lunedì 28 settembre 2015

Tu vo' fa' l'artigianale

Sono "reduce" da due intense giornate a Gusti di Frontiera, delle quali renderò conto più calma - il tour siciliano del mio libro chiama, per cui mi devo dare a quello, ma state tranquilli: non mancherò di tediarvi a tempo debito con il racconto delle nuove birre e nuovi birrifici che ho conosciuto. Però non posso non fare un breve appunto, per così dire, preliminare.

Girando per le strade di Gorizia ho notato come un gran numero di stand, baracchini, camioncini - chiamateli un po' come vi pare - che vendevano roba da mangiare di ogni genere - dai semplici panini alle wienerschnitzel - sembravano sentire l'impellente bisogno di specificare nelle lavagnette e cartelli "birra artigianale". Non un nome del birrificio, né due parole su che genere di birra fosse: alla richiesta di ulteriori spiegazioni, di solito la risposta era "non ne so nulla, io sono solo qui a fare panini e spillare". Ora: supponiamo pure che i fusti arrivassero da un qualche birrificio che possa definirsi artiginanale, vuoi per numero di persone impiegate, vuoi per volumi di produzione; fatto sta che i birrifici artigianali propriamente detti preferivano piuttosto esporre a più chiare lettere il nome del birrificio e delle birre a disposizione, e solo in seconda battuta - e nemmeno tutti, peraltro: a titolo di esempio, Zahre esponeva semplicemente la dicitura "l'integrale di Sauris" - aggiungevano il termine "artigianale".

La differenza appare quindi evidente: mentre per gli uni il brand - così come oggi si usa chiamarlo, come se in italiano non esistesse la parola "marchio"....perdonatemi, sono una purista - è "birra artigianale", per gli altri è il nome del proprio birrificio e delle proprie birre; esemplari in questo senso sono i birrifici di più lunga tradizione o più solida reputazione, di cui basta appunto il nome - ho citato Zahre, ma potrei fare lo stesso discorso per Foglie d'Erba o Garlatti Costa o Meni, nonché per Antica Contea a Gorizia nello specifico - per dire tutto. Non parliamo poi di Le Baladin, che attorno al nome del birrificio ha costruito un intero mondo. Voi direte che è perché per legge non può comparire la dicitura "artigianale" sulle bottiglie, però di fatto per chi gode di questa reputazione si tratta quasi di un'informazione secondaria. Il problema sta nell'aggettivo "artigianale", che è diventato un brand - come appunto Musso non manca mai di ricordare? Nel caso di specie probabilmente sì, però allora non rimangono che due strade: o riassociare - più o meno forzosamente - il termine "artigianale" solo alla birra che esce da realtà di una certa dimensione e che lavorano in un certo modo, o comunicare in altra maniera il valore del prodotto. Ma sembrerebbe che i birrifici abbiano di fatto già scelto quale strada percorrere.

venerdì 25 settembre 2015

Parte da Trento l'accisa un po' meno nera

Per la serie "sono giornalista e quindi tengo d'occhio il lavoro dei mei colleghi" (non si sa mai che impari qualcosa), oggi la notizia arriva da Il Trentino (che peraltro pubblica pure la guida 2015 ai birrifici artigianali trentini): il consiglio comunale del capoluogo ha approvato una mozione presentata dalla Lega Nord, con la richiesta dell'applicazione della direttiva comunitaria (92/83 CEE) che prevede all'articolo 4 aliquote d'accisa diversificate in base alle dimensioni dei birrifici. In sostanza, dal comune partirà l'iter legislativo per modificare l'accisa applicata alla birra artigianale; prossime destinazioni: il consiglio provinciale prima e il Parlamento poi.

L'articolo de Il Trentino descrive la situazione che i 13 birrifici e beerfirm della provincia stanno vivendo dando la parola a Stefano Gilmozzi, titolare di Birra di Fiemme: «Per capire la nostra situazione è sufficiente fare un raffronto con la Germania, dove non solo l'accise applicata alla birra è sei volte inferiore a quella in corso in Italia, ma nel caso di birrifici artigianali come i nostri, cala di un ulteriore 12%. Lo scopo è quello di salvaguardare un prodotto di qualità che molto si differenzia da quello industriale». E per evitare un crollo delle vendite, afferma, c'è chi è disposto a metterci di tasca propria: «Si parte da un prodotto che costa di più rispetto a quello industriale e per contenere il prezzo finale molti di noi si fanno carico di una parte delle accise. Sono dell'idea che se lo Stato riducesse le aliquote, incasserebbe di più perché il nostro è un mercato in continua espansione».

