giovedì 22 dicembre 2022

Un Natale nel segno delle Porter

 

Mi è capitato di recente di essere coinvolta da due birrifici – che ringrazio – nell’assaggio delle loro birre di Natale 2022: nella fattispecie il birrificio Dimont, con la Porter Gjan, e Birra di Naon, con la Angelica Porter. Caso ha voluto che si tratti, per l’appunto, in entrambi i casi di una Porter: il che non ha potuto non stimolarmi una riflessione. È vero sì che “birra di Natale” non è uno stile, ma semplicemente un’etichetta che viene messa ad una birra presentata appunto in occasione delle festività: storicamente birre di gradazione alcolica alta o medio-alta, corpose, calde e spesso speziate. Personalmente, la maggior parte delle birre natalizie in cui mi sono imbattuta sono robuste birre di ispirazione belga; e, per quanto riguarda gli stili d’Oltremanica, ho visto fondamentalmente Stout di notevole carattere e Strong Ale. Curioso quindi l’ingresso in contemporanea di due Porter, stile più “sobrio” – sia dal punto di vista del tenore alcolico che delle caratteristiche organolettiche – che sulla carta si presta meno a fare da birra di Natale.


Al di là delle ragioni che possono aver spinto i birrifici in questione a questa scelta (fondamentalmente la volontà di introdurre uno stile che non avevano in repertorio), non è difficile identificare due motivi per farla. La prima è che il mercato si sta “normalizzando”: sono finiti da un pezzo i tempi in cui, girando per locali, sembrava di vedere la gara a chi “la fa più strana”. Qualunque birraio conferma che alla lunga il pubblico ritorna su stili più classici, facilità di beva e gradazioni alcoliche più contenute. Requisiti a cui una Porter risponde assai meglio di una classica belga – giusto per rifarci alla famiglia stilistica più gettonata per le natalizie. Il secondo motivo, molto più banalmente, è che ha più senso investire su una birra che possa poi rimanere come birra fissa: e anche in questo senso una Porter, pur richiamando i mesi invernali (rimane forte anche solo l’associazione cromatica tra birre di colore più scuro e freddo all’esterno, caminetto, sapori caldi e quant’altro), non è disdegnabile nemmeno in altre stagioni – tutt’altro, se ben costruita può essere assai rinfrescante. Natale diventa così – com’è ovvio, direte voi – “solo” l’occasione per il lancio di una nuova birra.


Assaggiando le due birre in questione, entrambe di buona schiuma pannosa e persistente color nocciola a grana fine c’è da notare che – sempre casualmente – c’è anche dell’altro che le accomuna: in particolare la volontà di fare leva in un caso sulla luppolatura, nell’altro sull’aromatizzazione con semi di angelica delle Dolomiti friulane – in linea con la filosofia di Naon di mettere in ogni birra un ingrediente locale oltre all’orzo, prevalentemente una botanica –, per rendere ancor più fresca la bevuta. La Gjulit infatti si fa notare per aromi balsamici che accompagnano quelli tostati, e per un sapore analogo che chiude la bevuta dopo il tipico amaro da malto tostato; mentre la Angelica Porter gioca allo stesso modo con, per l’appunto, i semi di angelica. Per quanto la Gjulit sia più calda e avvolgente al palato rispetto alla Angelica, parliamo in entrambi i casi di corpi scorrevoli; e di birre dominate dai toni amaro-tostati di caffè, sebbene nella Gjulit facciano comunque sentire la loro presenza anche il cioccolato e la liquirizia – che rimangono invece appena percettibili nella Angelica. Entrambe di buona secchezza, mascherano bene il loro già non elevato gradi alcolico – 5,5 per la Gjulit e 6,5 per la Angelica. Nel complesso dunque birre fresche e bevibili, pur non lesinando sui toni un po’ più forti come sono appunto quelli tostati.


Concludo precisando che tendenzialmente non uso fare recensioni “comparative”, dato che non è mia intenzione in questa sede dare una valutazione su quale interpretazione dello stile Porter io trovi meglio riuscita tra le due; mi è sembrato tuttavia particolarmente curioso, e se vogliamo istruttivo, il fatto che mi siano capitate nello stesso momento due birre che si prestano così bene ad un confronto. Confronto che dà la conferma anche di una tendenza di mercato già nota, e che sta riguardando anche le birre tendenzialmente più “forti” come quelle presentate per Natale.


