L'artista della situazione era Corinna Gortana di Arta Terme, che nel suo laboratorio "Tradizione Carnia" produce artigianalmente i cjarsons - sorta di ravioli, ma solo in quanto ad aspetto: sia la pasta che il ripieno sono infatti molto diversi - rigorosamente a mano: "Per questo la pasta è un po' più spessa - ha specificato -, altrimenti sarebbe impossibile ripiegarli e chiuderli senza romperli".
C'è da dire che di ricette di cjarsons ce ne sono tante quante le donne carniche: quella di Corinna, ha spiegato lei, "è più simile a quella della Valle del But, meno dolce e più improntata alle erbe aromatiche". I cjarsons, infatti, possono essere sia dolci che salati, e anche in questo secondo caso "una punta di dolce serve sempre, sennò non è un cjarson: per questo nel ripieno si usano spesso uvetta, cannella e simili". La pasta dei cjarsons di Corinna è rigorosamente senza uova, e anche un ingrediente tipico di questo impasto, ossia la patata, è usato con parsimonia, "altrimenti la pasta tende a rompersi": insomma, un viaggio tra i trucchi del mestiere, custoditi con sapienza da ormai poche intenditrici.
Ad accompagnare Corinna c'era lo chef Andrea, che ha prestato la sua arte per cucinare al momento le specialità appena descritte: altrimenti, ammettiamolo, sarebbe stato un po' difficile apprezzarle fino in fondo. Il primo assaggio è stato quello dei ravioli alla trota, conditi con panna acida ed erba cipollina: un ripieno dal sapore assai delicato, che la panna, pur accompagnandolo bene, tendeva forse quasi a sovrastare. Urgeva quindi capire che birra lo avrebbe esaltato: dopo accesa discussione, io e Enrico siamo giunti alla conclusione che l'opzione migliore potrebbe essere una Freewheelin' Ipa di Foglie d'Erba, che con l'agrumato iniziale e la luppolatura finale decisa andrebbe a contrastare perfettamente la panna valorizzando tutti i sapori precedenti.
Come secondo assaggio sono arrivati i blecs (letteralmente "toppe") di grano saraceno, che - come forma - ricordano un po' i maltagliati: questo perché, ha spiegato Corinna, venivano ricavati dai ritagli della pasta usata per i cjarsons, che sono rotondi. A 'nvedi tu, non si butta via niente. Questi erano conditi con una crema di burro e acqua di cottura ed una spettacolare - consentitemi di rendere omaggio - salsa allo schioppettino: amara, ma davvero perfetta sui Blecs. Qui ci siamo trovati subito d'accordo sul fatto che l'amaro andasse contrastato con una rossa discretamente maltata, ma non troppo invadente: magari una Rossa Vienna di Zahre, o una Liquidambra (che è un'ambrata, vabbè) di Garlatti Costa, che essendo molto equilibrata nonostante una certa persistenza amara renderebbe un buon servizio.
E' stata quindi la volta dei cjarsons veri e propri, con un ripieno che definire originale è un eufemismo: rhum, uvetta, menta, melissa, verbena, cannella e un tocco di marmellata, conditi con una spolverata di ricotta affumicata, una foglia di maggiorana e "ont". Non chiamatelo burro: si tratta infatti, ha spiegato Corinna, di uno "stadio successivo", in cui il burro - per poter essere conservato in assenza di frigorifero - veniva cotto in fasi lunari particolari, e ripulito dalle impurità grazie all'aggiunta di farina di mais tolta poi a fine cottura. "Molto più leggero e digeribile", ha assicurato, e "con un naturale sapore arrostito indispensabile per accompagnare i cjarsons. Col burro fuso non è la stessa cosa". In effetti sia il ripieno che il condimento sono stati qualcosa per me del tutto nuovo ed apprezzato: spiccava bene la menta, che non mi era mai capitato di accostare a sapori affumicati. E con una rosa di gusti così diversi tra loro, anche ipotizzare una birra non è stato facile: dopo ulteriore lunga discussione, la premiata commissione Chiara&Enrico ha quindi deliberato a favore della Canapa di Zahre, che fa il paio con il ripieno grazie alle note erbacee e floreali.
Da ultimo i ravioli di grano saraceno ripieni di fromadi frant - tipico friulano, ricavato dai resti di lavorazioni di formaggi precedenti - e noci, con fonduta di ricotta e montasio e mostarda di fichi. Devo dire che è stata quest'ultima il tocco di classe, confermando la teoria di Corinna che in queste paste un po' di dolce serve: specie con formaggi come il frant, che non avevo mai provato assieme alle noci e che ho trovato assai interessante come abbinamento. In quanto a birra, se inizialmente ci siamo diretti senza indugi sulla Westmalle Tripel, decisamente caramellata al gusto ma pù amara poi in quanto a persistenza, ci è poco dopo venuto lo sfizio di una Matrimoniale di Valscura, che con le note decise di malti pils e pale ale accompagnerebbe il dolce del piatto senza però risultare eccessiva.
Il problema, in tutto ciò, era che alla fine ci era venuta sete sul serio: per cui, sazi e soddisfatti, usciti di lì ci siamo diretti in birreria...
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