venerdì 18 marzo 2016

Una birra palindroma

Palindromo (agg., s.): Di parola, frase, verso o cifra che possono essere letti da sinistra a destra e anche viceversa (dizionario Sabatini-Coletti). Ebbene sì, sto parlando della Pat at a tap, la nuova oatmeal stout del birrificio Antica Contea - provate a leggere il nome da destra a sinistra. Non ho ancora avuto il modo di chiedere direttamente ai birrai come sia nata l'idea, ma ammetto di essere assai curiosa.

La Pat at a tap - con abile mossa promozionale, per cui tanto di cappello - è stata lanciata in contemporanea in diversi locali per la tradizionale festa irlandese di San Patrizio, il 17 marzo; personalmente ho avuto modo di provarla alla Brasserie, che offriva peraltro per l'occasione il menù irlandese - stufato alla stout, patate e torta alla porter, cucinati come sempre con maestria da Matilde e collaboratori. Già mi era arrivata qualche eco di chi l'aveva assaggiata in anteprima, o di chi si era recato in uno dei locali prima di me ed aveva prontamente provveduto a postare le sue impressioni sui social; e devo dire che mi ero fatta l'idea di una birra di quelle "toste", che colpisce. Per cui quando l'ho portata al naso, nonostante l'aroma di caffè più intenso e marcato di altre stout, seguita da un corpo che nel mio taccuino ho annotato come "scarico" (ebbene sì, ho preso la via della perdizione, quando devo fare recensioni bevo birra con il blocco per gli appunti a fianco) ammetto di essermi chiesta: come, tutto qui?

In realtà è bastato, come doveroso, aspettare che raggiungesse la giusta temperatura. Man mano che si scalda, infatti, anche la componente tostata , ingentilita dalla morbidezza dell'avena, inizia a farsi sentire; il corpo diventa via via più robusto, passando dal cereale arrostito alle fave di cacao (sì, le fave di cacao le ho assaggiate sia tostate che verdi e direttamente sul luogo di produzione, quindi fidatevi); e il breve finale acidulo dei malti scuri lascia poi spazio ad una nota alcolica, quasi di liquore al caffè, che "riempie" da ultimo il palato. La componente dolce che caratterizza alcune stout è qui poco presente, tanto che la persistenza vira piuttosto verso l'amaro da malto. Il tutto, comunque, senza voler fare i fuochi d'artificio: i ragazzi di Antica Contea hanno confermato di sapere e volere mantenere la giusta misura anche quando si tratta di sapori forti, coerentemente con la maggior parte della tradizione britannica a cui si ispirano - perché sì, esistono pure le imperial stout e i barley wine o certe ipa audaci, ma non si può dire che rappresentino la maggioranza della produzione d'oltremanica. Nel complesso, un altro colpo messo bene a segno da Antica Contea.

Per completezza di cronaca, va aggiunto che l'altra birra di ispirazione britannica disponibile per la serata era la pluripremiata (e da me plurirecensita) Hot night at the village di Foglie d'Erba: che, essendo leggermente più dolce della Pat at a tap e con un corpo più pieno (pur trattandosi di quella tradizionale, non la breakfast edition con l'aggiunta di vaniglia) ha fatto degnamente il paio con la porter cake al cioccolato. Due birre di spessore per due birrifici di spessore, a chiudere una piacevole serata.

lunedì 7 marzo 2016

Al Monsieur D

Qualcuno dei lettori avrà forse notato la foto postata sulla mia pagina Facebook che ritrae il birraio Costantino di Antica Contea che solleva fiero un bicchiere di What Stay In The Soup, la loro american amber ale monomalto e monoluppolo (100% malto Monaco e 100% luppolo Ella) che ha tenuto a battesimo la pompa del Monsieur D di Spilimbergo; e, seppur con ritardo, mi accingo a dare qualche nota in più sul locale - che peraltro molti in zona conoscono, essendo ormai una sorta di istituzione. La birreria ha infatti una storia più che trentennale, essendo stato aperto dalla signora Paola (peraltro sommelier Ais) ancora negli anni ottanta; e oggi lo porta avanti - con una passione che sprizza da tutti i pori, devo dire - insieme ai figli Cristiano e Michela.


Accanto alla nuova e già citata pompa, fanno mostra di sé le sette spine - quella sera la selezione andava da Antica Contea, al pugliese Birranova, al padovano CrAk, a Young's London e Westmalle -; la cui curiosità è l'indicazione della distanza da cui le birre in questione provengono. Per me è stata poi l'occasione di provare per la prima volta birra in lattina - a marchio Bevog -, così, tanto per agguingere una nota di colore alla questione "marketing del contenitore". Naturalmente non mancano le bottiglie - personalmente ho riassaggiato la Vingraf di Antica Contea annata 2014. Nel complesso, un buon mix di radicamento sul territorio e internazionalità, dato che tra i nomi che sono passati - e passeranno - per il Monsieur D ci sono Meni, Garlatti Costa, Antica Contea, Borderline, Mastino e Rattabrew. A colpire però, al netto delle birre, è l'arredamento e la collezione di veri e propri cimeli birrari raccolti con pazienza da Paola: dal calendario della Dormisch, a vecchie insegne - come quella di Birra Pordenone, chiusa da più di sessant'anni - , ce n'è da suscitare l'interesse dei collezionisti (e anche non).