Buone feste!

lunedì 28 novembre 2022

Un'incursione in quel di Carrù

 

Chi bazzica nell’ambiente birrario ha molto probabilmente sentito parlare del marchio Birra Carrù: e in questo senso forse aiuta, ancor più che l’ampiezza di distribuzione delle sue birre o la longevità di apertura – è partito nel 2011 come beerfirm, per arrivare a produrre in proprio nel 2017 –, la “vulcanicità” del fondatore e mastro birraio, Lelio Bottero, assai attivo nell’ambiente. Le birre non sono comunque solo opera sua: tiene sempre a precisare che questo è un affare di famiglia, dato che ad affiancarlo nel lavoro di mastro birraio c’è la moglie Lorella, in amministrazione e ad occuparsi delle visite al birrificio c’è la figlia Paola, e a capo della comunicazione la figlia Marianna.


Sono quasi una ventina, tra fisse e stagionali più le versioni senza glutine, le birre che escono dai fermentatori di famiglia; in cui a mio avviso si riconosce la filosofia non solo di fare birre facili a bersi, ma anche di dare interpretazioni “semplici” di stili sulla carta più complessi – non solo quindi evitando caratteristiche come luppolature o speziature molto intense o aromatizzazioni sopra le righe, ma più in generale rimanendo molto sobri tout court. Ho avito modo di degustarne 14 e non vi tedierò descrivendole tutte, soffermandomi su quelle che in qualche modo mi sono sembrate più significative e indicative del modo di lavorare di Carrù.


Tra queste senz’altro la Apa Battagliera, dalla schiuma e pannosa ben persistente. Per quanto, coerentemente con lo stile, a dominare all'olfatto siano gli aromi di frutta tropicale, viene resa giustizia anche al cereale sia all'aroma che in bocca - con un tocco di pane fresco ad equilibrare la componente luppolata, senza essere invasivo né pregiudicare la bevibilità. Versatile, può andare incontro ai gusti sia dei patiti del luppolo, sia di chi sostiene che birra e tisana di luppolo siano due cose diverse.


Da segnalare anche la red Ipa Via Ripa: schiuma pannosa ben persistente, ramata; gradevoli le note di nocciola al naso e la maniera in cui si amalgamano con la luppolatura agrumata e resinosa. Scorrevole in prima battuta, fa cogliere solo poi la fugace pienezza biscottata del cereale. Dico "fugace" perché la componente maltata non persiste, viene immediatamente tagliata da un amaro erbaceo-resinoso discretamente robusto sul finale secco. A livello del tutto personale, forse manterrei un maggior equilibrio tra la forza di questo taglio amaro finale e la dolcezza del malto, appunto molto fugace; ma comunque si intuisce che la volontà nel costruire la ricetta era appunto quella di dare più forza all'amaricatura come si conviene ad una Ipa.


Da una zona come le Langhe non possono poi non arrivare anche delle Iga, tra cui la Manico Rosso – con mosto di moscato su base Red Ale. Al naso esibisce profumi di caramello, nocciola e frutta rossa ben amalgamati; poi un corpo ben pieno e biscottato, ma straordinariamente bevibile anche grazie alla frizzantezza. Il mosto rimane nelle retrovie ma poi si fa vivo, comunque discreto e ben armonizzato, più percepibile al salite della temperatura. Interessante anche la speziatura sul finale, che unita al nocciola-biscottato ricorda quasi certe dubbel. Secca nonostante la dolcezza complessiva, soddisferà chi ama le Iga incentrate sul malto più che sulla componente del mosto. In questo senso l’ho apprezzata di più rispetto alla sua “sorella” Niimbus, sempre Iga di moscato ma questa volta su base di ale chiara, in cui i toni quasi mielosi del cereale e quelli del vitigno tendono a rimanere più distinti alla percezione.


