venerdì 30 settembre 2016

Dopo la Milano Beer Week

Sembrava che non dovesse iniziare proprio sotto i migliori auspici: la Milano Beer Week, giunta quest'anno alla terza edizione, aveva incassato ancor prima del suo inizio - il 12 settembre scorso - il ritiro di due locali di spessore come il Lambiczoon e La Belle Alliance, motivato con l'ingresso nella manifestazione di grandi nomi dell'industria - Heineken su tutti, ma anche Birra del Borgo certamente non sarà sfuggita. Essendo stata invitata alla presentazione della Thomas Hardy's Ale - anche questa non esattamente nelle corde dei sostenitori della birra artigianale, essendo prodotta da Meantime per conto di due "imprenditori della birra" come i fratelli Vecchiato - ne ho approfittato per interpellare sulla questione l'organizzatore, Maurizio Maestrelli; il quale si è riservato di parlarne a manifestazione conclusa. Ho avuto così l'occasione di una chiacchierata con lui al telefono ieri. Buona lettura...

Maurizio, le polemiche sorte inizialmente sembra si siano poi sopite: davvero non c'è stata nessuna ripercussione?
Siamo molto contenti di come è andata la Milano Beer Week e lo sono stati anche i locali, che ci hanno riferito di aver visto molte facce nuove. E questo è coerente con il nostro scopo di avvicinare il pubblico generalista, quello che a Milano più che birra beve Negroni Sbagliato, e stimolare una crescita dei consumi che in Italia sono fermi da anni. Anche la stampa non di settore ci ha seguiti più degli anni scorsi, mettendo in luce come a Milano si può bere buona birra.

Il dissidio tra birrifici artigianali e birrifici industriali, che si riflette anche sui consumatori, è però un dato di fatto: eventi che mettono insieme e sullo stesso piano gli uni e gli altri non si prestano ad offrire, come alcuni hanno osservato, una sorta di "grimaldello" ai grandi dell'industria per crearsi degli spazi nel pubblico "potenzialmente craft"?
Innanzitutto faccio osservare che, su 60 eventi organizzati, 55 erano dedicati a birrifici indipendenti: se pensiamo che questi costituiscono, in Italia, il 5% del mercato, si vede come le percentuali di visibilità tra artigianali e industriali siano praticamente invertite alla Milano Beer Week. In secondo luogo, tengo a chiarire che la prima condizione posta agli sponsor è non poter imporre ma solo proporre i propri eventi; né gli eventi sono organizzati unicamente dai birrifici sponsor. I locali vengono lasciati liberi nel decidere quali eventi ospitare e che veste darvi: è stato organizzato ad esempio un reading di libri gialli, che ha portato in birreria gente che magari non ci sarebbe andata. Da ultimo, sottolineo di non aver mai affermato che la Milano Beer Week è la settimana della birra artigianale: pertanto, la critica sul fatto di aver ospitato anche Heineken e Birra del Borgo non è pertinente sotto questo aspetto. Del resto, se una birra è buona, non sono dell'idea di escluderla a priori per ragioni di proprietà: una delle mie preferite è la Rodenbach, e finché sarà buona non smetterò di berla per quanto Palm sia partecipata al 70% da Bavaria.

Molti però fanno notare che la "nuova frontiera dell'educazione del consumatore" riguarda appunto la questione proprietaria: eventi che mettono insieme birre artigianali e non sono l'occasione per farlo, o finiscono piuttosto per confondere le idee? 
A me l'educazione del consumatore va benissimo, però bisogna ammettere che un approccio eccessivamente intellettualistico non ha cambiato di molto l'attitudine del consumatore medio italiano. Sicuramente va sostenuta la crescita della birra artigianale, ma la birra è anche convivialità e piacere di berla: e lì non c'è un giusto e uno sbagliato, si tratta molto semplicemente di gusti, e questi gusti possono includere la birra industriale. E poi bisogna portare la gente dentro ai locali, suscitando la curiosità e la voglia di tornare: in questo senso, ben vengano anche gli eventi in cui la birra non è l'unica protagonista. Osservo comunque che è cresciuto un pubblico più consapevole, meno legato alle mode del momento.

