venerdì 30 novembre 2018

Concorsi birrari e pensieri in libertà

Dopo l'uscita dei risultati dei concorsi European Beer Star e Brussels Beer Challenge, anch'io come tanti mi sono posta qualche domanda sui risultati - come peraltro faccio ogni anno per tutti i maggiori concorsi, e come già avevo scritto qui. Questa volta il nodo della questione sollevata da più parti nell'ambiente birrario era del tutto diverso da quello del mio precedente post, ossia il gran numero di birre industriali che hanno ottenuto piazzamenti sul podio. Delle due, l'una: o i birrifici industriali riescono effettivamente ad uscire con prodotti che, almeno in una degustazione alla cieca, risultano migliori di quelli artigianali (e tanto di cappello si dirà, se riescono a farlo pur uscendo sul mercato a prezzi notevolmente più bassi); oppure i parametri utilizzati per giudicare nei concorsi (al netto di brogli, che si auspica sempre non avvengano) non sono - quantomeno non più - adeguati ad individuare la birra di qualità e a rendere giustizia alle diversità esistenti tra grandi e piccole aziende e vanno quindi ripensati - ipotesi sostenuta da Andrea Turco di Cronache di Birra in questo post, di interessante lettura.

Per quella che è la mia esperienza personale, basata sul confronto con i birrai e sulle occasioni in cui mi è capitato di giudicare, prendo sempre i risultati dei concorsi con serietà ma con distacco: se una birra industriale arriva prima di una artigianale ad un concorso non significa che sia "più buona/migliore in assoluto" (qualsiasi cosa ciò significhi), ma semplicemente che rispondeva meglio ai parametri usati in quel concorso; o, per dirla con Gino Perissutti di Foglie d'Erba nel mio post precedente, "Se vinci non significa che la tua birra sia la migliore [...]: semplicemente lo è stata per quel lotto, per quella giuria, in quella settimana".

Nel caso specifico dei grandi concorsi, mi trovo d'accordo sia con l'osservazione secondo cui alcune categorie favoriscono la vittoria di birre industriali, sia sul fatto che l'aderenza allo stile giochi un ruolo preponderante (anche nel piccolo cito spesso l'esempio di una birra che ad un concorso avevamo escluso perché fuori stile, pur avendo finito la bottiglia con estremo piacere a fine giudizio perché era stata forse quella che a noi giudici più era piaciuta). Un parametro probabilmente abusato, ma in una certa misura obbligato in quanto più "oggettivo" di altri: stabilire con quali criteri giudicare la creatività di una ricetta o altri aspetti analoghi sarebbe infatti quantomeno oggetto di lunghe discussioni, e finanche legato alla sensibilità del singolo giudice - che rimane sempre in gioco, ma deve comunque trovare un giusto bilanciamento con parametri valutabili in maniera più oggettiva. E su questo le birre industriali appaiono favorite, sia perché costruite in partenza sulla base di una ricetta "pulita", sia perché un birrificio industriale dispone di tecnologie atte a controllare e replicare alla perfezione il processo produttivo. Insomma, se voglio fare "la pils più pils che ci sia", un birrificio industriale parte avvantaggiato. Del resto, non necessariamente per un birrificio artigianale l'aderenza allo stile è un valore da perseguire: un birraio artigiano, più che fare "la pils più pils che c'è", probabilmente vorrà fare "la mia pils", quella che lo rende la sua opera unica e distinguibile da quella di altri - come per qualsiasi artigiano, insomma. L'aderenza allo stile finisce quindi per essere un parametro controverso quando ci si trova a giudicare insieme birre artigianali e non.


Altro tema sollevato è quello della qualità delle materie prime, non necessariamente ottimale in birre il cui scopo è uscire sul mercato al prezzo più basso possibile. Anche questo però è un parametro laborioso da valutare in un concorso: a meno di non immaginare dettagliatissime schede che illustrino tutte le materie prime di ogni birra in gara, e giudici in grado di valutare con le adeguate competenze queste informazioni (patrimonio di conoscenza dei produttori, più che dei sommelier, e qui torniamo anche alla questione della formazione dei giudici), la cosa diventa difficile a farsi.

A monte, quindi, c'è da chiedersi che cosa significhi valutare la qualità di una birra - termine che diversi birrai mi hanno riferito di non voler più nemmeno utilizzare, dato che viene spesso usato a sproposito finendo per significare tutto e nulla -; e se sia opportuno che birre industriali e artigianali gareggino in concorsi o quantomeno in categorie diverse, data la diversità sia delle aziende che le producono che della filosofia e obiettivi che ne stanno alla base.