Spicca per la buona riuscita della costruzione anche la 41 Dì, ale alla castagna garessina: schiuma da cappuccino, aroma tra l’arrostito l’affumicato che accompagna la bevuta al palato, elegante e ben amalgamato con la base caramellata, non aggressivo. Corpo caldo e avvolgente ma scorrevole, finale corto a beneficio di bevuta. Sulla stessa filosofia la H.P., ale rossa con con zucca aggiunta in succo ottenuto da centrifuga. Conferma l'impronta già constatata nelle altre birre di Carrù: è e rimane una ale rossa, non un centrifugato, in cui la zucca si amalgama bene e con equilibrio con i toni arrostito-biscottati del malto - quasi a dare l'impressione che la zucca sia arrostita - e l'amaricatura finale evita persistenze dolci che la zucca può dare. Da precisare comunque che personalmente mi piace la zucca e quindi non trovo fastidioso il fatto che la si colga distintamente, per cui è verosimile che ad altri palati possa viceversa risultare un po' sbilanciata verso il frutto.


Esempio di che cosa si intenda per interpretazione non sopra le righe anche di birre fuori canone può essere considerata la Splanga, ale al farro definita “medievale”. Al naso presenta aromi floreali e di cereale "grezzo", ben armonizzati. Il corpo scorrevole fa arrivare la peculiarità del cereale in seconda battuta, ben percepibile, su toni dolci di miele; equilibrati però da una chiusura amara che comunque contrasta ma non cancella il cereale – rimanendo quindi nel complesso dolce. Pur rimanendo una sui generis in cui si nota che c'è dell'altro oltre all'orzo, non risulta qualcosa di “eccentrico”.


Da menzionare infine le birre senza glutine – di cui è in qualche modo paladina la più giovane di casa, Marianna, che si definisce “un colmo vivente” in quanto “figlia celiaca del mastro birraio”: lineari e pulite, a conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che quella della deglutinazione con enzimi è una tecnologia matura e consolidata ormai da tempo.


Chiudo con un ringraziamento a Lelio non solo per le birre, ma anche per le interessanti chiacchierate e confronti costruttivi non solo sulle birre che ho trovato particolarmente “indovinate” e che ho descritto sopra, ma anche su quelle che mi avevano suscitato qualche perplessità; a conferma di come ci sia sempre reciprocamente da imparare.

venerdì 8 luglio 2022

Ritorno in Galassia

No, non è il titolo di un nuovo episodio della saga di Star Wars, ma il riferimento al fatto che - pur con mesi di ritardo, causa gravidanza - ho onorato l'invito fattomi dai birrai di Birra Galassia (Pordenone) ad assaggiare alcune nuove birre. A onor del vero, una di queste - la Wow - nuovissima non è più, nel senso che lo era ai tempi dell'invito; una - la Galassia - è "semplicemente" una nuova versione della loro birra di bandiera, prodotta fin dagli esordi come beerfirm; e solo la Gamma Rye è propriamente nuova, essendo stata presentata pochi giorni prima della mia visita.

La prima che ho degustato è stata proprio la Gamma Rye. Già la definizione dello stile - Session Kveik Neipa - lascia presagire una certa originalità; ma va detto che sarebbe ingenerosa l'accusa di "famolo strano", che spesso viene rivolta a chi si avventura in creazioni dai nomi esotici. Si tratta di una birra di 3,5 gradi alcolici - Session, appunto - dall'aspetto impenetrabile - come ogni Neipa che si rispetti - e dalla luppolatura vivace ma non invadente su toni agrumati (Idaho, Citra e Amarillo). A contraddistinguere davvero la Gamma Rye è però la componente di cereale, con segale (rye, in un gioco di parole con Gamma Ray, raggio gamma), avena, e come malto base il Pils - che a detta del birraio Davide consente di ottenere un risultato più "pieno" rispetto al Pale: si potrebbe quindi fare le pulci alla definizione di Pale Ale, ma sarebbe questione di lana caprina. Al palato appare infatti eccezionalmente ricca sotto questo profilo, quasi come avere in bocca una fetta di pane ai cereali - ottimo infatti l'abbinamento con la coppa - e quasi "grezza", a mo' di certe Zwickel tedesche (non fraintendetemi, chiaro che lo stile è completamente diverso, ma mi riferisco alla "pienezza grezza" del cereale). Una rosa di sapori che si tiene assai bene per mano con l'acidulo della luppolatura, rendendo il corpo snello nonostante la pienezza. Finale netto ma non persistente in cui si tengono sempre per mano l'acido resinoso della luppolatura e quello tipico dell'avena, lasciando l'impressione di equilibrio complessivo della bevuta. Ultima nota informativa sul Kveik, lievito norvegese che ha la caratteristica di fermentare a temperature molto elevate (anche sopra i 30 gradi) senza tuttavia sviluppare particolari esteri (che infatti non si colgono in questa birra).