Che le multinazionali stiano allungando sempre più le mani sui birrifici artigianali è però un dato di fatto che non può più essere ignorato...
Posto che ritengo abbastanza inverosimile che i birrifici indipendenti vengano acquisiti in massa, dobbiamo ricordare che la "rivoluzione craft" è nata in risposta all'omologazione del gusto dettata dall'industria: e sotto questo aspetto non si torna indietro, né me lo augurerei. Se le acquisizioni dovessero risultare in un appiattimento del prodotto, la reazione ci sarà di nuovo; e i grandi gruppi lo sanno bene. Per il resto, un mercato sano è un mercato vario: non so se e quando scoppierà la bolla dei birrifici artigianali, certo ne rimarranno in campo di meno, ma non  si tornerà indietro.

lunedì 26 settembre 2016

Un'incursione a Gusti di Frontiera

L'ho chiamata "incursione" perché purtroppo quest'anno, a causa di altri impegni concomitanti, non ho potuto passare molto tempo alla nota manifestazione goriziana dove torno ogni anno con molto piacere; ma devo dire che le poche ore trascorse lì sono state piacevoli e fruttuose, per cui il bilancio non può che essere positivo.

La prima sosta birraria che ho fatto è stata da The Lure, dove Lorenzo mi ha invitata a provare il curioso abbinamento tra la sua birra di frumento Pink (un "ibrido" tra weizen e blanche, come ho spiegato nel post di presentazione del birrificio) e il kurtőskalács, tipico dolce ungherese che in quel di Gorizia spopola ogni anno con lunghe code agli stand che lo vendono (una pasta cotta su un supporto cilindrico che ruota sulle braci, e variamente ricoperta con cacao, zucchero, cannella, a seconda dei gusti). Il kurtőskalács in questione era al cacao, e in realtà - concordando con la fidanzata di Lorenzo: tra donne ci si intende, evidentemente - avrei suggerito piuttosto l'abbinamento con la apa Seattle, che nel suo equilibrio tra le note maltate e l'amaro avrebbe prima accompagnato e poi contrastato il dolce; ma Lorenzo ha insistito per la Pink, per cui così è stato. Devo dire che inizialmente la componente speziata piuttosto importante del lievito usato per questa birra andava a cozzare con il sapore tra il caramellato e il cioccolato del kurtőskalács, e sotto questo profilo la Seattle sarebbe stata più indovinata; la sopresa però è arrivata dopo, al retro-retro-retro (e ancora retro) gusto, quando queste componenti si sono amalgamate in bocca generando un connubio che - e qui invece devo dare ragione a Lorenzo - merita di essere provato. Un'interessante scoperta, insomma, per la quale ringrazio Lorenzo.


La seconda tappa è stata una nuova conoscenza, il birrificio Fortebraccio di Montone (Perugia). Nato quattro anni fa dall'iniziativa di due imprenditori homebrewer per hobby, che hanno ampliato il business trasformando in impresa questa loro passione, vanta una gamma abbastanza ampia di referenze - tutte alte fermentazioni eccetto una lager chiara al tartufo - con un occhio di riguardo per il prodotti del territorio - come la castagna per la ale ambrata, il già citato tartufo, e il vino Sagrantino di Montefalco docg usato per il barley wine/Iga Birrantino. Ed è appunto quest'ultimo che, nella mia chiacchierata con il birraio Andrea, ho assaggiato. Le note del vino - un rosso dolce - sono ben presenti all'olfatto, che unisce sentori quasi liquorosi a quelli tanninici; al palato però rimane un barley wine "in stile", senza particolare presenza del vino, che ritorna però sul finale. La presenza del Sagrantino è comunque sempre molto delicata, coerentemente con quella che Andrea mi ha spiegato essere la maniera di lavorare del birrificio - ok le aromatizzazioni e le sperimentazioni, ma senza strafare - per cui si tratta sì di un barley wine peculiare, ma non di un barley wine improbabile; anzi, sicuramente può risultare interessante per chi ama quel genere di vino. Unica nota, il fatto di essere stato servito alla spina probabilmente non ha reso del tutto giustizia al Birrantino, data la carbonatazione un po' sopra le righe per un barley wine che ne è risultata.

