venerdì 24 febbraio 2017

Una giornata a Beer Attraction

Ebbene sì, meglio tardi che mai, ecco il mio resoconto dell'edizione 2017 di Beer Attraction. Un'edizione che, stando al comunicato stampa diffuso dall'organizzazione, si qualifica come "edizione da record": rispetto al 2016 c'è stato un incremento del 42% dei visitatori (20.685), del 23% per gli espositori (430), e un raddoppio netto dei business meeting (600). Un'altra conferma, insomma, che il settore della birra artigianale muove numeri sempre meggiori, sia in termine di pubblico che di operatori di settore; e che qualsiasi analisi su "boom" e "sboom" - e sul sottile confine che li separa - diventa sempre più ardua.

Così come arduo diventa, in mezzo a tanti espositori, scegliere dove fermarsi - specie se, come nel mio caso, si ha un solo giorno a disposizione per la visita.
La giornata è iniziata con una sosta allo stand di Malastrana, dove ho avuto il piacere di fare una simpatica intervista-recensione dal vivo della loro birra scura - trovate il video qui -, la classica "Cerny" ceca da manuale. Ho poi proseguito il mio giro con una sosta dall'amica Elvira Ackermann, neodiplomata biersommelier Doemens e presidente dell'Associazione Le Donne della Birra, nonché importatrice in esclusiva per l'Italia delle birre belghe senza glutine Green's - alcune con malto d'orzo deglutinato, altre prodotte con cereali naturalmente privi di glutine. A titolo soprattutto di curiosità ho assaggiato la Blond Ale, dall'intensa ma vellutata luppolatura tra il floreale e il fruttato (Saaz, Mittelfruh e Nelson Sauvin). Sotto il profilo del malto (Munich deglutinato) non ho percepito, almeno nell'insieme, differenze rispetto ad altre birre; il che conferma che nel campo delle birre senza glutine, per le quali c'è un crescente interesse di mercato, la ricerca su come produrle al meglio sta facendo progressi significativi.

Mi sono poi diretta sulle nuove conoscenze, nella fattispecie Manifattura Birre di Bologna, dove Michele - che dopo l'esperienza di homebrewer ha frequentato un corso tecnico di birraio artigiano con stage presso birrifici affermati, prima di lanciarsi lui stesso nell'avventura un anno fa - mi ha introdotta alle sue cinque birre. Tra tutte mi sono soffermata sulla Kolsch. Una birra in stile, dalla luppolatura floreale molto delicata che lascia spazio alle note quasi mielate del cereale, che continua a dominare nel corpo robusto il giusto prima di chiudere con una nota leggermente acidula e "pulente". Semplice e "da manuale", pulita nel risultato finale.


Sono quindi passata ad un nome più noto come Brewfist, dove Roberto mi ha presentato quella che ha definito la loro portabandiera, la West Coast Ipa Spaceman. In effetti, se uno degli obiettivi che molti birrifici artigianali si pongono è quello di avere almeno una birra inequivocabilmente riconoscibile come "propria", la Spaceman si presta bene allo scopo: se all'aroma arrivano note sì intense ma comunque non pugenti di pompelmo, con qualche leggerissimo tono tostato dal cereale, al corpo solo apparentemente scarico (man mano che si scalda si rivela sempre più robusto) fa seguito una luppolatura finale molto intensa capace di unire un po' tutti i descrittori che si possono immaginare per il luppolo - dall'agrume, alla frutta tropicale, al resinoso, all'erbaceo. Indubbiamente qualcosa che non mi era mai capitato di provare prima, così come mai mi era capitato di provare prima El Fernando - Barley Wine terzo di una trilogia denominata "La Trinidad", con lievito saison e maturato per un anno e mezzo in tonneaux da 650 litri di Porto. Porto che risalta in forze all'aroma e prepara ad un Barley Wine che dei vini liquorosi ha tutte le caratteristiche, pur chiudendo con un finale più secco di quanto ci si potrebbe aspettare dopo una rosa di sapori tendenti alla frutta sotto spirito.

