Prendendo tutti di sorpresa, la piccola futura biersommelière (spero) ha
deciso di arrivare prima delle feste invece che dopo per brindare con
noi. Naturalmente mi prenderò un doveroso momento di pausa, ma poi conto
di tornare in forze. Buon Natale e buon anno nuovo a tutti!
Il mio blog di avventure birrarie, descrizioni di birre, degustazioni, e notizie dal mondo della birra artigianale.
giovedì 28 dicembre 2017
mercoledì 13 dicembre 2017
Peroni rilancia il marchio Dormisch
Per quanto mi occupi in maniera pressoché esclusiva di birra artigianale, vivendo a Udine non ho potuto non presenziare, per onore di cronaca, alla conferenza stampa con cui Peroni (parte della Asahi) ha annunciato il 12 dicembre il rilancio dello storico marchio cittadino. Va detto che Peroni non è nuova a simili iniziative: già un paio d'anni fa ha fatto lo stesso a Padova (dove l'azienda ha uno stabilimento) con Itala Pilsen. Ora è la volta di Udine, dove l'orgoglio locale per nomi come Moretti e - appunto - Dormisch non si è mai sopito.
In realtà la birra non verrà prodotta a Udine data l'assenza di un birrificio, bensì nello stabilimento di Padova; il legame con il Friuli sta nel fatto di utilizzare l'orzo friulano (anche Dormisch usava in parte orzo locale, maltato nella Malteria Adriatica di Marghera chiusa a fine anni 70) fornito da Asprom, rete di aziende agricole che producono orzo distico. Sono un'ottantina - numero in crescita, ha assicurato il presidente Alido Gigante - le realtà coinvolte, per una produzione di circa 1000 tonnellate su 370 ettari; e la previsione è quella di arrivare a 1500 tonnellate già il prossimo anno. L'orzo viene poi maltato nella malteria Saplo, di proprietà della Peroni, a Pomezia (Roma). Non una birra "made in Friuli" dunque, ma comunque quanto di meglio si potesse realisticamente pensare di fare data l'assenza in regione di una malteria e di uno stabilimento di proprietà.
Venendo alla birra in questione, trattasi di una lager chiara di 5 gradi alcolici, 11,3 gradi plato e 20 Ibu. Personalmente mi ha lasciata perplessa la dicitura "Originale processo produttivo ad infusione" riportata in etichetta: ma come, mi sono detta, l'infusione è il processo più comunemente utilizzato, in cosa consiste la peculiarità? Purtroppo non ha potuto essere presente alla conferenza stampa il mastro birraio Raffaele Sbuelz (friulano, così come il direttore di produzione), così non ho potuto ricevere direttamente da lui ragguagli in proposito; mi è comunque stato spiegato che Sbuelz, che già aveva lavorato alla Dormisch prima della chiusura nel 1989, ha recuperato l'antica ricetta e metodo di lavorazione (ho comunque chiesto di essere messa in contatto con lui, e aggiornerò con ulteriori informazioni non appena gli avrò parlato). Un chiarimento che personalmente trovo utile, dato che questa dicitura potrebbe altrimenti risultare ambigua nei confronti del consumatore - che potrebbe intendere che l'infusione in sé sia un processo "originale" nel fare la birra, quando l'aggettivo "originale" va invece riferito alla ricetta e procedura di ammostamento. Venendo ai volumi di produzione, Federico Sannella, direttore delle relazioni esterne della Peroni, ha affermato che la cosa è in via di definizione: al momento ne è stato prodotto un primo lotto di 200 ettolitri per testare le reazioni del mercato, e poi si prenderanno decisioni più precise. Stando alle affermazioni di Gigante, Asprom è in grado di fornire orzo (e malto di conseguenza) per volumi nell'ordine di centinaia di migliaia di ettolitri, ma la volontà espressa dalla Peroni al momento è di rimanere su livelli più contenuti.
Nonostante la gravidanza ormai avanzata, un sorso giusto per curiosità me lo sono concessa: si tratta di una birra in stile, aromi di luppoli nobili e di cereale (senza sbavature peraltro) come d'ordinanza, corpo più pieno e rotondo (per quanto comunque leggero e snello) di quanto ci si sarebbe potuti aspettare da una birra da 11 plato , finale fresco e secco di un amaro leggero e non persistente. Una birra che, nel parco birre una multinazionale come può essere Asahi, è sufficientemente "neutra" da andare incontro ai gusti di un vasto pubblico, ma allo stesso tempo più caratterizzata rispetto alla classica international lager per mirare ad una nicchia di mercato più specifica. Certo il fattore marketing è presente in maniera importante e studiata, e del resto non può essere diversamente: se Peroni investe su queste linee chiaramente ne deve e ne vuole avere un ritorno, e lo fa puntando sull'elemento della territorialità che - come ha illustrato lo stesso Sannella - ha assunto oggi un'importanza cruciale e ha dato una spinta alla crescita della filiera produttiva regionale. Certo potremmo andare a discutere su che cosa significhi "birra friulana" - basta l'orzo? O servono tutte le materie prime? O deve anche essere prodotta in Friuli, anche a costo di appaltare la produzione a uno o più birrifici locali e andare incontro ad una limitazione dei volumi? - ma è altrettanto vero che mai Dormisch viene definita "birra friulana" per quanto sia questa l'idea di fondo (il riferimento esplicito al Friuli in etichetta riguarda solo l'orzo, al di là della storia). Né si può etichettare come crafty, dato che non è stata legata ad un'idea di artigianalità. Vedremo come gli udinesi più o meno nostalgici e il resto del pubblico accoglieranno la novità: certo il rilancio di Dormisch è un'ulteriore conferma di come i grandi marchi stiano sempre più cercando vie alternative rispetto al passato, che sia il fattore territorio o il fattore "crafty".
In realtà la birra non verrà prodotta a Udine data l'assenza di un birrificio, bensì nello stabilimento di Padova; il legame con il Friuli sta nel fatto di utilizzare l'orzo friulano (anche Dormisch usava in parte orzo locale, maltato nella Malteria Adriatica di Marghera chiusa a fine anni 70) fornito da Asprom, rete di aziende agricole che producono orzo distico. Sono un'ottantina - numero in crescita, ha assicurato il presidente Alido Gigante - le realtà coinvolte, per una produzione di circa 1000 tonnellate su 370 ettari; e la previsione è quella di arrivare a 1500 tonnellate già il prossimo anno. L'orzo viene poi maltato nella malteria Saplo, di proprietà della Peroni, a Pomezia (Roma). Non una birra "made in Friuli" dunque, ma comunque quanto di meglio si potesse realisticamente pensare di fare data l'assenza in regione di una malteria e di uno stabilimento di proprietà.
Venendo alla birra in questione, trattasi di una lager chiara di 5 gradi alcolici, 11,3 gradi plato e 20 Ibu. Personalmente mi ha lasciata perplessa la dicitura "Originale processo produttivo ad infusione" riportata in etichetta: ma come, mi sono detta, l'infusione è il processo più comunemente utilizzato, in cosa consiste la peculiarità? Purtroppo non ha potuto essere presente alla conferenza stampa il mastro birraio Raffaele Sbuelz (friulano, così come il direttore di produzione), così non ho potuto ricevere direttamente da lui ragguagli in proposito; mi è comunque stato spiegato che Sbuelz, che già aveva lavorato alla Dormisch prima della chiusura nel 1989, ha recuperato l'antica ricetta e metodo di lavorazione (ho comunque chiesto di essere messa in contatto con lui, e aggiornerò con ulteriori informazioni non appena gli avrò parlato). Un chiarimento che personalmente trovo utile, dato che questa dicitura potrebbe altrimenti risultare ambigua nei confronti del consumatore - che potrebbe intendere che l'infusione in sé sia un processo "originale" nel fare la birra, quando l'aggettivo "originale" va invece riferito alla ricetta e procedura di ammostamento. Venendo ai volumi di produzione, Federico Sannella, direttore delle relazioni esterne della Peroni, ha affermato che la cosa è in via di definizione: al momento ne è stato prodotto un primo lotto di 200 ettolitri per testare le reazioni del mercato, e poi si prenderanno decisioni più precise. Stando alle affermazioni di Gigante, Asprom è in grado di fornire orzo (e malto di conseguenza) per volumi nell'ordine di centinaia di migliaia di ettolitri, ma la volontà espressa dalla Peroni al momento è di rimanere su livelli più contenuti.
Nonostante la gravidanza ormai avanzata, un sorso giusto per curiosità me lo sono concessa: si tratta di una birra in stile, aromi di luppoli nobili e di cereale (senza sbavature peraltro) come d'ordinanza, corpo più pieno e rotondo (per quanto comunque leggero e snello) di quanto ci si sarebbe potuti aspettare da una birra da 11 plato , finale fresco e secco di un amaro leggero e non persistente. Una birra che, nel parco birre una multinazionale come può essere Asahi, è sufficientemente "neutra" da andare incontro ai gusti di un vasto pubblico, ma allo stesso tempo più caratterizzata rispetto alla classica international lager per mirare ad una nicchia di mercato più specifica. Certo il fattore marketing è presente in maniera importante e studiata, e del resto non può essere diversamente: se Peroni investe su queste linee chiaramente ne deve e ne vuole avere un ritorno, e lo fa puntando sull'elemento della territorialità che - come ha illustrato lo stesso Sannella - ha assunto oggi un'importanza cruciale e ha dato una spinta alla crescita della filiera produttiva regionale. Certo potremmo andare a discutere su che cosa significhi "birra friulana" - basta l'orzo? O servono tutte le materie prime? O deve anche essere prodotta in Friuli, anche a costo di appaltare la produzione a uno o più birrifici locali e andare incontro ad una limitazione dei volumi? - ma è altrettanto vero che mai Dormisch viene definita "birra friulana" per quanto sia questa l'idea di fondo (il riferimento esplicito al Friuli in etichetta riguarda solo l'orzo, al di là della storia). Né si può etichettare come crafty, dato che non è stata legata ad un'idea di artigianalità. Vedremo come gli udinesi più o meno nostalgici e il resto del pubblico accoglieranno la novità: certo il rilancio di Dormisch è un'ulteriore conferma di come i grandi marchi stiano sempre più cercando vie alternative rispetto al passato, che sia il fattore territorio o il fattore "crafty".
martedì 21 novembre 2017
L'italia al Brussels Beer Challenge: uno sguardo alle percentuali
Sono stati resi noti ieri i risultati del Brussels Beer Challenge, uno dei maggiori concorsi brassicoli a livello internazionale. Già sono uscite alcune analisi sulla performance esibita quest'anno dai birrifici italiani - su tutte segnalo quella di Andrea Turco su Cronache di Birra -, tuttavia qualche pensiero è venuto anche a me nello scorrere la lista dei birrifici e delle birre premiate.
Innanzitutto, gli stili che sono andati a medaglia: hanno infatti fatto bella mostra di sé le pils e altre lager (oro alla Ionda di Bradipongo, argento alla PonAle di Leder e certificato d'eccellenza alla Ginevra di Leder), il che conferma come anche uno stile non facile e tradizionalmente poco battuto dai birrifici italiani si stia guadagnado - percorso intrapreso del resto già da qualche anno - una reputazione sempre più solida. Inoltre, per quanto a fronte di una giuria internazionale il fatto che il concorso si sia fisicamente svolto in Belgio non sia davvero determinante, fa specie osservare che diverse birre premiate abbiano "sfidato i belgi in casa": dalle saison (argento alla Staion di BioNoc', bronzo all'Abiura di Brùton e alla Torlonga di Antoniano, certificato di eccellenza alla Million Reason di IBEER), alle blanche (Crevette di Mezzopasso) ai lambic (Impombera di Bionoc), alle birre d'abbazia (Nucis di Kamun). Da segnalare, sempre in quanto a stili, la presenza di una gose (Marsilia di Amiata) e di una Iga (Roè di Sagrin).
Da notare poi, oltre alla ottima performance di Mezzavia che si è aggiudicato il titolo di Italian Revelation, quella di BioNoc che ha ottenuto tre riconoscimenti; seguito da IBEER, Kamun, P3 Brewing e Leder con due.
Per quanto il numero e qualità delle medaglie sia in calo rispetto allo scorso anno, a questo va comunque accostato il buon numero dei certificati d'eccellenza (sette). Ma l'altro fattore che a mio parere va tenuto da conto è il fatto che il numero di medaglie ricevute andrebbe parametrato anche al numero di birre effettivamente presentate da ciascun Paese in un determinato anno: perché è chiaro che se la Libera Repubblica delle Bananas, con 3 birrifici attivi, presenta 3 birre e porta a casa tre medaglie, si può dire che la Libera Repubblica delle Bananas rappresenti un'eccellenza brassicola. Mi sono così chiesta come fossimo messi sotto questo profilo.
Il comunicato rilasciato dall'organizzazione del Brussels Beer Challenge afferma che dall'Italia hanno partecipato 151 birre: a ricevere riconoscimenti è quindi stato sostanzialmente un sesto dei partecipanti, per la precisione il 17,2%. Il Belgio, il Paese più rappresentato con 322 birre, si è guadagnato 62 medaglie: poco meno di un quinto, il 19,5%. Gli Stati Uniti, con 220 birre, hanno portato a casa 45 riconoscimenti: un punto più sopra, il 20,45%. Altro Paese che ha presentato più birre di noi - 161 - è - il Brasile, che però ha tante medaglie quante l'Italia, e si ferma dunque al 16,1%; più interessante invece la performance dei Paesi Bassi, con 143 birre e 28 riconoscimenti (19,6%). Meglio di noi seppur di poco fa anche la Germania, che pur a fronte di solo 21 medaglie aveva però presentato 117 birre (17,9%), ma molto peggio fa la Francia (101 birre per 10 medaglie, (9,9%). Anche questa analisi risulta insomma in linea: l'Italia è quinta per numero di medaglie, e lo è anche per percentuale di birre premiate. Ma soprattutto va notato che l'anno scorso c'erano sì 32 medaglie, ma - riferisce l'organizzazione - 209 birre partecipanti: il tasso era dunque del 15,3 per cento, due punti sotto quello di quest'anno. Siamo migliorati? Non necessariamente, dato che meno birre partecipanti (a fronte peraltro del numero di birrifici in crescita) può anche stare a significare un minore interesse a competere dovuto ad un calo nella generale qualità della produzione (e in questo senso torniamo a quanto affermato da Andrea Turco); il mio vuol essere soltanto un discorso sui numeri, e stando a quelli non ci siamo comunque difesi peggio. Soddisfazione da un lato quindi, perché un quinto posto su 37 Paesi partecipanti non è comunque male, ma anche coscienza di spazi di miglioramento.