E rimanendo in tema Iga, del birrificio Antica Contea ho provato - dopo la oatmeal stout Pat at a Tap leggermente ossidata (su suggerimento di Costantino), che nonostante l'acidità all'olfatto mi avesse lasciata perplessa si è poi rivelata interessante - la Vingraf 2015, una strong scotch ale brassata nell'utunno dell'anno scorso miscelata a metà fermentazione con mosto di Sauvignon dell'azienda agricola Casa delle Rose e invecchiata in tonneaux usato in precedenza per vini bianchi. All'olfatto il sauvignon è ben presente, con aromi fruttati, preludendo al dolce maltato della scotch ale di base. Sul finale le due comnponenti tornano ad amalgamarsi, con in più una nota tra l'alcolico e l'acidulo - che contribusce alla pulizia, pur rimanendo una birra in cui prevale la componente dolce, direi quasi "zuccherina". La quantità è limitata, per cui sicuramente per gli appassionati si tratta di una "chicca" da provare; e per quanto non sia una grande amante del vino, e di conseguenza le Iga non rientrino generalmente nel mio personale catalogo delle birre preferite, devo dire che l'ho trovata una birra che rimane armoniosa nel suo insieme pur giocando con sapori e aromi forti.

Chiudo con un ringraziamento anche agli altri birrai dell'Associazione Birrai Artigiani Fvg, che, pur non menzionati in questo post, mi hanno come sempre accolta con calore; per il resto, questo è un periodo ricco di eventi, per cui rimanete sintonizzati...

giovedì 22 settembre 2016

Antica...anzi "nuova" Contea

Ieri sono finalmente stata, dopo qualche tempo dall'apertura, a visitare la nuova sede del birrificio Antica Contea a Gorizia. Così come l'inizio della nuova avventura è avvenuto "in sordina", senza inaugurazioni ufficiali né cerimonie di taglio del nastro con brindisi annesso, così i rinnovati spazi del birrificio rimangono piuttosto defilati: se volete arrivarci il consiglio è quello di munirvi di navigatore, e scandagliare attentamente i civici della via per beccare il portone giusto. Per ora, dicono però i birrai, va bene così: un passo alla volta, partiamo lentamente, e poi si vedrà.


In effetti, la prima cosa che colpisce è che si tratta sì di un singolo passo avanti, ma che ha le potenzialità per generarne molti altri. All'ingresso ad accogliere i visitatori è una piccola tap room in stile inglese, in cui fanno bella mostra di sé - oltre alle sei spine - descrizioni dettagliati delle birre a disposizione sulle pareti - così da fare cultura, oltre che offire semplicemente da bere. "Presto arriverà anche la moquette" - assicura Andrea, uno dei birrai "così saremo davvero britannici in tutto e per tutto". Lo spazio è per il momento modesto, ma basta varcare la porta posta dietro il banco per capire che se c'è una cosa che non manca sono i metri quadrati: al di là di quelle pareti si apre infatti un'altra stanza e un capannone molto vasto che, nelle intenzioni dei birrai, può in futuro aprirsi all'ampliamento dello spazio degustazione - soprattutto nella stagione fredda, quando non sarà più possibile tenere i tavolini all'aperto che al momento sono i più gettonati.


Cuore del capannone è però, naturalmente, il nuovo impianto: che, con i suoi 10 ettolitri, cotituisce un notevole salto dal precedente di appena 250 litri. Anche il parco fermentatori è stato rinforzato, con una capacità totale di 80 hl; e, dati gli ampi spazi disponibili, in futuro potrebbero aggiungersene altri. L'intenzione è quella, con una crescita ben pianificata, di arrivare nel giro di un paio d'anni a produrre 1000 hl annui - grosso modo il quadruplo della produzione attuale, forti anche del fatto di avere due collaboratori in aggiunta ai birrai Andrea e Costantino: un obiettivo ambizioso, in cui però i nostri sembrano aver calcolato con giudizio i passi da fare - compresi quelli per guardare anche all'estero, e a proposito dei quali promettono che ci saranno presto notizie. Del resto, se l'ordine delle cose è l'ordine delle idee, le premesse sono buone: accanto alla sala cottura troneggia appesa al muro una grande lavagna, in cui sono segnate per ciascuna cotta data, ora esatta di ciascuna azione intrapresa - se vi interessa, la prima cotta di Dama Bianca è iniziata alla 5.45: qui non si dorme, né sugli allori né sui letti - e tutti gli altri dettagli rilevanti. C'è da tener conto infine che dal primo gennaio Antica Contea diventerà ufficialmente birrificio agricolo: già sono stati avviati gli accordi per la coltivazione nelle campagne della zona e per la maltazione al Cobi.