Personalmente credo che il problema non sia tanto quello che passi al consumatore il messaggio che una birra venduta a prezzi da discount è "migliore" di una di un piccolo produttore (si potrebbero infatti citare diversi casi di birre industriali ben fatte e birre artigianali che invece non lo sono); quanto che passi il messaggio che, foss'anche davvero più gradevole a bersi la birra industriale in questione, queste due birre siano "la stessa cosa". Bere la birra del discount, anche se mi piace e rispecchia in maniera da manuale lo stile di riferimento, non è la stessa cosa che bere la birra del piccolo birrificio vicino a casa a cui magari questa cotta non è uscita perfettamente in forma, ma ci ha messo un impegno del tutto diverso.

Posto che la birra artigianale non è buona a prescindere, né è cattiva a prescindere quella industriale, l'importante è che ci sia chiarezza su che cosa sta alla base di queste due categorie e determina di conseguenza il valore dei prodotti che ne escono: e se anche i concorsi possono contribuire a farla, ripensando i loro meccanismi così da rendere giustizia a queste differenze, ben venga.

Foto dall'archivio del Brussels Beer Challenge

domenica 25 novembre 2018

Nuove aperture a Cividale: il birrificio Forum Iulii

Chi mi segue ricorderà Grana 40, beerfirm di cui ho scritto più volte; ed ora si è concretizzato il progetto di apertura del birrificio vero e proprio - battezzato Forum Iulii, dall'antico nome di Cividale del Friuli, dove ha sede. E' stato presentato alla stampa e agli addetti di settore il 22 novembre scorso, prima dell'inaugurazione del 25. Giusto per ricapitolare le puntate precedenti, il tutto è partito nel 2014 appunto con Grana 40, beerfirm nato da Emanuele Beltramini e Christian Drecogna e dalla loro esperienza di homebrewing; la compagine sociale si è poi allargata nel tempo fino a comprendere altri quattro soci - Michele Specogna, Michele Zeuli, Samira Dorbolò e Giovanni Dorbolò - rendendo possibile la rimessa a nuovo di un vecchio capannone del cividalese che diventa la sede per il birrificio. Anche in questo caso siamo quindi davanti ad un allargamento a soci finanziatori non birrai: una strada, come ho osservato in precedenti post, seguita da sempre più birrifici - a fronte di investimenti che, nella congiuntura attuale, diventano sempre più impegnativi non potendo semplicemente andare ad aggiungersi al novero dei tanti birrifici artigianali senza un solido progetto imprenditoriale. Nel caso di specie, poi, c'è stato anche un forte investimento anche sul fotovoltaico - 427,68 Kwp, stando ai dati forniti dal birrificio - che fornirà quindi energia rinnovabile agli impianti. Va ricordato infine che si tratta di un birrificio agricolo: l'orzo (biologico) viene prodotto in Molise e maltato da Farchioni, in Umbria, ma i progetti sono di avere produzione anche in Friuli nel prossimo futuro.


Al di là del quadro generale, la prima cosa che colpisce arrivando al Forum Iulii è la sala degustazione - con pareti vetrate che danno da un lato sul giardino esterno, dall'altro sulla sala cotta (10 hl di capacità): una sala elegante e curata, dagli arredi in legno ai divanetti, alle sedie. Insomma, un locale che vuole attirare anche per l'ambiente in sé e non solo per la birra (e la cucina, dato che ci sarà anche quella); e che, come ha concordato lo stesso Christian, vuole adattarsi anche ad occasioni formali. Il tutto comunque senza nessuna intenzione di attirare soltanto una clientela - appunto - formale: Emanuele ha espresso l'auspicio che questa sia una tap room "dallo stesso valore sociale che hanno i pub inglesi, dove si incontrano dopo il lavoro, il professionista così come l'operaio". Nel complesso, comunque, la sensazione che ho avuto è che la squadra di Forum Iulii intenda portare la birra in un genere di ambiente che - almeno a Cividale e dintorni - era sempre stato inteso per altre bevande, vino in primo luogo, lanciando in questo senso un segnale di differenziazione rispetto a molte tap room.