Più nei canoni stilistici la Wow, definita come "Juicy Ipa": aromi da succo tropicale - nominate un frutto esotico a caso e fidatevi che ci sarà qualcuno che lo sentirà - con qualche rimando agrumato e resinoso, dato da una luppolatura variegata tra sabro, mosaic, galaxy e azacca; corpo decisamente snello senza indugi sul cereale, che fa spazio subito al persistente ma elegante finale resinoso. Più nelle corde di chi ama le Ipa propriamente dette, mentre la precedente Gamma Rye la consiglierei più a chi cerca un equilibrio di impronta "continentale" tra luppolo e cereale, pur con una luppolatura d'oltreoceano.

Da ultimo la Galassia, definita "Saison Ipa" dall'incontro dei due stili, e che ho provato per la prima volta da quando il birrificio ha avviato il proprio impianto - che tra l'altro lavora in isobarico, e quindi anche le birre già brassate prima presentano delle differenze. Ho infatti colto molto meno la componente che ho definito "belga" del lievito, mentre prima lo speziato era decisamente preponderante (il che è coerente con il minore sviluppo di esteri in isobarico); per lasciare più spazio alla luppolatura fruttata - principalmente frutta a pasta gialla - con anche un tocco di vaniglia. Corpo caldo di caramello, prima di un finale netto e non troppo persistente di un amaro resinoso equilibrato con il malto.

Ho infine avuto modo di fare due parole con Davide e Tommaso sui progetti futuri: al di là delle sperimentazioni più o meno estemporanee - Davide ammette candidamente di divertirsi a non fare mai una cotta uguale all'altra anche delle birre fisse, in una costante ricerca: e qui potremmo citare la mai sopita diatriba tra ricerca della costanza e quella dell'innovazione - c'è in programma un'incursione nel terreno sinora inesplorato delle basse fermentazioni. Insomma, dato che ai ragazzi la fantasia non manca, staremo a vedere.

Grazie ancora a Tommaso e Davide per la calorosa accoglienza.

giovedì 7 luglio 2022

Report 2021 di Assobirra: qualche riflessione

È stato presentato oggi, 7 luglio, il report 2021 di Assobirra; che, per quanto redatto dal punto di osservazione degli industriali del settore, offre alcuni spunti utili anche per l'artigianato nella misura in cui getta uno sguardo sull'intero comparto.


Tra i tanti numeri presentati, uno di quelli che balzano all'occhio è il consumo pro capite di birra: 35,2 litri annui a testa nel 2021, cresciuti dai 34,9 del 2019 pre pandemico. E fin qui bene, si dirà; se non fosse che - ha fatto notare il presidente di Assobirra, Alfredo Pratolongo - i consumi totali sono in realtà leggermente calati, da 21,2 a 20,8 milioni di ettolitri, perché il pubblico è diminuito. Ebbene sì, una popolazione in calo - come è il caso dell'Italia - significa anche meno consumi di birra. E quindi o si esporta - e in effetti è aumentato l'export, a sostenere una produzione che è leggermente cresciuta rispetto al 2019 - o bisogna che il consumo pro capite aumenti di più, se non ci si vuole ritrovare a dividersi una torta sempre più piccola in una guerra tra poveri persa in partenza. Una considerazione con cui si devono confrontare, seppure in maniera diversa dall'industria, anche gli artigiani - che tendenzialmente possono contare su uno zoccolo duro di appassionati, ma che non possono limitarsi a quello.