La visita non poteva che concludersi con una birra, nella fattispecie la summer ale Pseudo Snowy, una monomalto Vienna e monoluppolo Palisade, con una luppolatura più delicata su toni tra il floreale e il fruttato. Se la volta scorsa avevo notato delle note di cereale che mi avevano ricordato il frumento, questa volta direi di no; confermo comunque che tiene insieme una struttura "leggera" ma non esile - il cereale è comunque presente, per quanto la dolcezza del Vienna non sia evidente - ad un'ottima bevibilità, con un finale fresco, secco e pulito senza lunghe persistenze.

Che altro dire? I migliori auguri per il futuro agli amici di Antica Contea...

lunedì 19 settembre 2016

Da Fiume Veneto a Forte Marghera

Anche quest'anno, per quanto mi sia dovuta limitare ad una toccata e fuga, ho fatto la mia visita d'ordinanza al Festival della Birra Artigianale di Fiume Veneto. Il primo weekend ha ospitato birrifici e beerfirm che già avevo avuto modo di conoscere ed apprezzare - Birra Galassia, Zahre, Big Hop con birra anche di Opperbacco e Bibibir, Kundmuller con Weiherer Bier, e La Birroteca con una lunga lista di birre disponibili. Unico "sconosciuto", il beerfirm (si appoggia a Sante Sabide) Birra Taiedo, dell'azienda agricola La Maddalena - di cui ho provato una blonde ale in cui però ho trovato alcuni difetti riconosciuti anche dal titolare: l'augurio fiducioso, dato che sono ancora agli inizi, non può quindi che essere quello di "aggiustare il tiro" in futuro. Da segnalare la sosta da Weiherer Bier dove, oltre alla Rauch che mi ha positivamente colpita per la sua morbidezza, ho provato la nuova Hell Zwickerla: prufumi intensi di crosta di pane dati dal lievito ben presente in sospensione, e particolarmente piena e ricca al palato con note di cereale e miele, senza però sacrificare la giusta secchezza sul finale di un amaro tenue.

Il giorno successivo sono invece stata alla prima edizione del BeVé - Beer in Venice - definita come "Biennale della Birra ad alto tasso di creatività" - a Mestre, nella suggestiva cornice di Forte Marghera. Già mi erano noti Camerini, Birrificio del Doge, Sognandobirra, Praforte, BiRen, Casa Veccia e B2O; nuovi mi erano invece Mesh (beerfirm che si appoggia a Bav), Corti Veneziane, Beer In, Matthias Mueller, Couture e Morgana. Insomma, ce n'era per passarci una giornata intera, cosa che del resto ho fatto - contando anche la partecipazione ad uno dei laboratori di degustazione, quello sulle birre ad alta fermentazione condotto la Luca Grandi. Del Mesh - che sta per Mauro, Enrico e Stefano Homebrewers - ho provato in prima battuta l'American Wheat White Noise, birra di frumento con polpa di frutto della passione. Per quanto il frutto sia ben presente al naso, non arriva comunque a sovrastare del tutto gli aromi del lievito e del frumento che salgono da sotto ad una schiuma ben persistente; un equilibrio fresco che si mantiene anche al palato, per chiuedere con un ritorno finale acidulo dato dal frutto della passione - personalmente l'avrei gradito meno marcato, ma non è comunque tale da risultare eccessivo. In seconda battuta la scotch ale No Kilt, meno dolce e leggermente più attenuata rispetto alla media dello stile, e dalla mordiba torbatura sia al naso che al palato, per un finale in cui il caramello lascia il posto ad una secchezza lievemente amara (la ricetta prevede East Kent Golding in dry hop); e infine la Peste Nera, una black Ipa che si contraddistingue per i sapori di liquirizia, di cui attendo la versione che sta maturando in botti di rum. Si sente nelle loro birre che i ragazzi sono ancora in fase "sperimentale" (hanno avviato l'attività da poco più di un anno), essendo meno "pulite" rispetto a quelle di birrifici di più lungo corso; ma direi che le premesse sono molto buone, e confido che il tocco di originalità che mettono nelle loro birre troverà un sempre maggiore affinamento.

