastasse, s'è pure lanciato nella produzione cinematografica, e il prossimo febbraio uscirà il primo film prodotto da lui - rimanete sintonizzati, come si suol dire: mi ha promesso di tenermi aggiornata. Il suo è stato il primo locale in regione ad adottare il sistema di spinatura senza anidride carbonica ideato dalla Carlsberg, ed applicato poi anche ad altri marchi dello stesso gruppo: semplificando, la birra è immagazzinata in un fusto in Pet, che poi viene compresso per farla uscire. In questo modo, ci ha spiegato Johnny accompagnandoci a vedere di persona come funziona, non è necessario aggiungere CO2, la birra non si ossida, e si mantiene fresca anche per oltre un mese una volta aperto il fusto; senza contare i benifici ambientali in termine di riduzione delle emissioni e facilità di riciclo.

A quel punto, non è rimasto che provare: la scelta andava dalla Carlsberg, alla Poretti chiara o rossa, alla Grimbergen blanche. Tenendo conto che la Grimbergen e la Poretti rossa già le conoscevo, ho puntato sulla chiara: per quanto l'abbia trovata indubbiamente dissetante, bisogna ammettere che non può competere con il retrogusto amaro della rossa, che rende giustizia ai sei luppoli per cui è celebre. Insomma, mi tocca dare ragione a Enrico: la prima idea è sempre la migliore...

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