martedì 2 aprile 2019

Santa Lucia, primo weekend

Come chi segue la mia pagina Facebook già sa, ho passato lo scorso weekend alla Fiera della birra artigianale di Santa Lucia di Piave. Essendo una ventina i birrifici presenti, le birre degustate sono naturalmente state molteplici (eh già, è un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare); per cui mi limiterò qui a fare una selezione (e non me ne vogliano quelli che non nominerò: vi voglio bene lo stesso, è solo una questione logistica).

La prima che ho provato è stata la Succo di suocera, ultima creazione di Retorto: una sour su base blanche, maturata 4 mesi in botti che hanno contenuto la Bloody Mario - la loro sour alle ciliege. All'aroma è ben percepibile, per quando moderato, il fruttato della ciliegia e la speziatura della base blanche; morbida in bocca, con un'acidità lattica elegante che ricorda le Berliner Weisse pur rimanendo più delicata e senza persistenze acide lunghe, la definirei adatta anche a chi prova una sour per la prima volta; nonché un'ulteriore prova, se mai ce ne fosse bisogno, della propensione di Marcello e collaboratori alla sperimentazione.

Sono poi riuscita, in casa Chianti Brew Fighters, ad approfittare di uno degli ultimi fusti della Bestemmia di Natale 2018 - la loro natalizia, una strong ale con miele di castagno e zenzero. Il miele, percepibile ma discreto all'aroma, si fa più possente in bocca (forse fin troppo, per i miei personali gusti); va detto però che non lascia persistenze stucchevoli sul finale grazie sia alla chiusura amara di questo miele che alla punta speziata dello zenzero, ben armonizzata con l'insieme. La gradazione alcolica - oltre 8 gradi - è peraltro ben mascherata dal corpo scorrevole e da una relativa secchezza.

Ho poi trovato diverse novità al birrificio La Gramigna. Quella che definirei meglio riuscita è La Ruzza, una robust porter con lattosio e cocco, in cui l'equilibrio tra il cocco e i toni tostati di caffè e cioccolata può dirsi ben raggiunto sia all'aroma che ancor di più in bocca - e sì, ho pensato ai Bounty, ma no, fidatevi che qui il cocco resta molto più nelle retrovie e il risultato finale è una porter, non una batida. Da bere come (o con il) dolce, a fine pasto.

E' poi stato un piacere fare una lunga chiacchierata con Andrea Govoni, fondatore del BiRen - di cui conoscevo già le birre, ma appunto non avevo mai avuto l'occasione di parlare direttamente con lui. Mi ha così fatto un lungo excursus sia sull'ispirazione delle sue birre "storiche" che su quelle più recenti, soffermandosi in particolare su due tra queste - la Bock Flavius e la Maibock Derek. Ad avere una "storia" è in realtà soprattutto quest'ultima, essendogli stata ispirata dal celebre giudice Derek Walsh durante una discussione su come migliorare la sua Renazzenfest - una Festbier, come intuibile. Di lì la promessa fatta a Derek di battezzare la birra nata da questo scambio di idee - una Maibock, appunto - con il suo nome; "E quando l'ha saputo s'è commosso", ha ricordato Andrea con palpabile soddisfazione. Si tratta di una Maibock fondamentalmente in stile: aroma tra il caramello tostato e una leggerissima luppolatura floreale, ingresso in bocca pieno e dolce che vira presto sul tostato prima e su un amaro rotondo, secco e pulito poi. Molto ben riuscita anche la schiuma, pannosa e con riflessi nocciola, che lasciava dei merletti da manuale persino nel bicchiere di plastica. In quanto a Bock e affini segnalo poi la Carabock di Beer In. Come il nome stesso rivela, una Bock incentrata sui toni caramellati del malto carapils, ben accompagnati alla componente tostata e di biscotto. Scorrevole in bocca nonostante le media robustezza del corpo, finale secco e non persistente come da stile.

Chiacchierata piacevole anche quella con Andrea (biersommelier Doemens anche lui, peraltro) del birrificio Darf, aperto due anni fa in Valcamonica. Il nome viene dal paese di Darfo (di origine germanica, Dorf), e per coerenza - si direbbe - le birre tutte di impronta tedesca eccetto una Session Pale Ale. Più qualche concessione alla sperimentazione: la Keller infatti è prodotta con il Cascade coltivato dal birrificio, utilizzato in fiore il giorno stesso del raccolto. Confesso di aver temuto "la solita americanata" (letteralmente); tuttavia, per quanto a livello di mio personale gusto non sia il Cascade il luppolo che meglio vedrei su una base Keller, bisogna dare atto ad Alberto di aver raggiunto un risultato di apprezzabile equilibrio nel complesso. La luppolatura è infatti misurata, tale da non snaturare del tutto lo stile di riferimento; con un amaro erbaceo finale - dato appunto dal wet hopping - che in effetti può ricordare anche alcune luppolature continentali. Curioso che abbia concorso e vinto il luppolo d'argento al Best Italian Beer, ma nella categoria Koelsch: il che la dice lunga su come si tratti, appunto, di una reinterpretazione ("Inizialmente avevo pensato di fare una Kolsch", mi ha infatti riferito Alberto). Il Darf si è peraltro già aggiudicato diversi premi nonostante la giovane età: il luppolo d'oro per la Marzen e il luppolo d'argento per la Pale Ale sempre al Best Italian Beer, e a Solobirra il primo posto per la Weizen e la Doppelbock e il secondo per la Helles. A conti fatti, dunque, tutte le birre in listino hanno ricevuto un premio; il che, al netto delle polemiche che sempre circondano i concorsi, è innegabilmente una grande soddisfazione per il Darfo.

Bel dialogo anche allo stand del birrificio La Diana, dove, oltre alla Ester che già avevo provato - una honey ale con miele di erica di Montalcino, interessante per i delicati toni balsamici - mi è stata presentata la Piccarda, una winter ale con aghi di abete rosso e panpepato aggiunto in cottura. Ammetto che come birra è un po' "sopra le righe", nella misura in cui sia la speziatura del panpepato che i toni balsamici del pino sono ben evidenti all'aroma - per quanto al palato siano poi più misurati, e non lascino persistenze troppo lunghe, incentivando il sorso successivo; ma ammetto anche che sinceramente mi è piaciuta, e che me la vedrei bene bevuta, abbastanza calda, in una serata invernale davanti ad un caminetto accompagnata da frutta secca. Sempre in quanto a honey ale segnalo infine la Clerus de La Gilda dei Nani Birrai, una tripel con miele di acacia e erica. Gli aromi tipici dello stile - frutta matura e leggero speziato - si fondono con quelli floreali e balsamici del miele, prima di lasciare spazio ad un corpo inaspettatamente scorrevole e rotondo in cui il miele non risulta robusto - salvo ricomparire alla fine, per una chiusura dolce e moderatamente persistente, per quanto relativamente secca.

Non mi dilungo oltre, lasciando considerazioni più generali sulla fiera ad uno dei post futuri; per ora attendiamo il prossimo weekend con i birrifici italiani...

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