Altra nuova conoscenza è stato il birrificio The Wall, dove Andrea - che vedete nella foto insieme al fondatore di Accademia delle Birre, Paolo Erne - ci ha onorati stappando un american barley wine brettato maturato per 6 mesi in botte di rovere. Una brettatura morbida per un barley wine facilissimo da bere nonostrante i nove gradi, complice un finale relativamente secco e di un amaro netto e intenso, che "pulisce" da qualsiasi nota alcolica residua. Al di là di questo fuori programma, Andrea mi ha illustrato la decina di birre che The Wall produce, tutte contraddistinte non solo da una particolare cura nella grafica dell'etichetta, ma anche da una decisa volontà di puntare sulla luppolatura come via maestra per la facilità di beva. Tra le tante ho assaggiato quella più "sperimentale", la Sjavàr Bjòr, una amber ale con aggiunta di sale alla liquirizia islandese: non immaginatevi però una simil Gose, perché amber ale è e amber ale rimane - previlengiando comunque la componente luppolata su quella caramellata, dimostrando più dei suoi 25 ibu - per chiudere con la leggera nota sapida e balsamica data dal sale alla liquirizia.


Altra visita interessante è stata quella da Brùton, di cui ho provato la Blanche prodotta con farro a crudo della Garfagnana, buccia d'arancia e pepe bianco - notevole per la sua delicatezza, data la sobrietà della componente del lievtio e la fragranza di pane fresco - nonché quella da Oldo, birrificio agricolo della provincia di Reggio Emilia, fresco di premio per la sua Casta e Pura (terza classificata a Birra dell'Anno nella categoria "birre alla castagna"). Diciamocelo: pur rimanendo del tutto riconoscibile lo stile di base - scottish ale -, devono piacervi le caldarroste, dato che l'utilizzo di castagne essiccate un mese su legno di castagno (secondo una particolare procedura usata in quelle zone) dà aromi di affumicati importanti. In prima battuta, a temperatura un po' più fredda, avevo comunque definito come "vellutata e non invadente" la componente delle castagne; a temperatura più alta devo però ammettere che, per quanto a rigor di logica anche i toni del malto risultino più robusti man mano che la birra si scalda, quelli affumicati - nonché il finale leggermente acidulo della castagna - sembravano guadagnare vigore più velocemente; facendo così percepire maggiormente lo scarto tra le castagne e il corpo, che rimane non molto vigoroso. Forse, opinione mia, un corpo leggermente più robusto avrebbe giovato all'equilibrio complessivo di una birra che presenta indubbiamente una sua originalità.

Naturalmente ci sono state anche altre visite - simpatica quella al Benaco 70, che in collaborazione con Frigo Nord e Sweet Bike ha presentato la "Beer Bike": scordatevi i gelati, sul lungolago di Garda i carretti spilleranno birra -; ma mi limito qui ad un riassunto. Su tutto, una considerazione generale: se una volta, quando chiedevo quale fosse la filosofia di produzione, la risposta era molto spesso "faccio le birre che piacciono a me", ora molto più di frequente si punta a birre di facile beva, semplici, che possano andare incontro a gusti sempre più ampi ed essere consumate in quantità. Una tendenza, mi verrebbe da dire, che fa il paio con la "riscoperta" degli stili tradizionalmente votati alle grandi bevute - dalle Marzen, alle Pils, a tutta la gamma delle variegate summer ale. A cui fa da contrappeso, viceversa, il crescere del segmento delle fermentazioni spontanee e e soprattutto delle barricate, di cui invece è assai improbabile bere due pinte di fila, ma che si prestano invece ad una degustazione più lenta e attenta. Due tendenze che possono essere viste come due facce della stessa medaglia, in quanto entrambe figlie da un lato della volontà di ritrovare il piacere di bere senza troppe elucubrazioni e di abbracciare un mercato più largo - di necessità virtù, verrebbe da dire -, e dall'altro di quella di percorrere vie diverse dal passato quando si tratta di sperimentare. Pare si lavori quindi nella direzione di tenere insieme il fatto di rivolgersi al vasto pubblico e quello di accontentare palati più esigenti, che ormai non si fanno più "incantare" solo da luppolature mirabolanti, ma cercano prodotti che fino a poco tempo fa sarebbero stati considerati patrimonio di una ristretta cerchia di intenditori.

mercoledì 15 febbraio 2017

Quattro giorni a...cucinare

Beh, chi mi conosce sa che come titolo sarebbe poco credibile: mai e poi mai passerei quattro giorni ai fornelli, già è tanto se riesco a mettere insieme (anzi, "mettere vicino", come dicono qui in Friuli) il minimo sindacale per il pranzo e per la cena. Mi sto riferendo ai quattro giorni della fiera Cucinare a Pordenone - dall'11 al 14 febbraio -, dove anche quest'anno ho avuto il piacere di condurre le degustazioni per i birrifici presenti.

