martedì 19 maggio 2015

La prima cotta non si scorda mai...bis

Ok, tecnicamente non è stata la mia prima cotta - che avevo descritto in questo post - ; ma la volta scorsa il titolo era tanto piaciuto ai partecipanti al corso tecnico gestionale per imprenditori della birra dell'Università di Udine, e così l'ho voluto riproporre. Corso che, peraltro, continua a riscuotere successo essendo l'unico di questo genere organizzato direttamente da un ateneo: basti dire che i partecipanti più lontani arrivavano da Alberobello, in Puglia, e che stanno accarezzando l'idea di aprire un piccolo birrificio accanto al frantoio di famiglia - dato che la molitura delle olive è, per forza di cose, un lavoro stagionale. Insomma, dagli homebrewer del Tarvisiano ai molitori del Tavoliere, il panorama era assai variegato. (nella foto: il significativo cappellino che ho trovato accanto ai fermentatori. Anche docenti e ricercatori, a quanto pare, sono dei burloni)

Culmine del corso è la "cotta didattica" che si tiene nella giornata di sabato presso l'impianto sperimentale dell'azienda agraria dell'ateneo: occasione per me non solo di rivedere il già visto in quanto a "procedure standard" per fare la birra, ma soprattutto per vederlo con occhi diversi, dato che un anno dopo nascono sicuramente domande nuove e si è in grado di apprezzare aspetti che magari la prima volta non si erano notati.

Questa volta peraltro, mentre attendavamo che passassero le due ore necessarie per l'ammostamento, il prof. Buiatti ci ha accompagnati in una piacevole visita ai terreni dell'azienda agraria e in particolare ai filari di luppolo recentemente piantati: varietà americane in particolare, dato che in questo clima e su questo terreno crescono meglio i luppoli americani rispetto a quelli tedeschi. Insomma, scordatevi le pils, il saaz non rende al meglio. Interessante poi farsi spiegare come viene coltivato il luppolo e soprattutto come vengono raccolti i coni: un lavoro certosino (e costoso) da fare pazientemente a mano su piante alte anche sei metri - a meno di non meccanizzarlo, cosa però fattibile e conveniente solo su grandi estensioni. "Forse è per questo - ha osservato Buiatti - che in Italia la coltivazione non ha mai preso piede". A differenza ad esempio della Germania, dove esistono appunto luppoleti sufficientemente grandi da giustificare la coltivazione meccanizzata. Anche sull'altro fronte principale delle materie prime, ossia quello dell'orzo e della relativa maltazione, ho fatto una scoperta interessante: Buiatti ci ha infatti riferito che l'Università ha in progetto di avviare un micromaltificio, tale da soddisfare le necessità dell'ateneo - e, chissà, magari anche di qualche altro piccolo produttore locale.

Non sto a descrivervi nuovamente tutte le varie fasi della cotta, dato che abbiamo ripercorso quelle già illustrate nel post precedente; anche questa volta peraltro utilizzando il fondamentale approccio scientifico secondo cui a gettare il luppolo deve essere una donna, e con la finale ossigenazione del mosto con metodo altamente meccanizzato - ossia usando una pagaia di legno forata, sapientemente maneggiata da prof Buiatti. Insomma, c'è stato anche di che divertirsi.

Colgo l'occasione per un'ultima considerazione, stimolata tra l'alto dall'affermazione di Musso secondo cui "in Italia manca la formazione" e dai relativi commenti comparsi sui social dopo il mio post. Certo per imparare a fare la birra non bastano tre giorni, né tre mesi; ma il corso dell'Università di Udine ha quantomeno il merito di avvicinare, complice la durata contenuta e il costo tutto sommato accessibile, i potenziali futuri mastri birrai a questo mondo dal punto di vista non solo della birrificazione in sé e per sé, ma anche della gestione tecnica ed economica del birrificio - aspetto da non trascurare se non si vuol chiudere bottega nel giro di pochi mesi. Se poi questi aspiranti mastri birrai vorranno divernire tali, magari decideranno di investire in (più costosi e più lunghi) corsi organizzati da altri enti, o cercheranno di affiancare un birraio di più lunga esperienza per completare la loro formazione: ma sia che avviino un'attività, sia che decidano che la loro strada è un'altra, comuqnue un primo passo l'hanno fatto.

Ancora una volta ringrazio l'Università di Udine - e in particolare il prof. Stefano Buiatti, il mastro birraio Stefano Bertoli e il dott. Paolo Passaghe - per l'ospitalità, e i corsisti per la piacevole compagnia!

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