È uscita a fine anno la relazione statistica annuale di The Brewers of Europe, "European Beer Trends 2022". Già alcuni commenti in proposito sono usciti; mi riservo anch'io, tuttavia, di avanzare alcune riflessioni alla luce dei numeri che emergono da questo studio, che vuole essere sostanzialmente una fotografia dello stato dell'arte del settore brassicolo nei vari Paesi europei.
Alcuni dati non stupiscono: come il fatto che tra i Paesi produttori ci sia ampiamente in testa la Germania (quasi 85 milioni e mezzo di ettolitri nel 2021, seguita a lunga distanza dal Regno Unito a poco più di 38). L'Italia si ferma ad "appena" 17,6 milioni: cifra che la pone ad un comunque onorevole ottavo posto, ma che non la fa brillare se pensiamo che ad esempio la Spagna - altro Paese mediterraneo, e con un popolazione che è oltre 10 milioni in meno della nostra - ne ha prodotti 38 milioni; o la Francia, appena più popolosa di noi e anch'essa Paese a tradizione piuttosto vinicola, quasi 22 milioni. Il lato buono della medaglia è però che la produzione ha non solo recuperato, ma anche superato, i livelli pre-Covid: eravamo infatti a 17,2 milioni nel 2019, in crescita costante dai 14,2 del 2015. Un recupero che non è avvenuto in Paesi di ben più solida tradizione birraria come la Germania (i già citati 85,4 milioni contro i 95 del 2015, anno da cui è in calo costante: si può quindi obiettare che non è questione di Covid) o il Regno Unito (38,4 milioni contro i 39,2 del 2019, anche qui in calo rispetto ai 41,2 del 2015, per quanto un calo non costante).Siamo poi sesti per consumi totali, 20,8 milioni di ettolitri nel 2021 (in testa è sempre la Germania con oltre 76 milioni), senza grossi scossoni negli ultimi anni (anche nel famigerato 2020 eravamo poco sotto i 19); siamo però quasi in fondo alla classifica (come di consueto) per i consumi pro capite, 35 litri, anni luce dai 129 dei cechi e dai 101 dei vicini austriaci. Anche qui però va rilevato che, salvo la caduta a 32 nel 2020, la crescita è stata costante dai 31 del 2019; mentre molti altri Paesi hanno osservato da allora una tendenza alla decrescita, come la già citata Germania (da 106 a 89), l'Irlanda (da 80 a 61) e la stessa Repubblica Ceca (da 143 a 129). Qui sicuramente entrano in gioco anche fattori sociologici, tra cui la maggiore attenzione al consumo moderato di alcol a livello di opinione pubblica, ed economici, relativi all'andamento dell'economia e ai prezzi al consumo nei sigoli Paesi. Ad ogni modo diciamo che, a differenza di altri Paesi a tradizione più consolidata, l'interesse per la birra in Italia appare in lenta ma costante crescita.
In quanto ai consumi, è interessante anche vedere la composizione tra on trade (ossia nel canale HoReCa, quindi ristoranti, pub e affini) e off trade (nei negozi, prevalentemente gdo): se nel 2015 la percentuale era 40 a 60, la pandemia l'ha portata a 27 a 73 accentuando la tendenza già manifestata a favore del secondo canale, pur con un rimbalzo nel 2021 che ha registrato un 33 a 67. Ci sono elementi per pensare che l'interesse nel consumo fuori casa dopo la pandemia abbia continuato a crescere, ma in quale misura sarà il tempo a dircelo.
Merita uno sguardo anche la parte relativa al numero di birrifici attivi: The Brewers of Europe ne censisce per l'Italia 827 (il record è, udite udite e di gran lunga, della Francia con 2500, seguita dallo Uk con 1810). Una crescita con alti e bassi dal 2015, quando erano 688, con un picco nel 2018 di 874. Il report censisce poi nello specifico i microbirrifici, quelli con una produzione annua inferiore ai 1000 hl: e ne conta 814, anche qui in crescita non lineare dai 540 del 2015, ma il picco stavolta è proprio nel 2021. C'è poi il numero di società attive nella produzione birraria, che sono 822. Incrociando questi dati, si evince che in Italia la grandissima maggioranza dei birrifici ha una produzione inferiore ai 1000 hl, e ciascuna società detiene tendenzialmente un solo stabilimento. Un dato che a mio avviso merita attenzione è che, a fronte dell'aumento del numero dei birrifici, non c'è stato però - stando ai dati di Brewers of Europe, quantomeno - un pari aumento dell'occupazione diretta: 5300 persone, sostanzialmente stabile rispetto ai 5350 del 2015, e in calo sul picco di 5700 nel 2019. Pare quindi che ciascun birrificio lavori con sempre meno personale, contrariamente ai tanti discorsi sulla crescente necessità di diverse professionalità: che vengono quindi probabilmente fornite, se vengono fornite, da collaboratori e consulenti esterni.
Capitolo controverso è quello relativo alla tassazione sulla birra: nel 2021 in Italia le entrate hanno sforato i 700 milioni di euro. Tanti? Pochi? Confrontando con altri Paesi, vediamo ad esempio che per la Germania, con una produzione quasi 5 volte la nostra, ammontano a "solo" 584 milioni; sono però ben 948 milioni in Francia, che ha una produzione poco superiore alla nostra, e oltre 4 miliardi nel Regno Unito, il primo della classifica ad abissale distanza. La situazione è quindi molto diversificata; ma non può non riportare l'attenzione sull'annosa questione delle accise, tanto più che con il 2023 non è ad oggi stata confermata l'aliquota agevolata. Si capisce come, unitamente a tutti gli altri rincari, questo ponga pesanti incognite sulla sostenibilità economica dell'attività di molti piccoli birrifici.