Più di tutto, comunque, devo dire che a colpirmi è stato l'entusiasmo di Cristiano, Michela e Paola: un elemento che senz'altro rende assai più piacevole il sedersi a ere una birra o mangiare qualcosa.


sabato 5 marzo 2016

Opperbacco, c'è la numero uno

Qualche giorno fa sono stata a visitare la Brasserie in versione rinnovata. Oltre alla nuove spine, ai nuovi lampadari (sapientemente ricavati da Norberto da vecchie bottiglie) e alla nuova lavagna per le birre a rotazione, ci sono anche diversi nuovi ingressi nel parco birre: e tra quelli degne di nota ci sono le creazioni del birrificio Opperbacco di Notaresco (Teramo), di cui già avevo avuto modo di assaggiare la Deep Underground e la Overdose (quest'ultima in collaborazione con Foglie d'Erba e Dada). Stavolta Matilde ha tirato fuori dal cappello la Numero Uno, che già dalla descrizione fa presagire cose mirabolanti: "Birra cotta passata in barrique ispirata al vino cotto: vengono impiegati solo malti chiari che caramelizzano con 6 ore di bollitura alla fine della quale il mosto sarà ridotto della metà. In tale fase vengono aggiunte delle mele cotogne. Al termine della fermentazione la birra viene fatta maturare per un anno in barrique precedentemente utilizzate per affinare i migliori vini Montepulciano d’Abruzzo".

Già il colore ricorda quello di alcuni vini rossi; e l'aroma, tanto più se si ha la pazienza di aspettare che si scaldi, esalta le note di frutta sotto spirito - io ho sentito l'albicocca più che la mela cotogna -, quasi di brandy ancor più che di vino, e senza particolari sentori tanninici dati dal barrique. In bocca è calda - complici gli undici gradi - e molto dolce, pur senza superare la sottile linea rossa dell'eccesso; una dolcezza e un calore che persistono a lungo, con un finale in cui ho colto delle note di uvetta. Una birra senz'altro "impegnativa", ma assai soddisfacente per chi ama questi generi e può trovarvi un'interpretazione originale delle birre barricate - non aspettatevi un barley wine alla scozzese insomma, i toni fruttati dati dal vino la rendono assai diversa. Senz'altro, a conti fatti, una delle novità più rilevanti del "nuovo corso" della Brasserie.

giovedì 3 marzo 2016

Spiriti liberi in quel di Trieste

Ho avuto occasione di partecipare ieri, alla Tavera ai Mastri d'Arme di Trieste, alla serata con il birraio tedesco Sebastian Sauer di Freigeist Bierkultur (Colonia): un incontro sotto l'egida di Andrea Camaschella con questo "spirito libero" - traduzione letterale del nome del birrificio - che, alla mia provocazione su come nemmeno una delle sue birre sia "convenzionale", ha risposto "il mio secondo nome non è mica Reinheitsgebot" - il "decreto di purezza" emesso da Wilhelm IV di Baviera nel 1516 che imponeva di usare solo acqua, malto d'orzo, e luppolo per fare la birra.

In realtà Sebastian alla tradizione attinge a piene mani, ma la reinterpreta in una maniera che sa stupire. La prima birra che ho assaggiato è stata una berliner weisse alle fragoline di bosco - ben 800 kg su una cotta da 400 litri: tralascio le vicissitudini che hanno accompagnato il reperimento di una quantità così massiccia di frutti - in cui sia l'aroma che il sapore della fragola sono così intensi da cancellare del tutto l'acidità che caratterizza lo stile. Sebastian sostiene però che le "vere" berliner weisse - coerentemente alla tradizione tedesca che chiede tendenzialmente birre da poter bere con facilità - abbiano un'acidità assai meno pungente di quelle che generalmente oggi conosciamo: per cui, a suo modo di vedere, la sua "Berliner Scheisse" - così l'ha chiamata - non è uno snaturamento dello stile, ma una piacevole e fresca reinterpretazione. Faccio poi notare il colore marrone-rossastro, come si nota nela foto: oltre che ad una piccola percentuale di malti scuri, è dovuto - Paolo Erne docet - al ph non eccessivamente basso, caso in cui la fragola avrebbe un colore rosso vivo.


