venerdì 29 luglio 2016

Dove canta la rana

Come nome per una birra è piuttosto stravagante; ma non starò a raccontarvi come mai Giulio Cristancig, del Birrificio Campestre, ha chiamato così la sua nuova birra - essendo il nome stato ispirato da quella classica goliardata con gli amici che tendenzialmente si preferisce non diffondere. Al di là dei retroscena, Giulio ha presentato la sua ipa - la prima ipa della casa - la sera di venerdì 29, nel chiosco estivo attiguo al birrificio; ed ho visto, peraltro con piacere, un buon giro già dalla prima serata, a testimoniare che il giovane birraio si è guadagnato nel giro di poco più di un anno di attività una buona cerchia di estimatori.

Venendo alla ipa in questione, lui la definisce "sCravagante" - ispirandosi alla rana, appunto - essendo piuttosto insolita all'interno del genere: e già ancor prima che la bevessi me l'ha descritta come "volutamente sbilanciata verso l'amaro" - con hallertauer magnum, chinhook e polaris - e originale anche in quanto ad aroma, unendo al fruttato del mosaic e dello huell melon i toni più balsamici e leggermente speziati del polaris; richiamati poi da una punta di coriandolo e di pepe nero, aggiunti all'insieme. Ce n'era di che incuriosirmi, per cui ho portato il bicchiere alle labbra - o meglio, al naso, per prima cosa.

Inizialmente, a dire il vero, la bassa temperatura non ha reso giustizia all'aroma, già di per sé tenue e delicato; ma sono poi saliti, nel'ordine, prima i profumi di agrumi, poi quelli di coriandolo e spezie, ed infine quelli di frutta tropicale - in particolare melone, come il nome del luppolo huell melon fa intuire. Anche il corpo a basse temperature risulta molto esile, oserei dire sin troppo evanescente; anche qui però attendere un attimo aiuta, finché non compare un pur moderato miele al palato dato dai malti - base di pale ale e carapils. La dolcezza, però, dura solo un attimo: arriva infatti subito una chiusura amara molto secca, netta e persistente con una leggera nota piccante di pepe nero che risulta comuqnue armonizzata con l'insieme. Mi sono azzardata a dire che abbinerei questa birra ad una macedonia, perché al tempo stesso la contrasta e la accompagna - grazie all'amaro da un lato e i toni fruttati dall'altro. Nel complesso l'ho trovata una birra ben studiata, e in fin dei conti non poi così sbilanciata sull'amaro nonostante i 54 ibu - se non a basse temperature. Io mi sono azzardata a dire che verrà apprezzata soprattutto d'estate, data la facilità di beva e i 4 gradi alcolici; trattandosi di una birra pulita e gradevole, comunque, non c'è motivo di credere che non sia buona per tutte le stagioni...

Una birra in Zardin Grant

E' un po' il Prato della Valle de noantri, Piazza Primo Maggio a Udine - Zardin Grant per gli indigeni: caratteristica forma ovale, prato, vialetti di ciottoli, e anche se manca il canale attorno c'è comunque la fontana al centro. Quest'anno è stata spostata lì la festa della birra artigianale che gli anni scorsi si è tenuta in piazza Venerio - cosa che personalmente non mi è dispiaciuta; e ho trovato sia vecchi amici che nuove conoscenze.

Sono passata per prima cosa dagli amici di Diciottozerouno, che mi avevano preannunciato qualche novità. Innanzitutto hanno fatto alcune lievi modifiche alle birre già all'attivo, in particolare alla pils Caraibi, che ho trovato più delicata sul fronte della maltatura e viceversa più decisa sia sul fronte dell'aroma - Saaz e Mittelfruh - che dell'amaro - Magnum: una pils che, pur non uscendo dai canoni dello stile, sa comunque farsi riconoscere per i profumi intensi ma eleganti tra il floreale, lo speziato e un leggero fruttato, e per l'amaro pulito. Nuova nata è invece l'american wheat Tsunami, dagli aromi agrumati e dal corpo leggerissimo, tanto che solo in seconda battuta arrivano al palato le note del frumento, prima di chiudere su un amaro leggero e poco persistente. Da bere in quantità, come lo stile vuole.



Pensata per l'estate è anche l'ultima creazione di Sognandobirra, la F999 (dal codice del Comune di Oderzo, dove il birrificio ha sede): una sui generis con malto pilsner a caramel, lievito da Kolsch, e luppolatura con Hallertau Blanc - che mi è stato descritto come simile al Nelson Sauvin, caratterizzato da profumi fruttati che ricordano il sauvignon blanc (da cui prende il nome). L'aroma fruttato in effetti si nota, ma si amalgama con una presenza decisa e quasi "grezza" del cereale; che non rimane però "piena" in bocca, a favore di un corpo esile che facilita la bevuta ed una chiusura tendente all'acidulo che contribuisce a "pulire" la bocca. Di tutt'altro genere la Matha, una versione più dolce della Brown ale Sisma: profumi intensi di miele che risaltano maggiormente al salire della temperatura, ma comunque bilanciati sia in aroma dai toni fruttati del luppolo Challenger, sia soprattutto in chiusura dall'amaro elegante del Magnum - che va a contrastare un corpo assai dolce che, se persistente, risulterebbe stucchevole.