Per essere riconosciuta come prodotto artigianale, secondo quanto riferito da Il Trentino, la birra non deve essere né filtrata né pastorizzata e provenire da uno stabilimento che produca al massimo 650 ettolitri annui: una quota che include buona parte dei birrifici artigianali italiani, ma che - aggiungo io - non può che apparire bassa in prospettive di crescita (basti dire che Baladin ha doppiato quota 50 mila, per non parlare del confronto con i birrifici artigianali esteri). Resta poi da capire di quanto più bassa sarà effettivamente, se sarà, questa accisa differenziata. Ad ogni modo, un primo passo è comuqnue una buona notizia; si attendono futuri sviluppi.

giovedì 24 settembre 2015

Tutti brassano Accisa Nera

Continua la saga di Accisa Nera, la birra nata come protesta in seguito all'ulteriore aumento delle accise avvenuto all'inizio del'anno, che avevo descritto la prima volta in questo post. Ieri sera infatti alla Brasserie di Tricesimo l'Associazione homebrewers Fvg ha stappato le bottiglie della cotta dimostrativa di Accisa Nera organizzata lo scorso luglio a Zugliano, come momento che fosse contemporaneamente di conoscenza dell'arte brassicola e di sensibilizzazione sulla tematica delle accise. Naturalmente Matilde e Norberto non hanno fatto mancare l'accompagnamento gastronomico - riso venere con pomodorini e olive taggiasche, e pollo al curry con patate.

Accisa Nera è una birra particolare, non pensata per piacere e stupire - per quanto naturalmente i birrai che la brassano cerchino di dare del loro meglio -; ma per rappresentare, con le sue peculiarità, quello che è l'aumento del'accisa: un qualcosa che costringe a fare birre sempre meno corpose per abbassare il grado plato - su cui l'accisa è calcolata -, e aromi e sapori piuttosto "spigolosi" dati principalmente dal malto base - ho invece visto diverse varietà interpretative in quanto a luppolatura. La cotta brassata a Zugliano, nella fattispecie, presentava aromi particolarmente acri ed amari di malto tostato; e il corpo assai esile chiude su una notevole peristenza acida, data appunto dal malto base. Ho trovato si sposasse bene con il riso e le olive, dato che la birra aiutava a "sgrassare" e la dolcezza edi pomodorini contrastava l'amaro; meno indovinato ho trovato l'abbinamento con il pollo, perché la speziatura andava a cozzare. Complimenti comunque come sempre alla cucina della Brasserie, che ieri sera ha dato un'altra volta prova di maestria.

Come gli homebrewers avevano annunciato, però, si sono voluti confrontare anche con dei "pezzi grossi": nella fattispecie quelli di Antica Contea, la cui Accisa Nera evavo già avuto modo di assaggiare al Mastro Birraio di Trieste (chi si fosse perso la cosa, clicchi qui). Un'interpretazione leggermente diversa della ricetta originale, in cui gli aromi di malto tostato sono meno acri, con addirittura una leggera punta di liquirizia, per arrivare ad una chiusura tra l'acido e il metallico meno "rude". Sia come sia, la sostanza è sempre quella: un'accisa a livelli tali da far fa sì che - come dice lo slogan lanciato da Assobirra, tenendo conto anche del resto della tassazione - "un sorso su due se lo beve il fisco", è estremamente amara.

martedì 22 settembre 2015

Per la rubrica "eventi in arrivo": l'Expo della Brasseria Veneta

Per la seconda puntata della rubrica "eventi in arrivo", accolgo volentieri l'invito di Antonio Di Gilio a dare notizia dell'Expo della Brasseria Veneta - a cui lo scorso anno avevo partecipato con soddisfazione - il prossimo weekend del 26 e 27 settembre a Villorba (Treviso). Al di là della ricca serie di laboratori, la particolarità dell'Expo è rappresentata dalla partecipazione degli homebrewers: ci sarà quindi la possibilità di degustare non solo la produzione di birrifici noti come il Piccolo Birrificio Clandestino, Mastino, Luckybrews - con guest star straniere il belga La Senne e lo spagnolo Guineu -, ma anche degli stessi homebrewers, per un centinaio di birre in totale.

