venerdì 30 luglio 2021

Nuova birra dell'Università di Udine: e questa volta è tutta fatta "in casa"

Già avevo parlato, negli anni scorsi, della serie di birre realizzate dagli studenti del corso di tecnologia della birra del prof. Buiatti all'Università di Udine: un progetto nato nel 2018, in collaborazione con Baladin, e che vedeva gli studenti elaborare ogni anno (insieme a docente e birraio, naturalmente) una ricetta che poi veniva messa in produzione a Piozzo e venduta attraverso i canali dell'ateneo.

La cosa sta proseguendo, e con un approccio più "locale": per la prima volta infatti la produzione è avvenuta interamente in Friuli e con materie prime friulane, presso il birrificio Garlatti Costa di Forgaria. Una scelta nata dall'incontro tra le necessità di limitare gli spostamenti imposte dalla pandemia (che ha peraltro fatto saltare la produzione 2020) e la volontà, sia da parte dell'ateneo che da parte del birrificio, di valorizzare la filiera locale; e che si è concretizzata in una Belgian Blond Ale allo zafferano. Insomma, per dirla con Severino, la birra dell'Università di Udine ha trovato la sua collocazione naturale in un birrificio friulano che l'ha prodotta con materie prime friulane.

Il malto è infatti arrivato dall'orzo coltivato da Garlatti Costa (e dei malti speciali si è occupata appunto la malteria sperimentale dell'Università), il luppolo - Cascade per la precisione - dall'azienda biologica Luppolo Verde di Polcenigo (Pordenone), e lo zafferano da un'altra realtà locale, Zafferano 01.

Per chi conosce Severino e le sue creazioni, vedendo la descrizione di questa birra è facile capire come ci sia il suo "marchio di fabbrica": riferisce infatti di aver utilizzato il suo "storico" lievito belga (per anni è stato denominatore comune di tutte le sue birre, "giocando" sul fatto di farlo lavorare in maniera diversa) e di aver pensato lo zafferano non tanto come aromatizzazione a sé stante, ma piuttosto come qualcosa di inserito nel quadro della speziatura tipica di questo lievito. Tipico delle birre targate Garlatti Costa è anche il fatto di unire una base belga ad una luppolatura più audace (del resto in ambiente birrario si usa scherzare sul fatto che i belgi non sanno che cosa sia il luppolo, eccetto il suranné), spesso americana: in questo caso appunto il Cascade, utilizzato anche in dry hopping. Una birra che si propone dunque come in linea con quelle della casa, di facile bevuta nonostante una certa complessità organolettica e il medio tenore alcolico (6 gradi).

La birra sarà disponibile da lunedì 2 agosto nei canali dell'azienda agricola dell'Università (che rifornisce anche alcuni locali a Udine) e nella tap room di Garlatti Costa. Per ora è stata fatta una prima cotta lo scorso giugno, ma ne è prevista un'altra in autunno (così da raggiungere il quantitativo di 6000 bottiglie solitamente prodotto gli anni scorsi, spiega Buiatti, dato che l'impianto di Baladin è ovviamente più grande).

È quindi partita una nuova via di valorizzazione della filiera locale (e non a caso il birrificio Garlatti Costa ha ottenuto il marchio regionale "Io sono Friuli Venezia Giulia")? Sia il birraio che il professore non escludono nulla per il futuro: "È una cosa nata non certo dalla volontà di "tradire" Baladin, ma dalla situazione della pandemia - spiega Buiatti -; però va ricordato che l'Università di Udine è storicamente impegnata nel campo dello sviluppo delle produzioni locali, e tanto più lo è in un momento come questo in cui si guarda alla ripartenza dopo la pandemia. Non mi lancio in previsioni perché sappiamo che il futuro è ancora incerto, però è comunque un percorso che è stato avviato e che sarei felice di veder proseguire". Un approccio che lascia dunque aperta sia la porta Baladin che quella Garlatti Costa - o di un altro birrificio friulano -, magari in maniera parallela? Non resta che attendere gli sviluppi.

venerdì 23 luglio 2021

A Rovigo dal 2023 sarà operativa la più grande malteria italiana: alcune riflessioni

Nei giorni scorsi sia Il Sole 24 Ore che poi Cronache di Birra - articoli che invito a leggere per avere un quadro più completo della situazione - hanno dato notizia dell'annuncio dell'apertura di una malteria in provincia di Rovigo, la cui operatività è prevista per il 2023. Chiaramente una notizia importante per il comparto brassicolo italiano, dato che la scarsità di malterie presenti sul territorio nazionale ha sempre reso necessario, o comunque più conveniente (specie nel Nord Italia) andare all'estero a maltare il proprio orzo.


