mercoledì 26 agosto 2020

Birra, vino e sproloqui sull'universo femminile (e non solo)

Sta circolando in questi giorni sui social un articolo apparso su Il Foglio a firma di Camillo Langone e Corrado Beldì, dal titolo "Malvasia di Bosa o Verdiso trevigiano per le nuove generazioni malate di birra". Non mi soffermo sui contenuti, anche perché in realtà di contenuti propriamente detti non ce ne sono: si tratta infatti di una serie di luoghi comuni, presentati in forma provocatoria e irridente, su una pretesa nobiltà del vino e di chi lo beve rispetto alla birra; fino a sconfinare in aggettivi che possono risultare offensivi a chi produce birra con passione, nonché in frasi dal sapore sessista sulle donne che bevono birra - e dalle quali traspare un'evidente mancata conoscenza di questa parte dell'universo femminile.

Al di là della magistrale risposta di Unionbirrai per mano di Andrea Soncini, che trovo molto ben scritta, azzardo anch'io alcune considerazioni.

La prima riguarda, appunto, l'universo femminile. Ormai non si contano le ricerche e i sondaggi che dimostrano come le donne non solo apprezzino la birra - Assobirra stima in oltre il 60% le donne consumatrici di questa bevanda - ma lo facciano anche in maniera più misurata e consapevole degli uomini, preferendo formati più piccoli e andando a ricercare sapori, aromi, abbinamenti culinari, secondo una peculiare sensibilità. Non è un caso che in Italia sia nata cinque anni fa un'associazione, Le Donne della Birra, che riunisce sia appassionate che professioniste del settore - birraie, biersommelière, publican, beer chef, distributrici, formatrici, giornaliste. Insomma, tutte donne ben lontane dallo stereotipo della rozza donzella che si ubriaca ruttando evocata da Langone. Se non ci crede, libero di partecipare come uditore ad un incontro-degustazione dell'Associazione e giudicare da sé.

In secondo luogo, risulta quantomeno curioso che i due, per dimostrare la (presunta) superiorità del vino, citino apertamente un'azienda - Gregoletto - che è proprietaria anche del marchio Birra Follina. Conoscendo personalmente il titolare e lo staff, mi sento di dire che, per quanto quello vinicolo rimanga il cuore dell'azienda, di sicuro nessuno lì dentro ha posizioni denigratorie nei confronti della birra; anzi, nell'ultimo anno a questa parte, con l'ingresso anche di nuovo personale, ho notato un'evoluzione positiva nell'attività del birrificio. Una citazione dunque che, per come la leggo io, più che dimostrare la superiorità di una bevanda sull'altra prova quell'italico legame tra birra e vino citato anche da Soncini.

Ultimo punto: ho sempre affermato che, dal punto di vista mediatico, la peggior condanna è il silenzio. Il "nel bene o nel male, purché se ne parli" è un luogo comune tragicamente vero; e anche confutare un articolo di questo tipo è parte del successo dell'articolo stesso. Tuttavia, anche se in un primo momento avevo pensato di tacere, ho deciso di scrivere qualcosa in virtù del dibattito che si è creato, e al quale spero di aver dato un contributo costruttivo. Da giornalista, dispiace vedere che colleghi dalla lunga e rispettabile esperienza, che hanno tutte le competenze per scrivere articoli di livello (come già hanno dimostrato), utilizzino la loro penna per denigrare gratuitamente - o almeno così io, e tanti altri, abbiamo colto questo articolo - invece che per portare in maniera costruttiva la propria voce. Perché denigrare gratuitamente non è satira, né dotta provocazione - entrambi ambiti in cui Langone già si è cimentato con successo, e che all'interno del giornalismo hanno una loro precisa e riconosciuta funzione.

1 commento:

  1. Brava Chiara. Io in quanto co-fondatrice dell'associazione Le Donne della Birra e la stessa associazione condividiamo perfettamente il tuo pensiero

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