giovedì 30 gennaio 2014

Rhex, parte seconda: lo sbarco in Sardegna


Intendiamoci: io in Sardegna non ci sono mai stata, per quanto un viaggio nell'isola rientri da tempo nei miei buoni propositi. Però un assaggio l'ho avuto allo stand del Birrificio di Cagliari, dove sono stata accolta dal mastro birraio Marco Secchi (a sinistra nella foto). Un personaggione non da poco, come si suol dire, che sta or ora per iniziare a commercializzare le birre che da sei anni produce nel suo brewpub.

Per assaggiare gli abbinamenti gastronomici che ha elaborato per le sue creazioni, purtroppo o per fortuna, bisogna andare fino a Cagliari: solo nel locale infatti vengono preparati una serie di piatti, soprattutto a base di carne, cucinati con la birra prodotta nei fermentatori lì accanto - quando si dice il km zero. Dallo spezzatino alla stout, agli straccetti di cavallo alla weizen, all'arrosto di maiale alla helles, ho solo potuto immaginare che profumi debbano uscire dalla cucina.

Meno male che invece le birre non me le sono dovute solo immaginare, anzi, ne ho pure assaggiate più del dovuto. Tutte quante prendono il nome di un quartiere o di una zona del capoluogo sardo, necessitando in qualche caso di traduzione: perdonate l'ignoranza, ma a capire che "Tuvixeddu" significa "Colle dei piccoli fiori" proprio non ci arrivo. Più immediato è invece capire che "Casteddu" significa "Castello", nome dato alla stout intitolata al quartiere dove risiedeva l'aristocrazia cittadina. Non sapevo, prima di parlare con il buon Marco, che questo tipo di birra ha le sue origini nell'incendio che devastò  Londra nel 1666: il re Carlo II decise di usare comunque l'orzo "bruciacchiato" per la fabbricazione della birra, che prende così il tipico aroma tostato. Indubbiamente una signora stout, per quanto non l'abbia trovata particolare rispetto ad altre dello stesso genere.

Di più mi ha colpita la Biddanoa - anche in questo caso il nome di un quartiere -, una helles in stile tedesco leggera e beverina. Di solito non è il mio genere, ma gli aromi che questa sprigiona, tra l'erbaceo e il floreale, risultando poi non troppo amara al gusto, mi hanno lasciata stupita. Merita comunque anche la Sant'Elia, una doppio malto in stile belga, dal gusto caramellato piuttosto deciso che forse non incontrerà il favore di tutti i palati, ma che lascia comunque intendere la maestria che ci sta dietro.

La specialità della casa è però indubbiamente la Figu Morisca, una birra al fico d'india che, a detta del mastro birraio, incontra i favori soprattutto delle donne: almeno nel mio caso aveva ragione, perché è quella che più mi ha colpita. Leggera e fresca, molto dissetante, ricorda quasi una blanche in quanto a leggerezza del corpo, pur essendo tutta un'altra cosa in quanto ad aroma. Oltretutto non avevo nemmeno mai assaggiato il fico d'india, per cui per me è stata una novità anche in questo senso. Che dire, un motivo in più per andare in Sardegna...

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