Nuova conoscenza è stato invece il birrificio Alba di Guarene (Cuneo), aperto dal 2014, che conta otto birre all'attivo (tutte alte fermentazioni). Alessandro e Alberto si definiscono appassionati degli stili belgi, ma anche delle luppolature del Nuovo Mondo, e cercano quindi di unire queste due passioni. Con loro ho assaggiato per prima la Nivola, una blanche in stile ma assai più delicata della media, sia sotto il profilo dell'intensità degli aromi che della consistenza del corpo; per poi passare alla Aura, una golden ale che unisce luppoli europei ed americani dai toni fruttati, ma in cui all'aroma ho colto più di tutto intensi profumi di miele millefiori (che non figura tra gli ingredienti peraltro, per cui lo attribuisco al malto). Anche qui il corpo è più esile di quanto ci si aspetterebbe, rimanendo comunque sui toni dolci di miele e pane; e chiude su un amaro appena percepibile e poco persistente, mentre rimane al contrario una leggera persistenza mielosa. Il miele ce l'ha invece davvero quella che definiscono la più caratteristica delle loro birre, la tripel Double Bee, con miele di acacia e castagno; che in effetti donano all'aroma toni balsamici, che la componente dolce non arriva a sovrastare. Più piena rispetto alle altre al palato - mi sono trovata a definirla "dal sapore variegato", data la presenza anche di avena e frumento - ha un corpo comunque poco robusto per i suoi otto gradi. Ha senz'altro il merito di giocare bene con i profumi e sapori caratteristici dei due mieli per non farla risultare stucchevole, e personalmente trovo che beneficerebbe da un corpo un po' più robusto, così da "sostenerli" meglio e far risultare l'insieme più equilibrato.

Che altro dire, oltre che un grazie ai birrifici in questione? Chi volesse assaggiare queste birre o quelle di altri birrifici - sono presenti anche Belgrano, Zahre, e Dibirra che dsitribuisce birre americane - ha tempo fino a domenica....

venerdì 22 luglio 2016

Tra birre e showcooking


Ho accolto con piacere l'invito a partecipare, mercoledì scorso, all'inaugurazione del Palagurmé di Pordenone: una struttura definita dai suoi ideatori come "il primo centro esperienziale del gusto", intendendo con ciò un'ampia area (600 metri quadrati su due piani, divisi in cinque settori) dedicata all'enogastronomia a tutto tondo con spazi "vetrina" per i produttori, corsi di formazione, showcooking, convegni, degustazioni, ed eventi in senso lato. Una realtà da tenere d'occhio per tutti gli operatori di settore, tanto più trattandosi di un'esperienza unica nel suo genere qui a Nordest. Naturalmente non manca l'area dedicata alle birre; ed essendo Eurobevande parte attiva in Palagurmé, a curarla è Vincenzo dal Pont (i lettori di questo blog ricorderanno il post sull'evento a Villa Manin). Oltre ad alcuni marchi più grossi come Dolomiti e Leffe, si trovano anche, sotto l'etichetta Brasseries du Monde, birre artigianali sia italiane che estere.

Tra gli italiani ci sono i già noti B2O e Birrificio Legnone; e proprio di quest'ultimo ho assaggiato la pils Testa di Malto e la ipa Monkey Planet. La prima è una pils boema sostanzialmente in stile, che all'aroma - data la luppolatura che ho trovato tenue e delicata - quasi illude, evidenziando gli aromi mielosi del cereale, di essere decisamente dolce per il genere; in realtà si tratta appunto di un'illusione, perché al corpo discretamente pieno - e che tende appunto al miele - fa seguito un amaro erbaceo, netto e pulito, con un finale secco che non lascia strascichi del cereale. La classica pils da bere a boccali, insomma; e devo dire che ultimamente ho visto (con piacere, direi) come sempre più birrifici artigianali si stiano impegnando per arrivare a risultati semplici e puliti su uno stile generalmente poco percorso (al di là della Tipopils del Birrificio Italiano che ha fatto la storia ed è caso a sé), anche per le sue difficoltà tecniche, ma che passata la moda delle luppolature estreme sta incontrando crescenti consensi. E in quanto a luppolature estreme, il Legnone di fatto ci va con cautela: anche la ipa Monkey Planet (nella foto) infatti presenta degli aromi tra il cirtrico e il resinoso che, pur intensi, non coprono totalmente i toni di biscotto del malto; e personalmente ho trovato che sia appunto l'equilibrio tra queste due componenti lungo tutta la bevuta a caratterizzare questa birra, fino alla chiusura di un amaro netto ma non troppo intenso che richiama i toni dell'aroma.