Venendo ai laboratori, tra quelli del sabato mi permetto di segnalare "Birre di montagna, formaggi di malga e pane naturale" con Simone Cantoni, Nicola Coppe, Irene Piazza e Marco Cavallin; mentre domenica consiglio agli appassionati dell'acido (no, non la droga, la birra...) di non perdere "Il magico mondo delle sour ale e l'affinamento in botte", con due nomi due certezze come Paolo Erne e Casimiro Sampino - meglio noto come Truk Drake.

Altra peculiarità da non dimenticare è che il ricavato delle birre vendute all'Expo - l'ingresso è libero - viene devoluto in favore di tre progetti: il trasporto dei malati oncologici alle terapie mediche da parte della Lilt di Treviso, l'adozione a distanza di un bambino in Costa d'Avorio, e il finanziamento di alcuni progetti didattici nella scuole del distretto di Preganziol (Treviso).

Tutte le informazioni e il programma dettagliato si trovano a questo link.

lunedì 21 settembre 2015

In missione, ma non per conto di Dio

"Abbiamo una missione: redimervi. Bere birra industriale è peccato mortale". No, non è il motto di una nuova setta, ma quello del Piccolo Birrificio Ateo, beer firm di Longare (Vicenza) che ho conosciuto questo fine settimana al Festival della birra artigianale di Fiume Veneto. Mi ha incuriosita in quanto new entry - nonché per la simpatica serie di magliette con frasi sul tono di quella citata prima che decoravano lo stand -, dato che i due ragazzi hanno trasformato in impresa la loro passione solo lo scorso marzo; e dato che, per loro stessa ammissione più o meno scherzosa, l'altra loro grande passione è youporn, hanno dato alle tre birre attualmente in produzione il nome di tre canali del noto sito.

Ho iniziato dalla Milf, una helles - anzi, "protohelles bavarese", come da etichetta - dagli aromi di luppolo molto leggeri, quasi impercettibili, ben custoditi da un buon cappello di schiuma fine. Nel corpo predomina il cereale, con note di crosta di pane, ma sempre molto delicate; per chiudere con un amaro altrettanto delicato e non molto persistente. In sostanza, una birra pulita, gradevole e soprattutto versatile, che si presta - non presentando alcun sapore o aroma invadente - ad essere abbinata ad un gran numero di piatti - tanto è vero che la lista suggerita dalla brochure è molto lunga, e va dai primi piatti di verdure a quelli al curry.

In seconda battuta ho provato la Pov, una ipa che si distingue perché predilige agli aromi acri tipici della luppolatura di questo stile quelli più tendenti alla frutta esotica, che si confermano anche al palato insieme ad un leggerissimo tocco di malto, per virare poi sull'amaro molto persistente in chiusura - sempre una ipa è, dopotutto. Direi che l'ho apprezzata - al di là del gusto personale - soprattutto perché sa trovare la sua originalità a costo di apparire "eterodossa" (e infatti uno dei ragazzi, Michele, ha affermato di aver scelto il nome "Ateo" per il birrificio proprio in virtù del loro "non avere dogmi" nel brassare) in un panorama come quello delle ipa che oggi è piuttosto inflazionato, e in cui si trova un po' di tutto a scapito delle birre davvero eccellenti che rischiano di sparire nella massa.

Veramente alla spina avevano solo queste due, ma Michele ha stappato una bottigia di Cougar, la loro bock. Qui a predominare è la dolcezza del malto con le sue note di caramello e biscotto, che accompagnano la bevuta dall'aroma fino alla chiusura discretamente persistente; con un leggerissimo contrappunto amaro, comunque, che evita di renderla stucchevole.

