domenica 19 marzo 2023

Tra Università e dip hopping

Sin dal mese di febbraio ho avuto il piacere e l'onore di essere coinvolta in un progetto dell'Università di Udine - per la precisione dei tesisti Alba Goi e Luca Vit, supervisionati dal ricercatore Paolo Passaghe: mi è stato cioè chiesto di entrare a far parte di un gruppo di valutazione di una serie di birre, secondo una precisa scheda di analisi sensoriale. Ognuna delle diciotto birre totali è stata valutata "alla cieca", senza cioè che ci venisse data alcuna informazione in merito a ciò che avevamo nel bicchiere; e solo alla fine delle tre sedute di valutazione è stata soddisfatta la nostra curiosità nel rivelarci in che cosa consiste questo progetto.

Trattasi di uno studio sul dip hopping, tecnica nata in Giappone da Kirin e poi introdotta nel mondo birrario artigianale negli Usa, che sta prendendo piede anche in Italia; e che consiste nell'effettuare un'infusione di luppolo dopo la fine della bollitura e prima dell'inizio della fermentazione, ad una temperatura di 60-70 gradi. Si colloca quindi, sia temporalmente che a livello di temperatura, tra il late hopping - la luppolatura in aroma a fine bollitura, e quindi ad una temperatura ancora attorno ai 100 gradi - e il dry hopping - a fine fermentazione e a freddo. Lo scopo è quello di esaltare alcune peculiarità aromatiche dei luppoli in maniera ancora diversa rispetto alle altre due tecniche già consolidate, data la diversa temperatura di infusione e le interazioni che si creano tra il lievito e le sostanze così estratte in corso di fermentazione.

 

 

La pratica è appunto già in uso da una decina d'anni, ma manca ancora una letteratura scientifica in materia; così che elementi cruciali come la temperatura precisa di infusione, la durata, che tipo di contributi apportino le diverse varietà di luppolo, l'utilizzo di tutto il mosto o di solo una parte per il dip hopping, sono ancora lasciati all'esperienza pratica del singolo birrificio. Di qui la volontà di avviare uno studio scientifico su questo fronte; analizzando in particolare le possibili interferenze con il dry hopping, la possibile valorizzazione con questa tecnica di varietà di luppolo meno pregiate, le modalità per esaltare le caratteristiche desiderate e viceversa eliminare quelle indesiderate a livello aromatico e gustativo, l'applicabilità sugli impianti artigianali e l'impatto sui costi di produzione - dato che il dip hopping richiede meno luppolo delle altre due tecniche.

Le schede compilate dai degustatori verranno quindi ora incrociate con i dati delle analisi di laboratorio fatte sui campioni di queste birre; appositamente brassate appunto per valutare i diversi aspetti oggetto di studio. Il risultato finale della ricerca non poteva poi essere che una birra: e ad ospitarne la produzione sarà il birrificio Garlatti Costa, che già ha collaborato con l'Università nel realizzare la birra alo zafferano. Il birraio, Severino Garlatti Costa, non è peraltro nuovo a sperimentazioni in tema di dip hopping: sarà quindi interessante vedere che cosa ne uscirà

Non posso che concludere ringraziando per essere stata coinvolta in questa esperienza che ho trovato istruttiva, anche per il confronto che - come spesso, fortunatamente, in questi ambienti - si instaura tra i partecipanti.

giovedì 2 marzo 2023

Un ritorno al Beer Attraction

Ammettiamolo, per molti versi è stato un ritorno. Per me personalmente, dato che non ci andavo dal 2020 – prima per la pandemia, per la gravidanza - e quest'anno sono tornata per Birra and Sound; e per tutti, visto che Unionbirrai è tornata a Rimini a Beer&Food Attraction con Birra dell’Anno – e con il carico di birrai artigiani e birrifici artigianali espositori che la cosa porta con sé – dopo due anni al Cibus di Parma. Al netto di nostalgie e romanticismi, comunque, l’impressione che nell’aria si percepisse una certa “carica”, un certo “sentore di ripresa” parlando con i birrai, era concreta. Impossibile fare in poche righe un resoconto completo: del resto, si sa, da queste fiere si torna sempre con il rimpianto di non essere riusciti a parlare con tutti, e di non essere riusciti ad assaggiare tutto. Mi limiterò quindi ad alcuni flash, scattati per l'appunto tra un'intervista e l'altra di quelle realizzate per Birra and Sound.

