venerdì 8 luglio 2022

Ritorno in Galassia

No, non è il titolo di un nuovo episodio della saga di Star Wars, ma il riferimento al fatto che - pur con mesi di ritardo, causa gravidanza - ho onorato l'invito fattomi dai birrai di Birra Galassia (Pordenone) ad assaggiare alcune nuove birre. A onor del vero, una di queste - la Wow - nuovissima non è più, nel senso che lo era ai tempi dell'invito; una - la Galassia - è "semplicemente" una nuova versione della loro birra di bandiera, prodotta fin dagli esordi come beerfirm; e solo la Gamma Rye è propriamente nuova, essendo stata presentata pochi giorni prima della mia visita.

La prima che ho degustato è stata proprio la Gamma Rye. Già la definizione dello stile - Session Kveik Neipa - lascia presagire una certa originalità; ma va detto che sarebbe ingenerosa l'accusa di "famolo strano", che spesso viene rivolta a chi si avventura in creazioni dai nomi esotici. Si tratta di una birra di 3,5 gradi alcolici - Session, appunto - dall'aspetto impenetrabile - come ogni Neipa che si rispetti - e dalla luppolatura vivace ma non invadente su toni agrumati (Idaho, Citra e Amarillo). A contraddistinguere davvero la Gamma Rye è però la componente di cereale, con segale (rye, in un gioco di parole con Gamma Ray, raggio gamma), avena, e come malto base il Pils - che a detta del birraio Davide consente di ottenere un risultato più "pieno" rispetto al Pale: si potrebbe quindi fare le pulci alla definizione di Pale Ale, ma sarebbe questione di lana caprina. Al palato appare infatti eccezionalmente ricca sotto questo profilo, quasi come avere in bocca una fetta di pane ai cereali - ottimo infatti l'abbinamento con la coppa - e quasi "grezza", a mo' di certe Zwickel tedesche (non fraintendetemi, chiaro che lo stile è completamente diverso, ma mi riferisco alla "pienezza grezza" del cereale). Una rosa di sapori che si tiene assai bene per mano con l'acidulo della luppolatura, rendendo il corpo snello nonostante la pienezza. Finale netto ma non persistente in cui si tengono sempre per mano l'acido resinoso della luppolatura e quello tipico dell'avena, lasciando l'impressione di equilibrio complessivo della bevuta. Ultima nota informativa sul Kveik, lievito norvegese che ha la caratteristica di fermentare a temperature molto elevate (anche sopra i 30 gradi) senza tuttavia sviluppare particolari esteri (che infatti non si colgono in questa birra).

Più nei canoni stilistici la Wow, definita come "Juicy Ipa": aromi da succo tropicale - nominate un frutto esotico a caso e fidatevi che ci sarà qualcuno che lo sentirà - con qualche rimando agrumato e resinoso, dato da una luppolatura variegata tra sabro, mosaic, galaxy e azacca; corpo decisamente snello senza indugi sul cereale, che fa spazio subito al persistente ma elegante finale resinoso. Più nelle corde di chi ama le Ipa propriamente dette, mentre la precedente Gamma Rye la consiglierei più a chi cerca un equilibrio di impronta "continentale" tra luppolo e cereale, pur con una luppolatura d'oltreoceano.

Da ultimo la Galassia, definita "Saison Ipa" dall'incontro dei due stili, e che ho provato per la prima volta da quando il birrificio ha avviato il proprio impianto - che tra l'altro lavora in isobarico, e quindi anche le birre già brassate prima presentano delle differenze. Ho infatti colto molto meno la componente che ho definito "belga" del lievito, mentre prima lo speziato era decisamente preponderante (il che è coerente con il minore sviluppo di esteri in isobarico); per lasciare più spazio alla luppolatura fruttata - principalmente frutta a pasta gialla - con anche un tocco di vaniglia. Corpo caldo di caramello, prima di un finale netto e non troppo persistente di un amaro resinoso equilibrato con il malto.

Ho infine avuto modo di fare due parole con Davide e Tommaso sui progetti futuri: al di là delle sperimentazioni più o meno estemporanee - Davide ammette candidamente di divertirsi a non fare mai una cotta uguale all'altra anche delle birre fisse, in una costante ricerca: e qui potremmo citare la mai sopita diatriba tra ricerca della costanza e quella dell'innovazione - c'è in programma un'incursione nel terreno sinora inesplorato delle basse fermentazioni. Insomma, dato che ai ragazzi la fantasia non manca, staremo a vedere.