Nel complesso le tre birre in questione hanno fatto una buona impressione non solo a me, ma anche ad altri birrai presenti che si erano riuniti per un bicchiere insieme: staremo a vedere, e del resto non posso che augurarmelo, se siamo di fronte allo sbocciare di una buona promessa nel folto gruppo dei tanti nuovi microbirrifici.

giovedì 17 settembre 2015

Birrifici, piccolo è bello....forse

No, questa volta non vi parlo di una birra che ho degustato, e perdonate la digressione; ma sono giornalista, e come tale tengo d'occhio i titoli del giorno. Tiene banco oggi su tutti i giornali la notizia di una possibile fusione tra InBev e Sab Miller, due colossi dell'industria birraria mondiale - basti dire al primo fanno capo marchi come Bud, Corona, Stella Artois, Leffe e Beck's, e al secondo Peroni, Nastro Azzurro, Raffo e Pilsner Urquell. L'operazione porterebbe alla nascita di un colosso di 275 miliardi di dollari e che coprirebbe il 30% del mercato mondiale: prevedibile quindi il gran fermento - è il caso di dirlo - in cui è stato gettato il settore, con balzi in borsa del 24% per Sab Miller e del 12% per In Bev.

Non sono un'analista finanziaria né un'esperta di indagini di mercato, per cui non mi lancerò in simili operazioni che altri già hanno fatto e faranno ben meglio di me; né mi azzarderei a sovrapporre in tutto e per tutto le dinamiche di mercato della birra industriale a quelle della birra artigianale, che seguono per molti aspetti logiche e canali diversi. Però alcune considerazioni riguardo ai birrifici artigianali mi sono venute alla mente, al di là di quelle più immediate - che anche in questo caso già altri hanno fatto - della possibilità che un tale colosso si dia con più facilità allo "shopping" dei concorrenti più piccoli - anche artigianali -, o si imponga in maniera massiccia nei canali di distribuzione a scapito dei concorrenti.

E' notizia recente che i birrifici artigianali in Italia hanno raggiunto quota 1000, con conseguente rilancio del dibattito sulla sostenibilità di un tale "affollamento" e della taglia "troppo piccola per la sopravvivenza " - almeno secondo i teorici della soglia minima di produzione per poter rimanere sul mercato a lungo termine - di buona parte di questi. Che per stare in piedi - o stare in piedi meglio - sia necessario fare squadra pare essere di conseguenza una consapevolezza sempre più diffusa: qui in Friuli, giusto per citare un esempio che mi è vicino, si è recentemente arrivati alla costituzione dell'Associazione artigiani birrai Fvg, dopo un paio d'anni che se ne parlava. La domanda a questo punto è che forma assumerà questo fare squadra, al di là del dividere oneri e onori della partecipazione alle manifestazioni - come fatto recentemente e con successo a Friulidoc. Fare ordini in forma congiunta per le materie prime, se questo può portare ad ottenere prezzi migliori? Organizzarsi in maniera coordinata per la distribuzione, così da renderla più efficace? Certo chi l'associazione l'ha costituita le idee ce le avrà, e saprà esporle meglio di me; ma quello che personalmente auspicherei per i birrifici artigianali, come controparte della tendenza alla concentrazione da parte dei grandi gruppi, è di portare avanti una strategia comune dalla produzione al marketing - dal coordinarsi per le tempistiche del lancio delle nuove birre così da non danneggiarsi l'un l'altro, al "cedere" a prezzo onesto il proprio impianto diventato ormai troppo piccolo a chi invece è ancora di taglia più modesta, a campagne promozionali e di stampa comuni e affidate magari a professionisti. Certo non è facile, e non avendo mai gestito io un birrificio lascio la parola a chi invece lo fa ogni giorno (i commenti su questo spazio sono i benvenuti); ma se queste notizie di grandi acquisizioni saranno lo stimolo a dare forma strutturata a quella collaborazione che già si vede nel settore, il mondo della birra artigianale potrà auspicabilmente trarne beneficio.

