Dopo
la pausa maternità che mi sono presa lo scorso anno, sono ritornata
ad Acido Acida, il festival ferrarese delle birre britanniche.
Un’edizione peraltro significativa, la decima: con oltre 200 birre
a listino (di cui diverse esclusive per il festival e debutti al di
là dei confini nazionali) tra Inghilterra e ospiti italiani, una
cinquantina di birrifici, per un panorama di produzioni selezionate
tra le creazioni di punta di ciascuno dei partecipanti - con un
occhio di riguardo per fermentazioni spontanee e barricate.
Naturalmente, valore aggiunto è il fatto di poter incontrare i
birrai o i loro collaboratori: cosa che mi ha fatta dirigere
prevalentemente sui birrifici che potevano appunto contare su un loro
rappresentante, dato che l’unico modo per fare una chiacchiera con
loro davanti ad una loro birra sarebbe appunto recarsi in
Inghilterra.
Ho
iniziato da quella che è stata la principale novità di quest’anno,
Balance Brewing&Blending, giovane (ha aperto nel 2021) nonché
unico birrificio di Manchester ad occuparsi esclusivamente di
affinamento, appoggiandosi ad altre aziende locali per brassare. Ho
quindi fatto una chiacchierata con James e Will, i fondatori, davanti
alla loro Saison de Maison Blend #3: un blend di tre diverse botti
(tutto rovere di ex vino rosso) risalenti al periodo tra dicembre
2021 e marzo 2022, classificato come farmhouse ale. Al naso è
proprio la componente del legno a risaltare un maniera
particolarmente vivace, lasciando comunque percepire bene i profumi
fruttati e una leggera nota funky sullo sfondo. Il corpo esile e
fresco, che vira sull’agrumato e finanche sulla frutta tropicale
(in virtù della luppolatura generosa), non lascia
assolutamente presagire i 6 gradi alcolici; chiudendo infine su
un’acidità da frutta, molto gentile e non troppo persistente, e un
amaro erbaceo che tende ad indugiare più a lungo. Del tutto
abbordabile anche per chi è alla prima esperienza con il mondo sour,
nella misura in cui questo è molto bel bilanciato con la frutta.
La
seconda chiacchierata è stata con quella che era la novità dello
scorso anno, Pastore: un birrificio che tratta esclusivamente
fermentazioni spontanee gestito da padre e figlio, Chris e Ben
rispettivamente, nel Cambridgeshire, e il cui nome italiano rende
omaggio alle origini della nonna. Il loro repertorio spazia da sour
più “gentili”, come Waterbeach Weisse Passion Fruit & Guava
(una Berliner Weisse che, al palato di chi è più avvezzo a questi
stili, può apparire come ai limiti del succo di frutta), ad altre
nettamente più complesse come La Pera (una Golden Wild Ale maturata
per un anno in botte di sherry con fecce di pera); sempre tuttavia
con la filosofia di non essere troppo estremi. Da segnalare la
volontà di evitare gli eccessi anche nel caso delle pastry, a quanto
mi dicono molto in voga in Inghilterra: ad esempio la loro Zuppa
Inglese (una pastry sour a base avena con vaniglia e frutti rossi)
può far temere il contrario se ci si ferma al deciso aroma di
vaniglia, ma al palato presenta poi un encomiabile equilibrio che non
va a sfociare nel dolce – detto in altri termini, sour è e sour
rimane, giocando sui contrasti tra dolce e acido.
Spostandomi
nella zona Yorkshire ho incontrato prima Jordan e Jack del birrificio
Tartarus, nato nel 2020 con una gamma di birre di tipo Imperial ed
europee, e che poi si è dato a sperimentazioni di ogni genere su
tutti i fronti – compreso quello del nero di seppia per le birre
scure, come riferitomi da Jack. Da segnalare in particolare la loro
Valkyrie, una Black Ipa con lievito kweik: interessante lo sposalizio
tra i profumi dei luppoli australiani e neozelandesi e un particolare
ceppo di kweik che ha appunto reminescenze fruttate che ci fanno il
paio, coronando i potenti aromi e sapori tostati e un lungo e deciso
taglio amaro finale. Alle spine accanto ho trovato Andreas di
Rooster’s, birrificio fondato negli anni Novanta e passato di mano
nel 2011 con il pensionamento del fondatore (peraltro il primo in Uk
a creare una gamma con luppoli americani): evento che ha segnato una
virata anche nella produzione, che fino ad allora era stata solo in
cask. Per quanto la birra della casa sia la Apa Yankee, ritengo più
meritevole di segnalazione la Eeverything’s just swell, una Pils
con luppoli della West Coast: provare per credere alla maniera in cui
aromi fruttato-resinosi passano la mano al riconoscibilissimo corpo
da Pils e all’amaro erbaceo finale, in un insieme che – per
quanto possa piacere o meno, per carità – presenta un peculiare
equilibrio della costruzione complessiva. Da ultimo Laurie di North,
forse uno dei più noti tra i nomi presenti: è stata lei a tentarmi
ad un assaggio di una Wit, la X Tool Lemon Chamomile. Personalmente
avrei liquidato una wit con limone e camomilla come l’ennesima
sperimentazione un po’ sopra le righe, invece devo ammettere che
l’aromatizzazione è ben calibrata e non lascia indesiderate
persistenze da tisana serale (perché se volevo una tisana prendevo
una tisana, non una birra) in bocca.
Spostandoci
dall’Inghilterra, nota di merito ad Antica Contea sia per la nuova
Kidnapped (una West Coast Pale Ale che presenta una rosa di tutto
rispetto di aromi e sapori erbacei e resinosi, di una bevibilità
notevole) che soprattutto per la Special K 2018, Iga con Ribolla di
Radikon con quattro anni di botte sulle spalle: un tripudio di
vaniglia, whisky, torbato ed altre reminescenze legnose, che esaltano
la componente dolce-fruttata del vitigno.
Un
grazie a tutti i birrai e loro collaboratori con cui ho parlato e
allo staff del festival, in particolare l’ideatore Davide
Franchini.
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