Dopo aver pubblicato, per il Giornale della Birra, l'articolo sull'innovativo sistema per confezionare la birra in lattina del birrificio The Lure - che trovate qui - mi era venuta la curiosità di andare a vedere di persona; e così ho fatto un giro in quel di Redipuglia, per provare le ultime novità - e le lattine, naturalmente. Tra le birre disponibili alla spina, quelle che non avevo mai provato erano due - la Hop Revolution, definita come "India Pale Lager" (devo dire che ormai, tra Hoppy Lager e affini, la sperimentazione in questo campo è quantomai vivace), e la Amaretti, una brown ale con aggiunta in fermentazione di biscotti e liquore all'amaretto.
La prima, come del resto ci si aspetta da una birra di questo genere, è estremamente profumata, con una girandola di aromi perlopiù sul citrico, ma che coprono una gamma che va dalla frutta tropicale alla resina; prima di un corpo decisamente esile a beneficio di beverinità - fin troppo, a mio parere, avendolo trovato quasi sfuggevole nell'accostamento con un aroma tanto robusto - e di una chiusura netta e secca che ritorna su un amaro agrumato. Va detto che, al di là della mia personale opinione sull'esilità del corpo e sull'equilibrio complessivo delle componenti, si capisce che un gioco di questo genere era nelle intenzioni del birraio; e che rimane una birra che centra la volontà di essere fresca, gradevole e scorrevole, da bersi a litri.
Di tutt'altro genere, naturalmente, la Amaretti. Caramellata all'olfatto, robusta, calda e vellutata in bocca
con note biscottate, esibisce un finale di un amaro netto che elimina il
dolce precedente e invoglia al sorso successivo. Man mano c che si scalda naturalmente evolve, risultando man mano più calda e caramellata in bocca, ma senza arrivare ad evidenziare note alcoliche. Ammetto che il primo
pensiero di fronte ad una birra all'amaretto era stato "ommioddio",
invece devo dire che il risultato finale è di un apprezzabile
equilibrio. Una birra all'amaretto, insomma, non un amaretto alla birra come in prima battuta avevo temuto (ma neanche troppo, conoscendo il birraio, che - memore della sua carriera da pianista - fa birra come un musicista prepara un pezzo: si lavora e si affina finché non è pulito e scorrevole, virtuosismi e bizzarrie compresi).
Da ultimo, nota di merito alle ragazze al banco per la loro disponibilità e per la buona spillatura.
E le lattine? Per ora ammetto di averne aperta soltanto una, quella della blanche Pink. Per quanto, specie per questo stile in cui la schiuma è componente ancor più rilevante di altri, la si apprezzi meglio servita a dovere alla spina, confermo - come anticipatomi da Lorenzo in occasione dell'articolo - di non aver trovato per il resto differenze rilevanti, né difetti nella conservazione che ne abbiano pregiudicato la freschezza. Un sistema per promuovere l'asporto che, a mio avviso, può quindi funzionare anche per piccole realtà e specialmente i brewpub.