Qui di seguito, per vostra informazione, la lista completa dei premi:
Italian Revelation / Medaglia d'Oro
Nautilus
Stout/ Porter : Russian Imperial Stout
Birrificio Mezzavia
Medaglia d'Oro
Ionda
Lager: German-Style Pilsner
Birrificio Bradipongo
Medaglia d'Argento
Kia Kaha
Pale&Amber Ale: Pacific IPA
IBEER
Medaglia d'Argento
PonAle
Lager Hoppy Lager
Birrificio Artigianale Leder
Medaglia d'Argento
Road77
Pale&Amber Ale: Amber
Il Mastio
Medaglia d'Argento
Sa Carda
Flavoured beer: Honey Beer
Spantu
Medaglia d'Argento
Staion
Pale&Amber Ale: Modern Saison
Birrificio Bionoc'
Medaglia di Bronzo
Abiura
Pale&Amber Ale: Modern Saison
Brewed by Brùton
Medaglia di Bronzo
Birra Antoniana La Torlonga
Pale&Amber Ale: Traditional Saison
Birrificio Antoniano
Medaglia di Bronzo
Birrificio Montenetto - MANNA
Pale&Amber Ale: Light Bitter Blond/Golden Ale
La Fenice
Medaglia di Bronzo
Castana
Flavoured beer: Honey Beer
Birrificio Oltrepo
Medaglia di Bronzo
Ma2
Flavoured beer: Fruit Beer
Birra dell'Eremo
Medaglia di Bronzo
Marsilia
Wheat: Gose
Birra Amiata
Medaglia di Bronzo
Nocturna
Stout/ Porter: Oatmeal Stout
Kamun
Medaglia di Bronzo
Nucis
Dark Ale: Abbey / Trappist Style Dubbel
Kamun
Medaglia di Bronzo
Riff
Wheat: White IPA/Hoppy Weizen
Birrificio P3 Brewing
Medaglia di Bronzo
Roè
Speciality Beer: Speciality beer: Italian style Grape Ale
Birrificio Sagrin
Medaglia di Bronzo
Speed
Pale&Amber Ale: Bitter Blond/Golden Ale
Birrificio P3 Brewing
Medaglia di Bronzo
Sta Sciroccata
Dark Ale: Dark/Black IPA
Stimalti
Certificato d'eccellenza
Collesi Nera
Dark Ale : Strong Dark Ale
Fabbrica Della Birra Tenute Collesi
Certificato d'eccellenza
Crevette Blanche
Flavoured beer: Herb & Spice (Less Than 6 ABV)
Birrificio Mezzopasso
Certificato d'eccellenza
Ginevra
Lager: Bohemian-Style Pilsner
Birrificio Artigianale Leder
Certificato d'eccellenza
Glaciale
Pale&Amber Ale: Imperial IPA
Birra dell'Eremo
Certificato d'eccellenza
Impombera
Flavoured beer : Old style Fruit-Lambic
Birrificio Bionoc'
Certificato d'eccellenza
Million Reasons
Pale&Amber Ale: Modern Saison
IBEER
Certificato d'eccellenza
Nociva
Dark Ale : Brown Ale
Birrificio Bionoc'
Innanzitutto, gli stili che sono andati a medaglia: hanno infatti fatto bella mostra di sé le pils e altre lager (oro alla Ionda di Bradipongo, argento alla PonAle di Leder e certificato d'eccellenza alla Ginevra di Leder), il che conferma come anche uno stile non facile e tradizionalmente poco battuto dai birrifici italiani si stia guadagnado - percorso intrapreso del resto già da qualche anno - una reputazione sempre più solida. Inoltre, per quanto a fronte di una giuria internazionale il fatto che il concorso si sia fisicamente svolto in Belgio non sia davvero determinante, fa specie osservare che diverse birre premiate abbiano "sfidato i belgi in casa": dalle saison (argento alla Staion di BioNoc', bronzo all'Abiura di Brùton e alla Torlonga di Antoniano, certificato di eccellenza alla Million Reason di IBEER), alle blanche (Crevette di Mezzopasso) ai lambic (Impombera di Bionoc), alle birre d'abbazia (Nucis di Kamun). Da segnalare, sempre in quanto a stili, la presenza di una gose (Marsilia di Amiata) e di una Iga (Roè di Sagrin).
Da notare poi, oltre alla ottima performance di Mezzavia che si è aggiudicato il titolo di Italian Revelation, quella di BioNoc che ha ottenuto tre riconoscimenti; seguito da IBEER, Kamun, P3 Brewing e Leder con due.
Per quanto il numero e qualità delle medaglie sia in calo rispetto allo scorso anno, a questo va comunque accostato il buon numero dei certificati d'eccellenza (sette). Ma l'altro fattore che a mio parere va tenuto da conto è il fatto che il numero di medaglie ricevute andrebbe parametrato anche al numero di birre effettivamente presentate da ciascun Paese in un determinato anno: perché è chiaro che se la Libera Repubblica delle Bananas, con 3 birrifici attivi, presenta 3 birre e porta a casa tre medaglie, si può dire che la Libera Repubblica delle Bananas rappresenti un'eccellenza brassicola. Mi sono così chiesta come fossimo messi sotto questo profilo.
Il comunicato rilasciato dall'organizzazione del Brussels Beer Challenge afferma che dall'Italia hanno partecipato 151 birre: a ricevere riconoscimenti è quindi stato sostanzialmente un sesto dei partecipanti, per la precisione il 17,2%. Il Belgio, il Paese più rappresentato con 322 birre, si è guadagnato 62 medaglie: poco meno di un quinto, il 19,5%. Gli Stati Uniti, con 220 birre, hanno portato a casa 45 riconoscimenti: un punto più sopra, il 20,45%. Altro Paese che ha presentato più birre di noi - 161 - è - il Brasile, che però ha tante medaglie quante l'Italia, e si ferma dunque al 16,1%; più interessante invece la performance dei Paesi Bassi, con 143 birre e 28 riconoscimenti (19,6%). Meglio di noi seppur di poco fa anche la Germania, che pur a fronte di solo 21 medaglie aveva però presentato 117 birre (17,9%), ma molto peggio fa la Francia (101 birre per 10 medaglie, (9,9%). Anche questa analisi risulta insomma in linea: l'Italia è quinta per numero di medaglie, e lo è anche per percentuale di birre premiate. Ma soprattutto va notato che l'anno scorso c'erano sì 32 medaglie, ma - riferisce l'organizzazione - 209 birre partecipanti: il tasso era dunque del 15,3 per cento, due punti sotto quello di quest'anno. Siamo migliorati? Non necessariamente, dato che meno birre partecipanti (a fronte peraltro del numero di birrifici in crescita) può anche stare a significare un minore interesse a competere dovuto ad un calo nella generale qualità della produzione (e in questo senso torniamo a quanto affermato da Andrea Turco); il mio vuol essere soltanto un discorso sui numeri, e stando a quelli non ci siamo comunque difesi peggio. Soddisfazione da un lato quindi, perché un quinto posto su 37 Paesi partecipanti non è comunque male, ma anche coscienza di spazi di miglioramento.
Qui di seguito, per vostra informazione, la lista completa dei premi:
Italian Revelation / Medaglia d'Oro
Nautilus
Stout/ Porter : Russian Imperial Stout
Birrificio Mezzavia
Medaglia d'Oro
Ionda
Lager: German-Style Pilsner
Birrificio Bradipongo
Medaglia d'Argento
Kia Kaha
Pale&Amber Ale: Pacific IPA
IBEER
Medaglia d'Argento
PonAle
Lager Hoppy Lager
Birrificio Artigianale Leder
Medaglia d'Argento
Road77
Pale&Amber Ale: Amber
Il Mastio
Medaglia d'Argento
Sa Carda
Flavoured beer: Honey Beer
Spantu
Medaglia d'Argento
Staion
Pale&Amber Ale: Modern Saison
Birrificio Bionoc'
Medaglia di Bronzo
Abiura
Pale&Amber Ale: Modern Saison
Brewed by Brùton
Medaglia di Bronzo
Birra Antoniana La Torlonga
Pale&Amber Ale: Traditional Saison
Birrificio Antoniano
Medaglia di Bronzo
Birrificio Montenetto - MANNA
Pale&Amber Ale: Light Bitter Blond/Golden Ale
La Fenice
Medaglia di Bronzo
Castana
Flavoured beer: Honey Beer
Birrificio Oltrepo
Medaglia di Bronzo
Ma2
Flavoured beer: Fruit Beer
Birra dell'Eremo
Medaglia di Bronzo
Marsilia
Wheat: Gose
Birra Amiata
Medaglia di Bronzo
Nocturna
Stout/ Porter: Oatmeal Stout
Kamun
Medaglia di Bronzo
Nucis
Dark Ale: Abbey / Trappist Style Dubbel
Kamun
Medaglia di Bronzo
Riff
Wheat: White IPA/Hoppy Weizen
Birrificio P3 Brewing
Medaglia di Bronzo
Roè
Speciality Beer: Speciality beer: Italian style Grape Ale
Birrificio Sagrin
Medaglia di Bronzo
Speed
Pale&Amber Ale: Bitter Blond/Golden Ale
Birrificio P3 Brewing
Medaglia di Bronzo
Sta Sciroccata
Dark Ale: Dark/Black IPA
Stimalti
Certificato d'eccellenza
Collesi Nera
Dark Ale : Strong Dark Ale
Fabbrica Della Birra Tenute Collesi
Certificato d'eccellenza
Crevette Blanche
Flavoured beer: Herb & Spice (Less Than 6 ABV)
Birrificio Mezzopasso
Certificato d'eccellenza
Ginevra
Lager: Bohemian-Style Pilsner
Birrificio Artigianale Leder
Certificato d'eccellenza
Glaciale
Pale&Amber Ale: Imperial IPA
Birra dell'Eremo
Certificato d'eccellenza
Impombera
Flavoured beer : Old style Fruit-Lambic
Birrificio Bionoc'
Certificato d'eccellenza
Million Reasons
Pale&Amber Ale: Modern Saison
IBEER
Certificato d'eccellenza
Nociva
Dark Ale : Brown Ale
Birrificio Bionoc'
mercoledì 15 novembre 2017
Cremona, che BonTà
Sono "reduce" da Il BonTà, l'evento annuale di Cremona Fiere dedicato al settore enogastronomico, che quest'anno ha per la prima volta riservato un comparto specifico alle birre artigianali - battezzato Special Beer Expo. Con piacere ho colto l'invito a condurre alcune degustazioni e conferenze, che mi hanno peraltro dato l'occasione di conoscere nuovi birrifici e nuove birre. Ne cito qui alcune, nell'impossibilità di parlare di tutte.
Inizio dalla Rest In Pils, nata in casa Brewfist dal malto dell'agricoltore Carlo Eugenio Fiorani e portata in Fiera da Chocolat Cremona - a cui va una nota di merito per l'ottimo allestimento della sua "zona pub". Una pils monomalto e monoluppolo sui generis grazie al luppolo sloveno Aurora (usato anche in dry hopping), che conferisce intense note erbacee, floreali e finanche balsamiche già all'olfatto, supportate da un corpo discretamente robusto in cui il cereale entra in forza con note di miele, e un finale di un amaro secco, erbaceo ed elegante. Proseguo con la Melita del birrificio Maspy, una lager ambrata al miele di tiglio, in cui è decisamente quest'ultimo a farla da padrone sia all'olfatto - insieme a note floreali - che nel corpo: per gli amanti del dolce, dato che la lieve luppolatura finale, pur presente, almeno per quella che è la mia percezione non è tale da eliminare la persistenza mielosa.
Ho ritrovato con piacere il birrificio Padus di cui ho provato la Stella Alpina, nata nel 2013 in occasione dell'adunata degli Alpini a Piacenza (la foto risale all'epoca) e ispirata appunto ai classici aromi alpini: trattasi infatti di una strong ale al ginepro, in cui la bacca spicca già al naso - unitamente a note sia maltate che erbacee, ugualmente intense ma nettamente distinte, che non si amalgamano -; e se al palato pare predominare la rosa di sapori caramellati, questi subito lasciano nuovamente spazio a toni amari, balsamici e nettamente secchi per il genere, a ricordare quasi certe grappe. Se l'intento era quello di ispirarsi ai sapori alpini, si può dire che è riuscito.
Da segnalare poi la Pirata Nero del birrificio Moncerà, una birra dal color mogano scuro anch'essa sui generis e alquanto originale, che al naso presenta note tra l'acidulo, il legnoso e il liquoroso che farebbero quasi pensare sia passata in botte: il birraio assicura di no, tutta una questione di malti, lieviti e spezie, che fanno quasi avvicinare questa birra ad un incrocio tra un barley wine ed una flemish red - ma che non mi spiegano l'acidulo. Anche volendo però fare i precisi affermando che la nota acida tecnicamente non dovrebbe esserci, in questo caso si tratta di una pecca felice, perché nel complesso, come si suol dire, "ci sta" - mentirei se dicessi che non si tratta di una birra armoniosa e gradevole a bersi: per cui beviamoci su senza troppi pensieri (se non quello del grado alcolico, visto che ne fa otto). Come non citare inoltre la Perfect Circle di Crack, una ipa che è un tripudio di aromi e sapori che vanno dal pompelmo, al lime, all'ananas, alla papaya per chiudere dopo un corpo sufficientemente robusto da supportare la luppolatura - "in un cerchio perfetto", come il nome stesso dice - su un persistente amaro fruttato e resinoso. Da ultimo la novità di casa Legnone, la Primo taglio, una light hoppy ale: buona schiuma, naso agrumato e floreale, corpo leggero ma non annacquato, finale agrumato in cui lo styrian golding in monoluppolo aggiunge però un balsamico resinoso finale.
Chiudo con un ringraziamento a tutto lo staff del BonTà e agli espositori che hanno gentilmente fornito le birre e gli abbinamenti per le degustazioni, nonché a tutti i partecipanti agli incontri, sempre molto interessati e pronti ad interagire.
Inizio dalla Rest In Pils, nata in casa Brewfist dal malto dell'agricoltore Carlo Eugenio Fiorani e portata in Fiera da Chocolat Cremona - a cui va una nota di merito per l'ottimo allestimento della sua "zona pub". Una pils monomalto e monoluppolo sui generis grazie al luppolo sloveno Aurora (usato anche in dry hopping), che conferisce intense note erbacee, floreali e finanche balsamiche già all'olfatto, supportate da un corpo discretamente robusto in cui il cereale entra in forza con note di miele, e un finale di un amaro secco, erbaceo ed elegante. Proseguo con la Melita del birrificio Maspy, una lager ambrata al miele di tiglio, in cui è decisamente quest'ultimo a farla da padrone sia all'olfatto - insieme a note floreali - che nel corpo: per gli amanti del dolce, dato che la lieve luppolatura finale, pur presente, almeno per quella che è la mia percezione non è tale da eliminare la persistenza mielosa.
Ho ritrovato con piacere il birrificio Padus di cui ho provato la Stella Alpina, nata nel 2013 in occasione dell'adunata degli Alpini a Piacenza (la foto risale all'epoca) e ispirata appunto ai classici aromi alpini: trattasi infatti di una strong ale al ginepro, in cui la bacca spicca già al naso - unitamente a note sia maltate che erbacee, ugualmente intense ma nettamente distinte, che non si amalgamano -; e se al palato pare predominare la rosa di sapori caramellati, questi subito lasciano nuovamente spazio a toni amari, balsamici e nettamente secchi per il genere, a ricordare quasi certe grappe. Se l'intento era quello di ispirarsi ai sapori alpini, si può dire che è riuscito.