Di più lunga esperienza è invece il Beer In di Trivero (Biella), nato nel 2011, e noto per la medaglia d'oro per la sua rauch Rata Vuloira ("il pipistrello": tutte le birre hanno nomi di animali in dialetto locale) a Birra dell'Anno 2016. L'ultima novità è la "Trilogia delle Ipa", ossia la stesso mosto di base ma con tre lupolature diverse - luppoli dal'Oceania, dall'Europa e dall'America; io ho provato però durante la degustazione la dark strong belgian ale Babi (il rospo), color tonaca di frate, in cui all'aroma spicca il miele d'erica che viene aggiunto - insieme alla frutta secca e alla prugna, insieme a qualche nota tostata. Un connubio complesso che si protrae anche nel corpo caldo, rotondo e ben pieno, fino ad un finale in cui la buona carbonatazione esalta le note alcoliche - per quanto non così forti da essere invadenti, almeno non per una belgian strong ale.


Di Corti Veneziane - aperto da dicembre 2015 - ho assaggiato per prima la pils Kanaja - del resto è lo stile considerato "metro di misura"...-, nata in collaborazione con il gruppo musicale Rumatera in occasione di un concerto di raccolta fondi per le vittime della tromba d'aria nella riviera del Brenta. Delicato l'aroma tra il floreale e lo speziato dei luppoli tedeschi, e particolarmente ricco il corpo dall'intenso sapore di cereale - sulla scuola delle pils ceche: tanto che conclude infatti con un amaro altrettanto ricco ma non molto secco, creando un curioso contrasto che ho apprezzato. Assai fiduciosa ho quindi assaggiato durante la degustazione la Redentor, definita come "doppio malto di stile tedesco" (alla mia richiesta di ulteriori precisazioni sullo stile mi è stato risposto che non c'è uno stile particolare a cui il birraio si è ispirato); qui personalmente ho trovato invece un po' troppo marcati gli aromi di caramello che si protraggono poi lungo tutta la bevuta, lasciando una persistenza decisamente dolce in cui tornano note di miele.

Più complesso si fa il discorso per l'agribirrificio Couture (nome scelto per richiamare l'artigianalità del lavoro) aperto da quest'anno: il birraio Andrea mi ha infatti condotta in un lungo e interessante viaggio attraverso le numerose tipologie di birra prodotte (no, non mi ha ubriacata: e gli appunti ordinati che ho preso dalla prima all'ultima birra lo provano). Siamo partiti dalle birre di frumento - una weizen pulita e in stile, dal corpo particolarmente pieno; e una blanche in cui è ben evidente l'aroma di coriandolo e l'agrumato del bergamotto -, fresche e ben attenuate, per poi passare alle pale ale "gemelle" denominate "Mr & Ms Icon" - la prima che in effetti richiama il maschile, con gli aromi più acri di agrume e frutta tropicale, e un amaro cirtrico e sferzante alla fine che contrasta improvvisamnete il corpo in cui ho colto una punta di miele di castagno; e la seconda il femminile, con un bouquet fruttato più delicato in cui personalemnte ho sentito spiccare l'uva spina e la papaya, a cui segue un corpo snello e un delicato finale agrumato. Da ultimo la Vienna, in cui più che i toni di biscotto da manuale ho colto quelli di miele e frutta secca; ad Andrea peraltro non devono piacere le birre tropo dolci, perché anche in questo caso l'attenuazione è più marcata ella media dello stile e l'amaro erbaceo finale non lascia alcuna persistenza di malto. Nonostante la giovane età del birrifico, le ho trovate tutte birre molto pulite anche là dove si è voluto osare; attendo quindi con ansia la loro Iga con mosto d'uva glera, al momento non ancora disponibile.

Di Matthias Mueller, consulente tecnico e mastro birraio che fa la spola tra la Germania e l'Italia - nonché altre parti del mondo, là dove il lavoro lo porta - ho provato la Bassana, birra di frumento con malto di farro e asparago: devo dire che non ho colto l'asparago se non molto sullo sfondo - la signora che me l'ha presentata sostiene tuttavia che viene valorizzato nell'abbinamento con piatti agli asparagi, cosa che purtroppo non ho potuto verificare...- mentre è ben presente la componente del cereale e del lievito. Di Morgana infine ho assaggiato la Ginevra, una blonde ale "ibrida" che prevede l'utilizzo di luppoli e malti tedeschi e lievito belga. Al naso spiccano soprattutto i luppoli tedeschi, con gli esteri del lievito che rimangono più sullo sfondo; mentre il corpo più pieno richiama invece la tradizione belga, con qualche tono di miele, fino ad un finale lievemente amaro che non oblitera completamente i toni dolci.

