sabato 5 novembre 2016

Mastro Birraio a Pordenone, secondo weekend: le prime novità

Data la grande mole di novità presenti - almeno per me - in questo secondo weekend di Mastro Birraio a Pordenone, già da ora inizio a fare il mio resoconto. La serata di ieri è infatti iniziata con una nuova conoscenza, la Brasseria della Fonte di Pienza, che ha aperto lo scorso giugno con birrificio, negozio e tap room. Samuele mi ha guidata in una panoramica sulle sue birre: alle fisse di linea più classica - una apa, una ale rossa, una porter e una scotch ale - si aggiungono altrettante stagionali. Quella disponibile ora è la Freshoops, una ipa brassata con i luppoli provenienti dal luppoleto della casa - 430 piante - e messi già nel mash, come mi ha spiegato Samuele, perché rilascino le loro resine a temperatura più bassa rispetto alla bollitura. Il risultato è una birra leggera, delicata e fresca, in cui la luppolatura "importante" ma morbida dai toni tra il resinoso e il fruttato viene supportata, man mano che la temperatura sale, dal cereale biscottato (nella ricetta c'è anche malto Vienna) nel corpo. Il finale è di un amaro secco e non invasivo, ma ben persistente, che lascia la bocca ben pulita. Un birrificio giovane, insomma, ma di buone promesse.

Altra nuova conoscenza è stato il birrificio Campi Flegrei, della zona di Napoli, aperto nel 2015. Un birrificio che tiene al legame col territorio sia perché usa malti italiani (provenienti da una coltivazione in provincia di Piacenza), sia perché nelle birre mette prodotti locali: come il miele di agrumi di un apicultore della zona nella ale rossa Rame 15, e i limoni del giardino del birraio nella apa Oro 15. Ho assaggiato appunto quest'ultima: a cui va riconosciuto il merito di amalgamare con eleganza l'agrumato dei luppoli a quello del limone, così che il secondo non sovrasta ma accompagna il primo.

Tra le nuove aperture di quest'anno c'è poi il Forgotten Beer di Salgareda, beerfirm che si appoggia a Sognandobirra: e che proprio con Sognandobirra ha elaborato alcune ricette in collaborazione. Raffaele me ne ha però presentata una di "totalmente" sua, la apa Coboldo: alla luppolatura all'americana d'ordinanza, delicata come si conviene ad una apa, fa da contrappunto una dolcezza abbastanza spiccata, quasi mielosa, nel corpo: forse un po' eccessiva, a mio modo di vedere, per quanto non sgradevole né stucchevole - rimane infatti una birra fresca e facile a bersi.

Da tempo aspettavo poi di assaggiare la nuova nata di casa Jeb, la apa Never Say Never: perché Chiara aveva detto che una apa non l'avrebbe mai fatta, ma mai dire mai. Si tratta di una apa in stile, "da manuale", semplice e pulita: però devo dire, come in effetti ho confidato anche a Chiara, che qui non riconosco - probabilmente perché si tratta di uno stile non del tutto nelle sue corde, e quindi ha preferito evitare di lanciarsi in magari improbabili personalizzazioni - la sua mano. Il che non va a sminuire la qualità della birra, anzi: meglio una birra fatta bene senza volerci mettere del proprio, che una personalizzata ma pasticciata perché ci si è mossi su un terreno con cui non si ha la giusta sintonia e confidenza. Una semplice constatazione dunque, che pongo come tale.

Ho poi ritrovato gli amici di Baracca Beer, che portavano due novità: la Pumpkin Ale con zucca violino, cannella, chiodi di garofano e noce moscata e la Glerale, una Iga con uva Glera. Nella prima la dolcezza della zucca risulta equilibrata anche perché bilanciata dalla speziatura importante, a cui si aggiungono i sentori pepati del lievito: amanti della cannella e della noce moscata fatevi avanti, perché qui c'è materiale per voi. Della Glerale è interessante sopratttto osservare l'evoluzione con la temperatura: se all'inizio è emerso soprattutto il profumo del lievito belga, man mano arrivano anche il fruttato dell'uva e le note di miele, sia all'olfatto che all'interno di un corpo ben robusto. Da segnalare anche i cioccolatini alla strong ale Extasy, opera della Bottega del Dolce - che già si è cimentata con successo in ricette analoghe con la Winternest di Luckybrews.

Si sapeva poi che in quanto ad ipa la fantasia si sbizzarrisce, ma la "High Temperature Ipa" mi mancava: lacuna che ho colmato con la TropikAle di Legnone, fatta fermentare a temperatura particolarmente elevata e infustata in isobarica, che si distingue - come il nome stesso fa intuire - per i profumi di frutta tropicale particolarmente intensi sottolineati (così mi ha spiegato Giulio) da questo particolare metodo di lavorazione - e complice anche il luppolo Mosaic in dry hopping. Pericolosamente beverina, dato che il corpo - pur carico il giusto, per sostenere una luppolatura così importante - tende ad apparire più esile di quello che è, e il finale agrumato pulisce bene la bocca.

Ho ritrovato infine gli amici di Calibro22, che mi hanno presentato la loro nuova West Coast Ipa One Shot e la Scottish Ale. La prima è una ipa in stile, senza particolari fronzoli, e dal corpo parecchio scarico nonostante i 6,5 gradi alcolici; la seconda è assai peculiare all'interno del genere posto che, come il biraio stesso ha riconosciuto in risposta alle mie osservazioni, ai classici toni caramellati e di whisky dello stile si accompagna un corpo scarico e un finale ben secco e attenuato: che sicuramente incoraggia a berla, ma risulta forse eccessivo per una Scottish Ale.

Ultima nota per un birrificio che certo non ha bisogno di presentazioni, il Birrificio Italiano: ho infatti particolarmente apprezzato la loro weizen scura VuDù, che ai caratteristici aromi di banana amalgama in maniera soprendentemente armoniosa quelli tostati e di toffee.

Stasera si ricomincia, rimanete sintonizzati...

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