Approfittando di alcuni giorni di ferie, nonché dell'ispirazione che mi ha dato il Carnia Craft Beer Bike Tour - chi non sapesse di che cosa si tratta può leggerlo qui - un paio di settimane fa mi sono recata appunto in quel della Carnia per visitare un paio di birrifici dove, nonostante la distanza relativamente breve, non ero mai stata.
La prima tappa è stata a Enemonzo al birrificio Casamatta, gestito dal giovane (poco più che trentenne, per l'esattezza) Andrea Menegon. Andrea arriva da un percorso diverso rispetto alla maggior parte degli altri birrai: aveva intrapreso infatti la carriera di calciatore professionista, e a far birra non ci pensava proprio. Almeno fino a che, complici una serie di circostanze che non sto qui a riferire, non si è trovato a rispondere di sì ad un noto brewpub di Udine che cercava manovalanza per la produzione di birra: lì, volendo usare le parole sue, "mi si è aperto un mondo", e si è "messo alla scuola" del mastro birraio. Dopo un passaggio in una grossa azienda del settore e un corso di formazione all'Istituto Cerletti di Conegliano, ha così deciso di appendere al chiodo le scarpe da calcio; e tornare a Enemonzo, suo paese d'origine, dove si era concretizzata la possibilità di utilizzare la vecchia casa di famiglia per avviare il suo birrificio. Nel 2017 è partita così la produzione su un impianto di 5hl, e il nostro ha da poco festeggiato la duecentesima cotta.
Arrivando da Casamatta, la sensazione che si ha è in effetti quella di entrare in una delle tante case di montagna, con tanto di terrazzini in legno e gerani ai balconi: salvo poi trovarvi dentro una piccola tap room, la sala cotta, sei serbatoi da 5hl (ne è in arrivo uno nuovo da 20, oltre a due maturatori), e il magazzino in un vicino stavolo. Insomma, fa atmosfera, non c'è che dire.
Sono quattro le ricette fisse e quattro le stagionali (ispirate ai prodotti che il territorio offre nel corso dell'anno), tutte in ossequio al principio di Andrea secondo cui "la birra per me è semplicità" - pur senza rinunciare ad un tocco di personalizzazione, mi permetto di aggiungere. La prima che ho assaggiato è stata la Slip, Pils ceca la cui ricetta è dono del mastro birraio che l'ha formato (non a caso noto proprio per le birre di ispirazione ceca): e in effetti fa onore alla definizione, con la classica fragranza piena di pane appena sfornato in bocca, e l'eleganza della luppolatura con Saaz, Perle e Premiant; risultando al contempo meno "grezza" di certe Pils ceche (anche i classici dimetilsolfuro e diacetile, citati in pressoché tutti i manuali come difetti viceversa accettabili in quantità contenute nelle birre ceche, qui sono sostanzialmente non percepibili).
Siamo poi passati alla Siesta, la stagionale estiva (come il nome stesso lascia supporre), aromatizzata con 800g a cotta di fiori di camomilla e una melassa di fiori di tarassaco (fiore che cresce in maggio-giugno da queste parti). Devo ammettere che l'aroma mi ha fatto inizialmente temere una tisana, dato che la camomilla (per la quale personalmente non stravedo) è parecchio evidente; in bocca però si conferma essere una birra e mantiene un buon equilibrio tra la componente snella di cereale e quella erbacea, per chiudere sulla dolcezza del tarassaco - che però lungi dall'essere zuccherinamente stucchevole, rimane fresca.
Quindi la Florian, una sorta di "sui generis" di cui Andrea dice che "o la si ama o la si odia", ossia un'ambrata di ispirazione ceca a cui vengono aggiunti a fine bollitura bucce d'arancia e semi di cardamomo. Anche se sulla carta farebbe presupporre un risultato estremamente "vivace", in realtà l'aroma, pur ben evidente, risulta di una speziatura elegante, con le due componenti ben armonizzate; in bocca rimane scorrevole nonostante i toni di caramello, per chiudere di nuovo sullo speziato, lasciando il luppolo - Saphir in questo caso - in secondo piano.
Cambiando del tutto genere, ho provato la ipa Tipa: il dryhopping con Chinook, pur ben percepibile, rimane nei ranghi della moderazione, mentre il corpo tostato, ma comunque snello, lascia poi il posto ad un taglio amaro e secco che si evidenzia ancor più nella discreta persistenza.
A casa ho poi degustato l'ultima fissa è la Double Fradi - una Belgian Ale ambrata che, pur rimanendo nei ranghi dello stile, presenta in modo meno evidente dello standard i tipici aromi spezzati e fruttati del lievito, in favore piuttosto di un tocco di luppolo che risalta più in amaro, conferendo una secchezza relativamente elevata per il genere - e la stagionale primaverile, la Regalia. Interessate quest'ultima per l'utilizzo della salvia sclarea (un fiore di montagna) essiccata che, se all'aroma può far pensare semplicemente all'ennesima trovata in quanto a nuovi luppoli, risalta in tutta la sua forza erbacea e balsamica sul finale, a mo' di gruit, lasciando anche una notevole persistenza amara. Per quanto anche questa possa ricadere nella categoria "o la ami o la odi", l'aromatizzazione rimane comunque nei limiti di un equilibrio complessivo, e risulta quindi accessibile anche a chi non dovesse essere proprio un patito dell'amaro. Per la cronaca, le altre stagionali sono l'autunnale San Bortul, un'affumicata con carrube, e l'invernale Ciaspola, con fichi e fave di cacao.
Nel complesso, tutte birre tecnicamente ben fatte che, pur dando l'idea di una semplicità complessiva e mantenendo l'equilibrio d'insieme, non rinunciano ad un pizzico di originalità. Da segnalare anche il fatto che Andrea ha riferito che, durante il lockdown, è riuscito a compensare molto bene con la consegna a domicilio le mancate vendite in tap room e nei locali (per il 70-80%, a suo dire): un segnale interessante di come, almeno in un contesto di clientela affezionata e su raggio breve o relativamente breve, questa modalità possa essere valida.
Rimanete sintonizzati per la prossima tappa...
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