Dopo un lungo periodo di silenzio dovuto a motivi personali, ritorno con un'intervista a Enrico Ciani di Birra dell'Eremo, fresco di titolo di Birraio dell'Anno, pubblicata per il Giornale della Birra.
Enrico, alcuni hanno parlato di una vittoria annunciata, dati i numerosi premi già ottenuti e i piazzamenti via via migliori nelle ultime edizioni di Birraio dell’Anno: te l’aspettavi o è stata una sorpresa?
Decisamente una sorpresa. Per quanto sia vero che c’erano segnali che potevano far pensare ad una vittoria, non la si poteva comunque dare per scontata, considerato anche l’alto livello degli altri finalisti.
Si dice spesso che stanno ritornando le birre “semplici”, gli stili classici, e che sono finiti i tempi delle sperimentazioni ardite. Per quanto la gamma di Birra dell’Eremo sia vasta, e ci sia quindi spazio sia per l’una che per l’altra cosa, è innegabile però che la tua cifra distintiva siano le sperimentazioni: questa vittoria è una smentita dell’affermazione iniziale? O le sperimentazioni piacciono solo agli “addetti ai lavori”?
No, confermo che c’è una tendenza alla bevuta semplice e che si sta perdendo la smania di ricerca dell’elemento “strano”, e di questo sono contento. La sintesi tra questi due opposti che voglio creare con il mio lavoro è quella di avere sempre come filo conduttore la bevibilità e la semplicità complessiva, anche se abbiamo perlopiù birre “particolari” e anche nel caso delle birre che sulla carta sono più “audaci”: la cosa che conta è la bevuta.
Sul palco di Birra dell’Anno è stato chiesto a tutti che 2023 è stato: a mente fredda, giù dal palco, cosa rispondi?
È stato un 2023 positivo anche se non di crescita estrema: del resto siamo arrivati da due anni post-Covid in cui si sono viste cifre anche di +20 o +30%, era evidente che non poteva essere un fenomeno duraturo, e che ci siano difficoltà di mercato legate al ritorno alla normalità dopo un periodo che che normale non è stato. Abbiamo visto una crescita più contenuta, ma che ci ha permesso di consolidare la nostra posizione e progettare la struttura del birrificio. Poi fa naturalmente fa piacere vedere di essere sempre più apprezzati, e di percepire molta positività attorno al nostro lavoro.
E che 2024 sarà? Molti hanno parlato di difficoltà legate al rallentamento di mercato, all’aumento dei prezzi delle materie prime, e più in generale all’inflazione…
I costi sono senz’altro uno dei problemi, ma abbiamo sempre cercato di trovare soluzioni per non incidere sul prezzo finale: dal rivedere i contratti per le forniture di malto e luppolo, al diminuire la produzione di bottiglie a favore di quella di lattine perché la seconda è meno onerosa. Nelle difficoltà si trovano modi per reinventarsi. Sicuramente il 2024 sarà impegnativo e direi selettivo: chi si è strutturato, chi ha investito in strutture e tecnologia, avrà ancor più che in passato vantaggi su chi invece non si è rinnovato, magari vivendo di rendita della crescita di questi anni. Noi speriamo di aver progettato bene il futuro: abbiamo aumentato la tecnologia dell’impianto, rifatto gli interni del birrificio, e stiamo avviando nuovi progetti.
Quando si riceve un premio prestigioso si apre poi la spinosa questione del “dimostrarsi all’altezza”: hai timori in questo senso?
Certo la sensazione di “dover rimanere all’altezza” c’è, ma senza ossessioni: cercheremo semplicemente di mantenere l’impegno che sia io che tutti quelli che lavorano con me abbiamo messo in questi anni, e di ripetere quello che abbiamo fatto.
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