Ok, sarà pure una battutaccia; ma quando Enrico mi ha detto che la Sagra delle patate di Godia (Udine) è stata ribattezzata al plurale perché il nome originale di "Sagra della patata" aveva originato qualche doppio senso, non ho potuto trattenere le risate....insomma, i soliti maliziosi! Devo ammettere che inizialmente non ero molto interessata; ma dopo aver dato un'occhiata al sito della sagra in questione, che magnifica la qualità di suddette patate e soprattutto degli gnocchi - fatti a mano sul momento davanti agli occhi degli avventori -, ho deciso che valeva la pena farsi un giro. Dopotutto, da casa mia a Godia si può arrivare in bicicletta, evitando fastidiosi problemi di parcheggio.
Arrivati al tendone, la coda alla cassa per i ticket è stata sorprendentemente corta: ohibò, vuoi vedere che stasera siamo fortunati? Pia illusione: dopo essersi procurati il biglietto dell'ordinazione, ciascun piatto va ritirato al relativo stand, facendo una coda per ognuno di questi - consigliabile essere in gruppo, così ci si divide - staccando il bigliettino come dal salumiere. E qui ho rischiato l'infarto: per gli gnocchi il responso della macchinetta sputanumeri è stato 945, mentre stavano servendo il numero 801. Se non fosse stato per un'anima pia che aveva ritirato un numero in più e mi ha offerto un 871, probabilmente avrei mangiato dopo mezzanotte. Meglio è andata ad Enrico che, per procacciarsi lo stinco al forno e il frico, ha dovuto attendere "solo" una trentina di turni. A onor del vero, c'è da dire che gli inservienti - l'intero paese: in un borgo così piccolo si mobilitano tutti quanti, ed è anche questo il bello - sono lodevolmente veloci, e davvero si fanno in quattro per i clienti.
Ad ogni modo, i piatti sono valsi l'attesa: la generosa porzione di gnocchi al sugo di capriolo ha fatto la felicità di Enrico, che - parametrando qualsiasi piatto a quelli che cucina sua madre - ha garantito che erano davvero buoni, gustosi e morbidissimi. Si vabbè, li ho assaggiati: confermo che erano speciali, ma mi manca il termine di confronto... A fare la felicità mia è invece stato il morbidissimo stinco, ben cotto, saporito e non troppo grasso: e se io lodo la carne di maiale, che tendenzialmente non apprezzo, vuol dire che davvero c'è qualcosa di strano. Ma ancor di più mi hanno soddisfatta le patate al cartoccio, che ancora con la buccia e senza alcun condimento consentono di apprezzare davvero fino in fondo la particolarità della varietà di patate coltivata qui. Ovviamente Enrico non si è fatto mancare il frico, anche questo croccante al punto giusto e non troppo unto, come a volte capita di trovare.
A coronamento del tutto, però, - insieme ad una band divertentissima oltre che molto brava, i Gone with the swing - stava la birra di Sauris: ebbene sì, anche qui, pur non accostata allo speck. Devo ammettere che abbinare la rossa allo stinco non è stata una grande idea, non tanto perché i gusti non si accompagnino - anche se col maiale è meglio l'affumicata -, quanto perché questo non mi ha permesso di apprezzarla fino in fondo. E così ha avuto buon gioco il diavoletto tentatore che me ne ha offerta un'altra dopo cena, procurandomi sogni a colori durante la notte: ma almeno una volta al mese lo stravizio si può fare, e ormai siamo al 31 di agosto...
Il mio blog di avventure birrarie, descrizioni di birre, degustazioni, e notizie dal mondo della birra artigianale.
sabato 31 agosto 2013
lunedì 26 agosto 2013
Lassù sulle montagne
Chi mi conosce, sa bene che non posso stare troppo tempo lontana dalle Dolomiti: e infatti anche quest'estate sono tornata qualche giorno a S. Andrea di Gosaldo, nel bellunese. Amanti della movida astenersi: il paesino in questione ha poco più di un centinaio di abitanti, e non vi troverete né bar, né ristoranti, né negozi, né amenità simili. Per qualsiasi necessità bisogna recarsi almeno a Don di Gosaldo, il capolugo comunale, e più spesso ad Agordo, 16 km di tornanti più a valle. In compenso, le bellezze paesaggistiche e soprattutto la quiete non hanno pari, rendendolo il luogo ideale per compensare con indisturbate dormite da ghiro le fatiche delle escursioni.