Da segnalare poi la Pirata Nero del birrificio Moncerà, una birra dal color mogano scuro anch'essa sui generis e alquanto originale, che al naso presenta note tra l'acidulo, il legnoso e il liquoroso che farebbero quasi pensare sia passata in botte: il birraio assicura di no, tutta una questione di malti, lieviti e spezie, che fanno quasi avvicinare questa birra ad un incrocio tra un barley wine ed una flemish red - ma che non mi spiegano l'acidulo. Anche volendo però fare i precisi affermando che la nota acida tecnicamente non dovrebbe esserci, in questo caso si tratta di una pecca felice, perché nel complesso, come si suol dire, "ci sta" - mentirei se dicessi che non si tratta di una birra armoniosa e gradevole a bersi: per cui beviamoci su senza troppi pensieri (se non quello del grado alcolico, visto che ne fa otto). Come non citare inoltre la Perfect Circle di Crack, una ipa che è un tripudio di aromi e sapori che vanno dal pompelmo, al lime, all'ananas, alla papaya per chiudere dopo un corpo sufficientemente robusto da supportare la luppolatura - "in un cerchio perfetto", come il nome stesso dice - su un persistente amaro fruttato e resinoso. Da ultimo la novità di casa Legnone, la Primo taglio, una light hoppy ale: buona schiuma, naso agrumato e floreale, corpo leggero ma non annacquato, finale agrumato in cui lo styrian golding in monoluppolo aggiunge però un balsamico resinoso finale.
Chiudo con un ringraziamento a tutto lo staff del BonTà e agli espositori che hanno gentilmente fornito le birre e gli abbinamenti per le degustazioni, nonché a tutti i partecipanti agli incontri, sempre molto interessati e pronti ad interagire.
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lunedì 30 ottobre 2017
Un intenso weekend di fine ottobre
Dopo uno stop forzato, posso dire di aver recuperato in grande stile lo scorso weekend con ben due eventi - la Fiera della Birra Artigianale di Pordenone, e la visita guidata con showcooking al birrificio B2O nell'ambito della manifestazione WeFood.
Al di là delle degustazioni che ho condotto (e per le quali ringrazio i birrifici che hanno collaborato e il pubblico, che si è dimostrato particolarmente numeroso e interessato), la Fiera - pur nel breve tempo che ho potuto passarci - è stata comunque l'occasione per assaggiare un paio di novità: nella fattispecie la Crossing Ipa del birrificio Jeb - aromi fruttati vellutati, che altri birrai avrebbero forse definito più da apa (ma si sa, il confine è labile); corpo moderato sui toni dolci del cereale, quasi con una punta di miele, bilanciato da un amaro finale delicato così da mantenere l'equilibrio in una birra che si capisce voler essere dai toni sobri e ben bilanciata -; la London Fog de L'Inconsueto - una torbata dalla buona bevibilità per il genere -; e la Vergine dei Chanti Brew Fighters - una blanche in stile e dalla buona secchezza, a beneficio di bevibilità.
Per quanto riguarda invece la degustazione con showcooking che ho condotto al birrificio B2O, ho visto con piacere che si è subito creata una buona intesa con Alessandro, lo chef di Natural Street Food - che ha intrattenuto i partecipanti non solo con le sue doti culinarie, ma anche con la sua verve espositiva. Il percorso degustativo prevedeva di partire con due mini hamburger gourmet: il primo con pollo, funghi, rucola, pecorino e salsa al lime, il tutto con marinatura nella blanche Terra a cui era abbinato; e il secondo con manzo, crauti, gorgonzola fuso e cipolla caramellata e marinatura nella apa Edgard. Devo dire di aver apprezzato in particolare la "fusione" al palato tra i pollo, i funghi, la salsa al lime e la speziatura agrumata della Terra, che al boccone hanno fatto un tutt'uno lasciando una gradevole persistenza citrica; ma anche la Edgard, con la sua buona secchezza amara, ha fatto il suo lavoro nel chiudere in contrasto sapori forti come quelli del manzo, della cipolla e del gorgonzola.
Siamo poi passati al burrito con riso, fagioli neri, bocconcini di pollo e crauti, marinati nel lime e weizen Jam Session. Qui la cosa inizialmente mi aveva lasciata un po' più perplessa perché, data la complessità del burrito che accostava sapori anche molto diversi tra loro, pensare a che birra abbinarci poteva diventare difficile; ma la Jam Session si è in fondo rivelata una buona soluzione data la freschezza e il lieve amaro acidulo finale, che con il suo effetto di pulizia va a smorzare appunto questa complessità.
Da ultimo il risotto con zucca, salsiccia e pecorino sfumato con la Irish Red Ale Brussa. Particolarmente interessante qui come l'ingresso dolce - tra il caramello e il toffee - della birra accompagnasse il boccone di riso - anche quello sui toni dolci della zucca, mentre la salsiccia rimaneva a dare una nota di sapore ma quasi senza farsi notare -, per poi chiudere con la luppolatura leggera sul finale, quasi a voler mettere un punto fermo all'esperienza gustativa dopo aver sviluppato la frase. Forse l'abbinamento più degno di nota dei quattro sotto il profilo puramente tecnico.
Di nuovo un ringraziamento a tutti, e una doverosa nota di merito ad Alessandro per i piatti.
Al di là delle degustazioni che ho condotto (e per le quali ringrazio i birrifici che hanno collaborato e il pubblico, che si è dimostrato particolarmente numeroso e interessato), la Fiera - pur nel breve tempo che ho potuto passarci - è stata comunque l'occasione per assaggiare un paio di novità: nella fattispecie la Crossing Ipa del birrificio Jeb - aromi fruttati vellutati, che altri birrai avrebbero forse definito più da apa (ma si sa, il confine è labile); corpo moderato sui toni dolci del cereale, quasi con una punta di miele, bilanciato da un amaro finale delicato così da mantenere l'equilibrio in una birra che si capisce voler essere dai toni sobri e ben bilanciata -; la London Fog de L'Inconsueto - una torbata dalla buona bevibilità per il genere -; e la Vergine dei Chanti Brew Fighters - una blanche in stile e dalla buona secchezza, a beneficio di bevibilità.
Per quanto riguarda invece la degustazione con showcooking che ho condotto al birrificio B2O, ho visto con piacere che si è subito creata una buona intesa con Alessandro, lo chef di Natural Street Food - che ha intrattenuto i partecipanti non solo con le sue doti culinarie, ma anche con la sua verve espositiva. Il percorso degustativo prevedeva di partire con due mini hamburger gourmet: il primo con pollo, funghi, rucola, pecorino e salsa al lime, il tutto con marinatura nella blanche Terra a cui era abbinato; e il secondo con manzo, crauti, gorgonzola fuso e cipolla caramellata e marinatura nella apa Edgard. Devo dire di aver apprezzato in particolare la "fusione" al palato tra i pollo, i funghi, la salsa al lime e la speziatura agrumata della Terra, che al boccone hanno fatto un tutt'uno lasciando una gradevole persistenza citrica; ma anche la Edgard, con la sua buona secchezza amara, ha fatto il suo lavoro nel chiudere in contrasto sapori forti come quelli del manzo, della cipolla e del gorgonzola.
Siamo poi passati al burrito con riso, fagioli neri, bocconcini di pollo e crauti, marinati nel lime e weizen Jam Session. Qui la cosa inizialmente mi aveva lasciata un po' più perplessa perché, data la complessità del burrito che accostava sapori anche molto diversi tra loro, pensare a che birra abbinarci poteva diventare difficile; ma la Jam Session si è in fondo rivelata una buona soluzione data la freschezza e il lieve amaro acidulo finale, che con il suo effetto di pulizia va a smorzare appunto questa complessità.
Da ultimo il risotto con zucca, salsiccia e pecorino sfumato con la Irish Red Ale Brussa. Particolarmente interessante qui come l'ingresso dolce - tra il caramello e il toffee - della birra accompagnasse il boccone di riso - anche quello sui toni dolci della zucca, mentre la salsiccia rimaneva a dare una nota di sapore ma quasi senza farsi notare -, per poi chiudere con la luppolatura leggera sul finale, quasi a voler mettere un punto fermo all'esperienza gustativa dopo aver sviluppato la frase. Forse l'abbinamento più degno di nota dei quattro sotto il profilo puramente tecnico.
Di nuovo un ringraziamento a tutti, e una doverosa nota di merito ad Alessandro per i piatti.
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martedì 17 ottobre 2017
Meadley ottobrino: dai Duri ai Banchi al Take Craft Back
Sì lo so, ho messo insieme due cose che non c'entrano nulla, però mi sono trovata oggi a scrivere di entrambe e quindi va così....
Parto dalla mia trasferta mestrina di sabato scorso, quanto ho colto - in occasione del primo compleanno del locale - l'invito ormai da tempo rivolto dalla Birroteca Duri ai Banchi ad una visita. Un locale aperto da due amici uniti dalla passione per la birra - Andrea Baesso e Gianmaria Spavento, in ordine alfabetico per non far torto a nessuno, e in ordine da destra a sinistra nella foto - e che prende il nome da un modo di dire veneziano che significa "tenere duro" - e che fa il paio con i banchi di legno naturale che arredano l'ambiente, decorato anche con poster, insegne di marchi birrari, vecchie bottiglie, e addirittura una bicicletta appesa al muro in virtù della passione sportiva di Gianmaria.
Il locale ha fisse quattro spine e una pompa, ma per l'occasione ne erano state allestite altre tre in un banco all'esterno; è stato così possibile allestire una tap list variegata, da birre di Bionoc, a Borderline, a Luckybrews, Mastino, Bav, Camerini, Sognandobirra ed altri ancora. In generale comunque, sia per quanto riguarda le birre alla spina a rotazione che per quanto riguarda le bottiglie, la scelta non manca e comprende anche marchi non facilissimi da trovare (almeno in zona): Hanssens, Black Barrels, Nogne, Pohjala, Strubbe, Stone, Canediguerra, Hammer, Almond '22, Cantillon, Boon, Extraomnes, Opperbacco, ed altri ancora. Gustosa anche la scelta di taglieri, panini, panpizza, focacce e affini, a cui si era aggiunta per l'occasione la porchetta tagliata al momento. Un locale piccolo come dimensioni, ma accogliente e ricco di birre interessanti, senz'altro consigliabile - non da ultimo per il calore dell'ospitalità di Andrea e Gianmaria.
Cambiando completamente argomento, già da qualche giorno ha cominciato a girare anche sulle bacheche italiane la campagna "Take Craft Back" lanciata dalla Brewers Association, l'associazione di categoria che riunisce i birrai artigianali statunitensi. In sé e per sé, la cosa appare semplicemente come una provocazione: a fronte del sempre più sfrenato "shopping" di birrifici artigianali da parte delle multinazionali, i birrifici artigianali rispondono con le stesse armi, ossia....comprando le multinazionali. Così l'associazione ha lanciato una campagna di crowdfunding che mira a raccogliere i 213 miliardi (sì, avete letto bene, miliardi) di dollari necessari (in linea teorica) ad acquistare AB-Inbev, la più grande multinazionale del settore (nonché la più attiva negli acquisti).
Sarà pure una provocazione, ma la campagna ha ad oggi raccolto oltre 1,4 milioni di dollari (a titolo però di "pledge", di impegno vincolante: il denaro sarà effettivamente raccolto solo se si arriverà alla cifra stabilita) da più di 4500 sostenitori (e se aggiornate la pagina anche a distanza di pochi minuti, vedrete che la cifra cresce). Una provocazione destinata a finire nel nulla perché la fantomatica cifra di 213 miliardi di dollari non si raggiungerà mai (e perché, volendo pure ammettere uno scenario fantaeconomico in cui li si raggiungesse, non è comunque scontato che Ab-Inbev venderebbe)? Realisticamente parlando sì, però la cosa ha indubbiamente un forte valore mediatico e "politico". Molte testate di spessore ne stanno parlando, e se il numero di sostenitori e la cifra raccolta fossero comunque considerevoli si tratterebbe di un segnale di non poco conto lanciato sia ai birrifici artigianali - che avrebbero modo di "testare" quante persone siano sensibili alla loro causa, anche se solo "virtualmente" - sia alle multinazionali - che si troverebbero a fare i conti con una coscienza più diffusa rispetto alla differenza tra birrificio indipendente e non. Se la cosa sortirà qualche effetto, staremo a vedere; intanto anche i birrai americani ci scherzano sopra - anche la sezione del sito in cui fare il proprio "pledge" afferma scherzosamente che "non ci aspettiamo di ricontattarti" per chiedere i soldi - secondo la filosofia per cui "una risata le seppellirà" (le multionazionali, naturalmente).
Parto dalla mia trasferta mestrina di sabato scorso, quanto ho colto - in occasione del primo compleanno del locale - l'invito ormai da tempo rivolto dalla Birroteca Duri ai Banchi ad una visita. Un locale aperto da due amici uniti dalla passione per la birra - Andrea Baesso e Gianmaria Spavento, in ordine alfabetico per non far torto a nessuno, e in ordine da destra a sinistra nella foto - e che prende il nome da un modo di dire veneziano che significa "tenere duro" - e che fa il paio con i banchi di legno naturale che arredano l'ambiente, decorato anche con poster, insegne di marchi birrari, vecchie bottiglie, e addirittura una bicicletta appesa al muro in virtù della passione sportiva di Gianmaria.
Il locale ha fisse quattro spine e una pompa, ma per l'occasione ne erano state allestite altre tre in un banco all'esterno; è stato così possibile allestire una tap list variegata, da birre di Bionoc, a Borderline, a Luckybrews, Mastino, Bav, Camerini, Sognandobirra ed altri ancora. In generale comunque, sia per quanto riguarda le birre alla spina a rotazione che per quanto riguarda le bottiglie, la scelta non manca e comprende anche marchi non facilissimi da trovare (almeno in zona): Hanssens, Black Barrels, Nogne, Pohjala, Strubbe, Stone, Canediguerra, Hammer, Almond '22, Cantillon, Boon, Extraomnes, Opperbacco, ed altri ancora. Gustosa anche la scelta di taglieri, panini, panpizza, focacce e affini, a cui si era aggiunta per l'occasione la porchetta tagliata al momento. Un locale piccolo come dimensioni, ma accogliente e ricco di birre interessanti, senz'altro consigliabile - non da ultimo per il calore dell'ospitalità di Andrea e Gianmaria.
Cambiando completamente argomento, già da qualche giorno ha cominciato a girare anche sulle bacheche italiane la campagna "Take Craft Back" lanciata dalla Brewers Association, l'associazione di categoria che riunisce i birrai artigianali statunitensi. In sé e per sé, la cosa appare semplicemente come una provocazione: a fronte del sempre più sfrenato "shopping" di birrifici artigianali da parte delle multinazionali, i birrifici artigianali rispondono con le stesse armi, ossia....comprando le multinazionali. Così l'associazione ha lanciato una campagna di crowdfunding che mira a raccogliere i 213 miliardi (sì, avete letto bene, miliardi) di dollari necessari (in linea teorica) ad acquistare AB-Inbev, la più grande multinazionale del settore (nonché la più attiva negli acquisti).
