giovedì 30 giugno 2016

Il passaggio del(la) Mar Rosso

Un paio di giorni fa ho accolto l'invito di Emanuele Beltramini del Grana 40 ad assaggiare l'ultima creazione della casa; che, in ossequio alla blonde ale Mar Giallo e alla black ipa Mar Nero, è stata battezzata Mar Rosso. Trattasi di una session ipa dall'intuibile colore e di appena 3,5 gradi - e l'estate è quindi il periodo ideale per il lancio, data anche la facilità di beva. Come da tradizione ci siamo incontrati al ristorante Il Giona's, uno dei locali che tiene le loro birre, e che come le altre volte mi ha lasciata soddisfatta in quanto a cucina - involtini di manzo e prosciutto al lime con verdure gigliate.

Come di consueto per le birre di Grana 40 - eccetto la Ippils, la grande eccezione della famiglia - la Mar Rosso vuole farsi notare in primo luogo per l'esuberante luppolatura in aroma; data nella fattispecie da ahtanum, citra, mosaic e bravo, che nell'insieme creano una rosa di profumi che va dalla fragolina di bosco, all'agrumato, al resinoso, finanche con una punta di dolce da frutta tropicale. Nell'insieme devo dire che si tratta di una luppolatura che, pur importante, non dà l'impressione di essere eccessiva né spigolosa, e armonizza bene le varie componenti: l'esperienza pare stia insomma dando i suoi frutti in quanto a "gestione del luppolo", dopo qualche anno di sperimentazione e perfezionamento su Mar Giallo e Mar Nero.


Il corpo, come intuibile, è assai scarico, tanto da avere quasi l'impressione di passare per direttissima dalla luppolatura d'apertura a quella di chiusura; in cui si evidenzia un amaro importante e secco su toni citrici, nonostante Emanuele abbia sottolineato come non sia stato usato alcun luppolo ad inizio bollitura ma soltanto in late e dry hopping (per i non adepti: il luppolo gettato nel'ultima fase della bollitura, usato principalmente per dare aroma e non amaro, così come quello gettato a freddo). Una caratteristica che Emanuele ha spiegato con l'alto contenuto di alfa acidi nei luppoli utilizzati, con la conseguente scelta di usarli solo alla fine per evitare un eccesso di amaro. Nel complesso non mi ha colpita più della Ippils, come Emanuele aveva invece predetto; però è comunque una birra che segna un'ulteriore evoluzione del Grana 40 verso prodotti via via più eleganti e puliti, pur mantenendo l'impronta originaria che ho definito "esuberante".

Vale la pena notare anche il fatto che l'ho assaggiata da una bottiglia che mi è stato detto risalire al mese di gennaio: nonostante avesse sei mesi, la parte aromatica era ancora ben conservata e dava sensazione di "freschezza". E qui si è innescato un discorso che il nostro birraio ha definito quantomeno controverso, nel campo della birra rtigianale; ossia l'utilizzo delle virtù della chimica - ad esempio sostanze come il tannino di galla - per arrivare ad avere un prodotto più stabile e pulito; e che a suo dire, oltre ad essere di uso più diffuso di quanto si creda anche nelle piccole realtà, non andrebbero ad inficiare la "purezza" del risultato finale perché decadono, rimanendo in quantità trascurabile nel prodotto finito. Non sono né una birraia né una chimica e quindi non mi esprimo; certo è che la liceità ed "eticità" (chiamiamola così) dell'utilizzo più o meno invasivo di ciò che la scienza oggi ci offre, già pesantemente dibattuto nel settore agricolo e alimentare, investe anche la birra artigianale che di questo settore è parte.

Ci siamo poi spostati ad Orzano, nello spazio degustazione dell'azienda vinicola Vigne del Malina, che tiene la Ippils alla spina; e che non avevo mai avuto occasione di assaggiare, essendomi limitata a quella in bottiglia. Complice probabilmente la temperatura troppo bassa della spina - e che a onor del vero è stata prontamente alzata -, ho percepito assai meno gli aromi che avevo descritto nel precedente post; mentre risaltava assai meglio la componente più "grezza" del cereale. Il salire della temperatura ha poi reso giustizia anche ai profumi, che ricordavo ad ogni modo più intensi; in generale direi che l'ho apprezzata di più in bottiglia - versione nella quale continuo a ritenerla la birra meglio riuscita tra quelle di Grana 40 -, pur senza perdere la sua natura nemmeno alla spina. Leggermente meno netto anche l'amaro finale, trattandosi di una nuova ricetta.

