È stata diffusa ieri, confermando la continuità in questo tipo di analisi (ne erano infatti state condotte di analoghe gli scorsi anni), l'indagine di Doxa per Assobirra sul rapporto tra le donne e questa bevanda.
In primo luogo, si conferma sia la diffusione del consumo - 2 donne su 3 affermano di bere birra, e 1 su 2 almeno 2-3 volte a settimana - e la preferenza a farlo a pasto - il 59% delle intervistate; nonché l'attenzione per la bassa gradazione alcolica, citata da un'interpellata su due. Per quanto Doxa affermi che "cresce la popolarità delle birre analcoliche" tra la popolazione femminile - e sicuramente ci sono in ballo questioni salutistiche: al di là del grasso in eccesso, basti pensare che la condizione per eccellenza in cui non si possono bere alcolici è la gravidanza -, è però anche vero che una donna su tre afferma di non averne nemmeno sentito parlare (cosa che personalmente non avrei creduto); e che, sebbene la metà delle intervistate affermi che "certamente" o probabilmente" berrà birra analcolica, c'è comunque una propensione a preferire la birra "classica". Insomma, va bene il poco alcolico o l'analcolico, ma occhio a cadere nello stereotipo per cui le donne rifuggono l'alcol in toto.La ricerca rileva poi che il 70% delle intervistate, "consumatrici e non, considera l’aumentata presenza delle donne nel settore una risorsa importante.
Soprattutto perché, secondo le appassionate di birra, “le donne
riescono a trovare nuove idee e sono uno stimolo per il settore” (45%)". E qui francamente credo ci sia da lavorare sotto il profilo culturale: perché se il 30% delle donne interpellate (che, va detto, non erano moltissime: poco meno di 600) non ritiene rilevante la presenza femminile in un settore a forte prevalenza maschile, significa non tanto che manca solidarietà di genere - di cui francamente mi interessa ben poco -, ma che c'è ancora una concezione piuttosto stereotipata di quelle che sono le dinamiche di genere nel mondo del lavoro.
E questo solleva anche questioni ulteriori rispetto all'effettiva praticabilità per una donna del lavoro in questo settore. Personalmente non mi sono mai sentita discriminata in quanto donna quando vado ad occuparmi di servizi giornalistici, degustazioni e affini; però, in tempi in cui tanto si parla di contrasto alla denatalità, non si può dimenticare che diventare mamma per una professionista della birra può essere davvero difficile. Posto che è impensabile che una birraia metta in commercio le proprie birre senza averle nemmeno assaggiate, o che una giornalista o biersommelière le recensisca o conduca una degustazione senza averle bevute, o che una publican non verifichi di persona la qualità di ciò che serve ai suoi clienti, ciò significa che nove mesi di gravidanza più fino a due anni di allattamento (sì, fino a due anni: siamo noi frenetici occidentali a togliere i bambini dal seno a forza prima perché "sennò si vizia", ma i piccoli arrivano naturalmente ad alternare cibi solidi e latte materno almeno fino all'anno di vita e spesso oltre) diventano assai ardui da conciliare con il lavoro. Il tutto tenendo conto che la quasi totalità delle donne che fanno questi lavori sono libere professioniste, e quindi hanno generalmente accesso (se ce l'hanno) solo ad un forfait di poche migliaia di euro dalla propria cassa previdenziale a copertura di un periodo indefinito di astensione (o pesante riduzione, perché alla fine quello tocca fare per mettere comunque qualcosa in tavola) dal lavoro. Tante birraie e biersommelière hanno figli, e tutte sanno che difficoltà hanno passato per farcela. Insomma, se davvero - come afferma anche Assobirra - si vuole promuovere l'imprenditoria femminile nel settore, e soprattutto quella giovane, bisognerà mettere mano anche agli strumenti previdenziali. Perché anche in questo settore, come in nessun altro, ci si dovrebbe trovare a dover scegliere tra lavoro e famiglia.
Infine, da socia, non posso che rallegrarmi del fatto che il 40% delle consumatrici di birra conosca l'Associazione Le Donne della Birra (che è intervenuta, tramite la presidente Elvira Ackermann, nel commentare la ricerca): un segnale non solo che l'attività dell'associazione ha il suo peso, ma anche che si sta sempre più formando quella cultura su donne e birra a cui facevo riferimento prima.
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