E' uscito recentemente il rapporto annuale di Assobirra, riferito al 2015, che fotografa la situazione del settore birrario nel suo complesso - quindi sia sul fronte industriale che dei microbirrifici (il report non utilizza il termine "artigianale"). Come sempre quando escono studi di questo genere, alk centro dell'attenzione sono prima di tutto i numeri, per quanto da soli non bastino a spiegare la realtà.
Innanzitutto, i consumi annuali pro capite: pressoché stabili, anzi in lieve flessione, pur in anni in cui si è tanto parlato di boom della birra artigianale - da 31,1 nel 2007 a 30,8 nel 2015. E fin qui, si dirà, nulla di nuovo. Anche la tendenza a bere più in casa che fuori - il 58,8% dei consumi, contro il 54,5% del 2007 - non è cosa nuova, ed è spesso spiegata con la crisi che spinge a contenere i costi. Però, verrebbe da pensare, con la passione nata per i birrifici artigianali del territorio questi avranno "eroso" mercato agli altri - vuoi gli industriali italiani, vuoi quelli esteri in generale: eppure nel 2015 abbiamo importato la cifra record di 7 milioni di ettolitri contro i 6,2 del 2014, per un saldo commerciale altrettanto record di -4,7 milioni di ettolitri, il massimo storico - nonostante anche l'export sia cresciuto a 2,3 milioni di ettolitri, contro gli 1,9 del 2014. E abbiamo pure lasciato per strada il 5% degli occupati nella filiera negli ultimi 3 anni, da 144.000 a 137.000. I dati non sono qui disaggregati tra microbirrifici e birrifici industriali; ma il report riconosce ai primi e al loro fiorire il merito di costituire "la novità più significativa dell'ultimo decennio" e di portare buone nuove anche in termini di crewazione di lavoro, in quanto "settore ad alta intensità occupazionale". E infatti la cifra si riferisce al totale dell'indotto: l'occupazione diretta è al contrario salita da 4.700 a 5.350 unità. Lecito pensare quindi che questa sia legata in buona parte all'esplosione del numero dei microbirrifici.
Esplosione che, però, pare semplicemente spartire tra più persone una torta che è rimasta più o meno la stessa: la produzione totale è stata di 14 milioni di ettolitri nel 2015 contro i poco meno di 13 di dieci anni prima, con i consumi saliti a 18,7 milioni contro 17,3. Entrambi in salita, certo, ma nello stesso arco di tempo il numero dei birrifici - micro, soprattutto - è praticamente decuplicato (da 60 a 528: la cifra non comprende i beer firm né i brewpub). Curioso anche notare che, se nel 2006 c'erano più brewpub (68) che birrifici (60), nel 2015 si era 529 a 145. C'è comunque da tenere conto, a parziale giustificazione, che i consumi di alcol sono in costante diminuzione dal 2004: anche solo rimanere stabili, insomma, è buona cosa (basti dire che il vino ha visto un -4,8% dei consumi tra il 2014 e il 2015).
Il report tocca naturalmente anche l'annosa questione delle accise: una media di 36,48 euro per ettolitro, che ci pone al terzo posto in Europa dietro all'Estonia (39,84) e alla Slovenia (con il poco invidiabile primato di 58,08. Qualcuno allora mi deve spiegare perché la birra in Slovenia costa comunque meno che qui...).
Utile, infine, vedere la segmentazione del mercato: dal 2011 è più che raddoppiata la "fetta" della birra analcolica (dallo 0,71% del mercato all'1,74%), così come le private label (ossia le birre "di marchio" della grande distribuzione, da 4,41 a 7,45). Un dato, quest'ultimo, che si contrappone invece al calo di quelle "economy" dal 2,17 all'1,5%, pur facendo riferimento sostanzialmente alla stessa fascia di mercato. Pressoché stabile il segmento mainstream - 49,1% contro 48,7% -, mentre registra un calo sensibile quello Premium - 26,2% contro 33,5% - e viceversa una crescita quello Specialità - 14% contro 10,5%. Dati che devono essere presi con le pinze in quanto riferiti alle sole aziende associate ad Assobirra; utile comunque dire che Heineken da sola ha fatto nel 2015 il 28% del mercato, in calo di un punto percentuale dall'anno predente e di due dal 2011; mentre quelli classificati come microbirrifici, dal 2011 a oggi, hanno conosciuto un tira e molla dal 2,8 all'1,5%, assestandosi attorno a 2.
Alla fine di tutto ciò, che dire? Non mi lancio in valutazioni da economista, perché non è il mio mestiere; tuttavia questi dati mi sembrano confermnare ciò che già si sapeva, ossia che la birra artigianale si è sì imposta negi ultimi anni, ma più come fenomeno culturale che come rilevante fenomeno di consumo. E dato che il numero di birrifici cresce, le strade sono due: o aumenta la torta (export compreso, cosa che in effetti è accaduta), o si fanno fette più piccole. Sarà la Heineken a vedere dimezzata la sua, o sarà qualche microbirrificio a rimanere con le briciole? E le briciole possono, almeno in alcuni casi, comunque bastare?
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