Secondo punto, sempre in merito ai consumi, è il fatto che l'aumento degli acquisti di birra nella Gdo - avvenuta giocoforza con il lockdown - si è mantenuto, per quanto non ai livelli del 2020. Siamo quindi di fronte ad un cambiamento nelle abitudini di consumo che potrebbe essere strutturale (diamoci pure un po' più di tempo prima di parlare all'indicativo); e che, per quanto abbia toccato solo marginalmente gli artigiani (che sono presenti poco o nulla nella Gdo), impone comunque una riflessione sul pubblico a cui ci si rivolge, e su come raggiungerlo al meglio. Da quel che sento da parte di diversi birrifici artigianali, e-commerce con consegna a domicilio e asporto di bottiglie non sono sopravvissuti un granché al lockdown, configurando una netta distinzione tra chi beve industriale - e quindi acquista nella Gdo - e chi no; ma di nuovo, giova chiedersi se e quali cambiamenti siano avvenuti anche in questo comparto.


Parlando poi dell'annosa questione delle accise, Pratolongo (nella foto sopra) si è lasciato sfuggire un "rendiamo artigianali i birrifici fino a 60.000 ettolitri, applicando anche a loro - e non solo a quelli fino a 10.000 - l'accisa agevolata" (ricordiamo che l’ultima Legge di Bilancio ha stabilito per il 2022 una riduzione di 5 centesimi unitamente a sconti progressivi di aliquota per i birrifici con produzione annua fino a 60mila ettolitri). Al netto di considerazioni di merito, ho trovato significativo il permanere della concezione per cui a "rendere artigianale" un birrificio è esclusivamente la questione dimensionale e non un insieme più ampio di indipendenza, filosofia di lavoro e modalità di produzione. Insomma, mi premetta Pratolongo di ribattere che è opportuno dal punto di vista comunicativo non ridurre alla sola dimensione (che certamente giustifica l'accisa agevolata, dato che ai più piccoli l'accisa pesa di più non potendo fare economia di scala su altri fronti) l'artigianalità, che è un concetto più complesso. Il tutto facendo salvo il fatto che è l'accisa in sé e per sé ad essere fuori luogo, essendo la birra l'unica bevanda da pasto a pagarla, e che l'impegno di Assobirra per vederla ridotta è - al pari di quello di Unionbirrai, rispetto alla quale ha per forza di cose più peso politico in virtù della dimensione - del tutto motivato.

Infine, toccando la questione scottante dell'aumento delle materie prime su tutta la filiera, il vicepresidente Federico Sannella ha citato l'importanza del riciclo e del riuso in particolare del vetro: cosa nota da anni, più sotto il profilo ambientalista che economico, ma che ora risulta tanto più urgente anche per questo. E anche qui c'è da chiedersi come i piccoli birrifici possano incentivare la cosa in particolare presso la cerchia di affezionati, cosa che alcuni già fanno: da chi propone il growler, a chi raccoglie le bottiglie vuote - cosa che i nostri nonni avrebbero fatto abitualmente -, i sistemi ci sono. Si tratta di capire come renderli sostenibili sia economicamente che logisticamente, perché è chiaro che non ci si può mettere a lavare bottiglie a mano tra una cotta e l'altra; però è una sfida che sarà necessario prendere in considerazione.

venerdì 22 aprile 2022

Un tris di birre analcoliche

Come già anticipato sulla mia pagina Facebook, mi sono data in questi giorni, facendo di necessità virtù, alle birre analcoliche; che ultimamente hanno avuto un certo rilievo mediatico nel mondo birrario artigianale, complice la presentazione della linea "Alcol Fri" da parte del Birrificio L'Olmaia e Birra Salento a Hospitality Riva e Beer Attraction. Una strada seguita anche dal birrificio altoatesino Pfefferlechner, che ha lanciato un'iniziativa simile - la Freedl - tre anni fa esatti, nell'aprile del 2019.