Sarà pure una provocazione, ma la campagna ha ad oggi raccolto oltre 1,4 milioni di dollari (a titolo però di "pledge", di impegno vincolante: il denaro sarà effettivamente raccolto solo se si arriverà alla cifra stabilita) da più di 4500 sostenitori (e se aggiornate la pagina anche a distanza di pochi minuti, vedrete che la cifra cresce). Una provocazione destinata a finire nel nulla perché la fantomatica cifra di 213 miliardi di dollari non si raggiungerà mai (e perché, volendo pure ammettere uno scenario fantaeconomico in cui li si raggiungesse, non è comunque scontato che Ab-Inbev venderebbe)? Realisticamente parlando sì, però la cosa ha indubbiamente un forte valore mediatico e "politico". Molte testate di spessore ne stanno parlando, e se il numero di sostenitori e la cifra raccolta fossero comunque considerevoli si tratterebbe di un segnale di non poco conto lanciato sia ai birrifici artigianali - che avrebbero modo di "testare" quante persone siano sensibili alla loro causa, anche se solo "virtualmente" - sia alle multinazionali - che si troverebbero a fare i conti con una coscienza più diffusa rispetto alla differenza tra birrificio indipendente e non. Se la cosa sortirà qualche effetto, staremo a vedere; intanto anche i birrai americani ci scherzano sopra - anche la sezione del sito in cui fare il proprio "pledge" afferma scherzosamente che "non ci aspettiamo di ricontattarti" per chiedere i soldi - secondo la filosofia per cui "una risata le seppellirà" (le multionazionali, naturalmente).
lunedì 9 ottobre 2017
Un nuovo corso per il Birrificio B2O
Chi segue la mia pagina Facebook già avrà letto qualcosa in merito all'inaugurazione della nuova sede del Birrificio B2O in quel di Caorle, nell'oasi della Brussa, lo scorso sabato 7 ottobre. Fortunatamente il bel tempo ha benedetto l'evento: e bisogna riconoscere che in una bella giornata autunnale questo tratto di costa non urbanizzata tra Caorle e Bibione ha il suo fascino. Ad ospitare il birrificio è ora la barchessa restaurata di una vecchia casa padronale: un edificio che senz'altro può suscitare l'interesse degli appassionati di edilizia sostenibile ed energie rinnovabili, dato che il lavoro è stato portato avanti secondo queste direttrici - dall'ampio utilizzo del legno, all'installazione di pannelli solari e fotovoltaici; e non a caso uno dei soci che hanno sostenuto il birraio Gianluca Feruglio nell'impresa - Giovanni Bartucci, insieme a Giuseppe Lovati Cottini e Michael Cortelletti - lavora proprio in questo settore come ingegnere.
Il fatto di aver nominato i tre soci (qui nella foto insieme a Gianluca) dà peraltro occasione, in un periodo di cessioni, acquisizioni e affini, di fare una considerazione in merito ai possibili canali di finanziamento per i birrifici artigianali che vogliano investire: in questo caso imprenditori e professionisti di diversi settori - Lovati Cottini è avvocato ma anche proprietario di alcuni terreni agricoli in Brussa, Cortelletti opera nella ristorazione, e Bartucci è appunto ingegnere - che hanno trovato un interesse più o meno diretto nel progetto e ci hanno creduto. Una via magari non facile dato che deve tenere insieme interessi potenzialmente diversi, ma che per i "piccoli" rappresenta un'opzione senz'altro meno controversa rispetto all'indebitamento massiccio con le banche o la cessione di quote più o meno consistenti ad aziende più grandi - e non a caso ho notizie anche di altri birrifici che stanno battendo la stessa strada.
Tornando alla nuova sede di B2O, è composta di una tap room al piano terra arredata con gusto in cui predomina il legno, e una sala da utilizzare per incontri, degustazioni ed eventi al piano superiore; con tanto di terrazza interna che si affaccia sulla zona produzione con un impianto da 20hl.
Da segnalare anche la "chicca tecnologica", ossia l'imbottigliatrice Ricamo brevettata dall'azienda veronese Dr Tech, che consente di imbottigliare sottovuoto e senza che la cannuccia di riempimento tocchi la birra per evitare ossidazione e contaminazioni. All'esterno si apre un ampio spazio verde, dove sono in progetto delle parcellizzazioni con colture di grani antichi da utilizzare in alcune birre (oltre all'orzo già coltivato nei campi circostanti), e per l'anno prossimo anche il luppoleto. Dato poi che la zona è conosciuta per i percorsi ciclabili e a cavallo, l'idea è che il birrificio si presti anche ad essere "tappa di turismo sostenibile" in sinergia con gli altri operatori della zona; con spazi anche per poter lasciare il cavallo o la bicicletta, o dove prendere la bicicletta in bike sharing. In occasione dell'inaugurazione parte di questo spazio è peraltro tornato buono per ospitare diversi food truck e stand gastronomici - dal toro allo spiedo alla frittura di pesce - nonché, sotto il porticato della barchessa, animazione per bambini e il concerto degli Absolute5.
Venendo alla birra, per l'occasione era stata messa alla spina - oltre a tutte le altre del repertorio - la nuova Bitter, che Gianluca mi aveva anticipato essere "una bitterina tranquilla tranquilla". In effetti lo era: luppolatura delicata tra l'erbaceo e il terroso, senza particolari toni tostati di sottofondo nonostante il color tonaca di frate potesse far presagire una maggior presenza di malto; corpo scarico e leggero (anche troppo per i miei gusti, ma si capiva essere questa l'intenzione del birraio nel costruirla) ed un finale di un amaro acre e netto ma non persistente né invadente, così da non risultare eccessivo rispetto alla levità del corpo. Da bere in quantità e senza troppe pretese, data la semplicità e leggerezza sotto il profilo gustativo.
Chiudo con una nota di merito a tutti coloro che hanno lavorato per la buona riuscita dell'evento e durante la serata stessa, date le sfide organizzative di non poco conto postesi sia prima che durante dato l'afflusso di pubblico.
Il fatto di aver nominato i tre soci (qui nella foto insieme a Gianluca) dà peraltro occasione, in un periodo di cessioni, acquisizioni e affini, di fare una considerazione in merito ai possibili canali di finanziamento per i birrifici artigianali che vogliano investire: in questo caso imprenditori e professionisti di diversi settori - Lovati Cottini è avvocato ma anche proprietario di alcuni terreni agricoli in Brussa, Cortelletti opera nella ristorazione, e Bartucci è appunto ingegnere - che hanno trovato un interesse più o meno diretto nel progetto e ci hanno creduto. Una via magari non facile dato che deve tenere insieme interessi potenzialmente diversi, ma che per i "piccoli" rappresenta un'opzione senz'altro meno controversa rispetto all'indebitamento massiccio con le banche o la cessione di quote più o meno consistenti ad aziende più grandi - e non a caso ho notizie anche di altri birrifici che stanno battendo la stessa strada.
Tornando alla nuova sede di B2O, è composta di una tap room al piano terra arredata con gusto in cui predomina il legno, e una sala da utilizzare per incontri, degustazioni ed eventi al piano superiore; con tanto di terrazza interna che si affaccia sulla zona produzione con un impianto da 20hl.
Da segnalare anche la "chicca tecnologica", ossia l'imbottigliatrice Ricamo brevettata dall'azienda veronese Dr Tech, che consente di imbottigliare sottovuoto e senza che la cannuccia di riempimento tocchi la birra per evitare ossidazione e contaminazioni. All'esterno si apre un ampio spazio verde, dove sono in progetto delle parcellizzazioni con colture di grani antichi da utilizzare in alcune birre (oltre all'orzo già coltivato nei campi circostanti), e per l'anno prossimo anche il luppoleto. Dato poi che la zona è conosciuta per i percorsi ciclabili e a cavallo, l'idea è che il birrificio si presti anche ad essere "tappa di turismo sostenibile" in sinergia con gli altri operatori della zona; con spazi anche per poter lasciare il cavallo o la bicicletta, o dove prendere la bicicletta in bike sharing. In occasione dell'inaugurazione parte di questo spazio è peraltro tornato buono per ospitare diversi food truck e stand gastronomici - dal toro allo spiedo alla frittura di pesce - nonché, sotto il porticato della barchessa, animazione per bambini e il concerto degli Absolute5.
Venendo alla birra, per l'occasione era stata messa alla spina - oltre a tutte le altre del repertorio - la nuova Bitter, che Gianluca mi aveva anticipato essere "una bitterina tranquilla tranquilla". In effetti lo era: luppolatura delicata tra l'erbaceo e il terroso, senza particolari toni tostati di sottofondo nonostante il color tonaca di frate potesse far presagire una maggior presenza di malto; corpo scarico e leggero (anche troppo per i miei gusti, ma si capiva essere questa l'intenzione del birraio nel costruirla) ed un finale di un amaro acre e netto ma non persistente né invadente, così da non risultare eccessivo rispetto alla levità del corpo. Da bere in quantità e senza troppe pretese, data la semplicità e leggerezza sotto il profilo gustativo.
Chiudo con una nota di merito a tutti coloro che hanno lavorato per la buona riuscita dell'evento e durante la serata stessa, date le sfide organizzative di non poco conto postesi sia prima che durante dato l'afflusso di pubblico.
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lunedì 2 ottobre 2017
Piccoli homebrewers crescono
Al di là della discutibile citazione letteraria del titolo, è stata la prima che mi è venuta in mente nel descrivere il giudizio del concorso organizzato anche quest'anno dall'Associazione Homebrewers Fvg: perché, anche se quest'anno (a differenza dei precedenti) non ho potuto essere in giuria, ho comunque avuto modo di rendermi conto di come la qualità media delle birre in concorso fosse cresciuta. Assistendo al lavoro dei giudici - Severino Garlatti Costa del birrificio omonimo, Giulio Cristancig del Birrificio Campestre, Costantino Tosoratti e Alessandro Bilucaglia del birrificio Antica Contea -, ho visto come la grande maggioranza delle birre abbia ottenuto buoni punteggi, e come tra quelle salite sul podio sia andato in scena un vero e proprio "giudizio finale" con acceso dibattito - che ha alla fine portato alla scelta di assegnare due primi posti pari merito, nell'impossibilità di decidere quale tra le due fosse più meritevole. Una prova dunque di un miglioramento progressivo, segno che il movimento homebrewer in Regione è in crescita.
Venendo ai premiati, ad aggiudicarsi in quinto posto è stato Luca Dalla Torre con la sua Golden Ale, e il quarto Walter Cainero con una Pale Ale: due nomi noti all'interno dell'Associazione che hanno confermato la loro abilità, ma lasciando quest'anno spazio anche a nuovi arrivi - con i quali se la sono giocata sul filo del rasoio in quanto a punteggio. Al terzo posto si è infatti classificata la weizen di Giampaolo Pascolo (foto sopra), alla sua prima all grain; e ad arrivare primi sono stati Dario Caruso con una porter e Giulio Cervi e Riccardo Casarotto con una apa (qui accanto), anche loro di esperienza relativamente breve con l'homebrewing. Non si è trattato quindi di nomi noti che che hanno "calato" le loro performance (data la differenza di punteggio minima), ma piuttosto di nomi nuovi che hanno migliorato le loro, il che è un buon segno. Di nuovo complimenti a tutti, e un ringraziamento all'Associazione Homebrewers Fvg - che mi ha invitata a premiare, per quanto abbia dovuto declinare l'invito a giudicare - e alla birreria Brasserie che ha ospitato il concorso all'interno dei festeggiamenti per il 21mo anniversario dell'apertura, dal 27 al 30 settembre.
Venendo ai premiati, ad aggiudicarsi in quinto posto è stato Luca Dalla Torre con la sua Golden Ale, e il quarto Walter Cainero con una Pale Ale: due nomi noti all'interno dell'Associazione che hanno confermato la loro abilità, ma lasciando quest'anno spazio anche a nuovi arrivi - con i quali se la sono giocata sul filo del rasoio in quanto a punteggio. Al terzo posto si è infatti classificata la weizen di Giampaolo Pascolo (foto sopra), alla sua prima all grain; e ad arrivare primi sono stati Dario Caruso con una porter e Giulio Cervi e Riccardo Casarotto con una apa (qui accanto), anche loro di esperienza relativamente breve con l'homebrewing. Non si è trattato quindi di nomi noti che che hanno "calato" le loro performance (data la differenza di punteggio minima), ma piuttosto di nomi nuovi che hanno migliorato le loro, il che è un buon segno. Di nuovo complimenti a tutti, e un ringraziamento all'Associazione Homebrewers Fvg - che mi ha invitata a premiare, per quanto abbia dovuto declinare l'invito a giudicare - e alla birreria Brasserie che ha ospitato il concorso all'interno dei festeggiamenti per il 21mo anniversario dell'apertura, dal 27 al 30 settembre.
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venerdì 22 settembre 2017
Gusti di Frontiera 2017: dal riso alla frutta
Nonostante quest'anno non abbia potuto darmi a maratone birrarie, non ho comunque disdegnato un giro alla manifestazione goriziana Gusti di Frontiera: un tour che mi fa sempre piacere, nonché occasione per conoscere gente nuova e rivedere vecchi amici. E in effetti già all'ingresso di Corso Italia ho fatto una nuova conoscenza, l'azienda agricola Palcoda di Fanna (PN), che all'attività principale di allevamento di capre e pecore - da cui ricava una notevole varietà di formaggi - affianca la coltivazione dell'orzo, appoggiandosi poi all'agribirrificio Santjago di Vittorio Veneto come beerfirm. Una scelta, hanno spiegato, dovuta anche alla volontà di appoggiarsi ad un'altra azienda agricola (qual è in effetti Santjago), così da trovarsi in maggiore sintonia in quanto a filosofia di lavoro. Due per ora le birre prodotte su ricetta Palcoda, ed entrambe rivelano una certa passione per le aromatizzazioni di impronta belga: una blonde ale all'arancia amara, e una amber ale al coriandolo.
La seconda nuova conoscenza l'ho fatta a poca distanza da lì, il mantovano birrificio Luppolajo; non era presente tramite il birraio, ma il ragazzo allo stand ha comunque fatto un buon lavoro nell'illustrarmele. Su suo consiglio mi sono concessa un assaggio della Gem Session, una session ipa al riso. Luppolatura delicata su toni floreali con sottofondo di agrume, quasi bergamotto; snella e fresca nel corpo, con finale secco e pulito, di un amaro senza compromessi ma elegante e non troppo persistente. Dissetante, gradevole per le giornate calde, ben costruita nella sua semplicità.