Ho infine riprovato la Dubbel Ipa del birrificio svedese Nils Oscar, di cui mi erano stati annunciati dei cambiamenti nella luppolatura rispetto alla versione che avevo assaggiato. Se prima all'aroma mi aveva colpito di più la componente resinosa, ora è quella di frutta tropicale a risaltare in piena forza, insieme alla punta di miele che già avevo notato in precedenza; e questo connubio tra dolce e fruttato si protrae anche in bocca, fino ad un finale in cui l'amaro netto e intenso è controbilanciato da questa dolcezza che persiste. Pur giocata su sapori e aromi tutti intensi e diversi tra loro, rendendola una birra complessa, devo dire che il risultato finale mi è parso più equilibrato del precedente; dato che le componenti più dolci e quelle più amare si contrastano in una maniera che, a fine bevuta, appare armonica. Rimane ad ogni modo una birra che vuole stupire, e per gli amanti dei sapori (e gradazioni alcoliche) forti.

Un grazie a Vincenzo, Silvia, Alessandra, Simone, e tutto lo staff del Palagurmé per la piacevole e ben riuscita serata di inaugurazione, e i migliori auguri per l'avvio di questa esperienza pionieristica!

lunedì 18 luglio 2016

Un sabato tra Sauris e lo Yardie

Per la serie "giornate impegnative", sabato scorso c'erano ben due appuntamenti ai quali tenevo (sì, anche l'inaugurazione del nuovo birrificio Baladin naturalmente, ma quello non ce l'ho fatta...): la festa del prosciutto a Sauris - dove è sempre un piacere tornare, sia per le prelibatezze birrarie e gastronomiche che per la compagnia - e la Festa della birra artigianale e locale allo Yardie, gastropub di Pradamano. Insomma, ce n'era a sufficienza per decidere di partire la mattina presto, fare una breve escursione sul Morgenleit - una cima poco sopra Sauris -, scendere a ristorarsi in paese, rientrare a Udine, rimettersi in condizioni presentabili, e chiudere in bellezza a Pradamano - lo so, la vita è dura, ma che ci volete fare.

A Sauris mi sono fermata, come di consueto, a salutare gli amici di Zahre; che in quanto a birra confermano le linee consolidate - squadra che vince non si cambia, dato che le quattro birre storiche continuano a raccogliere consensi dopo più di quindici anni, e anche l'ultima nata Ouber Zahre si è ormai consolidata dopo qualche aggiustamento - ma hanno novità sotto altri profili. Sono infatti in dirittura d'arrivo i lavori per l'apertura dello spaccio e della sala didattica, dove troverà posto anche un piccolo impianto sperimentale da 1 hl; e vedendo le bottiglie non si può non notare la nuova tappatura "figlia" della nuova imbottigliatrice, che dovrebbe garantire una miglior conservabilità e una più lunga durata della birra - questione che è sempre state "croce e delizia" di Zahre, trattandosi (eccetto la apa Ouber Zahre) di basse fermentazioni molto delicate sotto questo profilo. Se teniamo conto che nella sala didattica sono previsti anche momenti di formazione rivolti a publican e distributori su come conservare e servire al meglio la birra, pare che il birrificio abbia "preso il toro per le corna" rispetto a quella che era evidentemente un'esigenza sentita sia dalla parte del produttore che da quella del distributore e consumatore. La data dell'apertura è ancora da definire, ma dovrebbe essere questione di qualche mese; così come per il lancio delle bottiglie da 0,33, strada sinora esplorata da Zahre solo con la ipa one-shot fatta per la primavera di un paio d'anni fa. Ho avuto poi il piacere di fermarmi per uno spuntino al bar Kursaal, appena rimesso a nuovo e aperto da Sarah Fassi - la più giovane rampolla del "clan" del birrificio, che ha deciso di provare a camminare da sola -: oltre alle birre di famiglia, sono disponibili taglieri dei noti prodotti locali, serviti in un ambiente semplice ma ben curato. In bocca al lupo dunque a Sarah per la sua nuova avventura.

Scesa a valle mi sono dunque diretta allo Yardie, locale nuovo per me. La serata prevedeva nove birrifici e beerfirm ospitati - in ordine rigorosamente casuale Borderline, Foglie d'Erba, Villa Chazil, Galassia, Garlatti Costa, Zanna, Antica Contea, Campestre, Pighi - per una ventina di birre disponibili. Nota di merito per l'organizzazione tecnico-logistica del tutto, nonché per l'utilizzo di bicchieri in vetro, prontamente rilavati e riconsegnati freschi - si potrebbe obiettare che il tipo di bicchiere non era adatto ad alcune delle birre che andrò a descrivere, ma non si può avere tutto.