mercoledì 16 settembre 2015

Friulidoc, "i solitari": Zahre, Meni e Foglie d'Erba

No, non lo dico in senso negativo né ironico: semplicemente mi riferisco al fatto che questi tre birrifici avevano ciascuno un proprio stand, proseguendo la tradizione che li vede presenti da anni a Friulidoc. Su Zahre in realtà non ho novità ma conferme, ossia il successo del loro stand sempre gremito - e votato tra l'altro come uno dei migliori nel concorso lanciato da il Messaggero Veneto - e la costante qualità delle loro birre - anche la apa Ouber Zahre, ultima nata ancora bisognosa di qualche "aggiustamento" quando era stata presentata, può dire di avere ormai trovato il suo equilibrio e la sua identità -; e una nota particolare mi sento di riservarla alla più giovane rampolla della casata, Sarah (grazie a El Magico per la foto), che ancor più che in altre occasioni ha dimostrato di essere un'abile publican - o banconiera, o birraia, o chiamatela come vi pare -, interloquendo con gli avventori come una donna di consumata esperienza. Insomma, direi che Danila può stare tranquilla: nei prossimi anni avrà senz'altro un valido supporto, nonché qualcuno pronto a raccogliere un giorno il suo testimone.

Dicevamo poi di Meni, dove una novità c'è: la versione estiva della loro lager chiara Durgnes, più leggera nel corpo, tanto da far apparire anche la luppolatura più delicata, tra l'agrumato e il floreale. E se Giovanni ha commentato che "Io la mezza pinta di questa qui manco la servo", una ragione ci sarà: davvero, complice il grado alcolico basso e la chiusura fresca, scende che è un piacere.









Da ultimo Foglie d'Erba di cui ho provato la tripel Gentle Giant e la imperial stout Songs from the wood. Nella prima devo dire che quasi non ho riconosciuto il tocco di Gino, che di solito ama luppolature di ben altra caratura: qui però in ossequio allo stile ha fatto una birra in cui il luppolo rimane celato, per lasciare spazio alle note maltate di biscotto e caramello, pur senza indulgere nel dolce preferendo una chiusura secca. Tripel sì ma tutt'altro che stucchevole dunque, e di beva relativamente facile nonostante la complessità e gli 8 gradi alcolici.




La Songs from the wood sicuramente non delude le aspettative di chi ad una imperial stout chiede profumi e sapori molto intensi di liquirizia, caramello e cacao: perché ci sono tutti - autentico cacao compreso -, insieme alla vaniglia come nella breakfast edition della Hot night at the village. E se le stout sono nate come versione più forte delle porter (e le imperial stout come versione ancor più forte delle stout), la Songs from the wood può dirsi la "sorella più grande" della Hot night at the village: se quest'ultima vi è piaciuta, nella imperial stout troverete gli stessi aromi e sapori notevolmente amplificati. Grado alcolico compreso perché qui si toccano i 10: occhio alla patente, e prosit!

lunedì 14 settembre 2015

Degustando a Friulidoc

Ad ulteriore dimostrazione del maggiore spazio che la birra artigianale ha avuto quest'anno a Friulidoc, anche Confartigianato ha organizzato tre degustazioni: la prima dedicata al birrificio Grana 40, la seconda a Villa Chazil, e la terza a Garlatti Costa. Personalmente sono riuscita a partecipare soltanto alle ultime due, e non me ne voglia il Grana 40; ma il buon numero di partecipanti a tutte e tre le serate conferma l'interesse diffuso per la birra artigianale anche nell'ambito di un evento come Friulidoc, tradizionalmente più incentrato sul mondo del vino.

La prima degustazione a cui personalmente ho preso parte, dicevamo, è stata quella di Villa Chazil. Il birraio Carlo Antonio Venier, con inaspettate doti istrioniche, ha raccontato ai presenti come è nata la sua azienda agricola e che cosa si intenda per agrobirrificio, illustrato la sua coltivazione di luppolo chinhook, cascade e willamette, nonché alcuni aspetti tecnici della produzione; sucitando l'interesse e la curiosità anche dei "non addetti ai lavori", e coinvolgendo l'uditorio nella discussione. Le birre in degustazione erano tre - sambuco, lager e pale ale -; la prima - definita dal birraio "una birra da aperitivo" -, con il suo aroma floreale, il corpo leggero e la chiusura dolce del sambuco; la seconda con gli aromi delicati del willamette, ed una persistenza assai meno amara della media delle lager chiare (al di là dell'estrema variabilità all'interno del genere); e l'ultima caratterizzata dall'agrumato del luppolo citra e dalle note speziate del lievito. Il raccolto di luppolo, ha assicurato Antonio, è andato bene; chissà che non possa uscire un'edizione limitata di lager con luppolo a km zero, come "chicca" della produzione del birrificio.