Chi invece ha fatto un lavoro di costruzione un po' più elaborato con la sua nuova creatura è Lorenzo Serroni di The Lure, che mi ha presentato ("Ma senza insistenze eh, capisco...."....e capirai Lure', già le pinte intere invece degli assaggini me le sogno di notte da quattro mesi, questa è istigazione a delinquere) la sua nuova Black or Fruit. Trattasi di una "black juices ipa", ossia una base di black ipa di 6 gradi alcolici a cui è stata aggiunta poco più che la stessa percentuale di succo di vari frutti tropicali (ananas in primo luogo); per la quale Lorenzo ha studiato un mix di luppoli sloveni dagli aromi fruttati tale da accompagnare il succo. In effetti all'aroma i luppoli e la frutta propriamente detta - dai toni di ananas, a quelli di frutto della passione, di uva spina e affini - si armonizzano in maniera tale da risultare quasi indistinguibili. Devo dire peraltro che la frutta, pur percepibile, rimane più sullo sfondo di quanto mi sarei aspettata, accompagnando aromi e sapori senza però risaltare: anche nel corpo, snello nonostante la complessità dell'insieme e il grado alcolico, protagonisti rimangono i malti tra il tostato e il caramellato, mentre la frutta va a dare solo una "nota di colore"; salvo lasciare il posto sul finale ad un amaro citrico che, pur non troppo robusto, è comunque deciso e ben persistente. Nota di merito poi per la schiuma, densa, saporita e ben perisstente, da addentare. Dato che mi sono trovata più volte ad osservare che Lorenzo, rimanendo fedele alla sua prima passione, fa birra come si fa musica - magari si possono anche sperimentare note audaci e dissonanti, ma alla fine si rispettano le regole base dell'armonia e nove volte su dieci si risolve sulla tonica - potrei dire un po' lo stesso anche questa volta: la birra rimane una birra, non una spremuta di ananas, e la frutta fa solo da accompagnamento alla linea melodica principale. Dato l'equilibrio nella complessità si nota che c'è stato un certo lavoro volto ad ottenerlo - e anche qui non posso che ripensare al musicista, che studia fino allo sfinimento lo stesso pezzo finché non esce "pulito". Insomma, da questo punto di vista, l'artigiano (birraio o quel che sia) e il musicista si assomigliano.
Naturalmente sono molti altri gli stand di birra artigianale presenti a Gusti di Frontiera, a cominciare dalla Birroteca dell'Associazione artigiani birrai Fvg in Via Rastello con 16 birre a listino; più altri quali Meni, Foglie d'Erba, Antica Contea, Campestre, Zahre, Campagnolo, Il Birrone, Grana 40, Casa Veccia ed altri ancora. Insomma, come prevedibile, non c'è il rischio di patire la sete...
La seconda nuova conoscenza l'ho fatta a poca distanza da lì, il mantovano birrificio Luppolajo; non era presente tramite il birraio, ma il ragazzo allo stand ha comunque fatto un buon lavoro nell'illustrarmele. Su suo consiglio mi sono concessa un assaggio della Gem Session, una session ipa al riso. Luppolatura delicata su toni floreali con sottofondo di agrume, quasi bergamotto; snella e fresca nel corpo, con finale secco e pulito, di un amaro senza compromessi ma elegante e non troppo persistente. Dissetante, gradevole per le giornate calde, ben costruita nella sua semplicità.
Chi invece ha fatto un lavoro di costruzione un po' più elaborato con la sua nuova creatura è Lorenzo Serroni di The Lure, che mi ha presentato ("Ma senza insistenze eh, capisco...."....e capirai Lure', già le pinte intere invece degli assaggini me le sogno di notte da quattro mesi, questa è istigazione a delinquere) la sua nuova Black or Fruit. Trattasi di una "black juices ipa", ossia una base di black ipa di 6 gradi alcolici a cui è stata aggiunta poco più che la stessa percentuale di succo di vari frutti tropicali (ananas in primo luogo); per la quale Lorenzo ha studiato un mix di luppoli sloveni dagli aromi fruttati tale da accompagnare il succo. In effetti all'aroma i luppoli e la frutta propriamente detta - dai toni di ananas, a quelli di frutto della passione, di uva spina e affini - si armonizzano in maniera tale da risultare quasi indistinguibili. Devo dire peraltro che la frutta, pur percepibile, rimane più sullo sfondo di quanto mi sarei aspettata, accompagnando aromi e sapori senza però risaltare: anche nel corpo, snello nonostante la complessità dell'insieme e il grado alcolico, protagonisti rimangono i malti tra il tostato e il caramellato, mentre la frutta va a dare solo una "nota di colore"; salvo lasciare il posto sul finale ad un amaro citrico che, pur non troppo robusto, è comunque deciso e ben persistente. Nota di merito poi per la schiuma, densa, saporita e ben perisstente, da addentare. Dato che mi sono trovata più volte ad osservare che Lorenzo, rimanendo fedele alla sua prima passione, fa birra come si fa musica - magari si possono anche sperimentare note audaci e dissonanti, ma alla fine si rispettano le regole base dell'armonia e nove volte su dieci si risolve sulla tonica - potrei dire un po' lo stesso anche questa volta: la birra rimane una birra, non una spremuta di ananas, e la frutta fa solo da accompagnamento alla linea melodica principale. Dato l'equilibrio nella complessità si nota che c'è stato un certo lavoro volto ad ottenerlo - e anche qui non posso che ripensare al musicista, che studia fino allo sfinimento lo stesso pezzo finché non esce "pulito". Insomma, da questo punto di vista, l'artigiano (birraio o quel che sia) e il musicista si assomigliano.
Naturalmente sono molti altri gli stand di birra artigianale presenti a Gusti di Frontiera, a cominciare dalla Birroteca dell'Associazione artigiani birrai Fvg in Via Rastello con 16 birre a listino; più altri quali Meni, Foglie d'Erba, Antica Contea, Campestre, Zahre, Campagnolo, Il Birrone, Grana 40, Casa Veccia ed altri ancora. Insomma, come prevedibile, non c'è il rischio di patire la sete...
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martedì 19 settembre 2017
Anche i "makers" fanno gli homebrewer
Ok, partiamo dalle basi: non è detto che tutti sappiano cos'è un "maker". Almeno, io ammetto candidamente di non averlo saputo fino a quando, un paio d'anni fa, Enrico mi ha portata per la prima volta al Mini Maker Faire di Trieste, tappa giuliana di questa manifestazione nata a San Francisco e che riunisce appunto i "makers" - termine traduicibile in italiano con l'espressione "artigiani digitali", coloro che in piccoli laboratori o in casa sfruttano le nuove tecnologie per più o meno piccole (e più o meno bizzarre, diciamo la verità, ma è lì che sta il bello) realizzazioni ingegneristiche o robotiche. Anche quest'anno Enrico mi ha voluta portare, facendo leva sull'annunciata partecipazione di un maker che aveva realizzato un innovativo software di controllo per l'homebrewing: non sono homebrewer, mi sono detta, però può essere interessante.
Così sono andata a conoscere il giovane pordenonese Andrea Fantin (a destra nella foto) che con il suo laboratorio Imelab ha prodotto IMEbrew, definito come "The Italian homebrewing system" (il sistema homebrewing italiano). Trattasi di un ingegnoso aggeggino (passatemi il termine ironico) in grado di gestire in maniera integrata l'intero processo, dall'ammostamento alla fermentazione, grazie alla possibilità di installare fino ad otto sonde; e che è stato pensato come facilmente configurabile a piacimento e quindi personalizzabile, in base al numero di pentole disponibili, alla ricetta (se ne possono memorizzare fino a 20, impostando in automatico tempi e temperature di ammostamento, tipi di malti e di luppoli utilizzati, e ogni altro parametro utile). C'è poi la possibilità di visualizzare i grafici delle temperature in tempo reale, esportare i dati su scheda SD, importare le ricette tramite software apposito, ed una serie di altre funzionalità (illustrate nella pagina che vi ho linkato sopra, per chi fosse interessato).
Mi esimo da valutazioni tecniche dato che non ho provato IMEbrew, né sono un'esperta di elettronica; comunque Andrea mi ha riferito di aver già ricevuto manifestazioni di interesse da parte di alcune aziende per quanto riguarda la distribuzione - intende invece ad ora mantenere in casa la produzione, senza vendere l'idea. Da notare anche il fatto che, nell'anno e mezzo di lavoro che è servito per mettere a punto IMEbrew, Andrea è andato avanti con capitale proprio, senza l'aiuto di alcun finanziatore: il che evidenzia un altro handicap conclamato del nostro sistema economico, in cui i giovani creativi si trovano a dover fare da sé in quanto a fondi per sviluppare le proprie idee.
IMEbrew non è ancora distribuito sul mercato; ma Andrea ha già fornito alcuni prototipi a degli homebrewer che l'hanno contattato personalmente, e che gli stanno dando feedback dettagliato sul funzionamento - tutte informazioni utili, naturalmente, per l'affinamento delle prossime versioni. "Per ora il feedback ricevuto è molto positivo - ha assicurato -, per cui sono fiducioso di essere pronto ad uscire sul mercato in tempi relativamente brevi". Bocche cucite per ora in quanto al prezzo, ancora da determinare - sulla base anche dei futuri interventi apportati e di eventuali accordi di distribuzione; se interessati, non vi resta che continuare a seguire le vicende di Andrea...
Così sono andata a conoscere il giovane pordenonese Andrea Fantin (a destra nella foto) che con il suo laboratorio Imelab ha prodotto IMEbrew, definito come "The Italian homebrewing system" (il sistema homebrewing italiano). Trattasi di un ingegnoso aggeggino (passatemi il termine ironico) in grado di gestire in maniera integrata l'intero processo, dall'ammostamento alla fermentazione, grazie alla possibilità di installare fino ad otto sonde; e che è stato pensato come facilmente configurabile a piacimento e quindi personalizzabile, in base al numero di pentole disponibili, alla ricetta (se ne possono memorizzare fino a 20, impostando in automatico tempi e temperature di ammostamento, tipi di malti e di luppoli utilizzati, e ogni altro parametro utile). C'è poi la possibilità di visualizzare i grafici delle temperature in tempo reale, esportare i dati su scheda SD, importare le ricette tramite software apposito, ed una serie di altre funzionalità (illustrate nella pagina che vi ho linkato sopra, per chi fosse interessato).
Mi esimo da valutazioni tecniche dato che non ho provato IMEbrew, né sono un'esperta di elettronica; comunque Andrea mi ha riferito di aver già ricevuto manifestazioni di interesse da parte di alcune aziende per quanto riguarda la distribuzione - intende invece ad ora mantenere in casa la produzione, senza vendere l'idea. Da notare anche il fatto che, nell'anno e mezzo di lavoro che è servito per mettere a punto IMEbrew, Andrea è andato avanti con capitale proprio, senza l'aiuto di alcun finanziatore: il che evidenzia un altro handicap conclamato del nostro sistema economico, in cui i giovani creativi si trovano a dover fare da sé in quanto a fondi per sviluppare le proprie idee.
IMEbrew non è ancora distribuito sul mercato; ma Andrea ha già fornito alcuni prototipi a degli homebrewer che l'hanno contattato personalmente, e che gli stanno dando feedback dettagliato sul funzionamento - tutte informazioni utili, naturalmente, per l'affinamento delle prossime versioni. "Per ora il feedback ricevuto è molto positivo - ha assicurato -, per cui sono fiducioso di essere pronto ad uscire sul mercato in tempi relativamente brevi". Bocche cucite per ora in quanto al prezzo, ancora da determinare - sulla base anche dei futuri interventi apportati e di eventuali accordi di distribuzione; se interessati, non vi resta che continuare a seguire le vicende di Andrea...
martedì 12 settembre 2017
Un altro ritorno da Sancolodi
Per festeggiare degnamente il nostro quinto anniversario di matrimonio, io e Enrico siamo tornati - dopo tanto tempo, peraltro - in quel del "brewrestaurantpizzeria" (come l'ho scherzosamente soprannominato) Sancolodi di Mussolente: sempre un piacere non solo per l'ottima birra e l'ottima cucina, ma anche per l'atmosfera di famiglia che vi si respira (come già ho avuto modo più volte di considerare).
Ad accoglierci per primo è stato Roberto, pizzaiolo e birraio appassionato soprattutto del segmento sour, che - dopo averci parlato dei progetti per sviluppare ulteriormente questo comparto, rimanete sintonizzati per la novità - ci ha fatto assaggiare alcune delle ultime creazioni. Innanzitutto l'ultima versione della Kriek, con quasi il 30% di ciliegie di Marostica - conosciute in quanto particolarmente succose e saporite, virando quasi verso l'amarena. E in effetti si tratta di una kriek in cui la frutta spicca in maniera particolarmente intensa, con una dolcezza delicata ed elegante, tale da smorzare pur senza obliterare del tutto la componente acida. Personalmente l'ho anche trovata meno astringente sul finale rispetto ad altre dello stesso stile.
In seconda battuta siamo passati ad una creazione piuttosto originale, ossia una lager chiara con una base che rimanda però alle blanche - orzo, farro e segale - e succo di limoni di Sicilia - con tanto di estrazione in soluzione alcolica dell'aroma del limone (chiedo scusa per la foto che non rende giustizia alla schiuma, che in realtà era ben presente, fine e compatta, in virtù dell'attenzione riservata al non avere una componente tropo alta di olii essenziali per non pregiudicarla). Profumi intensissimi, quasi da limoncello, che si accompagnano a quelli dei cereali; in quali ritornano in forza e a sorpresa dopo un corpo solo apparentemente scarico, che va immediatamente a chiudere sui toni freschi quasi appunto da blanche. Decisamente curiosa, da provare se vi piace il genere - e no, non è una radler, ma proprio neanche parente.
Da ultimo, dopo la cena che come sempre non ha deluso - ricchi spaghetti allo scoglio per Enrico, e tagliata di tonno per me (tanto morbida che questa sì che si tagliava con un grissino, altro che scatolette) - il pezzo da novanta per chiudere la serata: stout passata in botti di whisky Long John. Nonostante il breve passaggio (poco più di un mese), la birra presenta comunque notevoli particolarità che me l'hanno fatta definire "un tiramisù": intensissimi aromi tostati di caffè che salgono da sotto la schiuma compatta, e una cremosità al palato che unisce toni dolci, amari e liquorosi amalgamandoli con eleganza, prima di chiudere tornando su persistenti note di caffè. Senz'altro una birra decisamente impegnativa, che verrebbe quasi voglia di affrontare con un cucchiaino tanto appare cremosa e corposa. Per palati forti, ma di grande soddisfazione.
Di nuovo un grazie a tutto lo staff, che ci ha come sempre accolti con la massima cordialità; ora ci sono in cantina due sour che attendono, rimanete sintonizzati...
Ad accoglierci per primo è stato Roberto, pizzaiolo e birraio appassionato soprattutto del segmento sour, che - dopo averci parlato dei progetti per sviluppare ulteriormente questo comparto, rimanete sintonizzati per la novità - ci ha fatto assaggiare alcune delle ultime creazioni. Innanzitutto l'ultima versione della Kriek, con quasi il 30% di ciliegie di Marostica - conosciute in quanto particolarmente succose e saporite, virando quasi verso l'amarena. E in effetti si tratta di una kriek in cui la frutta spicca in maniera particolarmente intensa, con una dolcezza delicata ed elegante, tale da smorzare pur senza obliterare del tutto la componente acida. Personalmente l'ho anche trovata meno astringente sul finale rispetto ad altre dello stesso stile.
In seconda battuta siamo passati ad una creazione piuttosto originale, ossia una lager chiara con una base che rimanda però alle blanche - orzo, farro e segale - e succo di limoni di Sicilia - con tanto di estrazione in soluzione alcolica dell'aroma del limone (chiedo scusa per la foto che non rende giustizia alla schiuma, che in realtà era ben presente, fine e compatta, in virtù dell'attenzione riservata al non avere una componente tropo alta di olii essenziali per non pregiudicarla). Profumi intensissimi, quasi da limoncello, che si accompagnano a quelli dei cereali; in quali ritornano in forza e a sorpresa dopo un corpo solo apparentemente scarico, che va immediatamente a chiudere sui toni freschi quasi appunto da blanche. Decisamente curiosa, da provare se vi piace il genere - e no, non è una radler, ma proprio neanche parente.