Le birre che ho assaggiato sono state diverse, per cui andiamo con ordine partendo dal capitolo birre estive. Ho provato per prima la nuova versione della Nova di Birra Galassia: modifiche minime, appena percettibili, ma utili a far sentire meno lo stacco tra il cereale del corpo e l'amaro delicato ma netto e leggermente agrumato della chiusura rendendo l'insieme ancor più equilibrato. Sono poi passata alla Summer Ipa, brassata in collaborazione tra Villa Chazil e Borderline: e devo dire che ci ho visto soprattutto l'impronta di quest'ultimo, data l'esuberante luppolatura - nota distintiva di molte delle loro creazioni - dagli intensi profumi agrumati e tropicali (mi hanno nominato cascade, chinhook e mosaic tra gli altri), per passare poi ad un corpo che ho trovato molto evanescente e chiudere su un amaro resinoso, deciso e particolarmente persistente. Personalmente tendo a cogliere come uno "squilibrio" il fatto di accostare una luppolatura così importante ad un corpo molto esile, dando quasi l'impressione che la birra in questione sia "solo luppolo"; ma è del resto una caratteristica di molte summer ale a fin di bevibilità e "caratterizzazione" al tempo stesso, obiettivo che del resto la Summer Ipa centra. Di tutt'altra impronta la summer ale di Antica Contea, la Pseudo Snowy: una monomalto Vienna e monoluppolo Palisade, con una luppolatura più delicata su toni tra il floreale e il fruttato. Il corpo ha una presenza "fresca" di cereale - che a me ha ricordato le birre di frumento anche se non c'entrano nulla -, e tiene insieme una struttura "leggera" ma non esile ad un'ottima bevibilità, con un finale fresco e pulito senza lunghe persistenze.

Passando ad altri generi ho fatto conoscenza di un nuovo beerfirm (che si appoggia a Borderline), Pighi Craft Beer; che, come mi ha illustrato il titolare Michele, si è lanciato sin dall'inizio (l'attività è stata aperta pochi mesi fa) su generi inusuali almeno agli inizi - ma frutto dei decennali esprimenti da homebrewer di Michele. La prima birra che ho provato è la sour ale Living Room, prodotta con lievito madre di un panificio udinese, e fatta invecchiare sei mesi in botti di rovere con l'aggiunta di brett. Brett che al naso risalta discretamente e che la farebbe presagire assai più acida di quel che è in realtà, mentre al palato si rivela delicata; per chiudere su un finale leggermente speziato e non troppo persistente per il genere. Una acida senza particolari vistosità ed "entry level", come le si usa chiamare, ma comunque gradevole anche per chi è abituato ad "acidità" ben più elaborate. Sono poi passata alla Stic, una ale affumicata. Al naso il malto rauch - la base è di maris otter - è molto delicato, quasi a non volersi imporre; tanto da rendere percepibili ad un'analisi più attenta anche gli aromi leggermente speziati del luppolo sterling. Anche qui il corpo è decisamente scarico e lascia subito ad un finale amaro ben persistente, che amalgama i toni affumicati del malto con quelli tra il resinoso e l'agrumato del luppolo. Insomma, per ora siamo agli inizi, ma le premesse per futuri felici sviluppi sembrano esserci.

Da ultimo ho lasciato le scure, inziando con la cocoa porter Eclissi di Villa Chazil: una porter con fave di cacao per la quale non sapresi trovare altro aggettivo che "vellutata", amalgamando l'acidulo delle fave di cacao ai toni tostati del malto grazie anche all'aggiunta di lattosio - con la sua componente dolce, ad evitare l'astringenza che le fave potrebbero dare. Per gli amanti del cioccolato, pur senza voler strafare sul fronte cacao, e dall'ottima bevibilità. Infine la Jab di Garlatti Costa, una "belgian porter" (belgian a motivo del lievito, Severino una sempre lo stesso "perché ormai conosco la bestia, dipende tutto da che cosa gli dai da mangiare") battezzata così in onore di James Brown. Caratteristica peculiare è l'uso del luppolo sloveno Polaris, dalle note balsamiche; e se a temperature più basse risalta soprattutto la menta, che va poi a fondersi in bocca con i toni tostati e di cioccolato, man mano che la birra si scalda - e la Jab ha il merito di non "impastare" la bocca e scendere benissimo ugualmente - spuntano anche quelli di liquore alle erbe e al caffè, senza tuttavia andare a pregiudicare la bevibilità con note alcoliche al palato o in chiusura - che rimane abbastanza lunga, e sempre su toni balsamici. Se esperimento era, nel voler unire in maniera originale uno stile britannico, un lievito belga e un luppolo sloveno, direi che Severino è riuscito a portarlo avanti con maestria - oltre che a spillarla con altrettanta maestria, come anche il cappello di schiuma testimonia: una degna chiusura alla serata, contraddistinta anche da interessanti chiacchierate con i birrai e gli appassionati presenti.