Il segmento delle birre analcoliche è ancora poco battuto dai birrifici artigianali italiani; ma personalmente avevo già avuto modo di confrontarmi con la questione nel 2016, quando - come racconto in questo post - avevo fatto visita al birrificio svedese Nils Oscar. Lì mi era stata presentata appunto un'analcolica, spiegando come fosse una risposta ad un'esigenza di mercato sentita; in particolare, così mi era stato riferito, per la severità dei controlli in quanto ad alcol alla guida. Pensando al mercato italiano, e guardando anche ad alcuni sondaggi in proposito, direi tuttavia che la ragione principale per la scelta di una birra analcolica è quella salutistica: amanti della birra che non possono (donne incinte o in allattamento, chi assume farmaci, o deve controllare il peso, o ha qualche patologia che rende controindicato il consumo di alcolici) o semplicemente non vogliono, per evitare i rischi legati all'acol, consumare la birra classica. Del resto, porre attenzione al grado alcolico nella scelta di una birra - commisurandolo alle proprie condizioni fisiche, e al fatto che si sia bevuto o meno qualcos'altro - è parte integrante di quel consumo consapevole di cui tanto si parla: per cui anche una birra analcolica può trovare spazio in questo processo. Insomma, al di là del pregiudizio che le birre analcoliche possono scontare, hanno la loro ragion d'essere - e il fatto che si tratti di un mercato in crescita lo conferma.

Nel caso delle Alcol Fri e delle Freedl, l'intento dichiarato è analogo: fare birre analcoliche che sappiano soddisfare anche i gusti del consumatore abituale di birre artigianali, e che rifuggano la scarsa caratterizzazione - per non parlare, spesso, della scarsa qualità - che ahinoi finiscono per contraddistinguere le birre analcoliche che solitamente si trovano sul mercato. E in effetti, ciascuna a sua modo, sono birre che esprimono una precisa personalità.

La prima che ho assaggiato è stata la Ipa Fripa, capostipite della collaborazione tra Olmaia e Salento (seguiranno la Coffri e la Friberry, una Coffee Stout e una Fruit Beer rispettivamente), dealcolata grazie ad un particolare ceppo di lieviti. Volontà dichiarata era quella di creare una birra fortemente caratterizzata dai luppoli americani - e questo per compensare il fatto che è necessario, per questa particolare tipologia di lieviti, realizzare un mosto a basso contenuto di zuccheri e quindi esile sotto il profilo organolettico: e senz'altro mantiene questa promessa, perché sin dal momento in cui si apre la lattina si è letteralmente inondati da tutta la rosa possibile immaginabile relativa a queste varietà - dagli agrumi, alla frutta tropicale, alle resine. Aromi che si tramutano poi in sapori, dato che il corpo - per l'appunto - esile viene sovrastato da una tale esuberanza; a meno di non aspettare che la birra si scaldi un po', quando diventano più percepibili i toni di pane e finanche una nota di miele, a beneficio di un maggior equilibrio. Chiusura poi su un lungo e persistente amaro resinoso, che lascia la sensazione di aver avuto tra le mani luppolo puro. Insomma, una birra che mantiene quanto aveva promesso, superfluo specificare che devono piacere i luppoli americani - e in generale le birre sbilanciate verso il profilo aromatico e amarotico. Rimango curiosa di provare anche le altre, su cui a mio avviso - contando la presenza del caffè in un caso, e della frutta nell'altro - c'è del potenziale per ottenere dei risultati interessanti; così come interessante è il fatto che si tratti di un progetto che copre tre stili, dando un respiro ampio che può andare incontro a diversi gusti ed esigenze di consumo.

Per certi spetti si può dire che risponda in modo diverso alla stessa domanda - ossia come dare personalità ad una birra che, in ragione del processo produttivo, deve avere un corpo esile - la versione classica della Freedl. Anche questa è infatti una Pale Ale; che sceglie però di mantenere un profilo aromatico improntato essenzialmente sull'agrumato, che resta tuttavia delicato per quanto ben evidente. Altrettanto delicata al palato, dove si possono più facilmente cogliere i (pur sempre tenui) toni di cereale analoghi a quelli descritti sopra; in ragione appunto della minore "muscolarità" del luppolo, da cui si intuisce l'intento di cercare sì la caratterizzazione ma anche l'equilibrio - cosa del resto connaturata alla tradizione tedesca, a cui Pfefferlechner è legato in ragione della sua collocazione geografica. Chiusura su un amaro netto tra l'erbaceo e il resinoso, non particolarmente persistente. Per chi apprezza appunto l'equilibrio e la facilità di beva, senza cercare toni forti. Si potrebbe obiettare che, se la Fripa può prestarsi alla critica di essere "troppo", questa può prestarsi alla critica di essere "troppo poco"; ma in realtà si capisce che questi vogliono essere al tempo stesso i punti di forza di ciascuna di queste due birre, con l'una che intende essere esuberante, e l'altra gradevole nella sua sobrietà. Volendo semplificare al massimo, potremmo quindi dire che preferire l'uno o l'altro approccio è solo questione di gusti.