Da ultimo, dopo la cena che come sempre non ha deluso - ricchi spaghetti allo scoglio per Enrico, e tagliata di tonno per me (tanto morbida che questa sì che si tagliava con un grissino, altro che scatolette) - il pezzo da novanta per chiudere la serata: stout passata in botti di whisky Long John. Nonostante il breve passaggio (poco più di un mese), la birra presenta comunque notevoli particolarità che me l'hanno fatta definire "un tiramisù": intensissimi aromi tostati di caffè che salgono da sotto la schiuma compatta, e una cremosità al palato che unisce toni dolci, amari e liquorosi amalgamandoli con eleganza, prima di chiudere tornando su persistenti note di caffè. Senz'altro una birra decisamente impegnativa, che verrebbe quasi voglia di affrontare con un cucchiaino tanto appare cremosa e corposa. Per palati forti, ma di grande soddisfazione.
Di nuovo un grazie a tutto lo staff, che ci ha come sempre accolti con la massima cordialità; ora ci sono in cantina due sour che attendono, rimanete sintonizzati...
lunedì 11 settembre 2017
Quando la birra incontra il cioccolato
Venerdì 8 settembre ho avuto il piacere di condurre, nell'ambito di Friulidoc, la degustazione "Quando la birra incontra il cioccolato", organizzata da Confartigianato Udine negli spazi di Lino's&Co.: l'intento era quello di promuovere due prodotti artigianali della Regione, ovvero le birre artigianali dell'Associazione Artigianli Birrai Fvg, e il cioccolato di Adelia Di Fant - piccolo ma golosissimo laboratorio di cioccolato e distillati in quel di San Daniele (Udine), fidatevi che le praline alla grappa stravecchia valgono da sole un viaggio fino a lì. Birra e cioccolato non è certo un binomio nuovo, ma qui ho voluto affrontare una sfida più ampia: ossia quella di andare oltre il classico abbinamento birra-stout, sfruttando la grande varietà del repertorio cioccolatiero di Adelia per mettere in gioco anche altri stili; e devo dire che la cosa mi ha riservato parecchie soddisfazioni.
Siamo partiti con la Orzobruno di Garlatti Costa, abbinata al cioccolato fondente monorigine Sao Tomé. Una belgian strong ale bruna, dai classici profumi tra lo speziato e la frutta sotto spirito; tostata in bocca con note di caffè, cioccolato, frutta secca e prugna, e un finale secco ed erbaceo per il genere - Severino usa luppoli inglesi. La cosa ha costruito a mio avviso un interessante "ponte" con questo cioccolato dalle sfumature di tabacco e lieve acidità, fondendo il tutto in bocca in una complessa rosa di sapori che arriva infine ad unirsi.
Abbiamo poi proseguito con la brown ipa Mr Brown di Birra 1077 e il fondente monorigine Uganda. Questo abbinamento era forse la sfida maggiore, in quanto si trattava di accostare al cioccolato una birra dall'intensa luppolatura balsamica con note di agrume, ben percepibile sia in aroma che in chiusura; e che a sua volta già presentava una certa complessità dato l'unirsi di questi toni a quelli tostati, tra il caffè e il cioccolato, del malto. Ho così scelto una cioccolata sì fondente ma leggermente più dolce della precedente, dato il tocco di vaniglia che viene aggiunto; e che - a mio avviso - andava a smorzare le punte più intense dell'amaro. Qualcuno al contrario ha trovato che andasse ad esaltarlo ulteriormente per contrasto, a conferma del fatto che la componente soggettiva nelle degustazioni rimane sempre una variabile importante.
Più classico il terzo abbinamento, cioccolato fondente al peperoncino con la milk chocolate stout Eclissi di Villa Chazil: non sono certo una novità né il cioccolato al peperoncino né le stout al peperoncino, per cui questo gioco in cui toni tostati e piccanti si esaltano reciprocamente è senz'altro un sempreverde apprezzato - almeno da chi ama il piccante, beninteso. Stiamo parlando peraltro di una stout che ha una sua delicatezza, data la nota dolce del lattosio, per cui risultava ancor meno "invadente" di altre rispetto al peperoncino.
Da ultimo, chiusura in bellezza con il barley wine di Borderline - maturato per sei mesi in botti di whisky Islay e imbottigliato a novembre 2016 - e il cioccolato fondente con Pimenton de la Vera, particolarissima paprika dolce e affumicata di origine spagnola, dai caratteristici aromi torbati (Adelia è l'unica in zona ad utilizzarla nel cioccolato, per cui si tratta di una piccola chicca). Fin troppo invitante quindi accostarlo a questo barley wine con cui ha evidenti analogie, dai toni appunto torbati, al calore avvolgente dovuti da un lato alla complessità tipica dello stile e dall'altro alla spezia. Senz'altro quindi l'abbinamento più azzeccato per una chiusura da "dulcis in fundo", trattandosi di quello che ha unito il massimo dell'intensità sia sotto il profilo della birra che delle cioccolata. Una nota infine per il nocciolato offerto "extra" da Adelia Di Fant, fuoriprogramma assai apprezzato.
Di nuovo un ringraziamento a Confartigianato Udine, Lino's&Co., Adelia di Fant, l'Associazione Artigiani Birrai Fvg - in particolare nella persona di Severino Garlatti Costa, presente alla degustazione - per quello che ho trovato essere un evento particolarmente ben riuscito grazie all'impegno di tutti: dalla cura di Adelia nel preparare i cioccolatini monoporzione, a quella dei birrai nel selezionare birre adatte all'occasione (e a monte nel farle, naturalmente), all'intesa creatasi tra me e Severino nella conduzione che ha a sua volta creato intesa con il pubblico presente, all'impegno di Confartigianato per tutti gli aspetti organizzativi, alla disponibilità di Lino's&Co. nel concedere gli spazi. Un esempio di come, quando si lavora insieme e con entusiasmo, la differenza si vede.
Siamo partiti con la Orzobruno di Garlatti Costa, abbinata al cioccolato fondente monorigine Sao Tomé. Una belgian strong ale bruna, dai classici profumi tra lo speziato e la frutta sotto spirito; tostata in bocca con note di caffè, cioccolato, frutta secca e prugna, e un finale secco ed erbaceo per il genere - Severino usa luppoli inglesi. La cosa ha costruito a mio avviso un interessante "ponte" con questo cioccolato dalle sfumature di tabacco e lieve acidità, fondendo il tutto in bocca in una complessa rosa di sapori che arriva infine ad unirsi.
Abbiamo poi proseguito con la brown ipa Mr Brown di Birra 1077 e il fondente monorigine Uganda. Questo abbinamento era forse la sfida maggiore, in quanto si trattava di accostare al cioccolato una birra dall'intensa luppolatura balsamica con note di agrume, ben percepibile sia in aroma che in chiusura; e che a sua volta già presentava una certa complessità dato l'unirsi di questi toni a quelli tostati, tra il caffè e il cioccolato, del malto. Ho così scelto una cioccolata sì fondente ma leggermente più dolce della precedente, dato il tocco di vaniglia che viene aggiunto; e che - a mio avviso - andava a smorzare le punte più intense dell'amaro. Qualcuno al contrario ha trovato che andasse ad esaltarlo ulteriormente per contrasto, a conferma del fatto che la componente soggettiva nelle degustazioni rimane sempre una variabile importante.
Più classico il terzo abbinamento, cioccolato fondente al peperoncino con la milk chocolate stout Eclissi di Villa Chazil: non sono certo una novità né il cioccolato al peperoncino né le stout al peperoncino, per cui questo gioco in cui toni tostati e piccanti si esaltano reciprocamente è senz'altro un sempreverde apprezzato - almeno da chi ama il piccante, beninteso. Stiamo parlando peraltro di una stout che ha una sua delicatezza, data la nota dolce del lattosio, per cui risultava ancor meno "invadente" di altre rispetto al peperoncino.
Da ultimo, chiusura in bellezza con il barley wine di Borderline - maturato per sei mesi in botti di whisky Islay e imbottigliato a novembre 2016 - e il cioccolato fondente con Pimenton de la Vera, particolarissima paprika dolce e affumicata di origine spagnola, dai caratteristici aromi torbati (Adelia è l'unica in zona ad utilizzarla nel cioccolato, per cui si tratta di una piccola chicca). Fin troppo invitante quindi accostarlo a questo barley wine con cui ha evidenti analogie, dai toni appunto torbati, al calore avvolgente dovuti da un lato alla complessità tipica dello stile e dall'altro alla spezia. Senz'altro quindi l'abbinamento più azzeccato per una chiusura da "dulcis in fundo", trattandosi di quello che ha unito il massimo dell'intensità sia sotto il profilo della birra che delle cioccolata. Una nota infine per il nocciolato offerto "extra" da Adelia Di Fant, fuoriprogramma assai apprezzato.
Di nuovo un ringraziamento a Confartigianato Udine, Lino's&Co., Adelia di Fant, l'Associazione Artigiani Birrai Fvg - in particolare nella persona di Severino Garlatti Costa, presente alla degustazione - per quello che ho trovato essere un evento particolarmente ben riuscito grazie all'impegno di tutti: dalla cura di Adelia nel preparare i cioccolatini monoporzione, a quella dei birrai nel selezionare birre adatte all'occasione (e a monte nel farle, naturalmente), all'intesa creatasi tra me e Severino nella conduzione che ha a sua volta creato intesa con il pubblico presente, all'impegno di Confartigianato per tutti gli aspetti organizzativi, alla disponibilità di Lino's&Co. nel concedere gli spazi. Un esempio di come, quando si lavora insieme e con entusiasmo, la differenza si vede.
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martedì 5 settembre 2017
Così passa la gloria del mondo
Già, per quanto il latino a scuola non mi sia mai dispiaciuto, "Sic transit gloria mundi" mi sembrava un po' troppo altisonante come titolo di un post; ad ogni modo, è proprio a questo celebre detto che si rifà Gloria Mundi, beerfirm (si appoggiano a Collesi) di Serrungarina (Pesaro-Urbino). Il marchio è sul mercato da un anno e mezzo; ma, mi ha spiegato Margherita, responsabile marketing e comunicazione, il processo di elaborazione delle ricette e di scelta dello stabilimento a cui affidarsi per la produzione era partito già tempo prima. Forte dell'apporto di un mastro birraio dal Belgio, è appunto quella belga l'impronta scelta da Gloria Mundi per le sue birre - una bionda riconducibile alle tripel, e una rossa che si rifà alle dubbel; il tutto "condito" da una storia, in parte reale e in parte romanzata (almeno così mi ha spiegato Margherita) su come tal visconte Edoardo di Montebello, messosi in viaggio verso l'odierna Vallonia dopo aver visto i soldati dell'esercito del Barbarossa bere un "elisir dorato", abbia riportato in patria la ricetta e terminato il racconto di questa sua avventura con la frase "sic transit gloria mundi", in una lettera ad un amico.
Volentieri ho quindi colto l'invito ad assaggiarle, tanto più che la Rossa e la Bionda hanno vinto rispettivamente l'oro e l'argento italiano per la propria categoria al World Beer Awards 2017 (in entrambi i casi, giova notare, dietro a Collesi: Country Winner con la sua Triplo Malto e con la sua Rossa). Dovendola abbinare ad una cena di carne alla griglia, sono capitata per prima sulla rossa: una dubbel belga "da manuale", aromi dalla frutta matura, alla frutta secca e sotto spirito, alle spezie, al caramello, con qualche leggera tipica nota di lievito belga, aromi che evolvono con la temperatura. Molto calda, piena e dolce in bocca, qualche remiscenza quasi di brandy, finale caldo, dolce con una punta alcolica abbastanza persistente. Una classica belga appunto, tra le dubbel brune e le birre d'abbazia, senza particolari fronzoli né reintepretazioni ma pienamente aderente allo stile e fatta secondo i canoni (sotto questo profilo, non mi stupisce che sia stata apprezzata dai giudici al concorso).
Simile il discorso per la Bionda, stappata un paio di sere dopo (questa dopo pasto, accompagnandola semplicemente con della frutta secca). Anche in questo caso una tripel "da manuale": aromi di frutta matura, spezie, leggero fenolico da lievito ma nei limiti; corpo sì pieno, dolce e maltato ma relativamente snello per lo stile, rendendola discretamente beverina in rapporto al grado alcolico. Anche qui chiusura calda e dolce con qualche lieve nota liquorosa. Personalmente l'ho trovata meno caratterizzata della rossa, però come già detto vale lo stesso discorso: una birra fatta rigorosamente secondo i canoni, senz'altro atta a farsi apprezzare in un contesto come quello di un concorso. Certo potrebbe essere rivolta l'osservazione che birre fatte così "da manuale" (e non è certo solo il caso di Gloria Mundi) mancano di personalità, intesa come sorta di "tocco di riconoscibilità" rispetto ad altre dello stesso stile; è però altrettanto vero che l'intenzione dichiarata è appunto quella di rifarsi al modello belga in maniera fedele, per cui il risultato è coerente con il proposito.
Detto ciò, Friulidoc si avvicina, rimanete sintonizzati...
Volentieri ho quindi colto l'invito ad assaggiarle, tanto più che la Rossa e la Bionda hanno vinto rispettivamente l'oro e l'argento italiano per la propria categoria al World Beer Awards 2017 (in entrambi i casi, giova notare, dietro a Collesi: Country Winner con la sua Triplo Malto e con la sua Rossa). Dovendola abbinare ad una cena di carne alla griglia, sono capitata per prima sulla rossa: una dubbel belga "da manuale", aromi dalla frutta matura, alla frutta secca e sotto spirito, alle spezie, al caramello, con qualche leggera tipica nota di lievito belga, aromi che evolvono con la temperatura. Molto calda, piena e dolce in bocca, qualche remiscenza quasi di brandy, finale caldo, dolce con una punta alcolica abbastanza persistente. Una classica belga appunto, tra le dubbel brune e le birre d'abbazia, senza particolari fronzoli né reintepretazioni ma pienamente aderente allo stile e fatta secondo i canoni (sotto questo profilo, non mi stupisce che sia stata apprezzata dai giudici al concorso).
Simile il discorso per la Bionda, stappata un paio di sere dopo (questa dopo pasto, accompagnandola semplicemente con della frutta secca). Anche in questo caso una tripel "da manuale": aromi di frutta matura, spezie, leggero fenolico da lievito ma nei limiti; corpo sì pieno, dolce e maltato ma relativamente snello per lo stile, rendendola discretamente beverina in rapporto al grado alcolico. Anche qui chiusura calda e dolce con qualche lieve nota liquorosa. Personalmente l'ho trovata meno caratterizzata della rossa, però come già detto vale lo stesso discorso: una birra fatta rigorosamente secondo i canoni, senz'altro atta a farsi apprezzare in un contesto come quello di un concorso. Certo potrebbe essere rivolta l'osservazione che birre fatte così "da manuale" (e non è certo solo il caso di Gloria Mundi) mancano di personalità, intesa come sorta di "tocco di riconoscibilità" rispetto ad altre dello stesso stile; è però altrettanto vero che l'intenzione dichiarata è appunto quella di rifarsi al modello belga in maniera fedele, per cui il risultato è coerente con il proposito.