Ultima nota per la presentazione del libro "Fatti di birra" di Michela Cimatoribus, Marco Giannasso e Andrea Legittimo, a cui non ho potuto partecipare causa treno in partenza: è stato comunque una piacevole lettura durante il viaggio, di cui ringrazio gli autori.

venerdì 16 settembre 2016

Collage settembrino


Settembre - e anche ottobre, del resto....ma ultimamente un po' tutto l'anno - è un mese particolarmente ricco di eventi sul fronte birrario. Dopo l'anteprima di Friulidoc che ho avuto il piacere di condurre, e di cui ho già scritto, il giorno successivo è stata la volta dell'inaugurazione di Urban Farmhouse a Pordenone: un locale che gli ideatori - Sabrina Coletti, insieme a Christian Gusso e Fabio Biasotto - definiscono "osteria della birra". Si tratta di una birreria sui generis, dotata anche di un orto esterno - siamo infatti negli spazi dell'orto sinergico gestito dall'associazione "Il Ballo della Scrivania" di via Brusafiera - e soprattutto di una bottaia nei sotterranei del locale per la produzione di birre a fermentazione spontanea , barricate, e soprattutto delle antiche “Farmhouse beer” di tradizione belga utilizzando anche la frutta coltivata in loco. Ad occuparsene è Christian, contitolare di Birra Galassia, che va decisamente fiero di questa sua iniziativa "perché in Friuli nessuno fa questo genere di birre". 
Al di là di questo, la tap list (che potete vedere in foto) e anche le birre in bottiglia sono di tutto rispetto: si contano nomi come Cantillon, Fantome, Bevog, Weyerbacher, Pretty Things e molti altri. Personalmente mi sono data alla Rowing Jack di Ale Browar, una Ipa dai notevoli profumi di pino e dallo sferzante amaro finale, e alla Arctic Sunstone di Amager e Three Floyds, una apa che punta invece sugli aromi intensi ma comunque non invadenti di frutta tropicale. Da notare, tra le dieci vie, le due pompe; che hanno peraltro reso giustizia alla Hot Night at the Village di Foglie d'Erba. Ultima nota va alla componente gastronomica, che punta sui panini gourmet, prodotti del territorio e barbecue: si cui si è avuto un (apprezzatissimo) assaggio già quella sera.

In Friuli, poi, dire settembre è dire Friulidoc: occasione per me sia di riprovare birre già note - in particolare è stato interessante ritrovare dopo tanto tempo la Polaris di Zanna Beer, che ha assunto lo "status" definitivo di pils, ma che si distingue al'interno del genere appunto per l'intenso profumo tra lo speziato e il balsamico del luppolo polaris in dry hopping - che di sperimentarne di nuove. Tra queste la Marzen di Meni, nuova creazione nata praticamente "per sbaglio" - fatevi raccontare se avete l'occasione....- e "salvata" con abilità, che fa seguire agli aromi erbacei decisamente "tedeschi" un corpo in cui il malto Vienna entra in forza, ma senza invadenza, con i toni di biscotto e caramello. Per chiudere, un'inaspettata sferzata di amaro deciso ma ben dosato, in un finale secco e ben attenuato. Una conferma della versatilità di Meni sia sulla alte che sulle basse fermentazioni, dote non scontata anche tra birrai di provata esperienza. E ad essersi messo alla prova nel terreno delle basse fermentazioni è infatti anche un birraio affermato come Gino Perissutti di Foglie d'Erba, con la pils Golem: anche a Forni di Sopra pare quindi essere arrivata la tendenza che ultimamente si vede da più parti a ricercare la pulizia e semplicità - proposito riuscito, pur dandoci un tocco di personalità nei profumi più intensi delle pils classiche con Spalter, Tettnanger e Hersbruck. Una pils in stile ma non banale, con un corpo robusto quel tanto che basta da non essere così beverina da scendere senza aver nemmeno avuto il tempo di gustarla, ed un finale secco e pulito. In tutti questi ultimi casi che ho nominato, dicevo, trovo confermata - almeno tra i birrifici artigianali friulani - una sempre minore volontà di suscitare lo stupore con le proprie birre; ma di puntare piuttosto su ricette che prevedano aromi e sapori meno intensi, accompagnati da una maggior cura della "pulizia" dell'insieme. Il che nn significa necessariamente rimanere rigidamente al'interno di uno stile, ma anche l'andare necessariamente sopra le righe non trova più molto seguito (se mai ne ha trovato a parte poche eccezioni, in Friuli: ho visto molto di più questa tendenza in altre parti d'Italia).