In chiusura di serata, Emanuele ha assicurato che il percorso verso l'avvio di un birrificio proprio prosegue, così come l'elaborazione di nuove ricette - tra cui una che ha definito "una pecora nera", non volendosi sbilanciare oltre: che dire, staremo a vedere, e non posso che fare i miei migliori auguri per i progetti futuri.

lunedì 27 giugno 2016

Dalla Corsica a Pordenone

Dopo una pausa dovuta a diversi impegni personali, mi risulta quasi difficile aggiornare sui vari viaggi fatti e birre degustate; comincio quindi in ordine cronologico, con la trasferta a Imperia per presentare il mio libro al Festival della Cultura Mediterranea. Uscita a cena la sera, ho avuto il piacere di essere accompagnata dagli organizzatori in un ristorante che teneva anche una carta delle birre - "Il melograno", per la cronaca -; e la mia scelta per accompagnare il pesce è caduta su una birra corsa, la Colomba della Brasseria Pietra. Trattasi - almeno così raccontano i diretti interessati - del primo birrificio ad avere aperto nell'isola, nel 1996; e prende il nome dal paese del fondatore, Pietraserena. Il repertorio del Pietra predilige le basse fermentazioni; tanto che lo è anche la Colomba, pur definita come "blanche" in quanto birra di frumento - ed è la prima volta, personalmente, che mi capita di bere una bira di frumento a bassa fermentazione. Ad incuriosirmi è stato soprattutto il fatto che fosse aromatizzata con le erbe della macchia mediterranea - corbezzolo, mirto e ginepro; che non risultano però invadenti al naso, in cui emergono di più le note di mele di castagno e soprattutto le componenti più "grezze" del cereale - e in questo credo la bassa fermentazione faccia il suo, sviluppando meno esteri rispetto ai lieviti usati per weizen e blanche. Anche in bocca la componente speziata risulta molto tenue, per lasciare piuttosto spazio ad un cereale quasi acidulo e rinfrescante al tempo stesso; solo sul finale ritornano più marcate le erbe aromatiche, con una chiusura che amalgama le componenti balsamiche, agrumate e una leggerissima nota di miele. Nel complesso fresca e dissetante - complice anche la carbonatazione, e decisamente originale nell'interpretare quella che è la vasta gamma delle birre di frumento - in altri temini: se volete una blanche tradizionalmente intesa, questa non fa per voi; se preferite qualcosa di più sperimentale e meno "ruffiano" rispetto a certe speziature che sembrano nate per stupire, fateci un pensierino.

Sulla via del ritono, come già raccontato, mi sono fermata a Reggio Emilia al'Arrogant Sour Festival; e da lì ho portato a casa come souvenir una Vedova Nera (no, non un ragno, io e l'aracnofobia siamo un tutt'uno) di Black Barrels. Come il nome lascia intuire, è una birra scura - una ale nello specifico -, maturata in botti di quercia e aromatizzata con amaro San Simone. La componente acida è ben marcata, ma la complessità e varietà degli aromi e dei sapori vanno a smorzarla notevolmente, facendola apparire meno pungente: dalla liquirizia, alla frutta secca e a quella sotto spirito, al tostato, alle erbe balsamiche, la rosa è assai vasta. Non la definirei forse "di ottima bevibilità" come da descrizione, però, per essere una birra di tale complessità, sa farsi bere senza risultare eccessiva già al secondo sorso, il che è un indubbio punto a favore.

Da ultimo, una nota per la blonde ale al mais cinquantino di Birra di Naon nella nuova ricetta: rispetto alla versione precedente colpisce in primo luogo l'aroma, con una luppolatura floreale abbastanza intensa, e la componente dolce del mais viceversa meno notevole e meglio amalgamata sia all'olfatto che al palato. Ho trovato differenze significative anche sul finale, decisamente più secco e senza persistenze dolci, risultando quindi più fresca e dissetante. Personalmente l'ho trovata più equilibrata rispetto alla versione precedente, e l'ho quindi trovata un passo avanti nell'evoluzione di questa birra. Con il caldo che è finalmente arrivato, poi, una birra dissetante da bere fresca fa sempre piacere...



venerdì 10 giugno 2016

Nel mondo di Alice

Già il tema delle "quote rosa" nel mondo birrario è stato sondato a più riprese - e cito qui in particolare il reportage di Stefano Gasparini su Nonsolobirra.net - ; e dallo scorso autunno c'è un nome in più da aggiungere a questa lista, quello di Alice Simone del Birrificio Maniago. Già da qualche tempo mi aveva invitata a passare di lì, e finalmente ho tenuto fede alla parola data (meglio tardi che mai). Alice, a dire il vero, non aveva iniziato la sua avventura da sola; ma, lode alla sua perseveranza, è andata avanti anche quando si è trovata ad essere l'unica anima del birrificio, iniziando da sé la produzione a settembre 2015 dopo aver frequentato i corsi del maltificio Weyermann in Germania.

La sua filosofia è quella di fare birre semplici e facilmente bevibili, senza eccessi; e sono per ora due quelle stabilmente all'attivo - più la "one shot" Genievre, una saison che ha avuto successo anche nella locale gelateria come sorbetto - : la golden ale San Domenico - "Dal nome di mio padre, che mi ha aiutata tanto ad aprire il birrificio...un santo" - e la apa Two Lefts Don't Make a Right - un proverbio inglese caro ad Alice. Dopo un rapido giro del birrificio ci siamo quindi spostate nel piccolo spazio degustazione, che Alice ha allestito ispirandosi alle vecchie botteghe di rigattiere veneziane - le "strazerie", per i non lagunari.