La degustazione del sabato è stata dedicata al Birrificio Italiano e a Birra Galassia, andando ad unire uno dei marchi "storici" della birra artigianale italiana ad uno di quelli più recenti. Ho avuto il piacere di assaggiare la Dunkelweiss Vudù, una weizen scura che ai "canonici" profumi del lievito - banana matura, crosta di pane - unisce quelli del malto scuro che vanno dal tostato dalla caramella  - meglio definito come "toffee"...ma personalmente preferisco il termine "caramella". A questa è seguita la Bibock, una bock che, pur non discostandosi troppo dallo stile, vede nel finale più secco, netto e delicatamente amaro il tocco personale di Agostino Arioli. Galassia ha portato due birre di cui già ho parlato a più riprese nel blog, la saison ipa Galassia e belgian stout Maan; entrambe si confermano come birre se non fuori stile quantomeno sui generis, che incontrano sempre il favore del pubblico. Di rilevanza anche gli abbinamenti, dal carpaccio di manzo cotto a bassa temperatura della macelleria Vincenzutto per la Bibock, alla focaccia di Marazzoli per la Vudu, al frant dell'azienda agricola Gortani per la Galassia, fino al cioccolato fondente di Pura Delizia per la Maan.

La domenica ha visto in scena Birra di Naon e Birra di Meni. Il primo ha portato la sua common lager Medunia, di cui già avevo parlato, e la nuova nata Blecs, che ho assaggiato per la prima volta: un'american red ale che mette insieme l'orzo torrefatto non maltato coltivato nelle valli bellunesi, il grano saraceno (di qui il nome "Blecs", in riferimento ai tipici maltagliati friulani a base di grano saraceno) e il cumino coltivato ad Andreis. Se l'aroma fa risaltare di più la componente tra il dolce e l'arrostito del malto, è assai notevole il finale in cui le note balsamiche del cumino vanno a sposarsi con la delicata luppolatura americana, per chiudere in maniera "pulita". Una birra che mi sento di poter definire un passo avanti nel percorso birrario di Paolo Costalonga, sia in termini di originalità della ricetta che di equlibrio del risultato finale. Qui meritano una nota gli abbinamenti, ossia il trancetto di trota affumicata e la polenta con ragù di trota e pomodorino confit preparati da Alberto di Trota Blu: delle piccole opere d'arte anche a vedersi, oltre che buoni e assai azzeccati nell'accostamento. Meni ha invece portato Siriviela e Grava, già note ai lettori di questo blog; e anche in questo caso non posso non citare l'ultimo abbinamento, ossia Grava con Frant alle noci e pere candite di Les Trois Chef Fvg, che ha davvero creato - grazie alla frutta secca e al sapore deciso del formaggio - un gioco di contrasti forte ed assai interessante con questa ipa molto decisa.

Lunedì è stata la volta di birra Praforte con la Alpina, versione più leggera e fresca della Bionda con note agrumate date dal Mandarina Bavaria in dry hopping, abbinata al formaggio a latte crudo della latteria di Aviano; e di B2O, con la blanche Terra - caratterizzata dal connubio tra coriandolo e scorza d'arancia, evidente all'olfatto ma che dona una sensazione di pulizia anche sul finale - e abbinata al crostino di trota affumicata di Trota Blu. Istruttivo poi l'accostamento tra la Nera di Praforte, che utilizza sì un lievito da alta fermentazione ma a temperature da bassa, e la stout Renera di B2O - entrambe accompagnate dalla cioccolata fondente di Adelia Di Fant -: meno aromatica e dai sapori più arrostiti e di caramella la prima, intensamente profumata di cacao, liquirizia e caffè la seconda. Se la prima risulta peraltro molto secca, anche la seconda è discretamente attenuata per il genere.