E mi fermo qui, perché si apre un altro weekend intenso: rimanete sintonizzati...


martedì 13 settembre 2016

E' (ri)tornata la Thomas Hardy's

Come chi segue la mia pagina Facebook già saprà, ieri alla Milano Beer Week ho partecipato alla presentazione in anteprima della Thomas Hardy's Ale, nella "nuova vita" ridatale dai fratelli Vecchiato - titolari di Brew Invest e di Birra Antoniana - con l'acquisizione del marchio. Non mi dilungherò sulla storia di questa birra - peraltro già raccontata con dovizia di particolari da Maurizio Maestrelli nel libro "Thomas Hardy's Ale, la storia, la leggenda" -: mi limito a dire che si tratta di un barley wine prodotto per la prima volta nel 1968, per il quarantennale della morte dello scrittore Thomas Hardy che nel suo libro "The Trumpet Major" aveva tessuto le lodi di una "strong beer" di Dorchester. A produrla fu il birrificio Eldridge Pope, che intendeva farne una birra creata solo per l'occasione; ma riprese poi la produzione nel 1974 per portarla avanti fino al 1999, anno in cui i costi e la laboriosità del processo fecero decretare la sospensione. 


Dal 2003 al 2008 fu la volta del birrificio O'Hanlon, su iniziativa dell'imprenditore americano George Saxon; finché nel 2012 il marchio (e relativa ricetta) è stato acquisito dai fratelli Vecchiato. In questo senso mi trovo d'accordo con Maurizio Maestrelli che, nel presentare la birra, ha sottolineato come questa sia anche una "case history imprenditoriale": i Vecchiato non sono birrai né vogliono esserlo, semplicemente sono degli imprenditori che - in quanto tali - aguzzano la vista in cerca di prodotti che reputano interessanti, e quando li trovano ci investono. Dopo aver cercato tra i birrifici inglesi qualcuno che intendesse produrla per loro conto - intendevano infatti lasciare la produzione in Inghilterra - alla fine l'accordo è stato raggiunto con Meantime Brewery (sì, quella che è prima stata acquisita da SabMiller e poi ceduta ad Asahi; però non è qui che voglio ritornare sulla tanto discussa questione dell'irrefrenabile istinto allo shopping dei grandi gruppi); e dopo un anno e mezzo di lavoro è stata presentata appunto ieri, alla presenza - oltre che di Maestrelli e Sandro Vecchiato - del giornalista inglese Roger Protz, autore di The World Guide to Beer.

Diciamocelo, le aspettative erano alte: stiamo parlando di un barley wine con fermentazione secondaria in bottiglia pensato per essere bevuto dopo anche 25 anni - nove mesi sono considerati il minimo sindacale -, inserito da Adrian Tierney-Jones nelle "1001 birre da provare prima di morire"; e che nelle sue precedenti versioni aveva raccolto il plauso di alcune tra le più eminenti personalità del mondo birrario, e in quella attuale si è aggiudicata l'oro all'International Beer Challenge e quello di Country Winner per il Regno Unito ai World Beer Awards. Impossibile insomma non essere curiosi, e quando i camerieri sono arrivati con le bottiglie - tutte rigorosamente nuerate, in quanto edizione limitata - ci ho subito tuffato il naso. L'impatto è notevole: dalle note che a me hanno ricordato il legno - pur non essendo uscita da una botte, anche se una prima cotta sperimentale sta attualmente maturando in botti di rum -, a quelle liquorose della frutta sotto spirito (prugne e fichi in particolare), a quelle di cuoio e tabacco, ai sentori torbati e alcolici, l'intensità è di quelle per narici che non hanno paura. In bocca arriva poi il calore del malto, tra il caramello, il miele e la frutta secca, insieme però ad una carbonatazione che ho trovato piuttosto sopra le righe per un barley wine; così come il finale, in cui oltre ad una lieve punta speziata, arriva in grande forza la componente alcolica accentuata ancor di più dalla carbonatazione di cui sopra. Intendiamoci: non oserei mai contraddire grandi critici che si sono espressi in favore di questa birra; però prima di dire se il risultato è di mio gradimento o se, a mio pur modesto e discutibile parere, c'è da migliorare, mi riservo di attendere: la birra che ci è stata servita ieri è giovane, e sicuramente presenta ancora delle "spigolosità" - su tutte la mancanza di un'attenuazione tale da assecondarne la beva, dati anche gli 11 gradi alcolici - dovute, diciamo così, alla giovane età. Del resto, come ha riferito Derek Prentice di Meantime, fare una birra del genere è una sfida soprattutto sotto il profilo del lievito, e si procede anche per tentativi: Vecchiato ha assicurato che, su tre lotti fatti sinora, i birrai hanno sempre affinato la tecnica, ed è fiducioso in ulteriori perfezionamenti futuri. Insomma, non mi permetto di "bocciare" niente e nessuno, ma la Thomas Hardy's - almeno quella di nove mesi - non mi ha convinta. Rimango fiduciosa di bere tra un paio d'anni la bottiglia che ho portato a casa ed apprezzarla meglio, ma appunto ne riparleremo.