La seconda degustazione è stata dedicata a Garlatti Costa, con il buon Severino la cui imponenza fisica, se mi consentite l'ironia, è inversamente proporzionale alle doti brassicole e di conferenziere: dalla storia della birra, agli aspetti tecnici della produzione, fino ad arrivare ai lambic e a ricordi del tipo "quando ho cominciato a fare birra io, i libri per imparare erano ancora solo in inglese", Severino ha intrattenuto a tutto tondo una platea ancora più numerosa di quella del giorno precedente. La degustazione è partita dalla birra di frumento Opalita, la cui peculiarità è l'aggiunta di avena; per proseguire con la ale chiara Lupus - in cui si riconosce l'uso dello stesso lievito della Opalita, dato che Severino ha scelto di mantenerlo identico per tutte le sue birre "perché lo conosco ed è consono al mio stile" - pur essendo intensi anche gli aromi del luppolo; passare poi alla Liquidambra, in cui i toni di caramello e di lieve tostato che caratterizza le ambrate si fa notare già all'olfatto per poi essere confermato nel corpo rotondo e dalla persistenza lunga; e chiudere con la Orzobruno, una nera dai profumi intensi di tostato e di caffè, a cui si aggiunge il cioccolato nel corpo per poi chiudere nuovamente sul caffè. Pare che a riscuotere successo siano state soprattutto quest'ultima e la Lupus, ma si sa, è questione di gusti.

Un'ultima nota va riservata agli accompagnamenti proposti da Confartigianato, una coppetta di patate, formaggio e salsa di fichi la prima sera, e una di polenta, formaggio e funghi la seconda. Certo era impossibile, data l'eterogeneità delle birre, pensare ad uno stuzzichino che andasse bene per tutte; ma sono stati comuqnue graditi, se non altro perché espressione del territorio in cui la manifestazione si è svolta.

domenica 13 settembre 2015

Nuove conoscenze a Friulidoc

Tra i birrifici presenti allo stand della neocostituita associazione dei birrai aritigianali Fvg ce n'è anche uno di cui tanto spesso avevo sentito parlare, il triestino Cittavecchia: uno dei precursori, peraltro, perché il birraio Michele con la moglie Valentina hanno avviato i loro fermentatori già nel 1999, "quando i birrifici artigianali in regione si contavano sulle dita di una mano" - ricorda lei. Un birrificio che punta non solo a "prodotti equilibrati nelle tipologie tradizionali", per dirla con Valentina, ma anche alla semplicità e linearità in tutto e per tutto, dalla grafica delle etichette ai nomi: basti dire che la chiara si chiama Chiara, la rossa (indovinate un po'?), Rossa, e la weizen si chiama Weizen. Fanno eccezione la strong ale Formidabile (nata come birra di Natale) e la natalizia San Nicolò, e la nera Karnera; oltre alla ipa Lipa (dal nome sloveno del tiglio) e Lipa Light, in versione più leggera (3 gradi). Semplicità che non significa però semplicismo o banalità: ciascuna birra nella sua descrizione è stata associata ad un luogo, elemento o personaggio del territorio (la Chiara alla bora, la rossa al Ponterosso, e via dicendo), a testimoniare il legame con Trieste e dintorni.

Ho avuto modo di assaggiare la Lipa Light, novità di quest'anno. Una birra tipicamente estiva, da bere con soddisfazione nelle giornate calde (che ormai sono passate, ma vabbè, la si beve con piacere lo stesso), dal delicato profumo floreale in cui ho personalmente percepito anche una lievissima nota di miele data dal malto, e che grazie al corpo scarico e alla chiusura di un amaro delicato e poco persistente scende e disseta che è un piacere. Anche in una tipologia come ipa che si presta di più a voler "calcare la mano", soprattutto in quanto a luppoli, Cittavecchia conferma insomma la sua linea di semplicità e sobrietà, cosa che può permettersi di fare soprattutto chi, in virtù della lunga esperienza, non ha bisogno di stupire per convincere.