Sono sei al momento le birre a listino - quelle della linea Grana 40, che si rifanno (riviste) al precedente beerfirm, e la birra della casa che sarà distribuita soltanto lì: una Helles che ho avuto occasione di provare per l'evento, e che definirei classica e in stile, se non per la luppolatura un po' più accentuata in quanto a persistenza. A queste si aggiungeranno le birre della linea Forum Iulii, intesa per essere più "classica" - a complemento dell'altra, più "sperimentale" - e quelle di alcuni birrifici ospiti. In effetti si può dire che il denominatore comune di tutte le birre Grana 40 è l'uso "intenso" del luppolo - inteso non necessariamente in termini di quantità assoluta di luppolo utilizzato, ma del ruolo che questo occupa nel complesso degustativo: sempre molto profumate, dalla persistenza lunga e dall'amaro deciso - difficilmente troverete una birra che dia l'impressione di essere dolce, anche se a livello di Ibu non dovesse essere altissima.

Alla presentazione ho assaggiato nello specifico la session ipa Orbitale e la white ipa Carat. La prima esibisce un aroma su toni resinosi, ancor più che fruttati - pur percepibili; corpo molto snello pur concedendo una nota biscottata, prima di un finale di un amaro altrettanto resinoso, netto e molto persistente. La Carat, che vuol essere un incrocio tra una blanche e una ipa nella misura in cui contiene anche frumento, è comunque una ipa a tutti gli effetti: aromi agrumati del Citra - che comunque non coprono del tutto la componente del cereale -, corpo scorrevole e finale agrumato sempre molto intenso e persistente.


Per quanto già conoscessi le birre di Grana 40, questo - come ha giustamente osservato Emanuele - è un punto di partenza, non di arrivo - e non solo per l'azienda nel complesso ma anche per le birre nello specifico, dato che si tratta pur sempre di utilizzare un nuovo impianto e rivolgersi ad una clientela che verosimilmente non sarà esattamente la stessa del beerfirm: da questo punto di vista, non posso che fare i migliori auguri perché la squadra di Forum Iulii riesca a mettere a frutto al meglio gli sforzi compiuti sinora.

Si ringrazia Ismaele Michelotti per le foto.

giovedì 15 novembre 2018

Cremona, che bontà

L'altra manifestazione a cui ho partecipato recentemente è stato il BonTà di Cremona, fiera dedicata all'enogastronomia in senso lato, che dall'anno scorso prevede anche un'area specificatamente dedicata alle birre - Special Beer Expo. Anche in questo caso ho condotto degli eventi, e anche qui rivolti ad un pubblico generico: e di nuovo ho avuto il piacere di vedere come ad avvicinarsi fossero anche tanti curiosi, persone che non necessariamente avevano una formazione pregressa nel campo birrario, ma che si sono poi fermati interessati e mi hanno riferito di aver con sorpresa scoperto un mondo nuovo - giusto per tornare sull'ultima parte del mio precedente post sulla fiera di Pordenone.


Il primo evento, in collaborazione con l'Associazione Le Donne della Birra - che colgo l'occasione per ringraziare - è stato dedicato al ruolo delle donne nel campo brassicolo, nella storia ed oggi; e si è concluso con l'assaggio di alcune birre "in rosa" scelte tra i birrifici espositori - in realtà non birre fatte da mastri birrai donna, ma alla cui creazione le donne avevano comunque contribuito. Tra queste la "Acqua Passata" di Retorto, una sorta di birra che birra non è (è stata definita "herbal beer", in assenza di uno stile di riferimento), nel senso che - mi ha spiegato Marcello, il birraio - ad una base di strong ale sui generis è stato aggiunto solo un etto di luppolo, ma ben 11 kg di erbe e spezie - su tutte l'assenzio, ma la lista è lunga. Ne risulta una bevanda ispirata al vermouth, non a caso elaborata insieme ad un mixologist; e il tocco femminile - nella fattispecie quello di Monica, sorella di Marcello - è entrato in gioco nell'elaborare, insieme al grafico, l'etichetta con figure tratte da un antico libro di animali fantastici e la bottiglia, simile a quella degli amari e dei liquori, con tappo in vetro. Profumatissima al naso, su toni balsamici, in bocca unisce la componente maltata con quella erbacea e speziata, per finire con una lunga persistenza sempre sul balsamico. Le note alcoliche riescono a "mimare" bene quelle date da un liquore, pur trattandosi di una birra di 13 gradi - e quindi più bassa in gradazione: la troverei quindi un ottimo fine pasto, per chiudere dopo il caffè - ancor più che come aperitivo, altro suggerimento dato per il servizio.