Rendendo però giustizia alla zona, che altrimenti sembrerebbe priva di qualsiasi forma di vita sociale, bisogna dire che di locali interessanti - posto di aver voglia di fare un po' di strada - ce ne sono. Quando andiamo a camminare in zona Civetta, ad esempio, usiamo fare tappa per reidratarci alla Bierstube di Alleghe, un garni ristorante con microbirrificio artigianale: l'unico posto dove gustare la bionda Alleghe e la rossa Civetta - entrambe ad alta fermentazione -, che pur non avendo in sé né aromi né retrogusti particolari guadagnano moltissimi punti in quanto a purezza del gusto. Gli esperti sostengono sia merito dell'acqua utilizzata, che scende direttamente dalle montagne lì sopra: personalmente ci credo, perché basta anche un sorso bevuto alla prima fontanella per capire come ciò che passa per i nostri acquedotti non abbia nulla a che vedere con questa. Peccato solo per il servizio, che non sempre è ottimale: dispiace andarsene via con l'amaro in bocca - letteralmente - dopo una birra così buona perché alla richiesta di un piattino di patatine è arrivato un sacchetto, dato che la cucina aveva già chiuso poco dopo le 21. Sarà che qui in montagna sono tutti mattinieri e la fretta di andare a dormire presto è tanta, ma gioverebbe anche tener conto del fatto che il turista medio non ama le montagne solo per per - citando la preghiera dell'alpino - "le nude rocce e i perenni ghiacciai".
Recente scoperta della scorsa settimana è invece il Costa di Canale d'Agordo, un garni con annesso ristorante e pizzeria. Delizioso l'arredamento tipico, ispirato alle vecchie locande della zona, con numerosi pezzi originali; e bisogna aggiungere una nota di merito alla fantasia del pizzaiolo, che sforna una lunga serie di - buonissime - pizze davvero originali. La mia buona amica Sofia, entrando appieno nel tessuto sociale locale, ha osato lanciarsi sulla pizza col pastin o pastim - una sorta di salsiccia tipica della zona -; ma da quella con formaggio erborinato ed erba cipollina, a quella con le fettine di lardo aromatizzato per stomaci forti, il listino riserva numerose sorprese. La birra, poi, è di tutto rispetto: parliamo della Pedavena, anche quella a km quasi zero essendo prodotta in provincia di Belluno. Purtroppo le descrizioni nel listino erano piuttosto stringate, per cui con poca cognizione di causa ho scelto la Superior, una bionda abbastanza beverina; di meglio ha fatto mio fratello Emanuele con la Centenario, sempre bionda ma assai più luppolata e non pastorizzata né filtrata, servita nel caratteristico bicchiere a forma di stivale.
Tra i nostri preferiti, tuttavia, rimane l'enoteca Corona d'Oro di Caprile: un localino tipico arredato in maniera assai originale dove, insieme all'abbondante Weizen per dissetarsi dopo una lunga camminata, potete farvi servire dei crostini caldi con una sottilissima fettina di lardo affumicato. Saranno pure un attentato alla linea e al mio stomaco delicato, ma davvero meritano un assaggio: tanto, come si dice, la birra "sgrassa"....
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mercoledì 14 agosto 2013
La Villacher ritrovata
Dopo la gita a Villach, che ho raccontato nel post "Ein Prosit", la voglia di riassaggiare la Villacher mi era rimasta. L'occasione si è presentata ieri, alla festa di Vernasso nelle valli del Natisone: molto più che una semplice sagra di paese, perché oltre agli usuali stand enogastronomici e affini comprende una lunga serie di manifestazioni e gare sportive - dal podismo alla mountain bike -, musica per tutti i gusti - con tanto di scuola di ballo caraibico gratuita - in una sei giorni di festa nella suggestiva cornice delle rive del Natisone, dove è anche possibile campeggiare. Insomma, ci siamo detti che valeva la pena fare un giro: così abbiamo scelto la serata conclusiva, con l'immancabile tombola e fuochi artificiali.