Risposta ancora diversa arriva poi dalla seconda versione della Freedl, battezzata Calma, aromatizzata con basilico prodotto a 1500m di altitudine all'interno del Parco dello Stelvio. Qui l'aroma erbaceo si amalgama con quello dei luppoli, risultando sì ben percepibile ma non soverchiante; e contribuisce anche a dare sapore al corpo, che risulta pertanto più caratterizzato rispetto alla Freedl classica - unendo cereale e basilico, quasi a mo' di focaccia. Il basilico risalta poi nella sua componente amara sul finale, esattamente come il luppolo, conferendo una nota amarotica erbacea. Anche qui, superfluo specificare che deve piacere il basilico; anche se, essendo usato in maniera sobria e dosata rispetto agli altri luppoli, finisce di fatto per integrarsi nell'insieme e può quindi risultare gradevole anche a chi non ne fosse un patito.

Sempre riguardo alle due Freedl, c'è poi da notare che l'ideatrice è una donna, Maria-Elisabeth Laimer; a conferma di una particolare sensibilità femminile su questo fronte, già evidenziata da precedenti ricerche. E, non da ultimo, è significativo il fatto che sulle birre analcoliche compaia in etichetta - a differenza delle altre birre di Pfefferlechner - la tabella con i valori nutrizionali: a riprova che birre di questo tipo fanno appello ad un segmento di mercato che dà importanza agli aspetti relativi a nutrizione e salute, con una conseguente opera comunicativa e di marketing.

Nel complesso, le definirei tre birre gradevoli e di facile beva, che danno appunto tre risposte diverse alla stessa domanda: una risposta più vivace e caratterizzata nel caso della Fripa, più sobria ed equilibrata nel caso delle due versioni della Freedl, ma in ogni caso valida.

martedì 22 marzo 2022

Notizie da Solobirra

Trovandomi al momento impossibilitata a presenziare per motivi di salute, mi trovo a scrivere da casa del concorso Solobirra promosso da Hospitality Riva; e che comprende non solo la categoria Best Beer, ma anche quella Best Label e Best Pack - vuole insomma porsi come valutazione a tutto tondo del prodotto birra, inserendo anche etichette e packaging nel concorso.

Una prima considerazione che mi sono trovata a fare è stata sui numeri: circa 200 birre partecipanti al Best Beer - perlopiù da birrifici del Nord, come si desume dall'elenco dei premiati -, per 22 categorie: sono andate quindi a podio 66 birre, ossia circa un terzo di quelle in concorso. Questo non per dire che sia un concorso "facilone", in cui "si vince sempre": è molto banalmente un concorso più "piccolo" di altri, in cui il numero di categorie relativamente ristretto - Birra dell'Anno ne ha 45, per avere un termine di confronto - può essere visto anche in funzione di colmare questo squilibrio. E, del resto, questo nulla ci dice sulla qualità delle birre in questione - che potrebbero anche essere tutte e 200 meritevoli di riconoscimento, per quel che ne sappiamo senza averle assaggiate. Però credo sia comunque un dato da tenere a mente nel parlare di questo concorso.


 

Tra i premiati spiccano 5+, con 6 premi (tra cui Best Beer per la Shirin Persia); Isola e Rethia, con 5; Lesster con 4. Accolgo con piacere il premio Best Beer alla Shirin Persia, di cui avevo parlato in questo post; non solo per la birra in sé, ma anche per il progetto che ci sta dietro (una rete transnazionale per il commercio dello zafferano, legata al circuito dell'Equosolidale). In generale, tra le birre che ho avuto occasione di provare e che vedo in questa lista, ce ne sono diverse che sicuramente ricordo con grande affetto: ad esempio la Koelsh Coloniale di Benaco 70 (a mio avviso una delle meglio riuscite della casa, in particolare per quanto riguarda il delicato equilibrio tra delicatezza e decisione dell'aroma che contraddistingue lo stile); o la Jolly Blue, Iga "anomala" de La Curtense di cui avevo parlato in questo post; o la Doppelbock di Darf, di cui avevo parlato qui.

