venerdì 5 agosto 2016

A casa di Nils

Come coloro tra di voi che seguono la mia pagina Facebook già sapranno, sono stata in questi giorni in Svezia per visitare il birrificio Nils Oscar, conosciuto nella giornata organizzata da Eurobevande a Villa Manin – di cui avevo parlato in questo post. Data la prima impressione positiva, con piacere ho quindi dato seguito all’invito ad andare di persona  a Nyköping - no, non indovinerete mai, si pronuncia Ni-shoping. Il birrificio è stato riaperto in Svezia nel 1996 da uno dei bisnipoti del Nils Oscar da cui l’azienda prende il nome: uno svedese immigrato negli Usa, e che lì si è dato all’arte brassicola unendo la tradizione scandinava – pensate alle birre danesi – a quella americana. È quella che definiremmo un'azienda familiare: il timone  è passato recentemente alle sue tre figlie ed è rimasto lo stesso il mastro birraio con i suoi quattro collaboratori, che hanno ottenuto diversi riconoscimenti – tra cui quattro titoli al World Beer Cup. La produzione si attesta attualmente sugli 11.000 ettolitri l'anno per 14 dipendenti in totale, con potenzialità per arrivare a 30.000 con gli ultimi investimenti fatti (il nuovo birrificio è stato avviato nel 2010); il che pone Nils Oscar al secondo posto tra quelli che in Svezia sono considerati microbirrifici – riuniti nell'associazione svedese dei microbirrifici, circa 200 – che considera come limite (a livello convenzionale, non esistendo vincoli legislativi in materia) 150.000 ettolitri. Fino a qualche tempo fa Nils Oscar era peraltro ciò che in Italia chiameremmo un agribirrificio, con tanto di piccola malteria; che però non è più utilizzata per il malto destinato al birrificio, sia per l'aumento della produzione, sia per la necessità di garantire sempre gli stessi standard qualitativi e la costanza del risultato finale. Il birraio assicura comunque con convinzione di mantenere la stessa maniera di lavorare rispetto a quando la produzione era più modesta, con tanto di piccolo impianto sperimentale per dare spazio al suo estro creativo; e vedere poi se e come riprodurlo su scala più ampia. E l’estro creativo pare non manchi, data l’ampia gamma di birre prodotte.

La "maratona birraria" è in realtà iniziata già il giorno precedente la visita del birrificio, quando Kjell ha organizzato una piccola degustazione in barca accompagnata da tipici panini scandinavi - gli smorrebrod, una fetta di pane nero variamente ricoperta. Abbiamo cominciato con una sorta di degustazione alla cieca, del tipo "bevi qui e dimmi che cosa ti sembra": una birra dall'aroma fruttato, in cui spiccava anche qualche nota citrica, corpo snello ma non annacquato, e un amaro netto e secco in chiusura che andava a contrastare profumi e sapori precedenti. Sono rimasta sorpresa (si direbbe che la mia faccia nella foto ne è la prova, ma soprassediamo....) nel venire a sapere che era una pale ale analcolica: per quanto infatti l'avessi trovata diversa dalle altre birre di Nils Oscar - pur riconoscendone l'impronta nell'aroma - l'avrei detta leggera sì, ma analcolica no. Mi è stato poi spiegato che la scelta di una pale ale per fare l'analcolica è stata dovuta appunto dalla volontà di mantenere un certo carattere, cosa non facile nel caso delle birre senz'alcol - che, diciamocelo, fanno spesso preferire una Coca Cola nel caso in cui si debba tenere a bada il tasso alcolemico; e per quanto la mia esperienza di birre analcoliche non sia molto vasta (di grazia), mi sento di dire che il birraio di Nils Oscar è riuscito nell'intento di soddisfare il palato di chi vuole qualcosa che possa definirsi una birra piacevole anche di fronte alla minaccia dell'etilometro. A seguire ci siamo dati alla India Ale: aromi di frutta tropicale con una punta di miele di castagno, corpo mediamente robusto sempre sui toni del miele ma non stucchevole, e una chiusura di un amaro resinoso molto morbido e non troppo persistente, che non sovrasta del tutto la componente del malto. Per chi ama le luppolature del Nuovo Mondo, ma non l'amaro troppo deciso.

