mercoledì 5 ottobre 2016

La strada per Eldorado

Diciamocelo: da un certo punto di vista, c'era quasi da non crederci. Severino Garlatti Costa, il "purista" del lievito belga, che si mette a fare un ipa, appariva come cosa quantomeno improbabile. Eppure è capitato anche questo: è stata infatti presentata ieri sera al Samarcanda la Eldorado, una ipa (per l'appunto) nata dall'incontro tra le idee (e i gusti, conoscendoli) di Beppe (che festeggiava il suo compleanno) e Raffaella del Samarcanda e la mano di Severino.

Nella piacevole chiacchierata che ci siamo fatti ancor prima che io la bevessi, il birraio ha ammesso che per lui era stata un po' una sfida: e per uno che pone come peculiarità del suo lavoro il fatto di usare sempre lo stesso lievito, giocando sul fatto di farlo lavorare in maniera diversa, si capisce che passare ad un lievito diverso (american ale per la precisione) fosse un bel cambiamento. Ma del resto Severino non è il tipo da tirarsi indietro, e così si è lanciato anche sugli stili americani. C'è da dire comunque che, se era giusto e doveroso nonché inevitabile che Severino ci mettesse comunque qualcosa di "suo", nemmeno Beppe e Raffaella cercavano una ipa del tutto comune: dal loro incontro è quindi nato qualcosa di peculiare, pur rimanendo all'interno dello stile.

Se nell'immediato all'aroma si impongono i classici profumi agrumati, man mano compaiono anche quelli più vicini alla frutta - sia tropicale che pera e mela -, e poi addirittura una lieve nota di caramello: una rosa quindi più varia rispetto alle ipa classiche, dati anche i luppoli usati - Equinox, Calypso e appunto Eldorado, che dà il nome alla birra. Sia il colore che l'aroma fanno intuire poi l'uso di una parte di malto caramellato: scelta spiegata da Severino con la volontà di dare comunque un corpo ben pieno e ricco - e soprattutto qui sta la sua mano direi, più avvezza allo stile belga - in vista anche dell'inverno alle porte (senza escludere la possibilità di una futura versione estiva, comunque). C'è da dire del resto che, appunto per l'unione di queste caratteristiche assai variegate, è una birra che vede un'evoluzione interessante con la temperatura: se all'inizio prevalgono appunto i sentori agrumati, il corpo appare più scarico e la chiusura di un amaro più secco e netto, scaldandosi rivela più la componente fruttata all'aroma e quella maltata al palato, con una chiusura amara assai più lunga, intensa e persistente. E si capisce che è pensata per essere gustata anche così, perché mantiene comunque il suo equilibrio ad una temperatura di servizio leggermente più elevata. Ormai passata l'onda modaiola delle ipa tutto agrume, insomma, anche questa va alla ricerca di un suo carattere peculiare; e pur rientrando, come già detto, pienamente nello stile, comunque non risulta banale appunto per queste ragioni.

Giusto per chiudere in gloria la serata, mio fratello mi ha convinta a dividerci un Progressive Barley Wine dell'Elav: un barley wine che, se l'intensissimo aroma tra il limone - dato dal luppolo sorachi - e l'ananas (almeno questo ho colto io, data la maniera in cui la componente dolce si mescola a quella fruttata) farebbero presagire quasi fuori stile, in bocca si conferma un barley wine a pieno titolo, con le sue note calde tra il caramello, il miele, la frutta secca e il biscotto. Da bere con giudizio, dati gli 11 gradi alcolici; ma indubbiamente con estrema soddisfazione...

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