Il concorso è stato lanciato nell'ambito del progetto Italiano Grape Ale (www.italiangrapeale.org) promosso da Guido Palazzo insieme a numerosi collaboratori e partner; e che prevede tra le altre cose una mappatura in costante aggiornamento sul sito delle birre prodotte secondo questo stile e dei relativi birrifici, al fine di promuovere e sviluppare ulteriormente questa peculiarità birraria italiana.
Sono stati 66 i birrifici partecipanti, per 123 birre; giudicate da una squadra internazionale di 18 giudici, scelti per competenze sia in campo birrario che vinicolo.
Vi rimando per praticità a questo link per la lista completa dei vincitori nelle quattro categorie; tra cui come vedrete spiccano Opperbacco con tre riconoscimenti (tutti per le birre della serie Nature Terra) e Crak e Alveria con due (quest'ultimo, peraltro, per la stessa birra, che ha ricevuto anche il premio per la miglior valorizzazione del vitigno autoctono).
A livello generale, il dettaglio che ho trovato interessante è stato il fatto che, accanto a nomi già noti e blasonati, siano salite sul podio anche realtà esordienti sia in senso assoluto - come il vicentino Sorio, attivo da sei mesi - che rispetto allo stile - come Alveria, alla sua prima IGA; e, come prevedibile, con progetti di esplorare ulteriormente questo terreno - Sorio, che già dichiara il 90% di materie prime provenienti dall'azienda agricola da cui il birrificio ha avuto origine, intende produrre altre IGA usando mosto e vino della casa; mentre Alveria progetta di proseguire la collaborazione con la locale cantina ampliando la gamma fino ad avere una vera e propria bottaia, anche come testimonianza di collaborazione tra aziende nel siracusano. Insomma, una prova non solo della vitalità del settore birrario italiano, ma anche di questo stile nello specifico; e delle crescenti competenze e conoscenze che i birrai stanno accumulando in merito.
Altro spunto di riflessione interessante mi è arrivato da una chiacchierata con lo staff di Opperbacco, che mi ha riferito - alla luce dell'ampia gamma di birre prodotte - di come le IGA non solo costituiscano (come prevedibile, e come connaturato al fatto che si tratta spesso di produzioni fattibili solo su piccola scala) una percentuale minima del mercato, ma di come il birrificio abbia deciso di non esportarle più (pur avendolo fatto in numerosi Paesi): scelta motivata con una domanda estremamente incostante, che rendeva difficile e in ultima analisi non remunerativo seguire questi mercati. Più costante viceversa, per quanto appunto contenuto, il mercato italiano. Se le IGA dunque - come è auspicato ed auspicabile - mirano a porsi come ambasciatrici del made in Italy all'estero, è lecito chiedersi come raggiungere una sostenibile stabilità di mercato.
Merita una citazione anche il fatto che l'ad dell'azienda, Guglielmo Gai, mi abbia dato conferma nel mio dialogo con lui di alcune tendenze in atto nel mondo dei birrifici artigianali: la sempre maggior preparazione tecnica e consapevolezza da parte dei birrai quando si tratta di imbottigliamento (e quindi conseguente cura della distribuzione e vendita), e sempre maggior richiesta di macchine lattinatrici anche adatte alle esigenze di piccole realtà - con conseguente risposta delle aziende a questa domanda. Due tendenze su cui continuare porre senz'altro l'attenzione.
Non è stato possibile degustare in loco le birre premiate, ma non siamo ad ogni modo rimasti a bocca asciutta dato che la premiazione si è conclusa con un pranzo accompagnato dalla birra. A fare da aperitivo è stato un classico come la Tibir di Montegioco, IGA con Timorasso il cui punto di forza si conferma l'aroma floreale - geranio in particolare - che va ad ingentilire un'acidità tra il citrico e l'acetico comunque non invasiva - ed evidente solo all'aroma e in chiusura, assai meno al palato, dove scorre un cereale decisamente snello. Interessante l'accostamento con focaccia e giardiniera sott'aceto, la cui acidità era al tempo stesso accompagnata e ingentilita dalla birra.
In seconda battuta la dark mild Macclesfield di Shire Brewing, ad accompagnare gli antipasti - un flan di zucca con amaretti, e un'insalata di finocchio con toma, castagne e aceto balsamico. Aroma intenso di cioccolato al caramello, ben integrato con i profumi erbacei del luppolo Fuggle; a cui segue un corpo di fave di cacao tostate, che - se sembra sparire appena deglutito - ritorna poi per un finale corto e secco in cui si uniscono l'amaro del malto tostato e l'amaricatura del luppolo. Indovinato l'accostamento nel primo caso, dove conferiva in bocca una sensazione di zucca arrostita; ma ancor di più nel secondo, in cui la cremosità e sapidità del formaggio si amalgamavano perfettamente con i toni di cioccolato tostato.
Ad accompagnare il risotto al radicchio e pancetta è stata la Kaiser Hopfen, Imperial Pils del birrificio La Piazza. Aromi ben riconoscibili ma non pervasivi di luppoli nobili, su una base che ricorda il pane spalmato col miele; un sapore che si ritrova al palato, dove la birra si presenta avvolgente e corposa nonostante la scorrevolezza complessiva, prima di un finale - a mio avviso meno secco di quanto atteso - in cui miele e amaricatura giocano un po' a tiro alla fune. Per quanto questo gioco fosse funzionale ad accompagnare e contrastare al tempo stesso l'amaro del radicchio, e l'accostamento sia stato quindi ben congegnato, avrei forse trovato più indicata una birra dai toni di caramello nel corpo così da accostarsi meglio anche alla pancetta.
Infine, con la torta di nocciole e zabaione, la Baltic Porter sempre de La Piazza: aromi intensi di liquirizia, uniti ad una luppolatura su toni balsamici, aprono ad un corpo avvolgente di liquirizia pura in cui l'amaro dei malti tostati si fa sentire in tutta la sua forza, fino al finale persistente. Giusto l'accostamento tra tostato e nocciole, anche se deve piacere appunto l'amaro perché la frutta secca tende ad evidenziare questa componente.
Nel complesso un pranzo ben costruito, sia per la qualità di birre e cibo - nota di merito va doverosamente alla cucina - che per la cura degli abbinamenti.
Un ringraziamento agli organizzatori dell'Iga Beer Challenge - in particolare a Guido e Diego -, alla Gai e - permettetemi, perché è doveroso - a mio padre che mi ha fatto da autista per gli oltre 900 km tra andata e ritorno in giornata!