Detto ciò, Friulidoc si avvicina, rimanete sintonizzati...
martedì 22 agosto 2017
Novità in casa San Giorgio
Ho colto con piacere l'invito di Renzo Comuzzi di Birra di San Giorgio all'inaugurazione del nuovo Gustà "Al Lepre", locale udinese che dispone tra l'altro di una carta delle birre artigianali (per la cronaca quelle di Garlatti Costa, oltre a San Giorgio). Con l'occasione sarebbe stata infatti presentata la nuova Ripa (red Ipa) di San Giorgio, che si aggiunge al repertorio della casa (la pale ale 43, la stout Otello, e la honey ale Cjastine).
Dal colore ambrato rossastro - come del resto ci si sarebbe aspettati dal nome - e leggermente torbida, è caratterizzata in maniera non particolarmente intensa ma decisa dai due luppoli utilizzati - Comet e Columbus: al naso spiccano infatti note agrumate, con una punta tra il terroso e lo speziato; e il corpo snello e beverino, che non lascia alcun compromesso alla componente maltato-caramellato-tostata (come accade in alcune red ipa), si risolve presto in un finale amaro netto e secco, che richiama i toni dell'aroma con in aggiunta una leggera nota erbacea. Non si tratta comunque di un amaro soverchiante, per cui non si crea una sensazione di squilibrio a fronte del corpo più esile. Nel complesso una birra semplice e rinfrescante, per gli amanti delle ipa più "all'antica" che non concedono troppo al fruttato.
Sicuramente va riconosciuto che quest'ultima birra rappresenta un passo avanti nel percorso di San Giorgio: se la 43, pur essendo definita come apa, ha un po' faticato a trovare la sua fisionomia come tale (data la luppolatura più tendente al "floreal-continentale" che all'americano, e ad una leggera acidità da malto prima della chiusura amara che non sarebbe propria dello stile), e la Otello si pone come "sui generis" tra le stout (dato l'utilizzo del farro e i sentori arrostiti che personalmente ho sempre trovato anche un po' troppo pronunciati), già con la Cjastine si è trovato un equilibrio apprezzabile tra la componente amaro-balsamica del miele di castagno e dell'achillea e quella dolce del malto e del miele stesso; e con la Ripa, oltre ad aggiungere al repertorio uno stile che mancava, ci si è inoltrati nell'insidioso terreno del "fare le cose semplici", cosa che spesso risulta in realtà più complicata rispetto a stupire con aromi e sapori insoliti.
Ultima nota per il locale: per quanto la (comprensibile) folla dell'inaugurazione non mi abbia permesso di apprezzarlo al meglio, apprezzato è stato invece il repertorio di prodotti tipici friulani serviti (dai prosciutti di San Daniele, ai formaggi, ai vini, alle birre artigianali per l'appunto). Una fermata che può certamente risultare gradevole agli appassionati di questo filone dell'enogastronomia di passaggio in centro a Udine.
Dal colore ambrato rossastro - come del resto ci si sarebbe aspettati dal nome - e leggermente torbida, è caratterizzata in maniera non particolarmente intensa ma decisa dai due luppoli utilizzati - Comet e Columbus: al naso spiccano infatti note agrumate, con una punta tra il terroso e lo speziato; e il corpo snello e beverino, che non lascia alcun compromesso alla componente maltato-caramellato-tostata (come accade in alcune red ipa), si risolve presto in un finale amaro netto e secco, che richiama i toni dell'aroma con in aggiunta una leggera nota erbacea. Non si tratta comunque di un amaro soverchiante, per cui non si crea una sensazione di squilibrio a fronte del corpo più esile. Nel complesso una birra semplice e rinfrescante, per gli amanti delle ipa più "all'antica" che non concedono troppo al fruttato.
Sicuramente va riconosciuto che quest'ultima birra rappresenta un passo avanti nel percorso di San Giorgio: se la 43, pur essendo definita come apa, ha un po' faticato a trovare la sua fisionomia come tale (data la luppolatura più tendente al "floreal-continentale" che all'americano, e ad una leggera acidità da malto prima della chiusura amara che non sarebbe propria dello stile), e la Otello si pone come "sui generis" tra le stout (dato l'utilizzo del farro e i sentori arrostiti che personalmente ho sempre trovato anche un po' troppo pronunciati), già con la Cjastine si è trovato un equilibrio apprezzabile tra la componente amaro-balsamica del miele di castagno e dell'achillea e quella dolce del malto e del miele stesso; e con la Ripa, oltre ad aggiungere al repertorio uno stile che mancava, ci si è inoltrati nell'insidioso terreno del "fare le cose semplici", cosa che spesso risulta in realtà più complicata rispetto a stupire con aromi e sapori insoliti.
Ultima nota per il locale: per quanto la (comprensibile) folla dell'inaugurazione non mi abbia permesso di apprezzarlo al meglio, apprezzato è stato invece il repertorio di prodotti tipici friulani serviti (dai prosciutti di San Daniele, ai formaggi, ai vini, alle birre artigianali per l'appunto). Una fermata che può certamente risultare gradevole agli appassionati di questo filone dell'enogastronomia di passaggio in centro a Udine.
lunedì 7 agosto 2017
L'insolita accoppiata tra birra e Outlet Village
Diciamocelo: l'accoppiata birra-centro commerciale potrebbe, anche solo dal titolo, riaprire il vaso di Pandora delle ben note diatribe sul legame tra birra artigianale e grande distribuzione. Questa volta, però, la situazione era tale da suscitare quantomeno la curiosità di una visita: così ho colto l'invito ad essere presente alla Village Night dell'Outlet Village di Palmanova (Udine), in cui all'apertura serale dei negozi era abbinata un'altra serie di iniziative - dalle degustazioni enogastronomiche, ad un concerto di Samuele Bersani. Una delle aree degustazione era appunto dedicata alle birre artigianali: nella fattispecie erano rappresentati Cittavecchia, Oldo, Borderline e Collesi. Non erano purtroppo presenti i birrai, cosa che mi avrebbe naturalmente fatto piacere; ma devo dire che i soci di Udb - Unione Degustatori Birre, che presenziavano allo stand, hanno fatto un egregio lavoro di presentazione delle birre disponibili agli avventori.
Certo devo ammettere che, quando si tratta di presenziare a simili eventi e degustare, il fatto di non potersi permettere più di un minimo sorso ciascuna per un massimo di 2-3 birre - causa il mio attuale stato - è un handicap abbastanza serio; però d'altro canto stimola ad essere particolarmente attenti, ad affinare le capacità gustative, così da cogliere al meglio ciò che c'è da cogliere anche in un sorso solo. Insomma, non tutto il male viene per nuocere.
Venendo alle birre, ho iniziato con la Reggia, imperial pils di Oldo. Una pils alquanto sui generis, dato che nell'aroma prevalgono note agrumate e fruttate che riconducono ai luppoli americani. Dal corpo snello nonostante la maltatura, complice anche la buona carbonatazione, chiude su un amaro citrico netto e persistente; in coda al quale ho percepito anche una lieve nota alcolica, che le fa dimostrare più dei suoi 6,4 gradi. Originale, pur senza voler strafare; cercatela però se siete amanti non delle pils propriamente intese, ma delle loro "controparti" che spesso finiscono sotto l'ampia etichetta di "american lager" (strong lager, in questo caso).
Di più mi ha colpita la Piano Marshall, double ipa sempre di Oldo. Unisce infatti aromi resinosi più propriamente d'oltreoceano ad altri più erbacei e terrosi che ricordano piuttosto le ipa britanniche; e non a caso a chiudere un corpo tostato è un amaro acre, deciso e senza fronzoli - per quanto non troppo persistente - di quelli che amo definire "britannici". Sicuramente un connubio non solo originale, ma anche ben riuscito sotto il profilo dell'equilibrio.
Da ultimo mi sono concessa un sorso di Sonoma Ipa di Borderline: aroma intensissimo di agrumi, resine e frutta tropicale dato da centennial, simcoe e amarillo; che si impone peraltro anche al palato, lasciando un finale di un amaro gentile che - complici le componenti fruttate - potrebbe quasi apparire in virata verso il dolce. Estremamente beverina e rinfrescante, a mo' di succo di frutta - e no, non è una juicy - nonostante i 7,8 gradi (che non dimostra neanche lontanamente): occhio quindi se vi capitasse di berla.
Nel complesso, posso dire di aver bevuto poco ma di aver bevuto bene; e non posso che concludere ringraziando Il Palmanova Outlet Village, nonché i soci Udb (arrivati peraltro sin dal Lazio) per la calorosa accoglienza allo stand.
Certo devo ammettere che, quando si tratta di presenziare a simili eventi e degustare, il fatto di non potersi permettere più di un minimo sorso ciascuna per un massimo di 2-3 birre - causa il mio attuale stato - è un handicap abbastanza serio; però d'altro canto stimola ad essere particolarmente attenti, ad affinare le capacità gustative, così da cogliere al meglio ciò che c'è da cogliere anche in un sorso solo. Insomma, non tutto il male viene per nuocere.
Venendo alle birre, ho iniziato con la Reggia, imperial pils di Oldo. Una pils alquanto sui generis, dato che nell'aroma prevalgono note agrumate e fruttate che riconducono ai luppoli americani. Dal corpo snello nonostante la maltatura, complice anche la buona carbonatazione, chiude su un amaro citrico netto e persistente; in coda al quale ho percepito anche una lieve nota alcolica, che le fa dimostrare più dei suoi 6,4 gradi. Originale, pur senza voler strafare; cercatela però se siete amanti non delle pils propriamente intese, ma delle loro "controparti" che spesso finiscono sotto l'ampia etichetta di "american lager" (strong lager, in questo caso).
Di più mi ha colpita la Piano Marshall, double ipa sempre di Oldo. Unisce infatti aromi resinosi più propriamente d'oltreoceano ad altri più erbacei e terrosi che ricordano piuttosto le ipa britanniche; e non a caso a chiudere un corpo tostato è un amaro acre, deciso e senza fronzoli - per quanto non troppo persistente - di quelli che amo definire "britannici". Sicuramente un connubio non solo originale, ma anche ben riuscito sotto il profilo dell'equilibrio.
Da ultimo mi sono concessa un sorso di Sonoma Ipa di Borderline: aroma intensissimo di agrumi, resine e frutta tropicale dato da centennial, simcoe e amarillo; che si impone peraltro anche al palato, lasciando un finale di un amaro gentile che - complici le componenti fruttate - potrebbe quasi apparire in virata verso il dolce. Estremamente beverina e rinfrescante, a mo' di succo di frutta - e no, non è una juicy - nonostante i 7,8 gradi (che non dimostra neanche lontanamente): occhio quindi se vi capitasse di berla.
Nel complesso, posso dire di aver bevuto poco ma di aver bevuto bene; e non posso che concludere ringraziando Il Palmanova Outlet Village, nonché i soci Udb (arrivati peraltro sin dal Lazio) per la calorosa accoglienza allo stand.
lunedì 31 luglio 2017
Il nuovo Garlatti Costa
Ho presenziato con piacere ieri sera all'inaugurazione della nuova sede del birrificio Garlatti Costa, in quel di Flagogna (sì, si è trasferito da Forgaria a Flagogna. Stesso comune, borgo sempre più piccolo, ma luoghi sempre deliziosi soprattutto d'estate). A dire il vero il birraio Severino si è spostato in questa sede già da qualche mese, ma per la festa del taglio del nastro ha atteso l'estate (nonché, dice lui, di avere tutto davvero perfettamente pronto). E in effetti c'è da dire che tra birra brassata per l'occasione, buon cibo, compagnia calorosa e musica dal vivo - nota di merito al gruppo che suonava -, la serata mi è apparsa ben riuscita.
La prima cosa che balza all'occhio visitando il nuovo capannone è che è stato preso decisamente...in crescita: per quanto Severino affermi - come avevo riferito nell'articolo scritto per il numero di giugno di Udine Economia - di voler rimanere su volumi di produzione contenuti (tra i 5 e i 600 ettolitri annui), gli spazi disponibili permettono di pensare ad aumentare anche significativamente il numero di fermentatori. Magari di pensare anche ad una tap room, o comunque ad uno spazio per degustazioni o momenti didattici? "Per ora no - ha affermato Severino -, intendo concentrarmi sulla quantità e qualità della produzione, perché naturalmente è questo il primo scopo dell'investimento fatto con il nuovo impianto e la nuova linea di imbottigliamento. Per un futuro più lontano non escludo nulla a priori; ma nell'immediato, almeno in quanto ad eventi, penserei piuttosto ad una serie di serate all'aperto come quella di stasera".
Il luogo in effetti si presta, data l'ampiezza del piazzale esterno e la felice collocazione geografica - zona di San Daniele, vicino al Tagliamento, gradevole temperatura serale anche d'estate. Estiva era anche la birra pensata per l'occasione - unica spillata da tutte le vie -, la Flag, una belgian blond ale assai semplice ed essenziale: delicata luppolatura floreale, tipica nota speziata del lievito belga che contraddistingue la mano di Severino (per quanto qui, coerentemente con l'impronta complessiva, rimanga abbastanza sobria), corpo snello pur con una lievissima nota maltata che a me ha ricordato il miele, e finale secco con un amaro erbaceo discreto ma netto. Meno caratterizzata di altre birre a marchio Garlatti Costa, ma comunque non banale.
Del resto Severino sta in questo periodo lavorando soprattutto sulla nuova linea di birre, la Funky: nell'intervista per Udine Economia le aveva definite come "pensate per fondere i classici stili belgi con quelli anglosassioni [...] caratterizzati dalla freschezza e facilità di beva"; e nella direzione della "facilità" va anche il progetto delle bottiglie 0,33 e della nuova componente grafica, che prenderanno piede con la nuova linea di imbottigliamento. Tra i progetti c'è poi anche quello di affiancare alla produzione dell'orzo per il malto, già avviata dal 2013 a Aonedis (a pochi km da lì, per chi non conoscesse la zona), l'avvio di un luppoleto sperimentale; dato che "questa zona del Friuli - ha affermato - grazie al clima piovoso ma non troppo umido, è particolarmente adatta alla coltivazione del luppolo".
Con piacere ho poi notato non solo la presenza di diversi birrai della regione, ma anche il clima cordiale e di festa che si respirava tra di loro: in tempi in cui la retorica dei "birrai tutti amici" e di un movimento birrario mosso esclusivamente da passione ed amicizia non basta più ad animare il settore, fa comunque piacere vedere questi momenti.
