Parto dalla mia trasferta mestrina di sabato scorso, quanto ho colto - in occasione del primo compleanno del locale - l'invito ormai da tempo rivolto dalla Birroteca Duri ai Banchi ad una visita. Un locale aperto da due amici uniti dalla passione per la birra - Andrea Baesso e Gianmaria Spavento, in ordine alfabetico per non far torto a nessuno, e in ordine da destra a sinistra nella foto - e che prende il nome da un modo di dire veneziano che significa "tenere duro" - e che fa il paio con i banchi di legno naturale che arredano l'ambiente, decorato anche con poster, insegne di marchi birrari, vecchie bottiglie, e addirittura una bicicletta appesa al muro in virtù della passione sportiva di Gianmaria.
Il locale ha fisse quattro spine e una pompa, ma per l'occasione ne erano state allestite altre tre in un banco all'esterno; è stato così possibile allestire una tap list variegata, da birre di Bionoc, a Borderline, a Luckybrews, Mastino, Bav, Camerini, Sognandobirra ed altri ancora. In generale comunque, sia per quanto riguarda le birre alla spina a rotazione che per quanto riguarda le bottiglie, la scelta non manca e comprende anche marchi non facilissimi da trovare (almeno in zona): Hanssens, Black Barrels, Nogne, Pohjala, Strubbe, Stone, Canediguerra, Hammer, Almond '22, Cantillon, Boon, Extraomnes, Opperbacco, ed altri ancora. Gustosa anche la scelta di taglieri, panini, panpizza, focacce e affini, a cui si era aggiunta per l'occasione la porchetta tagliata al momento. Un locale piccolo come dimensioni, ma accogliente e ricco di birre interessanti, senz'altro consigliabile - non da ultimo per il calore dell'ospitalità di Andrea e Gianmaria.
Cambiando completamente argomento, già da qualche giorno ha cominciato a girare anche sulle bacheche italiane la campagna "Take Craft Back" lanciata dalla Brewers Association, l'associazione di categoria che riunisce i birrai artigianali statunitensi. In sé e per sé, la cosa appare semplicemente come una provocazione: a fronte del sempre più sfrenato "shopping" di birrifici artigianali da parte delle multinazionali, i birrifici artigianali rispondono con le stesse armi, ossia....comprando le multinazionali. Così l'associazione ha lanciato una campagna di crowdfunding che mira a raccogliere i 213 miliardi (sì, avete letto bene, miliardi) di dollari necessari (in linea teorica) ad acquistare AB-Inbev, la più grande multinazionale del settore (nonché la più attiva negli acquisti).
Sarà pure una provocazione, ma la campagna ha ad oggi raccolto oltre 1,4 milioni di dollari (a titolo però di "pledge", di impegno vincolante: il denaro sarà effettivamente raccolto solo se si arriverà alla cifra stabilita) da più di 4500 sostenitori (e se aggiornate la pagina anche a distanza di pochi minuti, vedrete che la cifra cresce). Una provocazione destinata a finire nel nulla perché la fantomatica cifra di 213 miliardi di dollari non si raggiungerà mai (e perché, volendo pure ammettere uno scenario fantaeconomico in cui li si raggiungesse, non è comunque scontato che Ab-Inbev venderebbe)? Realisticamente parlando sì, però la cosa ha indubbiamente un forte valore mediatico e "politico". Molte testate di spessore ne stanno parlando, e se il numero di sostenitori e la cifra raccolta fossero comunque considerevoli si tratterebbe di un segnale di non poco conto lanciato sia ai birrifici artigianali - che avrebbero modo di "testare" quante persone siano sensibili alla loro causa, anche se solo "virtualmente" - sia alle multinazionali - che si troverebbero a fare i conti con una coscienza più diffusa rispetto alla differenza tra birrificio indipendente e non. Se la cosa sortirà qualche effetto, staremo a vedere; intanto anche i birrai americani ci scherzano sopra - anche la sezione del sito in cui fare il proprio "pledge" afferma scherzosamente che "non ci aspettiamo di ricontattarti" per chiedere i soldi - secondo la filosofia per cui "una risata le seppellirà" (le multionazionali, naturalmente).
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