Particolare interesse ha suscitato poi la degustazione "Ogni birra ha la sua pizza, ogni pizza ha la sua birra", che ho condotto insieme ad Antonio Pappalardo de La Cascina dei Sapori di Rezzato (Brescia) - che ringrazio per l'ottimo lavoro svolto. Va detto che Antonio non è, e mi perdoneranno tutti i pizzaioli in lettura per l'espressione infelice, "un pizzaiolo qualunque" (nonostante la giovane età): La Cascina dei Sapori vanta infatti una lunga serie di riconoscimenti - l'inserimento in diverse prestigiose classifiche delle migliori pizzerie in Italia, i due spicchi del Gambero Rosso, e collaborazioni con nomi del calibro di Gordon Ramsay, solo per citarne alcuni. Potremmo quindi definire le creazioni di Antonio un'ulteriore dimostrazione (se mai ce ne fosse stato bisogno) che, almeno nell'alta ristorazione (ma non solo), la distinzione tra pizzaiolo e chef è ormai da tempo caduta: lungi dal replicare semplicemente le farciture classiche, le pizze sono diventate dei veri e propri piatti in cui si esprime la creatività dell'autore così come si esprimerebbe in una qualsiasi altra ricetta, sia come ingredienti che come impiattamento. Per questo devo ammettere che alcune di queste creazioni hanno rappresentato per me una bella sfida nel trovare un abbinamento birrario adatto: su tutte quello per la pizza con seppie, caco, macadamia e liquirizia, che alla fine ho accostato alla robust porter del Birrificio Curtense. Profumi di tostato, caffè e cacao come d'ordinanza, corpo - appunto - robusto sugli stessi toni, che non indugia però sul cioccolato preferendovi le note torrefatte, prima di un finale sì amaro ma morbido, che riprende i toni di cioccolato: un accostamento appropriato non solo alla liquirizia e alle noci, ma anche alla dolcezza del caco - che ha accompagnato e contrastato al tempo stesso quella del cioccolato - e ai toni più neutri e pastosi della seppia, valorizzati dalla tostatura.

Più classica la pizza con pomodoro San Marzano e burrata, che ho abbinato con la Marzen sempre del Curtense: classici toni di biscotto e caramello all'aroma, con un leggerissimo accenno di erbaceo dal luppolo, corpo pieno e rotondo ma scorrevole nonostante la maltatura importante, e chiusura di nuovo sull'amaro pulito, accompagnando e contrastando al tempo stesso la dolcezza grassa della burrata. Sempre del Curtense ho assaggiato - ma al di fuori della degustazione - la Km0, una lager sui generis prodotta con materie prime locali e in particolare con l'aggiunta di tarassaco: del tutto peculiare l'erbaceo all'aroma, quasi di fieno - ammetto di aver colto anche un leggero acidulo, poi però sparito -, prima di un corpo avvolgente sui toni del caramello che chiude di nuovo sull'erbaceo del tarassaco senza persistenze dolci. Da ultimo la pizza cipolla e taleggio abbinata alla Ipa de La Moncerà - una ipa "classica", peraltro non eccessiva come luppolatura sia in aroma che in amaro -, che con il taglio resinoso finale ben chiudeva con la bevuta una farcitura decisamente importante in quanto a sapidità.

Nell'ultima degustazione ho invece coinvolto, oltre che Retorto con la sua Daughter of Autumn - di cui ho già parlato qui - altre due nuove conoscenze per me, il birrificio Kuhbacher con la sua Keller e la sua Weizen, e il birrificio Il Conte Gelo con la sua golden ale Gragnola. La prima è una Marzen fondamentalmente in stile, e decisamente beverina se la consideriamo in rapporto al corpo che è discretamente robusto: il cereale riempie la bocca, ma scorre via, prima di un finale di un amaro erbaceo lieve, pulito e poco persistente. La seconda, la Schloss Weizen, devo ammettere di averla trovata molto più in forma alla spina che in bottiglia e può essere definita un'interpretazione decisamente "verace" dello stile: schiuma pannosa d'ordinanza, aromi intensi ed avvolgenti di banana e chiodi di garofano, corpo pieno che fa sentire il frumento in tutta la sua forza e finale fresco. Sempre di Kuhbacher ho assaggiato anche la loro Red, pensata - mi ha spiegato Egon Beck Peccoz, l'amminisratore di Kuhbacher Italia - specificatamente per le esigenze del mercato italiano dove era stata registrata la richiesta di una birra che - e Beck Peccoz mi perdonerà la definizione - corrispondesse all'idea della generica "rossa doppio malto". In realtà, lungi dall'essere una birra "generica", si sente bene che il birraio non ha sacrificato l'impronta rigorosa degli stili tedeschi sull'altare dei gusti italiani, tanto che in una degustazione alla cieca non avrei probabilmente esitato troppo ad identificarla come una Bock a tutti gli effetti: aromi di caramello e quasi liquorosi di malto, corpo caldo, mieloso ed avvolgente, e chiusura che pur rimanendo dolce rende giustizia anche alla luppolatura lieve ma che fa il suo lavoro di non lasciare persistenze stucchevoli.