Bisogna dire che la nostra spedizione nelle valli non è iniziata sotto i migliori auspici, perché dopo settimane e settimane di siccità, proprio ieri sera il cielo ha ascoltato le unanimi preghiere del popolo accaldato ed è arrivata la pioggia: meno male che - come auspicabile in simili manifestazioni - era stato montato un ampio tendone sotto cui rifugiarsi, ma la serata ha perso buona parte della sua poesia naturalistica dovendo stare rintanati lì sotto.
Ciò che invece non ha assolutamente perso di poesia è stato il lato enogastronomico: al di là dell'ottima grigliata e del frico (non furlanofoni, cliccate qui), che hanno fatto la felicità del consorte - e anche la mia: per la prima volta ad una sagra ho trovato una coscia di pollo ben cotta e non unta -, la birra spinata ai chioschi era appunto la Villacher bionda. Per quanto nel mio precedente post avessi affermato che "Le Pils non sono il mio genere", devo dire che stavolta l'abbinamento col pollo alla griglia è stato una rivelazione: l'ha confermato il fatto che gli ultimi sorsi, bevuti quando ormai avevo finito di mangiare, non sono stati altrettanto apprezzati. Insomma, non sarà un tipico cibo austriaco, ma meglio così che con la Kirchtagssuppe, in barba ai puristi.
Chiaramente, dato che ci trovavamo nelle valli del Natisone, era d'obbligo la gubana: una sorta di focaccia ripiena di uvetta, mandorle, pinoli, noci, grappa (e la lista prosegue ancora a lungo...insomma, roba leggera) dalla preparazione così laboriosa che ancora oggi quella originale viene prodotta soltanto artigianalmente, nell'impossibilità di industrializzare un processo tanto complicato. A dire il vero, non ne vado pazza: ma dopo aver assaggiato quella fatta in casa al Carnevale di Rodda, che ancora oggi mi fa venire l'acquolina in bocca, ho deciso che valeva la pena di fare un altro tentativo. In realtà la tradizione vuole che la gubana venga bagnata con la grappa, per cui l'abbinamento con la birra non era proprio ortodosso (e ancor meno quello con l'aranciata, alla quale Enrico si è dovuto limitare per questioni di guida): ma non è stato male nemmeno così, e per quanto non si trattasse della miglior gubana mai sfornata da quelle parti - anche a detta dei locali, che hanno un più voce in capitolo di noi - non è stata una delusione.
La delusione invece, per gli amici che erano con noi, è stata la pesca di beneficenza: quindici biglietti e nemmeno uno vincente. Quando si dice "ritenta"...
Bisogna dire che la nostra spedizione nelle valli non è iniziata sotto i migliori auspici, perché dopo settimane e settimane di siccità, proprio ieri sera il cielo ha ascoltato le unanimi preghiere del popolo accaldato ed è arrivata la pioggia: meno male che - come auspicabile in simili manifestazioni - era stato montato un ampio tendone sotto cui rifugiarsi, ma la serata ha perso buona parte della sua poesia naturalistica dovendo stare rintanati lì sotto.
Ciò che invece non ha assolutamente perso di poesia è stato il lato enogastronomico: al di là dell'ottima grigliata e del frico (non furlanofoni, cliccate qui), che hanno fatto la felicità del consorte - e anche la mia: per la prima volta ad una sagra ho trovato una coscia di pollo ben cotta e non unta -, la birra spinata ai chioschi era appunto la Villacher bionda. Per quanto nel mio precedente post avessi affermato che "Le Pils non sono il mio genere", devo dire che stavolta l'abbinamento col pollo alla griglia è stato una rivelazione: l'ha confermato il fatto che gli ultimi sorsi, bevuti quando ormai avevo finito di mangiare, non sono stati altrettanto apprezzati. Insomma, non sarà un tipico cibo austriaco, ma meglio così che con la Kirchtagssuppe, in barba ai puristi.
