Chi conosce Udine e la sue
manifestazioni si sarà forse chiesto come mai non abbia ancora
scritto nulla su Friulidoc, il più celebre evento enogastronomico
della regione; e in effetti la risposta è molto semplice, ossia che
sono stata fin troppo occupata a bazzicare tra i vari stand – per
lavoro, cosa credete? - per trovare il modo di scrivere.
Anche se la manifestazione è iniziata
giovedì 12, la mia lunga maratona è partita la mattina di venerdì
da via Cavour. Tra le tante bancarelle, la prima ad attirare la mia
attenzione è stata quella dell'associazione dei produttori del Pan di Sorc: un pane dolce e speziato, tipico del gemonese, prodotto –
mi ha spiegato con dovizia la signora dello stand – con farina di
frumento, di segale e di mais cinquantino: una varietà coltivata non
solo in Friuli, ma anche nel Veneto, fino agli anni Sessanta, e poi
abbandonata – complice anche la credenza che provocasse la
pellagra. Ora, grazie all'Ecomuseo delle Acque del Gemonese, è
partito un progetto di recupero della coltivazione: ed è così
possibile gustare di nuovo questa prelibatezza, tradizionalmente
prodotta nel periodo natalizio. A dire il vero, è roba per palati e
stomaci forti: oltre alle tre farine in questione, la ricetta prevede
l'uso di noci, uvetta, semi di finocchio e fichi. Insomma, una bomba.
E poi deve piacervi la polenta, perché il retrogusto del mais è
abbastanza marcato. Però è roba sana, prodotta interamente con
materie prime locali, tra cui le farine macinate da mulini
artigianali: meglio questo che una merendina del supermercato,
insomma, anche perché – diciamocelo – è davvero buono.
Proseguendo il mio giro, sono passata
da via Aquileia: lì ad attirare la mia attenzione è stato il
tendone del birrificio artigianale Tazebao, direttamente da Trieste –
notoriamente terra nemica per gli udinesi. O meglio: ad attirare
l'attenzione è stato il buon Giorgio, un personaggio tale che dargli
del vivace è un eufemismo. Ancora prima che avessi finito di
presentarmi, mi aveva messo in mano un bicchiere di ambrata ad alta
fermentazione: e che ambrata. Nulla da invidiare a quelle belghe, con
un retrogusto acidulo ma parecchio rinfrescante. Prova migliore della
produzione artigianale è stato il fatto che la sera, quando sono
tornata a farla provare a Enrico, la stessa birra aveva un gusto
diverso: cosa che, parecchi mastri birrai mi hanno confermato, capita
spesso con le birre non industriali, essendoci differenze anche
rilevanti da cotta a cotta o addirittura da fusto a fusto. Unico neo,
è parecchio beverina nonostante il tenore alcolico non indifferente:
e tenendo conto che erano le undici del mattino ed ero a stomaco
vuoto, meno male che mi è venuta in soccorso la pagnottina di pan di
sorc – devo ammettere che l'abbinamento, dopotutto, non era
malvagio - che avevo in borsa per tamponare l'alcol e mantenere la
lucidità. Anche perché ero attesa alla Cucina Carducci per un
servizio: rimanete sintonizzati per sapere com'è andata...
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