Ai miei lettori gli auguri di fine anno erano doverosi; e per quanto l'anno nuovo si auguri sempre sereno e pieno di belle sorprese, in questa sede non posso non ricordare che, per gli appassionati di birra e gli operatori del settore, il 2014 non si apre sotto i migliori auspici. In base al Dl 91 dell'8 agosto scorso e al Dl 7 del 30 novembre, infatti, le accise sulla birra aumenteranno da da 2,66 euro hl/grado Plato a 2,70 euro hl/grado Plato dal 1 gennaio, e a 2,77 dal 1 marzo. E si tratta solo della prima tranche, perché dal 2015 sono in arrivo ulteriori aumenti. Tradotto in termini più accessibili, dal 1° gennaio 2014 il peso delle accise passerà dai 28,2 euro per ettolitro prodotto a 32,4 euro di media, per finire a 35,9 euro 1° ottobre 2015. Un incremento di quasi il 15% che, insieme all’aumento dell’Iva dei mesi scorsi, porterà la pressione fiscale sulla birra ad un livello elevatissimo: Assobirra lo quantifica in oltre un terzo del prezzo pagato dal consumatore finale, che con questi incrementi arriverà quasi al 50%. Insomma, sappiate che se pagate una pinta 5 euro, quasi 2,5 andranno in tasse.
Naturalmente gli operatori del settore si sono mobilitati già da tempo: Assobirra ha lanciato la campagna Salva la tua birra, sul cui sito è possibile firmare una petizione per chiedere il ritiro del provvedimento. Al momento le firme sono 54.128 - un po' pochine forse, su 35 milioni di consumatori stimati -, ma è comunque unno strumento di pressione. Peraltro, ricorda Assobirra, "in Italia la birra è l’unica bevanda a bassa gradazione alcolica a
pagare le accise, e da noi le tasse sulla birra sono fra le più alte in
Europa: tre volte quelle di Francia e Spagna". Un'ingiustizia soprattutto nei confronti del vino, che le accise non le paga affatto. E anche se ci possiamo consolare sapendo che i finlandesi ne pagano 143 euro per ettolitro, gli inglesi 108 e gli svedesi 93, e che la media Ue è di 34,5 (dati della Commissione Ue pubblicati da Assobirra; la media invece l'ho calcolata io, se è sbagliata prendetevela con me), tant'è: a pagare meno di noi sono soprattutto i principali produttori (come appunto tedeschi e belgi), penalizzando i birrai italiani sul mercato internazionale.
Non mi dilungo oltre, ma il sito è comunque una miniera di dati interessanti: per esempio ricorda come "Il settore della birra in Italia comprende oltre 500 produttori tra grandi
marchi (14 stabilimenti industriali, 2 impianti produttivi di malto) e
microbirrifici artigianali". Un settore "che sta
creando concrete opportunità imprenditoriali, soprattutto per i
giovani: negli ultimi 5 anni sono nate circa 300 micro aziende birrarie,
con imprenditori nella maggior parte dei casi under 35. Tutte insieme queste aziende producono circa 13,5 milioni di
ettolitri di birra all’anno (dato 2012), che fanno dell’Italia il decimo
produttore in Europa, davanti a Paesi dalla grande tradizione birraria
come Austria, Danimarca e Irlanda. Aziende che creano occupazione: 4.700 occupati diretti (+4,4%
sull’anno precedente), 18.000 fra diretti e indiretti e 144.000 compreso
l’indotto allargato". Per quanto il 70% della produzione sia consumata in patria, poi, "nel 2012 l’export italiano di birra ha toccato i 2 milioni di
ettolitri, il doppio rispetto al 2006". E le aziende produttrici "già oggi contribuiscono alle entrate dello Stato per oltre 4
miliardi di euro annui (calcolando Iva, accise, tasse, contributi
sociali di aziend e lavoratori e tasse pagate dai settori coinvolti a
vario titolo)".
Non sono un'economista né un'esperta di diritto tributario; ma per quanto in linea di principio disincentivare tassandoli i comportamenti non virtuosi - come appunto il consumo di alcolici - possa avere un senso, in questi casi si pone una riflessione in più. Non stiamo infatti parlando di multinazionali del tabacco, ma nella maggior parte dei casi di piccoli birrifici artigianali che devono spesso sottostare alle stesse normative previste per i grandi - con relativi disagi -, e che stanno facendo rinascere un settore in cui è custodito e si sta sviluppando un vero e proprio patrimonio di conoscenze che non esiterei a definire "cultura della birra artigianale". Se la pressione fiscale crescerà a questi livelli, a meno di non ridurre i propri margini di guadagno, i birrai saranno costretti a scaricarla sul consumatore: con relativo rischio che questo rinunci, e conseguente danno per tutta la filiera. E se finora il fatto di rivolgersi ad una sorta di nicchia di appassionati disposti a non tagliare i consumi nonostante la crisi li aveva salvati, questo potrebbe non bastare più. Insomma, la questione è sempre la stessa: le casse dello Stato hanno bisogno di soldi, il problema è dove prenderli. Ma c'è da domandarsi se sia giusto prenderli qui.
Peraltro, Assobirra si è attivata anche per questo: sul sito della campagna è stato lanciato un sondaggio, in base al quale è possibile scegliere tra cinque misure alternative per evitare questo aumento, quantificato in 170 milioni di euro. Per ora, su quasi ottomila votanti, il più gettonato è l'eliminazione dei contributi statali ai partiti e all'editoria politica (43,5%), seguito dal taglio del 6% alle spese per il funzionamento di governo e Parlamento (25,2%) e da quello del 50% ai contributi alle scuole private (18,8%). Proposte certo non nuove: quel che è certo è che si rischia, come sempre in caso di aumento delle tasse sui consumi, che a causa della riduzione di questi ultimi il gettito di fatto diminuisca, come già accaduto sia in Italia che in altri Paesi.
Nessun commento:
Posta un commento