Il giorno dopo ho visitato quindi il birrificio, iniziando dagli spazi della vecchia sede - ora usati come magazzino - dove c'è in progetto l'apertura di un pub e spazio degustazione. Mattias, direttore export e retail, mi ha guidata nella zona produzione: dalla sala cotta, al laboratorio dove il mastro birraio conduce i suoi esperimenti, al "hop gun" (letteralmente: "pistola a luppolo", un macchinario che fa passare rapidamente il mosto attraverso i coni di luppolo per il dry hopping), alla sala dei tank delle alte fermentazioni, a quella delle basse (temperatura gradevole in una giornata estiva). C'è stato anche lo spazio per alcuni assaggi direttamente dai tank: tra cui quello della pils realizzata appositamente per l'Akkurat di Stoccolma, uno dei pub meta obbligata degli appassionati di birra che si trovino a passare dalla capitale - "Consideriamo uin grande onore il fatto che l'Akkurat si sia rivolto a noi", ha affermato Mattias. Vale la pena sottolineare peraltro che la birra che va per la maggiore tra quelle di Nils Oscar è la God Lager - una lager, appunto - di cui il birrificio "sforna" una cotta a settimana: anche sul Baltico quindi, nonostante le vene sperimentatrici su sapori e gradi alcolici adatti ai climi freddi, la ricerca della qualità nella semplicità pare essere una linea che sul lungo termine si impone sulle altre.

Ultima tappa della visita è stata la zona imbottigliamento, etichettatura e imballaggio; dove mi sono state mostrate con soddisfazione le etichette in italiano del barley wine Celebration (di cui avevo parlato nel post su Villa Manin), pronto per l'esportazione in Italia. Mi ha fatto peraltro notare Mattias, essendo la tassazione in Svezia elevata e basata sul grado alcolico, che in alcuni casi - come è quello del Celebration - risulta più conveniente la tassazione sul grado plato: il paradosso può quindi essere che all'estero (Nils Oscar esporta in Italia, Regno Unito e Hong Kong) alcune birre costino, stando ai suoi calcoli, meno che in patria (ok, magari non a Hong Kong dati i costi di trasporto, ma il Regno Unito è più vicino - almeno fino alla Brexit - così come l'Italia).

Rientrati nella piccola cucina, dove alcuni dei dipendenti stavano pranzando in compagnia, abbiamo stappato alcune bottiglie. Siamo partiti dalla Sommarbrygd, una saison leggerissima - 3,5 gradi - aromatizzata con bacche di prugnolo. Le bacche si fanno ben sentire all'aroma, pur non coprendo del tutto la speziatura tipica delle saison; ma è soprattutto al palato che si sente la loro presenza dolce, dato il corpo scarico. La chiusura è comunque più secca di quanto ci si potrebbe aspettare da una birra alla frutta, senza eccessive persistenze dolci. Personalmente l'ho trovata un po' sbilanciata sul fronte fruttato; ma appunto su questo aspetto ho apprezzato di più la saison al mango, in cui al contrario i profumi di mango appena percepibili si amalgamano perfettamente ed in maniera elegante con le note di pepe e di chiodi di garofano. Queste ritornano poi a chiudere un corpo delicato ma non scarico - complici anche i sei gradi alcolici - che mantiene un piacevole equilibrio tra frutta, malto e spezie: insomma è una birra e non succo di mango, e direi che può andare incontro anche ai gusti di chi generalmente trova le birre alla frutta più simili piuttosto ad una bibita.

Cambiando totalmente genere siamo approdati alla Pandemonium, una scotch ale dall'aroma complesso di uvetta, frutta sotto spirito - mi ha ricordato i fichi e le prugne - e note alcoliche ben percepibili. Il corpo dolce si muove tra il caramello e il biscotto, mentre acquista caratteristiche sempre più simili a quelle di un barley wine in quanto ad aromi man mano che la temperatura sale; e nonostante il finale sia tutt'altro che secco, ma lasci anzi una lunga persistenza dolce, i sette gradi sono ben mascherati. Da ultimo la Rokporter, una porter con malti affumicati su legno e pancetta: e anche se non la userei per una colazione di bacon&eggs, devo ammettere che un pensierino l'ho fatto. Rispetto alle altre (poche, in realtà) porter affumicate che mi è capitato di assaggiare, questa ha la nota distintiva di rimanere una porter e non una rauch: la componente affumicata, molto morbida sia all'olfatto che al palato, non cancella i toni di tostato, caffè e liquirizia che contraddistinguono lo stile, e se all'inizio le varie componenti sembrano cozzare, col salire della temperatura arrivano ad amalgamarsi piacevolmente. Anche il corpo abbastanza pieno contribuisce a far sentire nettamente la differenza tra questa e una rauch tedesca, a riprova di quanto detto poco sopra. Nel complesso, direi che la Mango e la Rokporter sono le due birre che ho trovato meglio riuscite tra queste.

Davanti ad un bicchiere, naturalmente, si chiacchiera e si discute: così Mattias e Kjell mi hanno anche parlato dei prossimi progetti di Nils Oscar, tra cui la partecipazione alla Milano Beer Week e l'organizzazione di altri momenti di degustazione e formazione - e per me sarebbe naturalmente un piacere data la vicinanza geografica vederli al Palagurmé di Pordenone, dove Eurobevande già tiene le loro birre. L'intenzione di espandersi sul mercato italiano, a detta dei due, è ben definita: probabile quindi che chi è curioso di provare Nils Oscar, o già l'ha provata e intende riprovarla, abbia nel prossimo futuro occasione di farlo.

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