Ammetto che è stato un piacere già il solo farsi descrivere le birre: l'accento toscano, checché se ne dica, esercita sempre il suo fascino - e non sto parlando della classica gag della "coca cola con la cannuccia corta"-, con quella cadenza che evoca letture dantesche e splendori d'altri tempi. Anche le descrizioni in sé, comunque, di curiosità nel suscitavano parecchia: meglio la Famelica, una strong ale dalla maltatura decisa con sapori fruttati? La Luponero, classica stout dagli aromi di liquirizia e caffè? O la Blues's Wolf, una scotch ale dal sapore affumicato?
Alla fine, rievocando il capitolo "Altri mondi" del birrificio italiano, la mia scelta è caduta su quella più insolita: la Re Tartù, una ale al tartufo fortemente aromatizzata. Forse anche troppo, per i miei gusti: ho trovato infatti che il sapore del tartufo coprisse quasi del tutto quello della birra, risultando a mio avviso eccessivo. Così come eccessivo sarebbe stato probabilmente abbinarla ad un pecorino al tartufo come suggeriva il mastro birraio, perché credo che l'effetto più che "sgrassare" sarebbe stato di caricare troppo.
Era ancora presto, però, per dirmi delusa: lì accanto stava infatti una botticella, sulla quale si è posato il mio sguardo interrogativo. "Questa però è roba forte", mi ha avvisato il mastro: nella fattsipecie la Hogmanay, un barley wine di 12 gradi barricato in botti di rovere francese per sei mesi. Ormai che c'ero, tanto valeva: ingoiato un tarallo giusto per limitare i danni dell'alcol, me ne sono fatta fare un assaggio. E qui devo dire che il Montelupo ha dato del suo meglio: liquorosa, ma non così tanto da risultare pesante, i profumi speziati preparano bene ad assaporarne il corpo caldo a cui la maturazione nelle botti ha dato il suo tocco speciale. Da sorseggiare con moderazione quasi fosse un whishey, certo: ma vale la pena fare lo sforzo...
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