Ho avuto il piacere di partecipare ieri al Plagurmé di Pordenone alla degustazione delle birre della linea "A modo mio", del Birrificio San Giovanni di Roseto degli Abruzzi. Il mastro birraio Lamberto non ha potuto purtroppo essere presente, ma i suoi collaboratori Gilberto e Martina hanno comunque fatto "gli onori di casa fuori casa", presentandone l'operato con dovizia di particolari.
Il birrificio è nato nel 2009 dall'esperienza dell'azienda agricola di famiglia, dove sin dal 2005 Gilberto e compagni avevano iniziato a cimentarsi nell'arte brassicola; all'olio e al vino si è così aggiunta anche la birra (non si tratta comunque di un agribirrificio, scelta motivata con la volontà di garantire la costanza della materia prima). In questi sette anni il birrificio è cresciuto fino a una produzione di 1500 hl annui (l'impianto, ha specificato Gilberto, ha la possibilità di arrivare a 6000); e l'export arriva a coprire quasi il 20% della produzione, tra Usa, Finlandia, Norvegia e Ucraina. La scelta di chiamare le birre con un nome diverso da quello del birrificio è intervenuta in un secondo momento, per questioni di tutela commerciale del nome; e la scelta è caduta sull'espressione "A modo mio" perché "in una vita che spesso ci costringe a fare ciò che si deve più che ciò che si vuole, un'espressione di questo genere significa soddisfare il proprio gusto".
Data anche la collocazione strategica sotto il Gran Sasso, che fornisce un'acqua dalle caratteristiche chimiche ottimali, le due basse fermentazioni - Pils ed Extra Pils - mi erano state presentate come il punto di forza del birrificio: e devo dire che ci ho creduto nell'assaggiare la prima birra presentataci, la Blanche. Non nel senso che la Blanche fosse fatta male e mi augurassi quindi migliori risultati per gli altri stili, ma perché con l'aroma estremamente delicato, dalla speziatura appena accennata, che lasciava spazio piuttosto alle note di malto che aprivano ad un corpo ben pieno di cereale - decisamente più presente la dolcezza dell'orzo, il frumento rimane molto nelle retrovie - più che la tradizione birraria belga mi ha ricordato quella continentale tedesca, patria appunto delle basse fermentazioni. Infatti siamo passati poi alla Pils (nella foto): anche qui aromi tra l'erbaceo e il floreale sempre molto delicati, corpo esile, e un finale che ho trovato più dolce e meno secco e attenuato rispetto alla media dello stile - per quanto rimanga comunque discretamente pulito, garantendo la facilità di beva. In generale al San Giovanni sembrano non prediligere troppo l'amaro, perché nessuna delle birre assaggiate ieri lo presenta in maniera robusta. Più "controversa", mi si passi il termine, la Extra Pils, che alla base della Pils aggunge il luppolo Cascade in dry hopping dando sia profumi che sapori agrumati ben decisi: eresia secondo alcuni, dato che in una degustazione alla cieca la si potrebbe quasi scambiare per una ipa, interessante innovazione secondo altri - a ciascuno l'ardua sentenza. Amanti delle pils astenersi, questo è certo, ma può fare la felicità di chi cerca appunto qualcosa di più sperimentale.
Se fino a qui ammetto di essere quindi rimasta abbastanza perplessa, ho trovato "materiale" più interessante nelle birre successive, a partire dalla Scotch Ale (nella foto): aroma intenso tra il torbato e l'affumicato, corpo pieno che sposa in maniera interessante le note tostate e quelle di caramello, e un finale insolitamente secco e pulito per una birra del genere. La sorpresa sta nel fatto che questa birra fa 4,8 gradi alcolici (e fidatevi che glie ne avrei dati il doppio), pur mantenendo un corpo molto robusto: come ho osservato ieri, sarei proprio curiosa di chiedere personalmente al birraio come ottiene il risultato. Siamo quindi passati alla Torbata (che fa 6 gradi, ma anche qui sembrano molti di più) e che sotto una schiuma pannosa e discretamente persistente cela aromi - appunto - torbati (viene utilizzato il 5% di malti torbati) e un corpo invece relativamente esile, che fa risaltare ancora di più anche al palato questa componente; senza comunque cadere nello squilibrio, per quanto si intuisca che il birraio abbia voluto spingersi fino alla "sottile linea rossa" oltre la quale c'è il troppo che stroppia.
Cambiando completamente genere siano arrivati alla Ipa (che ammetto di aver apprezzato più dell'Extra Pils): schiuma a grana medio-sottile ben persistente, aromi agrumati da manuale ben equilibrati ed armoniosi, corpo di media robustezza con note maltate tendenti al miele, e un finale che pur non molto attenuato risulta comunque pulito grazie al tocco finale di amaro citrico - forse l'unica birra del San Giovanni in cui l'amaro è più evidente. Forse non "abbastanza" per gli amanti delle ipa "toste", ma consigliabile a chi preferisce quelle equilibrate e senza esagerazioni. Da ultima la birra natalizia nata dalla collaborazione con Roberto Parodi, la Noel, che viene lasciata maturare un anno: aromi intensi di frutta sotto spirito - dalle prugne, alle albicocche, alle amarene -, whisky, una leggera speziatura; ma per certi versi mi ha ricordato anche in vinsanto, tanto che vi avrei intinto volentieri un cantuccio. Dieci gradi e sentirli tutti, dato il carpo caldo, pieno e avvolgente, e un finale sì dolce e "alcolico" ma non stucchevole.
In generale ho quindi paradossalmente apprezzato più le loro alte fermentazioni che le basse: su tutte mi ha colpita appunto la Scoth Ale, per le ragioni che ho spiegato sopra. Alla mia domanda se nei progetti futuri ci fosse anche una Italian Grape Ale (birra con mosto d'uva, unico stile ufficialmente riconosicuto come tipicamente italiano) sfruttando il vino dell'azienda agricola di famiglia, Martina e Gilberto non l'hanno escluso: chissà, magari ci sarà da riaggiornarsi in quanto a birra "A modo loro"...
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