Risulta difficile dire qualcosa che non sia già stato detto in merito alle misure previste nel nuovo Dpcm, e in particolare sull'obbligo di chiusura alle 18 per bar e ristoranti - che colpisce in modo particolare il settore birrario, significando la chiusura totale per i pub (eccetto per i pochi che aprono anche a pranzo, però è da vedere se converrà loro rimanere aperti o meno a fronte della riduzione degli introiti).
Il sentirsi presi in giro, trovandosi costretti a chiudere dopo tanti investimenti in tempo e denaro nell’adeguarsi ai protocolli (non parliamo delle palestre, che non più tardi di una settimana fa si erano sentite dire di avere una settimana per adeguarsi); il farlo pur in assenza di dati che provino il legame tra la diffusione del virus e l’apertura di questi luoghi; il fatto che il peso delle chiusure ricada sempre sulle stesse categorie; il fatto che è ormai chiaro che, da parte delle istituzioni, non tutto ciò che doveva essere fatto per affrontare questa seconda ondata è stato fatto; l’irresponsabilità di alcuni – perché inutile negare che i comportamenti irresponsabili ci siano stati, sia da parte dei ristoratori e publican che da parte degli avventori – che ricade su tutti. Tutto contribuisce agli sfoghi di rabbia che si vedono in queste ore, e che sicuramente uscirà – auspicabilmente in forme civili – dai confini dei social.
Intendiamoci: ogni luogo di aggregazione è, di
per sé, fonte potenziale di rischio – compresi i centri
commerciali, che però non sono stati chiusi. E onestamente non me la
sento di condividere, o almeno non in toto, la narrativa
“innocentista” secondo cui in pub e affini non si sono mai
verificati episodi di mancato rispetto delle regole (se non altro
perché ne ho visti con i miei occhi). Però è evidente che chiudere
i luoghi di aggregazione dopo le 18 – nonché quelli con più
rigidi protocolli di sicurezza come palestre e piscine – per poi
lasciare mezzi pubblici affollati, centri commerciali aperti, e un
sistema in cui l’esito di un tampone spesso arriva così tardi da
essere ormai inefficace ai fini del contenimento, è inutile oltre
che ingiusto.
Per quanto riguarda il settore birrario nello specifico, credo che l’ipotesi di un mantenimento della consegna a domicilio che avevo avanzato in questo post, e inizialmente smentita dai fatti (molti birrai mi avevano detto di averla molto ridotta o del tutto abbandonata a fine lockdown) tornerà in auge: chiusi i principali canali distributivi di pub e ristoranti non resta che la vendita diretta, o in birrificio o in delivery. C’è da augurarsi che anche questa volta la risposta del pubblico sia buona. Non so però se davvero tutti i birrifici si reingegneranno, anche questa volta, per trovare una soluzione.
Perché temo che con questa seconda stretta si sia davvero giunti ad un punto di rottura. E non solo perché ci saranno aziende (non solo birrifici e pub) che non reggeranno il colpo, con relative conseguenze sull’occupazione. Ma anche perché la rabbia, per definizione, è distruttiva, non costruttiva. E quindi rende difficile ingegnarsi per sfangarla in qualche modo, stringere i denti a fronte di un beneficio comune come è la salute pubblica, facendo preferire piuttosto gettare la spugna e sfogare il proprio risentimento. Mi auguro di sbagliarmi, ma temo di no.