Al netto di quanto già spiegato negli articoli, aggiungo alcune considerazioni. Da quanto ho visto confrontandomi con i birrifici - e parlo qui di quelli agricoli, che utilizzano il malto del proprio orzo e quindi hanno necessità di una malteria - in questi ultimi anni si sono viste due tendenze di segno in qualche misura opposto: da un lato, per chi si reca in Austria e Germania presso le grandi malterie (e preciso quindi che sto parlando perlopiù di birrifici appunto del Nord), è venuto progressivamente riducendosi il problema di non raggiungere il lotto minimo: verosimilmente perché le malterie si sono organizzate per rispondere ad una domanda in crescita da parte delle piccole realtà, accogliendo anche lotti più piccoli rispetto a quelli dei grandi produttori. Naturalmente qui si inserisce la questione cruciale della tracciabilità, che viene richiesta in sempre più casi (per chi non fosse avvezzo alla questione: se consegno X quintali di orzo e ne ricevo indietro Y di malto, voglio essere certo che quello sia malto del mio orzo, e non di altri perché è stato mischiato con ulteriori forniture per raggiungere la capienza della struttura di maltazione).

Dall'altro, è cresciuta la domanda e la sensibilità per una filiera interamente italiana. Non solo quindi le uniche due grandi malterie del Sud, ma anche le piccole realtà (penso ad esempio al Cobi, o finanche a piccole malterie sperimentali) sono diventate un'alternativa valida non solo per chi ha appunto produzioni minime, ma anche per chi pur potendosi potenzialmente recare altrove vuole rimanere all'interno dei confini nazionali. Fino a casi come quello del Birrificio Contadino Cascina Motta di Sale (Alessandria), che racchiude in sé l'intera filiera, maltazione compresa, per tutte le materie prime (primo e unico caso ad oggi in Italia tra gli artigianali). Aggiungiamoci poi che anche i birrifici non agricoli, nel comprare il malto, manifestano interesse verso quello lavorato in Italia - e non è un caso che il tema della filiera italiana sia uno di quelli al centro dell'azione di Unionbirrai.

Detto ciò, è evidente che rimane da capire quali prospettive possono effettivamente aprirsi per i birrifici artigianali - dato che, almeno in una prima fase, saranno i grandi birrifici industriali i primi clienti. In altri termini, bisognerà vedere fino a che punto la malteria intenderà aprirsi alle richieste di una clientela che, ad ora, rappresenta poco più del 4% (secondo le stime di Unionbirrai) della produzione birraria nazionale: e quindi il fatto di accettare piccoli lotti dagli agribirrifici, a quali condizioni economiche e logistiche, e l'eventuale garanzia di tracciabilità anche su questi (questione apertamente affrontata da Teo Musso nel presentare il progetto della malteria). Agli agribirrifici bisogna poi naturalmente aggiungere tutti quei birrifici artigianali interessati ad acquistare orzo italiano, e la malteria potrebbe quindi diventare anello di congiunzione tra coltivatori e birrai - tanto più in una zona d'Italia che abbonda sia degli uni che degli altri.

È lecito credere che la nuova malteria non solo si porrà come fornitore anche dei birrifici artigianali (come è ovvio che sia) ma che che anche accoglierà almeno in qualche misura le loro istanze, visto che il peso a livello di immagine del settore birrario artigianale italiano è ben superiore a quello della sua produzione in termini quantitativi. Ad ogni modo, questo progetto industriale ha le potenzialità pèer dare una svolta al futuro della birra italiana.

lunedì 12 luglio 2021

Un ritorno da Gjulia

Venerdì scorso, cogliendo l'occasione del primo anniversario dell'apertura, sono tornata all'Agriristoro Stazione Gjulia - di cui avevo già parlato in questo post. Anche in questo caso sono stata accolta dal birraio e berisommelier Doemens Mirco Masetti, che mi ha guidata in una carrellata sulle birre prodotte - e in particolare su quelle che non avevo provato nelle precedenti visite, o che presentavano delle differenze nella ricetta.