Da ultimo la Gragnola, che con la sua luppolatura agrumata di Mandarina mi aveva ingannata nel credere che ci fossero anche luppoli americani: il birraio Davide si è infatti strettamente attenuto ai luppoli continentali e alla scuola inglese, per una birra sì profumata tra il fruttato e il floreale ma non sopra le righe, corpo scorrevole e fresco e finale di un amaro tra il fruttato e il resinoso. Ben costruita, da bere in quantità.

Chiudo ringraziando di nuovo tutti i birrai e i membri dello staff dei birrifici, e la Fiera di Cremona; nonché tutti i partecipanti alle degustazioni, per le quali ho anche qui quest'anno riscontrato un interesse crescente: che credo dovrebbe stimolare gli operatori del settore sì a ripensare modalità di eventi che hanno fatto il loro tempo, ma anche a non trascurare questi segnali lanciati dal pubblico.

martedì 13 novembre 2018

Due weekend a Pordenone

Come chi mi segue già sa, negli ultimi due fine settimana ho presenziato alla fiera della birra artigianale di Pordenone - ora nota come Pordenone Beer Show. Alò di là delle degustazioni e dei beer tour che ho condotto, è stata naturalmente l'occasione per conoscere nuovi birrifici e nuove birre, e fare alcune considerazioni su come il mondo brassicolo-fieristico sta andando.

Il primo fine settimana è stato per la maggior parte all'insegna del ritrovo dei vecchi amici, buona parte dei quali presentava nuove birre. Tra questi i Chianti Brew Fighters con la loro Ottava, una Kölsch che è appunto la loro ottava creazione. Aromi intensi di luppoli nobili, sullo sfondo del cereale; corpo snello di crosta di pane, prima di un finale che amalgama in maniera interessante la componente del malto con una chiusura in amaro secca e netta. L'ho quindi trovata essere un'interpretazione più "caratterizzata" delle Kölsch classiche, che comunque non stravolge lo stile e può incontrare i favori anche dei "puristi". Novità anche in casa Basei con La Sere, una amber ale. Se la temperatura troppo bassa non le aveva inizialmente reso giustizia, mettendo in evidenza un leggero aroma acido inappropriato, alla temperatura corretta rivela una luppolatura su toni terrosi e resinosi ben armonizzata con gli aromi di biscotto e caramello. I sapori di biscotto e pane tostato tornano anche in bocca, con una chiusura che comunque non indugia sul caramello ma "taglia" con un amaro secco e netto. Tra le nuove conoscenze è invece da registrare l'Officina della Birra, birrificio artigianale della "prima generazione" avendo aperto come brewpub a Bresso (Milano) nel 1999. Tra le tante produzioni - tutte incentrate sulla scuola tedesca - ho provato la Sandalmazi (battezzata dal nome dialettale della cittadina di Cogliate, dove ha attualmente sede la produzione), una strong lager sui generis che potremmo paragonare alle Bock con aggiunta di zenzero e miele di melata. Il primo si fa sentire soprattutto all'aroma, mentre il secondo avvolge il palato in una birra già di per sé calda e corposa; prima di un finale che rimane dolce, ma senza persistenze stucchevoli. Mi sono trovata a pensare che senz'altro potrebbe rientrare nella quantomai vasta categoria delle natalizie: che in effetti iniziavano già a comparire a Pordenone, come ho avuto modo di constatare anche nel secondo weekend.