venerdì 15 luglio 2016

La birra....di Lure'

Onorando, seppure in ritardo, l'invito ricevuto, sono stata a visitare il birrificio The Lure di Fogliano Redipuglia, aperto lo scorso febbraio. Il nome è un gioco di parole tra quello del birraio, Lorenzo Serroni per gli amici Lure', e il termine inglese "lure" - "esca", "lusinga", "tentazione", a seconda dei contesti: idea "creativa" che, se vogliamo, fa il paio con l'indole di Lorenzo, pianista diplomato al conservatorio che rimane convinto che "vabbè, Chopin era Chopin, ma tu l'hai mai sentito Chopin suonare? No, allora devi dare tu la tua interpretazione del suo pezzo, e non si può dire che un'interpretazione sia a priori giusta o sbagliata". Un approccio che si riconosce anche nelle sue birre, in cui, pur rimanendo lo stile ben riconoscibile, il tocco di personalizzazione è altrettanto ben distinguibile.

Sono quattro al momento le birre all'attivo: la German Pils Ludwig (Van Beethoven , naturalmente), la porter affumicata Bird (da Charles "The Bird" Parker, celebre sassofonista jazz americano), la apa Seattle (dalla città natale dei Nirvana e dedicata a Kurt Cobain) e la blanche Pink (sì, avete indovinato, Floyd). Una passione per la musica, insomma, che va oltre il pianoforte classico, e che Lorenzo dice di applicare anche nel fare le birre: "Quando suono, curo non solo ciascuna singola battuta, ma anche ciascuna singola nota. Magari non se ne accorge nessuno oltre a me e a un altro pianista, ma fa la differenza. Il mio obiettivo è fare lo stesso con la birra: riuscire a curare ogni singolo dettaglio negli ingredienti e nella produzione, per arrivare al miglior risultato finale possibile".


Ho iniziato con la Ludwig, in cui appare subito chiaro che la nota distintiva rispetto altre pils sta in primo luogo nell'aroma: spiccano decise note floreali, di agrume, finanche una punta di miele, più intense della media dello stile. Lorenzo ha spiegato di usare solo luppoli tedeschi - in particolare saphir e hersbrucker, che dà anche leggeri toni speziati - con un leggero dry hopping - da cui la componente aromatica più intensa. Pur risultanto beverina come ci si aspetta per lo stile, il corpo è ben presente con la pienezza del cereale tra i toni del pane e quelli del miele; e se la chiusura di un netto amaro citrico fa pensare che sia finita lì, ritorna poi quel leggero sapore di miele, pur senza risultare stucchevole e lasciando comunque la bocca pulita. Per coloro che tendono a trovare molte pils "anonime" questa è senz'altro una buona opzione, risultando al contempo sia pulita, elegante e non invasiva, che con una sua personalità.

Sono poi passata alla Pink, che pur essendo una blanche usa un lievito da weizen: ed è infatti questo a spiccare su tutto all'aroma, pur esaltando di più la componente speziata rispetto a quella della banana (Lorenzo ha spiegato la cosa col fatto di averlo fatto lavorare a 18 gradi, temperatura a cui vengono liberati di più questi profumi). Le spezie utilizzate - coriandolo, buccia d'arancia e zenzero - si amalgamano in maniera tale da rendere difficile distinguere l'una dall'altra, e si armonizzano bene nell'insieme; mi sono trovata a definirla nel complesso una birra "saporita", perché "riempie" il palato in tutti i suoi sapori, con un finale tra l'acidulo e lo speziato. Personalmente l'ho trovata più vicina ad uuna weizen che ad una blanche pur usando frumento non maltato, sia per la presenza del lievito che per quella tutto sommato discreta delle spezie che caratterizzano le birre di frumento belghe.

Da ultimo mi ha nettamente incuriosita la Bird, che conta il 2% di malto affumicato, il 9% di avena, e l'aggiunta di chips di quercia francese in fermentazione. La componente affumicata domina nettamente sia all'olfatto che al palato senza pregiudicare comuqnue la bevibilità, complice anche il corpo non troppo robusto come tipico per le porter; il pensiero corre quasi alle rauch tedesche, che pur sono tutt'altro genere e presentano un corpo ancor più esile. Non si può dire però che Lorenzo abbia voluto strafare: l'affumicato domina sì ma non soverchia, e una certa rotondità data dall'avena è comunque riconoscibile. Il finale è lungo e ben persistente, come prevedibile per una birra affumicata.