Ho iniziato dalla Helles, un esemplare limpido, sobrio e pulito dello stile: luppolatura tedesca d'ordinanza di toni discreti su altrettanto discreti aromi di pane fragrante, senza alcuna nota di dms - e mi riferisco a quelle definite come "tollerabili per lo stile", che in effetti spesso si riscontrano. Fresca e dal corpo snello, amaricatura finale presente quel tanto che basta ad essere percepita e non persistente. Per chi cerca una Helles semplice e "da manuale", senza particolari caratterizzazioni specifiche - detto in altri termini: si sente che qui l'attenzione è posta non sul dare "carattere" alla Helles, ma sulla pulizia tecnica. Interessante sarà vedere le evoluzioni di questa birra quando, come anticipatomi da Mirco, grazie alla presenza di sette tank aggiuntivi da poco arrivati in birrificio sarà possibile allungare i tempi di maturazione (dalle attuali 4-5 settimane alle 6-7): l'idea è che ne guadagni ulteriormente in pulizia.

Sono poi passata alla Weizen, a ricetta leggermente cambiata rispetto allo scorso anno e maturazione a 15 gradi: ne risulta un aroma decisamente esuberante di banana, che però non si traduce in una persistenza in bocca di questi stessi toni. Parliamo comunque di una Weizen particolarmente piena al palato, dai ricchi sapori di cereale, e chiusura acidula supportata dalla buona carbonatazione come da manuale. Significativa l'assoluta impenetrabilità alla vista di questa birra, data - assicura Mirco sulla base delle analisi di laboratorio - non tanto dal lievito in sospensione ma dalle proteine. Una vera e propria fetta di pane, insomma, tanto più che "riempie" proprio la bevuta data la sua peculiare corposità - che comunque non incide negativamente sulla bevibilità: stiamo sì parlando di una Weizen in qualche misura meno "scorrevole" di altre, ma che rimane comunque all'interno dei canoni di freschezza dello stile.

In terza battuta la Ribò, Iga con mosto di Ribolla Gialla. Rispetto ad altre Iga risulta qui più evidente la luppolatura in aroma, Hallertau Blanc, senza lasciare dunque che sia esclusivamente o quasi il vitigno a farla da padrone al naso: si punta qui piuttosto ad un - ben riuscito, a mio avviso - connubio tra le due componenti, che gioca tra il fruttato - uva, frutta tropicale, frutta gialla - e l'acidulo - con tanto di qualche reminescenza agrumata. Anche qui, in ossequio all'impronta tedesca del birraio, si percepisce chiaramente l'intento di fare una birra di facile beva: corpo sempre scorrevole, tra il cereale e una nota fruttata di mosto - che in ogni caso non arriva mai a diventare il protagonista - con la "sorpresa" però di una chiusura tendente al dolce, per quanto non persistente né "zuccherosa" - tale dunque da pregiudicare la freschezza e l'equilibrio complessivi.

Da ultimo sono tornata su quella che viene definita come Ambrata, una Festbier, che ricordavo mi aveva parecchio sorpresa l'anno scorso. E in effetti confermo la sorpresa per una birra sui generis e dai toni parecchio vivaci: si va dagli aromi erbacei dei luppoli inglesi a quelli tostati, a un corpo ben pieno ma scorrevole che gioca tra crosta di pane ben cotta, biscotto e caramello, all'amaricatura verace che arriva a chiudere la bevuta - più incisiva e persistente di quanto me la ricordassi. Una birra che va quasi più incontro ai gusti di chi ama le bitter e in generale la tradizione britannica - a cui vuole infatti strizzare l'occhio - che a chi ama quella tedesca, che predilige equilibri tra cereale e luppolo giocati su toni meno esuberanti.

Grazie di nuovo a tutto lo staff di Gjulia e in particolare a Mirco Masetti per l'ospitalità e l'interessante confronto. Da segnalare, per le famiglie con bambini, la disponibilità di uno spazio gioco all'esterno - cosa di cui non ho mai colto davvero l'importanza finché non sono diventata mamma io stessa...