Sempre allo stesso stand ho provato anche la nuova versione della Kaos Ale di Valscura, gentilmente servitami da Alessio. Questa volta una birra dal colore ambrato carico, nettamente diversa dalla "Maravee fumade" che avevo provato lo scorso marzo. Qui i sapori del malto torbato non ci sono più, e per quanto il corpo abbastanza carico metta in evidenza i toni tendenti al caramello del malto, l'amaro resinoso dei luppoli entra in forze in tutto il percorso gustativo, dall'aroma alla chiusura. Una birra che può ben mettere d'accordo sia gli amanti del dolce che dell'amaro, unendo gli opposti in maniera originale. In attesa della prossima Kaos Ale, dunque, avviamoci per l'ultima giornata di Friulidoc...


sabato 12 settembre 2015

A spasso per Friulidoc: gubane, formaggi, pezzata rossa e Dark Mild

Come molti di voi ben sanno, qui a Udine queste sono le giornate di Friulidoc: un appuntamento che non manco mai, tanto più che quest'anno, oltre agli stand "indipendenti" - passatemi la definizione - di Zahre, Foglie d'Erba e La Birra di Meni, in collaborazione con l'Ersa è stata aperta la "birroteca" degli Artigiani birrai del Fvg con Borderline, Campestre, Cittavecchia, Garlatti Costa, Sante Sabide, Valscura, Villa Chazil e Zanna. Aggiungiamoci poi che Confartigianato ha organizzato tre degustazioni di birre artigianali - Grana 40, Villa Chazil e Garlatti Costa - e che l'Ersa ha scelto di abbinare la birra alla degustazione di carni e formaggi di pezzata rossa: insomma, un Friulidoc che già sulla carta dava alle birre artigianali uno spazio più significativo rispetto alle scorse edizioni.


Il mio Friulidoc è iniziato con l' "Artigian tour" proposto da Confartigianato: una lunga passeggiata sotto la guida dell'attore Claudio Moretti che, con le sue doti istrioniche, ci ha prima fatto scoprire storia e curiosità dei luoghi principali del centro di Udine, e poi ci ha accompagnati alla scoperta della legatoria artigianale di Eva Seminara (per chi fosse di Udine consiglio caldamente una visita perché è una vera chicca, si trova in via Zanon) e degli stand degli artigiani lungo via Vittorio Veneto. Artigiani del legno, ricamatrici, creatrici di gioielli; ma come non immaginare che i più gettonati sarebbero stati le grappe, liquori e cioccolate di Adelia di Fant; le pitine di cervo, i grissini stirati a mano, il frico e le gubane con pasta madre del gruppo Montenegro; o le gubane delle Valli del Natisone con "La gubana della nonna" e Dorbolò. Proprio Dorbolò ha quest'anno voluto fare le cose in grande con una gubana da 5 kg (nella foto sopra), che taglierà domenica alle 17: buon appetito e fatevi sotto, perché temo non durerà a lungo.

Venendo a noi, dunque, dicevamo della birra artigianale e della pezzata rossa. La degustazione è iniziata con una dissertazione molto istrutttiva del signor Zoff, allevatore, sulle proprietà questo tipo di carne e sui formaggi che produce nella sua azienda. Di tutto il suo discorso scolpirei nella pietra la frase "Vogliamo nutrire, non sfamare; perché oggi non abbiamo bisogno di essere sfamati, ma di essere nutriti bene, con tutto ciò che l'industria alimentare ci propina, sì". Ci sono poi stati serviti quattro assaggi di formaggio - un latteria, una mozzzarella, una caciotta al timo e una al basilico -, e degli straccetti di manzo con aceto balsamico, spuma di polenta e montasio. Il tutto abbinato alla Dark Mild di Borderline, che già avevo avuto modo di farmi descrivere in precedenza da Eros, uno dei birrai.