A Lorenzo non mancano i progetti per il futuro: in quanto birrificio agricolo già utilizza il malto del suo orzo, ma è comparsa, a livello sperimentale, qualche piantina di luppolo Styrian Golding. Sono poi in dirittura d'arrivo i lavori per l'apertura del brewpub al piano superiore dello stabile che ospita il birrificio - dove già c'è un piccolo punto degustazione - e dove Lorenzo conta di offrire in abbinamento ale sue birre prodotti tipici del territorio, in collaborazione con aziende agricole locali - oltre a buona musica naturalmente, ma questo va da sé. In quanto a me, il progetto è quello di assaggiare la Seattle che ho ancora in frigo, date le buone premesse...

giovedì 14 luglio 2016

Birra artigianale, il Veneto in movimento

In questi giorni si sono letti in rete moltissimi commenti riguardo all'approvazione definitiva del ddl che contiene la definizione legislativa di birra artigianale; non mi dilungo ora su pregi e difetti di questo testo - ho comunque lanciato la mia personale indagine tra alcuni produttori, di cui darò conto, e devo dire che ci sono anche alcune opinioni che vanno al di là di quanto già detto e osservato, per cui ci sarà ancora di che discutere. Meno si è invece parlato del fatto che c'è una Regione, il Veneto, in cui per iniziativa di alcuni consiglieri regionali è stata depositata una proposta di legge per l'istituzione del marchio dei prodotti e produttori della birra artigianale.

Risparmiandovi i lunghi preamboli, nonché le dichiarazioni di intenti su come la Regione intenda tutelare e promuovere la produzione birraria artigianale del territorio, i punti più salienti della legge consistono nell'istituzione di un albo regionale dei birrifici artigiani, nell'accesso a contributi all'imprenditoria giovanile e femminile - già previsti dalle normative regionali -, nella previsione di registrazione di un marchio "Birra artigianale", e nell'istituzione di un relativo disciplinare di produzione a cui i birrifici che desiderano fregiarsene devono sottostare. Si intende per birra artigianale "una qualsiasi tipologia di birra il cui ciclo produttivo viene svolto da birrifici artigianali indipendenti", con "utilizzo preferenziale, ove disponibile, di materia prima di provenienza del territorio di produzione", senza alcun conservante né colorante sintetico, senza pastorizzazione né microfiltrazione. Anche qui c'è il riferimento all'indipendenza societaria e alla proprietà degli impianti, ma il limite di produzione è fissato a 10.000 hl/anno. Inoltre la proposta di legge prevede che la Regione stipuli convenzioni con enti accreditati per attività di formazione, una serie di altre attività di informazione e divulgazione, e prevede l'individuazione di un soggetto deputato a verificare il rispetto delle norme di cui sopra. Parlando infine di "schei" - visto che siamo in Veneto - è proposto lo stanziamento di 150.000 euro in totale per l'esercizio 2016, di cui 20.000 per l'istituzione del marchio, 80.000 per le attività di informazione, e 50.000 per quelle di formazione.

Naturalmente anche qui si potrebbero sollevare interrogativi simili a quelli già noti - quanto micro è la microfiltrazione? E i beerfirm? E il riferimento alle materie prime locali che senso ha per un settore come quello birrario? E se 200.000 hl sono tanti, 10.000 hl non sono invece troppo pochi?. I birrai hanno infatti tutta l'intenzione di porsi come interlocutori del legislatore regionale: tanto più che il Veneto dal 26 giugno scorso dispone anche della categoria birrai artigiani costituita all'interno di Confartigianato, e presieduta da Ivan Borsato di Casa Veccia (nella foto sopra) - che tiene però a precisare che si tratta di una "presidenza a due" insieme al suo vice, Fabiano Toffoli (nella foto sotto) di 32 Via dei Birrai. "La fondamentale differenza dalle altre associazioni - spiega Borsato - è l'istituzione che la stessa rappresenta, essendo in seno a Confartigianato: Unionbirrai e altre già esistenti sono associazioni culturali, quindi istituzionalmente diverse. Possiamo dire di poterci sedere allo stesso tavolo di Governo, Dogane, Assobirra". 

Borsato e Toffoli intendono dividersi i compiti (al primo spetterà la creazione di un gruppo, la promozione della birra artigianale attraverso il territorio, la formazione, gli eventi; e al secondo la parte più istituzionale di rapporto con il legislatore) con la missione di "creare un gruppo di artigiani produttori che incarni a pieno le migliori caratteristiche di questo mestiere. Lo faremo attraverso la formazione dei birrai e del consumatore, la certificazione del processo produttivo, oltre che lottare per un più equo carico delle accise, promuovere la diffusione della birra artigianale nel territorio, agevolare l'export. Il nostro associato dovrà produrre una birra oggettivamente buona, magari soggettivamente piacevole, ma oggettivamente priva di difetti, requisito minimo per un mercato sempre più competitivo ed esigente". L'associazione è aperta ai produttori diretti, e pertanto non ai beerfirm: tuttavia, precisa, "li accoglieremo volentieri nel momento in cui decideranno di cominciare il percorso per diventare produttori: proprio per questo motivo vorremmo formare o incaricare un esterno mezzo Confartigianato, per le consulenze e le start-up".