Ecco, ad ogni modo, la lista completa dei premi:

Best Beer 2021
Shirin Persia - 5+ Birrificio Artigianale

Per la categoria Pils

1. Allegra - Birrificio La Martina

2. Peler - Birra Impavida

3. Pils - Birrificio Isola

Per la categoria Keller

1. Valkirija - Birrificio Plotegher

2. Lagerona - Birrificio Rethia

3. Vivienne - Birra Impavida

Per la categoria Hoppy Lager

1. Asgard - Birrificio Plotegher

2. Keller - Birrificio Darf

3. Rye Ipa - Birrificio Isola

Per la categoria Kolsch

1. Ornagher - Birra Eretica

2. Kappa - Manifattura Birre Bologna

3. Coloniale - Benaco 70

Per la categoria Bock
1. Doppelbock - Birrificio Darf

2. Bock - 5+ Birrificio Artigianale

3. La Bionda - Seiterre

Per la categoria British Bitters

1. 26,10 - Red Moon Brewing

2. Rossa - Birrificio Magis

3. Summit Red Ale - Forneria Messina

Per la categoria IPA

1. Session Ipa - Birrificio Isola

2. Session Ipa - 5+ Birrificio Artigianale

3. Tropic Thunder - Birra Impavida

Per la categoria APA

1. Yankee - Birrificio Casteldariese

2. Maria Mata - Birrificio Rethia

3. Pale Ale - Birrificio Isola

Per la categoria American IPA

1. ex aequo Ripa - Fuori Stile

1. ex aequo Ipa - Birra Turan

3. India Pale Ale - Benaco 70

Per la categoria Double IPA

1. Double Ipa - 5+ Birrificio Artigianale

2. Empire - Birrificio Hubenbauer

3. Guerrina - Duck Brewery

Per la categoria Porter

1. Stroo - Birrificio Lesster

2. Coffee Stout - Birrificio Isola

3. Black Therapy - The Ugly Sheep

Per la categoria Weizen

1. Weiss - Birrificio Sguaraunda

2. La Nuvolosa - Seiterre

3. Birra Del Brigante - Birrificio Lesste
r

Per la categoria Blanche
1. Blanche - Benaco 70

2. Magnolia - Birrificio Rethia

3. Birra Bianca - Viess Beer

Per la categoria Belgian Blonde

1. A Stagion - Birrificio Incanto

2. Alain Saison - Duck Brewery

3. Quadro - Barbaforte

Per la categoria Belgian Golden Strong Ale

1. Globetrottel - Birrificio Sguaraunda

2. Leone - Seiterre

3. A Malament - Birrificio Incanto

Per la categoria Belgian Dark Strong Ale

1. Balurdon - Birra Eretica

2. Emmesedici - Pasubio

3. Nevik - Birrificio Plotegher

Per la categoria Birre Speziate

1. Shirin Persia - 5+ Birrificio Artigianale

2. Onelove - Birrificio Magis

3. 2112 - Birrificio Incanto

Per la categoria Birre Torbate/Affumicate

1. Krimisos Bruna - Birrificio Krimisos

2. Rum - Birrificio Lesster

3. Bourbon - Birrificio Lesster

Per la categoria Birre Fruttate

1. Castanea - 5+ Birrificio Artigianale

2. Birra alle Castagne - La Curtense

3. Tropical - La Curtense

Per la categoria Sour Ale

1. Sour Drop - Birrificio Agricolo Sorio e Deriva Brewing

2. Peach & Apricot - Birrificio Rethia

3. Urban - Birrificio Hubenbauer

Per la categoria Birre al Miele

1. Ape - Birra Eretica
2. Honey Ale - Birra ON/OFF

3. Malupina - Birrificio Incanto

Per la categoria IGA

1. Wild Side - Birrificio Rethia

2. Intrigata Al Marzemino - Barbaforte

3. Jolly Blue - La Curtense