Partiamo dal birrificio Evoqe, che – come da consuetudine, verrebbe da dire – figurava tra i premiati. Ad attirare la mia attenzione, anche su suggerimento del birraio Mauro, sono state in particolare le due birre al caffè che il birrificio ha portato in fiera; e tra le due la Evoqesour #10 – una coffee sour con caffè Ladhatunda dal Kenya. Al naso spicca la componente sour su toni lattici, con note di chicco di caffè fresco; molto gentile in bocca, con un'acidità non persistente e ben amalgamata al caffè. Fresca e scorrevole, si nota l'attenzione nella costruzione complessiva.

Allo stand di Lzo il birraio Jacopo ha invece portato la mia attenzione sulla Oyster Sout: birra prodotta in quantità limitata per ovvie ragioni, sia per quanto riguarda il procurarsi le ostriche, sia per quanto riguarda il doverle sgusciare tutte a mano. Si percepisce bene l’aroma di mare, che in bocca sembra sparire per lasciare spazio ai tipici toni di caffè e cioccolato; ma che ritorna poi in una lunga e curiosa persistenza salata, che fa il paio con i sapori di cioccolato.

Non poteva mancare una sosta da Opperbacco – anche questo, come di consueto, birrificio avvezzo ai premi: più che le premiate, però, ha attirato la mia attenzione la sour ai frutti di bosco della linea Abruxensis, con lieviti selezionati dall'università di Teramo – tra cui un ceppo di brettanomyces; e frutta aggiunta dopo la fermentazione, con maturazione in legno. Ben coglibile ma non sovrastante la componente brettata, amalgamata con i profumi di frutta sia all'aroma che al palato; in un interessante il gioco tra le diverse tipologie di acidità. Persistenza discretamente lunga, sui toni della frutta.

Novità per me personalmente è stato il birrificio Renton, di cui ho provato per Birra and Sound la best bitter Billy Hard – una collaborazione con il birrificio britannico Roosters Brewing Co: un incontro tra la tradizione britannica e l’innovazione americana, dato che la ricetta prevede luppolo Columbus in amaro e Cryo Pop in dip hopping. Interessante il fatto che lo stile di riferimento non viene comunque snaturato e rimane riconoscibile, pur con un tocco di originalità.

Merita poi un accenno la linea realizzata dal Birrone all’interno di un progetto sulla decozione, elaborata dal birraio Simone dal Cortivo dopo un viaggio in Franconia, anche questa degustata per Birra and Sound. Si tratta di tre birre, per una degustazione in crescendo: la Czech Keller “12” (in riferimento al grado plato), la Keller Heller Bock “KHE Bock”, e la Rauch “Brauch”. Peculiari aromi tra il miele di castagno, la nocciola e il pane per la prima, mentre il luppolo resta decisamente nelle retrovie; ricca ma scorrevole e assai pulita in bocca, fa poi risaltare solo in un secondo momento il Saaz, per un finale bilanciato tra componente maltata e amaricatura. La seconda gioca sul fatto di mascherare bene i suoi sei gradi alcolici, con note dolci di cereale – tipo pane al miele – piene ma snelle in bocca; sempre sul principio dell’equilibrio anche i luppoli, Hallertau e Milttelfruh. Da notare la schiuma, che ha tenuto perfettamente anche nel bicchiere di plastica. Una Rauch un po’ sui generis infine la terza, nel senso che non c’è da aspettarsi la “classica” Rauch intensa francone: aroma di affumicato molto ma molto discreto, che si tramuta poi in un sapore altrettanto discreto e amalgamato con il resto del cereale; corta la persistenza, tale quasi da andarsene prima del sorso successivo – quasi a concatenare la bevuta, si potrebbe dire. Interessante naturalmente la chiacchierata con Simone che mi ha illustrato il progetto, soffermandosi in particolare su come voglia dare fini "didattici" - nel senso del far conoscere che cosa sia la decozione - a questo progetto.

Una menzione anche per la Supersonic, Dark Mild di Birra dell'Eremo: stile relativamente poco diffuso in Italia, ma che sempre più spesso fa capolino nei birrifici artigianali. Una Dark Mild fondamentalmente in stile: colore marrone-rossastro, aroma deciso ma non sopra le righe tra il biscotto, il caramello, il toffee e il caffè d'orzo, toni tra il caramello e il tostato in bocca per un corpo morbido e scorrevole, finale secco con un taglio di un amaro erbaceo in equilibrio con la componente maltata. Apprezzabile anche la spillatura a pompa, per quanto il bicchiere in plastica non abbia reso giustizia.

Un grazie a Birra and Sound, e a tutti i birrai che mi hanno accolta nei loro stand.