Nella sua risposta ci pensa Diego a tranquillizzarli sul fatto che è lui il primo, in quanto titolare di un locale che tratta birre artigianali, ad avere tutto l'interesse a che i clienti non vengano tratti in inganno; senza contare che è altresì "privo di ogni crisma giuridico e morale pensare di avere l'esclusiva sull'utilizzo della parola luppolo, che nient'altro è che uno degli ingredienti con cui si produce la birra". Rimane comunque il fatto di una richiesta quantomeno bizzarra, che al momento potrebbe avere strascichi in sede legale. Diego ha infatti spedito oggi la lettera di risposta, e non intende cedere di un centimetro.L'ho raggiunto telefonicamente mentre era alla guida proprio verso il locale "incriminato": "Ci hanno chiesto di sottoscrivere un impegno scritto a non utilizzare ipù il marchio, in quanto abbiamo aperto il locale dopo che la Carlsberg aveva registrato il marchio Treluppoli - racconta - : ma non hanno considerato che siamo gli stessi proprietari di un altro locale, il Luppolo 12, che ha aperto nel 2012, ossia un anno prima della registrazione del marchio su cui la Carlsberg ora fa leva" - che è infatti avvenuto, come si legge nella lettera, ad ottobre 2013. E allora che si fa, ribaltiamo le carte e fate voi causa alla Carlsberg? "Secondo me finirà in un nulla di fatto, una notiziola buona per un paio di post su Facebook - minimizza Diego -. D'altronde, solo qui a Roma sono una decina i locali che hanno la parola "Luppolo" nel nome, e chissà quanti altri ce ne sono in Italia: vogliono far cambiare insegna a tutti? Comunque, se manterranno la loro linea, anche noi siamo pronti a difenderci".
Sarà; ma intanto il popolo della rete si è scatenato. C'è chi teme che usando la parola "lievito" in etichetta sarà chiamato in causa dalla Bertolini, e chi attende il momento in cui la Poretti metterà in commercio la "12 Luppoli" per vedere che succede. Chissà se, citando Bakunin, basterà una risata a seppellire la Carlsberg.
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