Della San Domenico colpisce in primo luogo l'aroma floreale, con una punta di miele; e per quanto risulti parecchio beverina, il corpo è tutt'altro che scialbo, e riempie il palato con una buona consistenza di cereale. A chiudere è un amaro abbastanza netto, continentale, e discretamente persistente, andando a completare un passaggio in tre fasi tra i profumi iniziali, il malto nella bevuta, e questo amaro finale. Di tuttt'altro genere la Two Lefts Don't Make a Right, in cui la luppolatura agrumata americana è immediatamente riconoscibile seppur delicata; ho trovato il corpo dai toni tra la nocciola e la mandorla meno robusto, così come l'amaro finale meno deciso e netto nonostante l'ibu più elevato. Devo dire che tra le due, pur nella semplicità che le accomuna - non aspettatevi birre che stupiscono, ma birre da bere in scioltezza con gli amici in una giornata calda dato anche il basso tenore alcolico (5 gradi) - ho trovato la San Domenico una birra di maggior carattere e con una sua personalità meglio definita rispetto alla Two Lefts; che, di contro, risulta molto più omogenea nella bevuta complessiva, e va quindi magari più incontro alle preferenze di chi non tollera neppur minimi contrasti. Ad ogni modo, credo che in futuro ci saranno interessanti evoluzioni, perché Alice - avendo iniziato da poco - è alla costante ricerca di piccoli aggiustamenti alla ricetta. Prossimo progetto, ha riferito Alice, è quello di una ipa, pur rimanendo fedele alla filosofia di rifuggire gli eccessi: e non posso che farle un in bocca al lupo, perché si concretizzino al meglio le (buone) premesse che ha posto in questi mesi.

lunedì 6 giugno 2016

Toccata e fuga al Chiostro della Ghiara


Eh già, giusto per non sbagliare avevo intanto fatto gli auguri per la buona riuscita dell'Arrogant Sour Festival di reggio Emilia a tutti gli amici partecipanti; poi però, in maniera del tutto inaspettata - e grazie ai miei compagni di viaggio Wendy e Alessandro, che ringrazio - sono riuscita a fare una toccata e fuga nella prima serata di sabato. Giusto un paio d'ore, ma comunque piacevolissime, e occasione per qualche nuova interessante scoperta.

Accolti con il consueto calore da un vulcanico Paolo Erne (foto di Luca Galuzzi), che ha introdotto i miei amici alla Rinnegata di Antica Contea - chi non la conoscesse clicchi qui -, siamo passati alla Suzie B sempre di Antica Contea, blend di una birra alle susine secche e una con susine fresche. L'ho trovata una buona "entry level" per chi si avvicina al mondo delle birre acide, in quanto sia all'aroma che nel corpo risulta morbida e delicata; con la componente acida che si amalgama bene a quella maltata, e soprattutto con il salire della temperatura lascia in chiusura toni fruttati gradevoli e persistenti, insieme a sentori di miele. Sempre rimanendo in zona Friuli ho poi provato la Sour Brown Ale di Borderline, affinata 8 mesi in barile di rosso friulano e rimasta 14 mesi in fusto. Al naso risalta soprattutto la componente del legno, che apre la strada alle reminescenze di - appunto - vino rosso che "riempiono" poi il palato, pur senza risultare invasivi.

Cambiando zona sono passata alla Nut-The Irish Jinn di Black Barrels, una apa affinata per 3 mesi in botti lavate col vino e aromatizzata al whiskey. Ed è quest'ultimo a farla da padrone, con la componente tra il caramellato e il torbato del malto che domina nettamente su quella acida prima di tutto al naso, ma anche nel resto della bevuta. L'incontro più curioso è stato quello con il mastro birraio dell'irlandese The White Hag - grazie a Marco D'Agostini -, e con la sua Irish Heather Sour Ale: un po' in inglese e un po' in italiano, ci ha raccontato la storia di questa antica ricetta dell'isola, che prevede l'uso di un gruit (miscela di erbe al posto del luppolo, come si faceva prima dell'introduzione di questa pianta nell'arte brassicola) e l'affinamento in botti di vino rosso francese. Sono infatti i toni dolci dell'erica - come dice il nome stesso - a dominare, insieme però a delle note erbacee e balsamiche che - non sorprendentemente - non avevo mai trovato in nessun'altra birra.

Da ultimo una parola per la Beersel Morning 2013, blend di una saison del Birrificio del Ducato e di un lambic dell'apprezzatissimo - consiglio questa lettura - Oud Beersel. Da sotto la notevole schiuma sale un aroma in cui è ben percepibile la "componente saison", con la speziatura del lievito e la buona presenza del cereale; il lambic si fa sentire soprattutto in un secondo momento, in un corpo che rimane fresco e beverino nonostante non sia esile. Tutte birre senz'altro interessanti; nella speranza di riuscire a dedicarvi più di un paio d'ore l'anno prossimo....