In quanto al futuro della Thomas Hardy's, Vecchiato si è detto certo che, grazie anche alle nuove tecnologie produttive "che rispettano comunque la tradizione della Thomas Hardy's", questa volta la birra sarà economicamente sostenibile sia per il produttore che per il consumatore (ha prospettato un prezzo attorno ai 10 euro per la 0,33); e se la Thomas Hardy's originale rimarrà in Inghilterra come produzione, non esclude possibili reintepretazioni anche in Italia. E qui fa capolino il vulcanico Teo Musso - e non a caso la presentazione è avvenuta al Baladin Milano -: Vecchiato ha infatti riferito di interlocuzioni in corso col birraio di Piozzo. Dato che quando si parla di Musso, dire che "una ne fa e cento ne pensa" è un eufemismo, rimaniamo in attesa di notizie su questo fronte.

Che altro dire? Se siete curiosi e vi dovesse capitare tra le mani una bottiglia, non mi resta che suggerirvi - come del resto hanno fatto anche gli intervenuti alla presnetazione - di avere pazienza e non berla subito...


giovedì 8 settembre 2016

Aspettando Friulidoc

Ho avuto il piacere di condurre ieri sera la degustazione organizzata da Confartigianato Udine come anteprima di Friulidoc, in collaborazione con l'Associazione Birrai Artigiani del Friuli Venezia Giulia. Se all'inizio la presenza sembrava languire, ho visto poi con molto piacere la sala riempirsi, fino a superare il numero di posti previsto (tanto che qualcuno è dovuto ahimé rimanere fuori): il che è di buon auspicio per tutti i birrai che si accingono a partecipare alla manifestazione che inizia oggi.

Se la seconda, terza e quarta birra previste per la degustazione - rispettivamente la Soresere, la Orodorzo e la Eclissi - mi erano già note, non lo era la prima, la Blanche brassata in collaborazione tra Borderline e Pighi (che mi sono quindi precipitata ad assaggiare, guarda un po' te che sacrifici tocca fare). Al di là del coriandolo e della bucia d'arancia "d'ordinanza", questa blanche vede l'utilizzo del pepe di Sechuan, ad accentuare la speziatura.

Se in genere tutto si può dire di Borderline tranne che faccia birre che passano sottotraccia - anzi, molte si distinguono per l'intensità di tutte le componenti sia olfattive che gustative - questa volta devo dire che ho trovato una blanche "sobria": se coriandolo, buccia d'arancia e pepe sono chiaramente distinguibili al naso - e lo sono in questo preciso ordine, almeno per quella che è la mia sensibilità -, rimangono comunque lievi e delicati; così come il profumo del lievito, appena percepibile. Una delicatezza che trova il suo corrispondente anche nel corpo più scarico di altre blanche e al palato, in cui le note maltate sono tenui e con un leggero acidulo da cereale sul finale; che contribuisce ad una chiusura pulita e poco persistente, nonostante il tocco pepato che ritorna. Una chiusura che del resto appare adatta ad una birra che si capisce non puntare a stupire ma voler essere semplice, fresca e dissetante.

Che altro dire? Peccato che le birre fossero solo quattro, per quanto assaggiarne sedici - una per ciascun birrificio associato - fosse chiaramente improponibile; non resta che rifarsi a Friulidoc...