Chiaramente, dato che ci trovavamo nelle valli del Natisone, era d'obbligo la gubana: una sorta di focaccia ripiena di uvetta, mandorle, pinoli, noci, grappa (e la lista prosegue ancora a lungo...insomma, roba leggera) dalla preparazione così laboriosa che ancora oggi quella originale viene prodotta soltanto artigianalmente, nell'impossibilità di industrializzare un processo tanto complicato. A dire il vero, non ne vado pazza: ma dopo aver assaggiato quella fatta in casa al Carnevale di Rodda, che ancora oggi mi fa venire l'acquolina in bocca, ho deciso che valeva la pena di fare un altro tentativo. In realtà la tradizione vuole che la gubana venga bagnata con la grappa, per cui l'abbinamento con la birra non era proprio ortodosso (e ancor meno quello con l'aranciata, alla quale Enrico si è dovuto limitare per questioni di guida): ma non è stato male nemmeno così, e per quanto non si trattasse della miglior gubana mai sfornata da quelle parti - anche a detta dei locali, che hanno un più voce in capitolo di noi - non è stata una delusione.
La delusione invece, per gli amici che erano con noi, è stata la pesca di beneficenza: quindici biglietti e nemmeno uno vincente. Quando si dice "ritenta"...
lunedì 12 agosto 2013
Una Kwak tra i pellerossa
Una delle cose che a me - e soprattutto a Enrico - manca del Belgio è la Kwak (o Quack, a seconda delle grafie), un'ambrata doppio malto ad alta fermentazione dall'incomparabile retrogusto amarognolo. Embè, direte voi, per trovarla, seppur a fatica, la si trova: il problema è che in Italia viene di solito commercializzata soltanto in bottiglia, perdendo il tocco della spinatura e soprattutto il gusto di berla nel caratteristico bicchiere ad ampolla, così sagomato per essere tenuto a cassetta dai cocchieri delle diligenze.
Sarà pur vero che molti paesini friulani sono degli autentici "buchi", ma perlomeno in quanto a birre non si scherza: e infatti poco distante da Udine si trova l'unico posto di nostra conoscenza a disporre per l'appunto di Kwak alla spina, il saloon birreria Mondelli di Flumignano. Come dice il nome stesso, stiamo parlando di un locale che ricorda il vecchio west: l'idea è stata del figlio del fondatore - soprannominato Mondello -, che alla fine degli anni settanta ha iniziato a trasformare il ristorante di famiglia spinto dalla passione per i cavalli e per la cultura dei pellerossa. Ne è uscito un vero e proprio saloon in legno e muri grezzi, con tanto di foto storiche originali recuperate direttamente negli Stati Uniti e sbalzi in rame di Philippe Goffe. Non credo gli indiani d'Amercia bevessero birra, ma è piacevole sorseggiare un buon bicchiere in un ambiente così originale, percursore di molti altri - tra cui diverse catene - che si sono ispirati a questo stile. Così qualche sera fa, approfittando anche della festa del paese, io e consorte siamo andati in spedizione a Flumignano.
Come spesso accade, il locale era discretamente pieno, soprattutto nei tavoli sotto il porticato: data la temperatura, era decisamente più piacevole stare all'aperto. Ci siamo così rassegnati a sederci all'interno, nonostante il caldo soffocante - ragione in più, si dirà, per dissetarsi. Enrico, manco a dirlo, ha optato per l'usato sicuro, ordinando appunto la Kwak - che ben conosce - nonostante l'afa suggerisse magari qualcosa di più leggero rispetto ad una birra di nove gradi; io invece ho il pallino della sperimentazione, per cui sono andata in cerca nel lungo listino di qualcosa che non avessi ancora provato. In realtà anch'io mi sono diretta su una delle mie certezze, ossia le rosse belghe doppio malto: nella fattispecie una Abbaye de Bonne Esperance alla spina, su consiglio anche della mia dolce metà - anzi, del mio dolce doppio, come molti più propriamente lo chiamano. In effetti è stata di mio gradimento, per quanto forse non una scelta indovinata dato il caldo: il retrogusto è decisamente dolce, quasi caramellato, il che fa sì che gli otto gradi si sentano tutti e non possa propriamente qualificarsi come una birra beverina. Comunque il gusto è assai più equilibrato, per cui non mi ha certo lasciata insoddisfatta.