Un'ultima nota, dato che ieri sera è stata la mia prima uscita birraria dotata di pancetta visibile (anche se in questa foto a dire il vero, non essendo di profilo, non si nota) e quindi la notizia è ormai di dominio pubblico: a risposta dei dubbi di chi ha colto ultimamente un cambiamento nelle mie attività, annuncio che c'è un piccolo (o piccola) futuro appassionato di birra artigianale - dato che conto che cresca bene - in arrivo, che se tutto va bene sarà tra noi a metà gennaio. Continuerò comunque, dato che fortunatamente la salute è buona, la mia consueta attività di addetta stampa, di giornalista, e quella di conduzione di eventi e serate: pur limitando - per forza di cose - le degustazioni a piccoli assaggi, e riducendole nel numero. Insomma, conto che non riusciate a liberarvi di me nel breve termine, e che ci riusciate solo per poco.
venerdì 28 luglio 2017
Feste della birra con stand gastronomici, alias dove ti piazzo l'industriale
Sono stata ieri all'apertura della Festa della Birra Artigianale - questo il nome dell'evento stando a quanto pubblicizzato su media e social network - in piazza Venerio a Udine. Lo ammetto, la mia curiosità era piuttosto "perfida": nei comunicati diramati dalla società organizzatrice, la Flash Srl, si parlava anche di "Birra Moretti alla Toscana". Ohibò, mi sono detta: che succede? Se vado e trovo il cartellone della Moretti esposto in bella vista, potrebbe esserci di che divertirsi nel fare il leone da tastiera e sollevare polveroni. Scherzi a parte, l'interesse a capirci di più comunque c'era, se non altro per rispetto nei confronti del birrifici - quelli sì davvero artigianali - partecipanti: Sognandobirra, Diciottozerouno, Tazebao, Dr Barbanera, Zahre e Belgrano.
La prima cosa su cui mi è caduto l'occhio è stato il fatto che, all'ingresso della piazza, il cartellone parlasse semplicemente di "Festa della birra": la dicitura "artigianale" quindi non compariva più. E a ragion veduta, direi, perché ciascuno degli stand gastronomici serviva anche birra e anche non artigianale (no, il cartellone della Moretti in bella vista non c'era: però ho trovato ad esempio Ichnusa, gruppo Heineken; nonché Ottakringer, birrificio viennese certo storico, ma che non accomunerei agli artigianali). Per carità, gli stand gastronomici sono del tutto liberi di vendere anche da bere, ci mancherebbe. E allora però, coerentemente, parliamo di "festa della birra" in senso lato, non solo di quella artigianale.
Perché, se di festa della birra artigianale vogliamo parlare, allora credo siano necessari i dovuti accorgimenti: gli stand gastronomici servano solo cibo, e la birra venga servita solo dai birrifici - perché dopotutto, si presume, è per quello che gli avventori sono lì. Mettere di fatto in concorrenza, perché di questo si tratta, le spine di birra industriale con quella artigianale, non è rispondente a ciò che un evento del genere dovrebbe essere: e non perché il consumatore non sia comunque libero di scegliere quale birra acquistare, ma per il messaggio che un'iniziativa che porta questo nome dovrebbe lanciare.
Detto ciò, non vedo nel boicottaggio selvaggio di tutti quegli eventi - e sono diversi - in cui si ripropongono situazioni simili una strategia necessariamente utile: probabilmente si otterrebbe soltanto di danneggiare quei birrifici artigianali che vi partecipano, lasciando numeri ben più ingenti di persone che questa questione non se la pongono a dirigersi verso gli stand della birra più a buon mercato. Certo il consumo consapevole - acquistare il cibo da una parte, la birra dall'altra - può essere pure poca cosa: ma, vedendola sotto un profilo di realpolitik, è comunque un segnale costruttivo. Del resto, a sentire diversi birrai, anche per loro il boicottaggio non è sempre la soluzione giusta: più d'uno mi ha riferito di riuscire sia a vendere meglio (perché la baracca bisogna pur tirarla avanti) che a far apprezzare meglio il proprio prodotto proprio là dove si ritrovava a venire messo a confronto con un'industriale.
Un'ultima nota in chiusura: ho cercato ieri, senza successo, di parlare con qualcuno degli organizzatori (nessuno dei birrai ha saputo indicarmene tra i presenti), così da chiedere direttamente a loro spiegazioni della scelta. Naturalmente sarò felice se vorranno intervenire.
La prima cosa su cui mi è caduto l'occhio è stato il fatto che, all'ingresso della piazza, il cartellone parlasse semplicemente di "Festa della birra": la dicitura "artigianale" quindi non compariva più. E a ragion veduta, direi, perché ciascuno degli stand gastronomici serviva anche birra e anche non artigianale (no, il cartellone della Moretti in bella vista non c'era: però ho trovato ad esempio Ichnusa, gruppo Heineken; nonché Ottakringer, birrificio viennese certo storico, ma che non accomunerei agli artigianali). Per carità, gli stand gastronomici sono del tutto liberi di vendere anche da bere, ci mancherebbe. E allora però, coerentemente, parliamo di "festa della birra" in senso lato, non solo di quella artigianale.
Perché, se di festa della birra artigianale vogliamo parlare, allora credo siano necessari i dovuti accorgimenti: gli stand gastronomici servano solo cibo, e la birra venga servita solo dai birrifici - perché dopotutto, si presume, è per quello che gli avventori sono lì. Mettere di fatto in concorrenza, perché di questo si tratta, le spine di birra industriale con quella artigianale, non è rispondente a ciò che un evento del genere dovrebbe essere: e non perché il consumatore non sia comunque libero di scegliere quale birra acquistare, ma per il messaggio che un'iniziativa che porta questo nome dovrebbe lanciare.
Detto ciò, non vedo nel boicottaggio selvaggio di tutti quegli eventi - e sono diversi - in cui si ripropongono situazioni simili una strategia necessariamente utile: probabilmente si otterrebbe soltanto di danneggiare quei birrifici artigianali che vi partecipano, lasciando numeri ben più ingenti di persone che questa questione non se la pongono a dirigersi verso gli stand della birra più a buon mercato. Certo il consumo consapevole - acquistare il cibo da una parte, la birra dall'altra - può essere pure poca cosa: ma, vedendola sotto un profilo di realpolitik, è comunque un segnale costruttivo. Del resto, a sentire diversi birrai, anche per loro il boicottaggio non è sempre la soluzione giusta: più d'uno mi ha riferito di riuscire sia a vendere meglio (perché la baracca bisogna pur tirarla avanti) che a far apprezzare meglio il proprio prodotto proprio là dove si ritrovava a venire messo a confronto con un'industriale.
Un'ultima nota in chiusura: ho cercato ieri, senza successo, di parlare con qualcuno degli organizzatori (nessuno dei birrai ha saputo indicarmene tra i presenti), così da chiedere direttamente a loro spiegazioni della scelta. Naturalmente sarò felice se vorranno intervenire.
venerdì 21 luglio 2017
Tra birre e friselle
Pur con estremo ritardo, essendomi presa un periodo di ferie, eccomi a scrivere della mia trasferta marchigiana in quel del birrificio IBeer di Fabriano. L'occasione era l'assemblea annuale dell'associazione Le Donne della Birra, di cui faccio parte: sì è così unito il confronto tra professioniste del settore e progettazione della attività sociali con una parte - definiamola così - più goliardica, dedicata alla visita del birrificio e all'assaggio delle birre sia di Giovanna Merloni - la padrona di casa - che di altre socie.
Il birrificio ha sede in un vecchio fienile ristrutturato, dove è stata ricavata una sala degustazione arredata con gusto - banco, tavolini, poltrone, e vetrata con vista sulla zona produzione al piano inferiore; ed è stato quindi quello il luogo prescelto sia per la riunione che per la degustazione delle - numerose, dato il vasto e creativo numero di ricette elaborate da Giovanna - birre in repertorio.
Non mi soffermo sull'assemblea, invitandovi piuttosto - soprattutto le lettrici - a seguire le attività dell'associazione tramite il sito e la pagina Facebook; passo piuttosto direttamente alla fase successiva, e in particolare alle cena degustazione birra-friselle curata da Giovanna (per quanto ha riguardato le sue birre) e Francesca Borghi, "anima" di Ella Frisa Urbana (che non è solo un locale, ma un progetto più vasto, di cui trovate tutti i dettagli nel sito). A quattro friselle gourmet - tre salate e una dolce - sono quindi state abbinate altrettante birre.
La serata si è aperta con una #FrisELLA (così sono state battezzate) alla mousse di tonno, cipolla rossa di tropea e fior di cappero di Pantelleria abbinata alla saison Million Reasons. Mi sbilancio nel dire che è stato a mio parere l'abbinamento meglio riuscito, in quanto la speziatura della saison - peraltro in questo caso molto peculiare, data l'aggiunta del tè africano roiboos che dona anche una nota più dolce - faceva perfettamente il paio con la sapidità sia della mousse che del cappero.
In seconda battuta, la #FrisELLA con crema di fagioli, erba cipollina, capocollo da Martina Franca (presidio Slow Food), semi di papavero e fichi, accostata alla ale alla canapa St'Orta. Un insieme già di per sé costruito sui contrasti tra diverse sensazioni - dolce contro salato, la pastosità della crema e del fico contro la croccantezza della frisella -, per cui era giocoforza necessaria una birra versatile, ma "pulente" allo stesso tempo: e devo dire che la St'Orta, con il suo finale secco di un amaro erbaceo non troppo invadente, ha assolto bene al suo compito.
Terza creazione è stata la #FrisELLA con crema di pecorino, aringa e pomodoro confit: anche in questo caso sapori molto forti, da andare a bilanciare con una birra di carattere. Per quanto sia risultata sin troppo amara per i miei gusti personali, ho quindi trovato che la 1405 Ipa sia stata una scelta appropriata, pulendo con l'amaro netto e persistente la notevole sapidità.
Da ultimo, la #FrisELLA con mousse di ricotta vaccina, uva sultanina alla birra, spezie e fragola su crumble di frisa abbinata alla imperial stout Special One. Vabbè, si sa che dolci - specie se al cioccolato - e imperial stout tendenzialmente è la morte loro; in questo caso però si è voluto andare in cerca di qualcosa di un po' più complesso. Il gioco era infatti non tra la componente di cacao del dessert (che in effetti non ne aveva) e quelli della stout, ma piuttosto tra quelli dolce-caramellato-speziati del primo e quelli tostati, con leggera persistenza affumicata (si fa sentire delicatamente anche il dry hopping con foglie di tabacco cubano) della seconda. Anche qui insomma si è voluto puntare sull'armonizzazione della diversità e sulla ricerca di sapori del tutto peculiari - cosa che del resto è nelle corde sia di IBeer che di Ella Frisa Urbana.
Da non dimenticare infine che la cena è stata accompagnata dai formaggi, fichi e dalle marmellate dell'azienda agricola Agrilab - gentilmente forniti da Silvia Amadei, che nell'azienda agricola di famiglia produce anche la birra omonima - nonché dalle birre, oltre che di Agrilab, di Laura Nolfi con la sua Fiorile alla ccanapa, e le Ties di Valentina Russo.
Concludo con un ringraziamento a tutte le socie, in particolare a Giovanna che ci ha ospitate, Valentina, Silvia e Laura che hanno portato le loro birre, a Francesca e collaboratrici che hanno cucinato; nonché alla presidente Elvira Ackermann e alla segretaria Caroline Noel, che hanno organizzato e condotto l'assemblea. Senza voler cadere (e scadere) in considerazioni femministe che non mi appartengono, si è trattato di un'occasione per "fare rete" (al di là della vacuità di un'espressione purtroppo abusata) tra professioniste, riconoscendo anche alcune esigenze, sensibilità e peculiarità specifiche che l'essere donna impone in questo settore.
Il birrificio ha sede in un vecchio fienile ristrutturato, dove è stata ricavata una sala degustazione arredata con gusto - banco, tavolini, poltrone, e vetrata con vista sulla zona produzione al piano inferiore; ed è stato quindi quello il luogo prescelto sia per la riunione che per la degustazione delle - numerose, dato il vasto e creativo numero di ricette elaborate da Giovanna - birre in repertorio.
Non mi soffermo sull'assemblea, invitandovi piuttosto - soprattutto le lettrici - a seguire le attività dell'associazione tramite il sito e la pagina Facebook; passo piuttosto direttamente alla fase successiva, e in particolare alle cena degustazione birra-friselle curata da Giovanna (per quanto ha riguardato le sue birre) e Francesca Borghi, "anima" di Ella Frisa Urbana (che non è solo un locale, ma un progetto più vasto, di cui trovate tutti i dettagli nel sito). A quattro friselle gourmet - tre salate e una dolce - sono quindi state abbinate altrettante birre.
La serata si è aperta con una #FrisELLA (così sono state battezzate) alla mousse di tonno, cipolla rossa di tropea e fior di cappero di Pantelleria abbinata alla saison Million Reasons. Mi sbilancio nel dire che è stato a mio parere l'abbinamento meglio riuscito, in quanto la speziatura della saison - peraltro in questo caso molto peculiare, data l'aggiunta del tè africano roiboos che dona anche una nota più dolce - faceva perfettamente il paio con la sapidità sia della mousse che del cappero.
In seconda battuta, la #FrisELLA con crema di fagioli, erba cipollina, capocollo da Martina Franca (presidio Slow Food), semi di papavero e fichi, accostata alla ale alla canapa St'Orta. Un insieme già di per sé costruito sui contrasti tra diverse sensazioni - dolce contro salato, la pastosità della crema e del fico contro la croccantezza della frisella -, per cui era giocoforza necessaria una birra versatile, ma "pulente" allo stesso tempo: e devo dire che la St'Orta, con il suo finale secco di un amaro erbaceo non troppo invadente, ha assolto bene al suo compito.
Terza creazione è stata la #FrisELLA con crema di pecorino, aringa e pomodoro confit: anche in questo caso sapori molto forti, da andare a bilanciare con una birra di carattere. Per quanto sia risultata sin troppo amara per i miei gusti personali, ho quindi trovato che la 1405 Ipa sia stata una scelta appropriata, pulendo con l'amaro netto e persistente la notevole sapidità.
Da ultimo, la #FrisELLA con mousse di ricotta vaccina, uva sultanina alla birra, spezie e fragola su crumble di frisa abbinata alla imperial stout Special One. Vabbè, si sa che dolci - specie se al cioccolato - e imperial stout tendenzialmente è la morte loro; in questo caso però si è voluto andare in cerca di qualcosa di un po' più complesso. Il gioco era infatti non tra la componente di cacao del dessert (che in effetti non ne aveva) e quelli della stout, ma piuttosto tra quelli dolce-caramellato-speziati del primo e quelli tostati, con leggera persistenza affumicata (si fa sentire delicatamente anche il dry hopping con foglie di tabacco cubano) della seconda. Anche qui insomma si è voluto puntare sull'armonizzazione della diversità e sulla ricerca di sapori del tutto peculiari - cosa che del resto è nelle corde sia di IBeer che di Ella Frisa Urbana.
Da non dimenticare infine che la cena è stata accompagnata dai formaggi, fichi e dalle marmellate dell'azienda agricola Agrilab - gentilmente forniti da Silvia Amadei, che nell'azienda agricola di famiglia produce anche la birra omonima - nonché dalle birre, oltre che di Agrilab, di Laura Nolfi con la sua Fiorile alla ccanapa, e le Ties di Valentina Russo.
Concludo con un ringraziamento a tutte le socie, in particolare a Giovanna che ci ha ospitate, Valentina, Silvia e Laura che hanno portato le loro birre, a Francesca e collaboratrici che hanno cucinato; nonché alla presidente Elvira Ackermann e alla segretaria Caroline Noel, che hanno organizzato e condotto l'assemblea. Senza voler cadere (e scadere) in considerazioni femministe che non mi appartengono, si è trattato di un'occasione per "fare rete" (al di là della vacuità di un'espressione purtroppo abusata) tra professioniste, riconoscendo anche alcune esigenze, sensibilità e peculiarità specifiche che l'essere donna impone in questo settore.
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