Anche quest’anno ho partecipato alla fiera della
birra artigianale di Pordenone, conducendo beer tour e degustazioni.
Per quanto non sia una manifestazione improntata ai grossi numeri,
devo dire che in questa edizione ho avuto la sorpresa di vedere un
inedito interesse per gli eventi di approfondimento
cultural-brassicolo – sia da parte del pubblico che dei birrai; il
che è indubbiamente un buon segno, indice di un’evoluzione
nell’approccio alla materia.
Sono
naturalmente stati numerosi sia gli amici ritrovati che le nuove
conoscenze. Per quanto riguarda i vecchi amici, nel primo weekend c’è
stato Sothis – la cui Dunkelweizen Renenet, di cui avevo parlato
qui, rimane a mio avviso la punta di diamante; poi Meraki – di cui
ho provato per la prima volta la porter Ade – un esempio “verace”
dello stile: aromi di tostato e caffè ben prominenti senza
indugi sul cioccolato, corpo scorrevole e discretamente scarico prima
del finale di un amaro acidulo e netto da tostatura ma non
eccessivamente persistente. Unico neo, renderebbe meglio alla pompa,
che scaricherebbe un po' la carbonatazione - a mio avviso piuttosto
elevata per lo stile. Infine i Chianti Brew
Fighters, che portavano come novità La Gioconda: definita
come hoppy blonde ale, all'aroma fonde in maniera curiosa lo speziato
del lievito belga con l'agrumato della luppolatura americana. Il
risultato può per certi versi ricordare alcune blanche, con il loro
connubio tra speziatura e buccia d'arancia. Corpo estremamente snello
e fresco, senza particolari indugi sul cereale, e finale di un amaro
citrico.
Nel
secondo weekend ho ritrovato invece Darf: una piacevole conferma in
quanto a rigore e pulizia “tedeschi” (sia nello spirito che negli
stili di ispirazione) nel modo di lavorare, e in cui ho trovato però
un’evoluzione in quanto a creatività. La Keller (nella foto), ad esempio, già
era del tutto sui generis in quanto prevedeva
l’utilizzo di luppolo cascade fresco;
ora che sono entrati in gioco anche i
luppoli cryo, esibisce una notevolissima rosa di aromi e sapori
intensissimi che – per quanto equilibrati nell’insieme, da un
tutti i frutti fino ai toni più floreali e resinosi – che la
rendono un curioso ibrido tra la base tedesca e le mirabolanti
luppolature americane. Una birra che vuole stupire, per quanto non
arrivi a “stroppiare” in forza di questo equilibrio
nell’intensità. Da segnalare anche la
Doppelbock – che inganna notevolmente al palato apparendo piuttosto
una Bock semplice, alquanto beverina nonostante la maltatura. Ho poi
ritrovato Meni, di cui ho provato la nuova versione più leggera
della Candeot alla zucca: disdegnatori delle birre alla zucca,
ricredetevi, perché in questo caso la componente del frutto
è assolutamente misurata e ben armonizzata nell’insieme. Per la
prima volta ho poi provato la Weizenbock Centis: dopo un aroma in cui
si coglie che la componente dei malti è leggermente più forte e
dolce delle Weizen semplici, arriva una notevole ricchezza di cereale
al palato, di pane fresco a morsi; prima di chiudere in maniera
inaspettatamente breve e fresca, praticamente senza lasciare
persistenze. Per chi ama le birre “importanti”, ma ha tanta sete.
In
quanto a nuove conoscenze del primo weekend
c’è stato Agro, agribirrificio di recente apertura in quel di
Aviano. Dal mio punto di vista hanno iniziato con il piede giusto
nella misura in cui hanno passato il mio personale test della Helles:
semplice e pulita, ma appunto per questo ben riuscita. Da segnalare
anche la oatmeal stout, improntata ai toni di tostato e caffè senza
indugi ruffiani sul cioccolato, corpo rotondo e scorrevole e finale
di un amaro acidulo da tostato. Unica critica va alla Saison, che
esibisce una speziatura a mio avviso un po’ troppo sopra le righe.
Nel
secondo weekend c’è invece stato il pugliese Birra del Console,
aperto nel 2016 da Dario – appunto – Console; che, fedele alla
sua filosofia per cui “e che è, siccome noi siamo italiani e
quindi dobbiamo essere creativi, adesso qualsiasi brodaglia viene
spacciata per la reinterpretazione di uno stile?????” produce
quattro birre estremamente semplici, lineari e bevibili; riservandosi
appunto di sperimentare in futuro, quando avrà maggior padronanza
degli stili di base. In realtà proprio la
più semplice di queste birre, una golden ale, un minimo di
sperimentazione ce l’ha: utilizza infatti luppoli continentali, i
cui aromi floreali ed erbacei peraltro ben si accostano al leggero
fruttato (voluto) del lievito, rendendola un po’ “la cugina ad
alta fermentazione” delle lager chiare continentali. Fresca,
bevibile e caratterizzata al tempo stesso, per una bevuta spensierata
ma non banale. In lista c’è poi una
Blanche, volutamente “scarica” sia sotto il profilo della
speziatura di arancia e coriandolo che sotto quello del corpo – un
po’ troppo, a mio avviso – e che gioca su una particolare
secchezza dovuta all’utilizzo di un secondo lievito particolarmente
attenuante; e una strong bitter e una american ipa, entrambe in pieno
stile. Nel complesso un birrificio che in
questi primi tre anni di attività mi pare aver già sviluppato
una sua linea di lavoro, e che con ulteriori consolidamenti dati
dall’esperienza può
mirare a svilupparla ulteriormente dando maggior personalità alla
sua produzione senza perdere la semplicità e pulizia di base che ha
dimostrato di saper dare.
Concludo
con un ringraziamento a tutti i birrifici che hanno partecipato alle
degustazioni e che mi hanno accolta ai loro stand.