Non abbiamo cenato lì, per quanto anche il menù promettesse bene: al di là dei classici panini e piatti da pub, la cucina offre anche piatti messicani e carne alla griglia come da tradizione western, per cui prima o poi bisognerà fare un collaudo. Enrico non si è comunque fatto mancare i suoi anelli di cipolla fritti, nonostante le mie rimostranze e minacce riguardo al tenersi lontano da me causa alito: ah, l'amour...
Sarà pur vero che molti paesini friulani sono degli autentici "buchi", ma perlomeno in quanto a birre non si scherza: e infatti poco distante da Udine si trova l'unico posto di nostra conoscenza a disporre per l'appunto di Kwak alla spina, il saloon birreria Mondelli di Flumignano. Come dice il nome stesso, stiamo parlando di un locale che ricorda il vecchio west: l'idea è stata del figlio del fondatore - soprannominato Mondello -, che alla fine degli anni settanta ha iniziato a trasformare il ristorante di famiglia spinto dalla passione per i cavalli e per la cultura dei pellerossa. Ne è uscito un vero e proprio saloon in legno e muri grezzi, con tanto di foto storiche originali recuperate direttamente negli Stati Uniti e sbalzi in rame di Philippe Goffe. Non credo gli indiani d'Amercia bevessero birra, ma è piacevole sorseggiare un buon bicchiere in un ambiente così originale, percursore di molti altri - tra cui diverse catene - che si sono ispirati a questo stile. Così qualche sera fa, approfittando anche della festa del paese, io e consorte siamo andati in spedizione a Flumignano.
Come spesso accade, il locale era discretamente pieno, soprattutto nei tavoli sotto il porticato: data la temperatura, era decisamente più piacevole stare all'aperto. Ci siamo così rassegnati a sederci all'interno, nonostante il caldo soffocante - ragione in più, si dirà, per dissetarsi. Enrico, manco a dirlo, ha optato per l'usato sicuro, ordinando appunto la Kwak - che ben conosce - nonostante l'afa suggerisse magari qualcosa di più leggero rispetto ad una birra di nove gradi; io invece ho il pallino della sperimentazione, per cui sono andata in cerca nel lungo listino di qualcosa che non avessi ancora provato. In realtà anch'io mi sono diretta su una delle mie certezze, ossia le rosse belghe doppio malto: nella fattispecie una Abbaye de Bonne Esperance alla spina, su consiglio anche della mia dolce metà - anzi, del mio dolce doppio, come molti più propriamente lo chiamano. In effetti è stata di mio gradimento, per quanto forse non una scelta indovinata dato il caldo: il retrogusto è decisamente dolce, quasi caramellato, il che fa sì che gli otto gradi si sentano tutti e non possa propriamente qualificarsi come una birra beverina. Comunque il gusto è assai più equilibrato, per cui non mi ha certo lasciata insoddisfatta.
Non abbiamo cenato lì, per quanto anche il menù promettesse bene: al di là dei classici panini e piatti da pub, la cucina offre anche piatti messicani e carne alla griglia come da tradizione western, per cui prima o poi bisognerà fare un collaudo. Enrico non si è comunque fatto mancare i suoi anelli di cipolla fritti, nonostante le mie rimostranze e minacce riguardo al tenersi lontano da me causa alito: ah, l'amour...