Essendo la legge regionale ancora in fase di proposta, i birrai intendono "prendere al balzo l'opportunità di inserire tutte le modifiche necessarie perchè sia garantita la nostra identità e il nostro lavoro": affrontando anche alcuni dei punti di cui sopra, rilevanti anche per la normativa nazionale. "E' un'ottima base di partenza, ma chi ha pensato e plasmato questa legge si è dimenticato di un concetto basilare: fare la birra a mano. Un artigiano è tale se lavora con le proprie mani, se il prodotto che ne esce contiene estro e creatività come ne siamo internazionalmente riconosciuti. Ci sono imposizioni che sono tecnicamente labili...cos'è la microfiltrazione? Filtrare una birra per stabilizzare il suo shelf life? Allora è fondamentale farlo per i produttori che si vogliano affacciare all'export, specie per lidi lontani. Sulla pastorizzazione non ci sono osservazioni, caratteristica fondamentale per identificare il nostro lavoro. Idem per indipendenza del birrificio. Resto però sempre impressionato dalle grandezze di riferimento per identificare i birrifici artigianali: 200.000 hl anno, quando la media dei birrifici artigianali italiani è 750 hl anni (fonte Assobirra). Anche se superfluo in questo frangente è sciocco non tenerlo in considerazione. Concludendo ottima base, pa dovranno fare un passo in più verso la qualità oggettiva, l'artigianato, l'export". E 10.000 hl non sono invece pochi? Del resto in Italia c'è chi - sarà pure una mosca bianca, ma c'è - questo quantitativo lo supera. "Facciamo due calcoli in croce, giusto per spiegare - ribatte Borsato -:  sala cotta da 10 hl, doppia cotta giornaliera ... 20 hl giorno, 5 giorni di lavoro la settimana, 48 settimane anno di lavoro fanno 4.800 hl e 540.000 bottiglie 75cl a 4,50 di media fanno 2.880.000 euro di fatturato (tralasciando altre attività o vendita al dettaglio), perciò per arrivare a 10.000 hl dovresti fatturare una cosa come 6 milioni di euro...non è tantino per un artigiano? Vogliamo raggiungere dei politici 15.000 o 20.000 hl? Ok, ma non di più, perché per me chi produce più di 5.000 hl all'anno verosimilmente impiega almeno una decina di dipendenti e per la legge comunitaria passa a piccola impresa industriale".

Una normativa regionale che impone paletti più stretti di quella nazionale, dunque? Non pone il rischio di futuri conflitti? "Dal punto di vista fiscale non ci sono differenze che rilevino: la legge regionale punta ad istituire un marchio - a cui non è obbligatorio aderire -, non a identificare una categoria fiscale. Sono leggi fatte per lo sviluppo del territorio e dell'impresa, non mirano a cambiare equilibri nazionali. Devono essere viste come un'opportunità. Inoltre la legge prevede che vi sia una certificazione di qualità per accedere all'utilizzo del marchio e questo apre la strada ad un'idea che io e Toffoli abbiamo già dall'inizio della costituzione della categoria e prima di conoscere il progetto di legge regionale, ossia quello di arrivare ad una certificazione del "buon lavorare" e della "buona birra" attraverso organi già istituiti e super partes. Abbiamo già preso contatti con Slow Brewing, ente certificatore italiano  che fa capo al prof. Gresser e con sede in Germania, che certifica già 32, Antoniano, Theresianer e altri 25 stabilimenti tedeschi". 

Insomma, il Veneto ha tutta l'intenzione di candidarsi a Regione laboratorio per ulteriori sviluppi sul fronte legislativo, associativo e di certificazione: non resta che augurare buon lavoro.

martedì 5 luglio 2016

Quella di Pejo non è solo l'acqua

Nel mio girovagare per rifugi alpini, come consueto d'estate, mi sono imbattuta in una birra artigianale a me sconosciuta che faceva bella mostra di sé sul bancone - Birra Pejo; così, venuta a sapere dal gestore che il birrificio si trovava sulla via del mio rientro, ne ho approfittato per fare una sosta. Lì sono stata accolta, nonostante la mia visita del tutto improvvisa, con calore e disponibilità dal birraio Marco: un enologo che, dopo il diploma alla nota scuola di San Michele all'Adige ed esperienze lavorative Italia, Francia, Australia, Nuova Zelanda e Cile, ha deciso di unire queste competenze alla sua esperienza di homebrewer e a una delle riccheze di Pajo - l'acqua, appunto - per aprire un birrificio. Dopo essere andato un po' "a bottega", come si usava dire, dal Birrificio di Fiemme, l'avventura è iniziata un anno e mezzo fa. Sono tre le birre all'attivo - la golden ale Pejo, la apa Lynx, e la strong dark ale Aquila; ho avuto modo di assaggiare la Lynx al rifugio, e la Aquila - che ha peraltro ottenuto il riconoscimento di "Grande Birra" da Slow Food - in birrificio insieme a Marco.