Da ultimo, due birrifici per me nuovi: Il Maglio di Galliera Veneta e Birra del Grillo di San Pietro di Cadore. Il primo è per ora un beerfirm - ma l'impianto è in arrivo, e i cinque soci non sono "novellini" avendo perfezionato anni di homebrewing con la scuola Dieffe - ed ha meno di un anno di vita; mentre il secondo è attivo già dal 2007 e prende il nome da Maurilio De Zolt, detto "Grillo", campione di sci di fondo e padre del titolare. Il Maglio ha portato la Summer Ale e la Saison, abbinate rispettivamente ad un crostino con il prosciutto cotto del prosciuttificio Branchi e alla ricotta di Friulmont: entrambe birre in stile, senza particolari fronzoli, e con la filosofia della semplicità di beva - una nota merita la luppolatura agrumata della Summer Ale, che ho trovato particolarmente delicata ed elegante. Birra del Grillo ha portato invece la pils Par Nei ("per noi" nel dialetto locale, intesa come birra conviviale) e l'ambrata belga Piai - abbinate rispettivamente ai crostini di mais del Molino De March e ai canederli della ditta Croera su letto di cavolo viola, abilmente preparati dallo chef - nonché titolare - presente. La prima è una birra che vuol essere appunto semplice e conviviale, la classica pils di impronta tedesca, "misurata" sotto il profilo del'aroma, della corposità del cereale e dell'amaro; la seconda è invece decisamente dolce, dall'aroma tra la frutta matura e il liquoroso, con i toni caramellati che la fanno da padroni sia al palato che al retrolfatto.

Sicuramente ci sarebbe molto altro da dire, ma per ovvie ragioni di leggibilità mi fermo qui. Concludo però, oltre che con un doveroso ringraziamento a tutto lo staff del Cucinare, ai birrai, ai ragazzi delle scuole alberghiere e ai sommelier che hanno fatto servizio, con una piacevole considerazione su come nelle quattro serate si sia sempre creata una buona intesa tra il pubblico, i birrai e me che conducevo: il che è certamente la maniera migliore per fare quella "cultura della birra artigianale" di cui tanto si parla, promuovendo non solo il prodotto che si sta bevendo ma il settore nel suo insieme.

mercoledì 1 febbraio 2017

Birre artigianali per tutte le stagioni: qualche riflessione

Ho avuto il piacere di condurre nella serata del 31 gennaio la degustazione "Birre artigianali per tutte le stagioni", organizzata dall'Associazione Birrai Artigiani Fvg e Confartigianato Udine. Non mi soffermo sulle quattro birre degustate - Pale Ale di Borderline, Dama Bianca di Antica Contea, Straripa di Villa Chazil e Orzobruno di Garlatti Costa - di cui ho già parlato a più riprese nel blog (per chi si fosse perso qualcosa, è sufficiente cliccare sui nomi delle birre in questione), quanto su alcuni spunti di riflessione che la serata di ieri mi ha stimolato.


Innanzitutto, la partecipazione: i posti sono andati rapidamente esauriti. E fin qui, direte voi, finché le occasioni sono goderecce e la partecipazione è gratuita potrebbe non essere una grande notizia; ma è comunque significativa se si pensa che i numeri, pur in una serata invernale e di pioggia, sono stati comparabili a quelli registrati in un'occasione simile in una bella serata di inizio settembre. Insomma, per far uscire di casa la gente non basta offrire la birra - come sa bene chi organizza eventi -, bisogna stimolare l'interesse genuino del proprio gruppo di riferimento. E anche a questo proposito ho osservato una cosa che mi ha fatto piacere: una parte significativa degli intervenuti si accostava per la prima volta o quasi alla birra artigianale, e quindi questa poteva dirsi per me e per i birrai presenti - Severino di Garlatti Costa (mi si perdoni il gioco di parole) e Costantino di Antica Contea - l'occasione per fare quella tanto decantata "cultura della birra artigianale" nei confronti del "consumatore medio". Che magari - come hanno dimostrato le numerose e articolate domande rivolteci - di curiosità nei confronti del prodotto ne ha tante, ma non sempre ha a disposizione una fonte attendibile e pertinente per soddisfarle: e sentire persone che sono ai primi approcci con la birra artigianale chiedere quale sia la differenza tra la pale ale e la ipa, i dettagli del processo di lavorazione, i costi che vi stanno dietro, la differenza che la qualità delle materie prime può fare sul prodotto finito, e numerosissime altre questioni, è una bella soddisfazione.

Un altro aspetto che mi ha dato da riflettere è stato il fatto che, tra le impressioni raccolte a fine degustazione, non ci sono state soltanto parole di apprezzamento per le birre - con tanto di assicurazioni, da parte di chi non le aveva mai provate, che in futuro vorrà berne ancora -, ma anche per l'attività culturale e di promozione svolta da Confartigianato e l'Associazione Birrai Artigiani. E questo mi fa pensare che, in un contesto in cui si fa un gran parlare di "unirsi per fare la forza", il messaggio che si passa al pubblico sotto questo profilo possa essere più forte e pregnante di quanto non si creda.

Si ringrazia Sandro Shultz di Itinerari del Gusto per le fotografie.