giovedì 1 agosto 2013
Ein Prosit
Appena arrivati, abbiamo temuto di aver sbagliato posto: siamo infatti capitati per prima cosa nella zona giostre, gremita di bambini. Ammetto che, dato che ai tempi miei non c'erano attrazioni così elettrizzanti, un giro me lo sarei fatta volentieri: ma, per quanto porti bene i miei anni, non credo sarei riuscita a dargliela a bere - letteralmente, dato che di festa della birra stiamo parlando -, così abbiamo proseguito fino alla piazza del Municipio. Lì stava per iniziare a suonare la banda cittadina, in apertura dei festeggiamenti della serata - alle cinque del pomeriggio: siamo in Austria, qui tutto è avanti. Infatti hanno attaccato alle cinque precise, dato che evidentemente il tanto discusso concetto di quarto d'ora accademico è del tutto sconosciuto. Manco a dirlo, qui i musicisti, e in particolare chi sta ai fiati, non si tiene idratato con l'acqua: questa foto testimonia come ci sia di meglio (senza esagerare, altrimenti poi il pentagramma diventa di dieci righe: osservate sotto il leggio).
Mentre ascoltavamo il concerto, ne abbiamo approfittato per un boccale di Villacher (perché qui si ragiona a boccali): confermo che le pils non sono il mio genere, ma se non altro è dissetante. Per "asciugare", come si suol dire, è d'obbligo il pretzel, il pane dalla caratteristica forma a noi meglio nota come "salatino cameo", che mangiato nella ricetta originale - la scoperta, peraltro, è stata che esiste anche la versione dolce - ha chiaramente tutto un altro sapore. In fondo, tra gli ingredienti utilizzati c'è anche il malto: quale miglior accompagnamento alla birra?
Proseguendo il nostro giro, tra quartetti musicali in costume che cantavano arie di montagna, abbiamo notato che in diversi stand c'era un cippo di legno con un martello e dei chiodi: incuriositi, abbiamo chiesto lumi (con il mio scarso tedesco) ad un tizio in pantaloni alla zuava - come del resto più o meno tutti, austriaci e stranieri: le bancarelle che vendono abiti tipici o loro rivisitazioni moderne non si contano, rasentando spesso il kitsch. Il quale tizio, nel suo scarso italiano, ci ha spiegato che il gioco consiste nel riuscire a piantare il chiodo con un colpo netto usando non il lato piatto del martello, ma la penna - ossia quello a cuneo. Chiaramente Enrico non ha resistito alla sfida, e con viva e vibrante soddisfazione - citando ben altre autorità - ha sconfitto il carinziano in casa: po-poropo-po-po-po...campioni del mondo, e non solo contro i francesi.
Dato che ormai erano le sette, ossia ora di cena inoltrata in quelle zone, abbiamo deciso di darci al piatto tradizionale della festa: la Kirchtagssuppe, la zuppa del Kirchtag. Stomaci deboli astenersi: trattasi di una minestra di carne mista (manzo, vitello, pollo e agnello) cotta in un brodo speziato di verdure (carote, sedano, porro, cipolla e gli immancabili crauti) e soprattutto panna acida. Come se non bastasse, il tutto è accompagnato dal Reindling, tipico dolce carinziano con un ripieno di burro, uvetta, cannella e altre spezie - ai friulani ricorda molto la gubana, tanto che è detto "gubana carinziana". Insomma, una bomba. Tendenzialmente mi considero uno stomaco debole, per cui ero scettica: ma alla fine la curiosità è stata più forte del timore di passare la notte a rigirarmi nel letto, per cui ho corso il rischio. Devo dire che ne è valsa la pena: non sarà la mia zuppa preferita, ma ne ho apprezzato il sapore quasi tendente al dolce. Anche l'abbinamento con il Reindlig ha il suo senso: arrischiandomi ad inzupparlo - come del resto molti facevano, per quanto non sia una cosa propriamente ortodossa - mi sono resa conto che le spezie usate sono in buona parte le stesse, solo che in un caso nel salato, nell'altro nel dolce. Insomma, se li mangiano insieme un motivo c'è. Vabbè, Enrico avrebbe di gran lunga preferito un Bratwurst da una delle tante bancarelle: ma almeno ci siamo perfettamente integrati nella Villacherkirchtag...
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