Della Lynx, dal colore ambrato, mi ha colpita in primo luogo la rosa di aromi: dal floreale alla frutta tropicale, con toni che vanno da quelli più dolci a quelli più erbacei, di notevole armonia ed eleganza. Per quanto non la definirei "corposa" come si legge nella descrizione, mantiene comunque una discreta struttura; e se sembra chiudere con un amaro abbastanza netto per quanto non aggressivo, dopo qualche secondo ritorna una leggera persistenza più dolce sui toni del biscotto e del caramello, unendo le virtù di un finale amaro che pulisce la bocca a quelle più gentili della maltatura senza risultare stucchevole. Si capisce che la Lynx è il risultato di una lunga ricerca ed elaborazione, e infatti Marco mi ha confermato che è quella a cui lavorava da più tempo.

Per stomaci e palati forti invece la Aquila, e non solo per i suoi 9 gradi alcolici. Se vedendo il nero vi aspettavate una stout, ricredetevi, perché siamo su tutt'altro genere. Marco mi ha riferito di essersi ispirato ai vini rossi nel pensare ai possibili abbinamenti, e in effetti in questa birra ho trovato diverse caratteristiche che mi hanno ricordato alcune birre scure affinate in botti di amarone, o di altri vini (o fatte con legni) molto aromatici: dai profumi di amarena, a quelli di frutta sotto spirito, a quelli quasi di legno. Man mano che si scalda arrivano anche note balsamiche e di liquirizia, che ho ritrovato anche al palato insieme a una leggera componente di caffè; ma i toni del malto tostato, pur presenti, rimangono in secondo piano rispetto a questa rosa di profumi e sapori - che Marco mi ha spigato attribuendola all'uso di luppoli cechi. Da bere con calma dato il corpo possente e il finale che, nonostante la discreta luppolatura, non dà affatto l'impressione di essere amaro, ma lascia anzi una nota alcolica tra il fruttato e il balsamico. Una birra forse "difficile" e ben lontana dalla facile bevibilità della Lynx, e che - a mio parere, quindi prendetelo come tale - avrebbe da guadagnare da una maggior pulizia sul finale, che lasci meno il retrogusto alcolico (che pur non è fuori luogo in una birra di questo genere); ma che è comunque una dimostrazione di come Marco tenga ad un'interpretazione personale degli stili, e la cerchi con cognizione di causa anche quando maneggia sapori forti.

Per il resto, che dire? Ho una bottiglia di golden ale Pejo ancora che mi aspetta, le premesse sono buone, per cui ho fiducia...

lunedì 4 luglio 2016

Un assaggio di White Riot

Veramente qualche recensione era uscita già in anticipo rispetto alla data del 1 luglio, quella prevista per il lancio in contemporanea in una quarantina di locali della White Riot - la nuova blanche agli agrumi del Birrificio del Ducato; e, se per scriverne anch'io qualche riga me la sono anch'io presa con comodo facendo passare il weekend, venerdì sera sono comunque passata in Brasserie a "timbrare il cartellino" per provarla anch'io.

Le aspettative erano quella di una blanche sui generis, e sono state confermate. All'aroma risalta molto bene il pompelmo, di cui viene infatti aggiunta la polpa; ma se la possente componente agrumata potrebbe far quasi pensare alle vivaci luppolature americane di alcune ipa, la White Riot non smentisce comunque la sua natura di blanche, con i profumi di coriandolo e spezie - anche i toni tipici del lievito da blanche non vengono coperti. In bocca è fresca e dissetante, grazie soprattutto alla componente agrumata e a quella acidula del cereale, ma il corpo - come d'ordinanza nel caso delle birre belghe - mantiene comunque un certo vigore; per chiudere poi - e questo è forse il passaggio che più si discosta dalle blanche canoniche - con un amaro netto e citrico in cui è di nuovo ben riconoscibile il pompelmo, che va a sposarsi con la componente amara del luppolo. Mi sono trovata a definirla sul momento "un incrocio tra una blanche e una ipa" riferendomi al genere di amaro finale; ma non credo sia un'espressione che rende giustizia, né che fosse quello che cercava il birraio Giovanni Campari nell'elaborare la ricetta. Non appare infatti come un percorso di ricerca che ha voluto andare ad ibridare stili, ma piuttosto sperimentare su uno stile consolidato come la blanche - al quale la descrizione di questa birra attribuisce il "preconcetto di frivolezza e facilità": personalmente ho bevuto blanche che se ne discostano, però questa è senz'altro una delle più originali che abbia trovato. E se c'è chi riesce "ridare dignità", per così dire, a birre tacciate di banalità, e sa farlo senza eccessi né "effetti speciali" me con eleganza e pulizia, ben venga.