Si tratta di una birra a base scura, con sentori intensi di luppolo resinoso in aroma, in cui è però quasi distinguibile una punta di caramello; nel corpo ben pieno predomina il tostato, con qualche nota di caffè, prima di una chiusura amara che riporta agli stessi toni erbacei e resinosi dell'aroma. I ragazzi di Borderline hanno motivato la scelta dell'abbinamento con il fatto che questa birra si sarebbe accompagnata a sapori forti - e in effetti, accanto al manzo o ai formaggi aromatizzati la classica bionda proprio non ci sta; e devo dire che, se l'abbinamento ai formaggi non mi ha particolarmente entusiasmata - c'è da dire però che di mezzo c'erano anche una mozzarella e un latteria, che come genere sono ben diversi dal sapore più intenso delle caciotte - ho invece assai apprezzato quello con la carne. Le note dolci dell'aceto balsamico e del montasio andavano infatti ad "incastrarsi" perfettamente per contrasto con l'amaro della Dark Mild, e il corpo robusto faceva da "sostegno" ai sapori intensi della carne di manzo. Uno sposalizio indovinato, direi, nel segno sia del cibo che della birra di qualità.

Bene, direi che si può tornare in pista: un'altra giornata di Friulidoc attende...




giovedì 3 settembre 2015

E sarà l'Aurora

No, non sono una particolare fan di Eros Ramazzotti; il riferimento è alla quarta nata tra le etichette di Villa Chazil, che ho avuto occasione di provare domenica scorsa alla festa del luppolo e della birra agricola organizzata in quel di Nespoledo. Il birrificio, cogliendo l'occasione dei due anni di attività e del raccolto di luppolo - potete vedere i filari sulla destra nella foto -, ha infatti organizzato una giornata di festa coinvolgendo una serie di produttori - sia birrari che non - della zona. Oltre alle birre della casa erano infatti disponibili anche la Tripel di Zanna Beer e la Slap di Garlatti Costa - nonché i vini e le grappe dell'azienda Beltrame, per chi non avesse voluto rimanere monotematico in quanto al bere; e giusto per non rimanere a pancia vuota, l'azienda agricola Calligaris ha provveduto alla carne alla griglia, la fattoria Gortani a frico e formaggi, e l'apicoltura Mamma Ape al miele - che ho avuto modo di assaggiare direttamente dal favo: un'esprienza da provare, se vi capita l'occasione. Il tutto completato da laboratori di degustazione e dimostrazioni pratiche di arte brassicola di Severino Garlatti Costa e Antonio Zanolin, nonché da musica dal vivo in serata.

Sono arrivata giusto in tempo per l'ultima parte del laboratorio mattutino di degustazione, in cui le birre di Garlatti e Zanna venivano abbinate a salumi e formaggi delle aziende presenti; e se ormai era tardi per assaggiare, mi sono comunque goduta la dotta dissertazione dei due mastri birrai che ha spaziato su raggio assai ampio - da come si fa la birra, all'ingresso della birra artigianale nella ristorazione, fino alle birre a fermentazione spontanea e barricate. Un uditorio assai interessato che, devo dire, mi ha dato buone speranze in quanto alla crescente sensibilità verso la birra artigianale in questa zona.

A fine laboratorio però, dato che non avevo bevuto ancora nulla, la sete iniziava a farsi sentire; e così il padrone di casa, il buon Carlo Antonio Venier, mi ha invitata ad assaggiare l'ultima nata, la Aurora. Trattasi di una lager chiara all'arancia, che mi ha parecchio incuriosita e attirata dato il caldo africano della giornata; perché la radler l'abbiamo provata tutti, però è tutt'altra cosa. Già all'olfatto qualche nota d'arancia arriva; però è parecchio delicato, e potrebbe quasi confondersi con gli aromi agrumati tipici di alcune varietà di luppolo. Anche nel corpo abbastanza esile il sapore d'arancia rimane defilato, quasi sullo sfondo, armonizzandosi delicatamente con il malto pur senza sparire; così come nel finale fa da contrappunto all'amaro del luppolo, con una persistenza agrumata leggera ma ben riconoscibile che arriva solo dopo il sorso. Detta in poche parole, l'ho trovata una birra fresca e dissetante, che ha il merito di armonizzare in maniera delicata e senza strafare l'aromatizzazione - perché se è birra deve rimanere birra, non diventare aranciata -; cosa che avevo peraltro avuto modo di osservare già quando avevo assaggiato la birra al sambuco di Villa Chazil. Si direbbe quindi che a Villa Chazil abbiano un buon tocco per le aromatizzazioni: resta da scoprire quale sarà prossima...