Sono infatti state due le natalizie che ho provato, molto diverse tra loro. La prima è quella di Manto Bianco - birrificio che ha peraltro ampliato notevolmente la sua offerta, arrivando a coprire un gran numero di stili di tutte le tradizioni - incentrata sul miele di castagno e sull'anice: entrambi ben percepibili all'aroma (per quanto io personalmente abbia colto di più il miele) il primo la fa da padrone anche nel corpo, mentre il secondo ritorna per un leggero balsamico finale accostato alla persistenza lievemente amara del castagno - che pur non arriva a sovrastare la dolcezza dell'insieme. La seconda è invece quella del Jeb, che pur non lesinando sulla robustezza maltata del corpo come si conviene alle birre natalizie, non concede troppo alla dolcezza nonostante lo zucchero bruno candito e lo zucchero di canna; anzi, gioca sull'accostamento tra la scorza di limone e bergamotto e la luppolatura resinosa discretamente percepibile per dare un taglio più secco rispetto alla maggior parte delle birre di questa categoria. La definirei quindi un'interpretazione originale di questo stile che stile non è, che può venire incontro anche ai gusti di chi non ama le dolcezze troppo spinte.

Nuova conoscenza del weekend è invece stata A Mine of Beer, beerfirm di Bacu Abis (Cagliari) che si appoggia primariamente al birrificio Mediterraneo, e che dà alle sue birre i nomi dei pozzi minerari della zona. Per prima ho provato la Bakù, una blanche allo zenzero volutamente pensata - così si è ben capito dalla descrizione che me ne ha fatto il creatore della ricetta - come blanche sui generis: aroma nettamente agrumato dato l'utilizzo sia di arancia che di limone e di luppolo mandarina, corpo fresco e snello in cui il cereale non si rivela allo stesso modo che nella blanche canoniche - se non per un leggerissimo accenno di frumento-, e finale fresco sempre di agrume più lo speziato dello zenzero. Birra nel complesso gradevole e dissetante, e di cui si coglie la coerenza delle intenzioni nel costruire la ricetta; da consigliare però come alternativa originale a chi cerca una session beer all'americana piuttosto che una blanche. Ammetto di aver apprezzato di più la Pacific Ipa Roth, una girandola intensa ma ben equilibrata di aromi e sapori tra papaya, mango, ananas, pompelmo rosa e limone; e la porter all'avena Cast, dal corpo robusto ma vellutato come si conviene ad una oatmeal, e profumi e sapori tostati tra il caffè e il cioccolato che lasciano una persistenza amara netta ma delicata. Nel complesso definirei A Mine of Beer un beerfirm che non manca di entusiasmo né di fantasia ed inventiva per le ricette, con un augurio di poterli mettere a frutto al meglio man mano che l'esperienza porterà nuovi suggerimenti.

Da ultimo qualche riga sulla Fiera in quanto tale. Sicuramente si tratta di un evento "generalista" per sua natura, che riunisce birrifici artigianali propriamente detti, beerfirm e distributori - soprattutto per quanto riguarda i birrifici esteri: di conseguenza generalista è anche il pubblico. Tuttavia ho registrato un crescente interesse appunto tra questo pubblico generalista a saperne di più: non solo sono stati più frequentati dello scorso anno gli eventi come le degustazioni guidate, le lezioni sugli stili e i beer tour, ma anche un incontro che sulla carta sembrava poter coinvolgere solo gli addetti del settore - la tavola rotonda su birra e ristorazione di domenica 4, organizzata in collaborazione con WeFood - ha alla fine attirato l'attenzione di una platea più vasta del preventivato non solo in loco, ma anche tramite la diretta Facebook. Se da un lato quindi le fiere che mirano semplicemente a mettere insieme un po' di stand che spillano birra hanno fatto il loro tempo, forse è giunto il momento di mettere da parte la spocchia che - e da addetta del settore faccio un mea culpa in questo senso - a volte c'è nei confronti di chi ordina la bionda o la doppio malto ed avere il "coraggio di osare": credere che anche il pubblico generalista, se adeguatamente incuriosito e stimolato, può essere interessato ad andare oltre, proponendo laboratori tagliati su questa misura senza temere di "abbassare il livello". E anche se sappiamo che probabilmente nessuna di queste persone assaggerà mai un lambic, e se ne assaggerà uno magari strabuzzerà gli occhi e storcerà la bocca, non importa, spieghiamogli cos'è. Di trenta persone a cui lo spiegheremo, magari due si interesseranno, lo proveranno, forse decideranno che non è di loro gusto - e del resto non esiste alcun obbligo a bere lambic -, ma avranno imparato qualcosa. E soprattutto saranno motivati a volerne sapere ancora, e a non accontentarsi più di una birra qualsiasi.