lunedì 24 giugno 2013

Alla festa della birra

 Chi fosse passato da Tricesimo sabato scorso, vi avrebbe trovato un concentrato dei birrifici artigianali più interessanti di Friuli e dintorni: la Brasserie aveva infatti organizzato la Festa della birra artigianale, invitando - ciascuno con il suo chiosco allestito in giardino, come nei migliori eventi di questo genere - le sue certezze in quanto a buona birra. In ordine - rigorosamente alfabetico, per non fare torto a nessuno - c'erano quindi il Bradipongo di Colle Umberto, il Foglie d'erba di Forni di Sopra, il Garlatti Costa di Forgaria, e il Valscura di Sarone di Caneva.


Quest'ultimo è stato la scoperta della serata: mentre degli altri avevo già avuto il piacere - è il caso di dirlo - di fare conoscenza, le birre Valscura per me erano nuove. Ne ho quindi approfittato per fare prima due chiacchiere con il proprietario, dato che a bere senza sapere che cosa c'è nel bicchiere non c'è gusto. A conferma che il sodalizio matrimoniale funziona anche in quest'ambito, mi ha raccontato che a portare avanti l'attività sono lui e la moglie: insomma, anche io e Enrico abbiamo speranza. La cosa curiosa, oltre al fatto che in due riescono a fare tredici birre rigorosamente ad alta fermentazione - 400 ettolitri l'anno circa, per 35 mila bottiglie - è che, pur non avendo un pub annesso in cui degustarle, riescono a venderle per l'80 per cento a singoli appassionati che arrivano a Sarone tramite internet e passaparola: non poco, per un birrificio che non ha agenti di vendita né pubblicità se non - per così dire - quel 20 per cento di produzione venduto ai locali.

Insomma, mi sono detta, proprio schifo non deve fare. Prima ancora che potessi dire nulla, mi hanno offerto la Santabarbara, una rossa assai luppolata dall'aroma fruttato fatta con gli stessi lieviti del whisky: il retrogusto, essendo davvero molto deciso, può piacere o meno, ma sicuramente è unico. Certo esalta parecchio l'acol, dimostrando ben di più dei suoi 6 gradi e mezzo, ma ne vale la pena. Ce n'era abbastanza per un secondo assaggio: questa volta sono andata sulla Liquentia, una pils agrumata. Buona, per carità, ma dopo un pezzo da novanta come la Santabarbara davvero scompariva.


Il buon Severino aveva invece portato sotto il chiosco la Lupus e la Liquidambra, di cui avevo già parlato in un precedente post, e anche il Bradipongo riproponeva sostanzialmente le stesse dell'ultima degustazione - tra cui quella che secondo me è il loro asso nella manica, la BradIpa. Una sorpresa me l'ha invece riservata il Foglie d'erba, che aveva alla spina l'ambrata: non che mi sia dispiaciuta, per carità, ma come già ebbi a dire in occasione della degustazione del mese scorso, la Saison e la Babel nell'ordine sono le loro opere migliori.

Anche Matilde aveva il suo chioschetto, con diverse birre speciali alla spina: tra queste spiccava decisamente la Punk Ipa del birrificio Brewdog, che avevo sempre avuto modo di assaggiare solo in bottiglia. Se vi piacciono gli aromi di frutta tropicale è sicuramente la birra per voi, tanto più d'estate dato che è decisamente dissetante (e scende che è un piacere nonostante l'alcol si senta al retrogusto, occhio a non esagerare).

Ultima annotazione, serate come questa sono decisamente da affrontare in gruppo: sia dal punto di vista sociale che...pratico, le birre vanno decisamente condivise, se si vuole riuscire ad assaggiare un po' di tutto...

sabato 15 giugno 2013

Il Bradipongo non è un animale

Un paio di giorni fa ho avuto modo di aggiungere un ulteriore "check" - come si usa dire ora...mah, a me sembrava che "fatto" fosse sufficientemente chiaro - alla lista delle cose da provare: il Bradipongo - che appunto non è un animale, ma un ottimo birrificio artigianale con annesso locale a San Martino di Colle Umberto (Treviso). Purtroppo non ho potuto cogliere l'occasione per rientrare nelle mie terre d'origine, ma mi sono come di consueto affidata alla fidata Brasserie (perdonate il gioco di parole), che aveva organizzato una cena degustazione accompagnata dalle birre Bradipongo.


Ammetto che ero piuttosto curiosa, dato che da tempo Matilde me ne parlava con toni entusiasti: per cui ho accettato la sfida di affrontare ben quattro colibrì - ho scoperto che i bicchieri da degustazione si chiamano così, essendo appunto più piccoli -, ciascuno accompagnato da un abbinamento culinario.
Va detto che era una giornata particolarmente calda, per cui il primo dei quattro bicchieri - quello di BradIpa, una India Pale Ale - è sceso con massimo piacere nonostante il moderato tenore alcolico (6 gradi): l'aroma di frutta e il retrogusto deciso di pompelmo la rendono davvero dissetante. Il che si sposava peraltro benissimo con l'acre del tortino di riso agli spinaci e pecorino, forse non proprio estivo ma molto ben riuscito.

Devo ammettere quindi che, nonostante tendenzialmente non ami le birre molto luppolate - e quindi amare al gusto, come appunto la BradIpa - complice il caldo l'ho apprezzata più della Mafalda, una belgian ale rossa che - al di là dell'omonimia col mio idolo dei fumetti - avrebbe normalmente fatto la mia felicità: il retrogusto caramellato, infatti, mi ha lasciata certo soddisfatissima, ma ancora assetata - o forse era colpa dei funghi, polenta e grana in abbinamento?

Meno male che a seguire c'era la Bubana, una belgian strong ale doppio malto, dissetante tanto quanto la BradIpa nonostante i sette gradi: con qualche nota di resina all'aroma, un amaro che personalmente ho trovato abbastanza pungente e un finale molto secco, è stata graditissima per quanto non sia il mio stile. Per la felicità di Enrico, poi, era abbinata a "les chicons" (nella foto), ossia l'indivia belga con pancetta cotta nella birra: forse più adatta, appunto, ai lunghi inverni di Bruxelles, ma senz'altro una ghiottoneria.

Dulcis in fundo, insieme al tortino di carote è arrivata la Cansei, una imperial stout dalla schiuma decisamente invitante. Con le scure difficilmente ho mezze misure, o le amo o le odio: in questo caso m'è andata bene, perché i profumi di liquirizia e di caffè che salivano dal bicchiere sono decisamente nelle mie corde.

Che dire? Sono uscita parecchio provata da questo tour de force, ma ne è valsa la pena: la prossima volta che rientro verso la mia terra natìa, potrebbe starci una tappa a Colle Umberto...