Grazie ancora a Tommaso e Davide per la calorosa accoglienza.

giovedì 7 luglio 2022

Report 2021 di Assobirra: qualche riflessione

È stato presentato oggi, 7 luglio, il report 2021 di Assobirra; che, per quanto redatto dal punto di osservazione degli industriali del settore, offre alcuni spunti utili anche per l'artigianato nella misura in cui getta uno sguardo sull'intero comparto.


Tra i tanti numeri presentati, uno di quelli che balzano all'occhio è il consumo pro capite di birra: 35,2 litri annui a testa nel 2021, cresciuti dai 34,9 del 2019 pre pandemico. E fin qui bene, si dirà; se non fosse che - ha fatto notare il presidente di Assobirra, Alfredo Pratolongo - i consumi totali sono in realtà leggermente calati, da 21,2 a 20,8 milioni di ettolitri, perché il pubblico è diminuito. Ebbene sì, una popolazione in calo - come è il caso dell'Italia - significa anche meno consumi di birra. E quindi o si esporta - e in effetti è aumentato l'export, a sostenere una produzione che è leggermente cresciuta rispetto al 2019 - o bisogna che il consumo pro capite aumenti di più, se non ci si vuole ritrovare a dividersi una torta sempre più piccola in una guerra tra poveri persa in partenza. Una considerazione con cui si devono confrontare, seppure in maniera diversa dall'industria, anche gli artigiani - che tendenzialmente possono contare su uno zoccolo duro di appassionati, ma che non possono limitarsi a quello.

Secondo punto, sempre in merito ai consumi, è il fatto che l'aumento degli acquisti di birra nella Gdo - avvenuta giocoforza con il lockdown - si è mantenuto, per quanto non ai livelli del 2020. Siamo quindi di fronte ad un cambiamento nelle abitudini di consumo che potrebbe essere strutturale (diamoci pure un po' più di tempo prima di parlare all'indicativo); e che, per quanto abbia toccato solo marginalmente gli artigiani (che sono presenti poco o nulla nella Gdo), impone comunque una riflessione sul pubblico a cui ci si rivolge, e su come raggiungerlo al meglio. Da quel che sento da parte di diversi birrifici artigianali, e-commerce con consegna a domicilio e asporto di bottiglie non sono sopravvissuti un granché al lockdown, configurando una netta distinzione tra chi beve industriale - e quindi acquista nella Gdo - e chi no; ma di nuovo, giova chiedersi se e quali cambiamenti siano avvenuti anche in questo comparto.


Parlando poi dell'annosa questione delle accise, Pratolongo (nella foto sopra) si è lasciato sfuggire un "rendiamo artigianali i birrifici fino a 60.000 ettolitri, applicando anche a loro - e non solo a quelli fino a 10.000 - l'accisa agevolata" (ricordiamo che l’ultima Legge di Bilancio ha stabilito per il 2022 una riduzione di 5 centesimi unitamente a sconti progressivi di aliquota per i birrifici con produzione annua fino a 60mila ettolitri). Al netto di considerazioni di merito, ho trovato significativo il permanere della concezione per cui a "rendere artigianale" un birrificio è esclusivamente la questione dimensionale e non un insieme più ampio di indipendenza, filosofia di lavoro e modalità di produzione. Insomma, mi premetta Pratolongo di ribattere che è opportuno dal punto di vista comunicativo non ridurre alla sola dimensione (che certamente giustifica l'accisa agevolata, dato che ai più piccoli l'accisa pesa di più non potendo fare economia di scala su altri fronti) l'artigianalità, che è un concetto più complesso. Il tutto facendo salvo il fatto che è l'accisa in sé e per sé ad essere fuori luogo, essendo la birra l'unica bevanda da pasto a pagarla, e che l'impegno di Assobirra per vederla ridotta è - al pari di quello di Unionbirrai, rispetto alla quale ha per forza di cose più peso politico in virtù della dimensione - del tutto motivato.

Infine, toccando la questione scottante dell'aumento delle materie prime su tutta la filiera, il vicepresidente Federico Sannella ha citato l'importanza del riciclo e del riuso in particolare del vetro: cosa nota da anni, più sotto il profilo ambientalista che economico, ma che ora risulta tanto più urgente anche per questo. E anche qui c'è da chiedersi come i piccoli birrifici possano incentivare la cosa in particolare presso la cerchia di affezionati, cosa che alcuni già fanno: da chi propone il growler, a chi raccoglie le bottiglie vuote - cosa che i nostri nonni avrebbero fatto abitualmente -, i sistemi ci sono. Si tratta di capire come renderli sostenibili sia economicamente che logisticamente, perché è chiaro che non ci si può mettere a lavare bottiglie a mano tra una cotta e l'altra; però è una sfida che sarà necessario prendere in considerazione.