Accanto alla Berliner Scheisse ho poi assaggiato la Preussen Weisse, una weizen al pepe: anche qui aromi e sapori speziati tanto intensi da imporsi - pur senza cancellarli - su quelli di banana e lievito tipici delle weizen; lasciando peraltro una persistenza assai lunga e un aroma finale quasi "selvatico", da campagna, dato dall'unione tra speziato e cereale.

Parlando di tradizione merita una nota particolare la Gruit Vibration, una pale ale in cui Sebastian ha recuperato l'uso del gruit - miscela di erbe o bacche variabile a seconda delle zone in uso prima del luppolo - al posto di quest'ultimo. Nella fattispecie ha qui usato rosa canina, bucce d'arancia e bacche di olivello spinoso: un insieme che, unito al lievito speziato, al naso ricorda un incrocio tra una blanche e una saison, mentre al palato - aspetto di cui Sebastian va particolarmente fiero - i vari sapori si amalgamano in maniera armonica prima edlla chiusura fresca tra il fruttato e lo speziato. Una birra del genere, peraltro, in Italia non si potrebbe nemmeno chiamare birra non utilizzando luppolo: contraddizioni nostrane, se teniamo conto che questa pianta era inizialmente del tutto sconosciuta nell'arte brassicola.

Da ultimo ho provato la Salzspeicher, una porter aromatizzata con frutti rossi e sale: il canonico tostato dello stile lascia immediatamente lo spazio all'acidulo della frutta, peraltro abbastanza persistente, che sotto diversi profili la fa avvicinare ai gusti degli amanti delle birre acide. Rimane comunque ben equilibrata, senza calcare la mano su questi sapori; ed è assai interessante come l'acidulo si sposa con la punta di sale, andando al smorzarlo e valorizzarlo al tempo stesso.

Un incontro curioso e istruttivo, che mi ha fatto scoprire birre decisamente fuori dall'ordinario.

martedì 1 marzo 2016

B2O, ovvero "questione di stile"

Uno dei birrifici che - al di fuori di Beer&Co, essendo presente allo stand di Eurobevande distribuzione - ho conosciuto al Cucinare è il birrificio B2O di Bibione; e la degustazione delle birre è stata accompagnata da un piacevole chiacchierata con il birraio Gianluca Feruglio (a destra nella foto), nonché dall'invito - accolto con piacere - di intervenire alla presentazione delle creazioni del B2O in sala. E devo dire che la chiacchierata con Gianluca è servita per capire meglio la sua opera e condividere con lui le mie impressioni, perché altrimenti - lo ammetto - sarei rimasta più perplessa di quanto non lo sia stata alla fine.


La prima birra che mi ha fatto assaggiare è stata la Jam Session, presentatami come una weiss "reinterpretata" tramite l'utilizzo di luppoli americani - magnum e cascade - e di una piccola quantità di malto scuro - che la rende infatti di un colore tendente al dorato invece che al calssico paglierino delle weizen. Già prima di avvicinare il bicchiere al naso ce ne sarebbe stato abbastanza da far tremare i puristi: e in effetti, per quanto all'aroma un qualche profumo di banana si colga come da manuale, a fare da padrone è la luppolatura americana. Anche nel corpo - ben caldo, in cui l'alcol è percepibile più di quanto non lo sia normalmente nelle weizen - la componente del frumento stenta ad emergere, per chiudere su un amaro finale piuttosto netto. Naturale dunque la domanda sulle ragioni della scelta di fare, sostanzialmente, una fuori stile: motivata con la volontà, dato che Gianluca non apprezza molto le birre di frumento, di partire da questo genere per sperimentare una strada diversa. Mi prendo la libertà di dire, dato che è stato l'oggetto della franca discussione che ne è seguita tra me e Gianluca, che personalmente avrei ritenuto più opportuno - visto che non esiste alcun obbligo per un birrificio di fare birre di frumento - cimentarsi su altri stili, invece di creare ibridi che possono finire per risultare piuttosto improbabili; ma la chiudo qui, non volendo degenerare in questioni di lana caprina su purismo e non purismo - e ringraziando Gianluca per l'interessante e apprezzato confronto.

Assai meglio accolta la seconda birra che ho provato, la stout Renera: la schiuma nocciola prelude a profumi di tostato, cacao, caffè e liquirizia che si accompagnano poi nel corpo ben caldo e robusto, dal finale sorprendentemente secco per il genere. Una birra in cui, più che in altre, è interessante sperimentare l'evoluzione di aromi e sapori con la temperatura, e che immagino possa riservare interessanti sorprese se invecchiata.

Qualche riga infine per le altre due birre assaggiate durante la presentazione (perdonerete se sarò più approssimativa, perché non ho potuto prendere appunti). In primo luogo sulla american ipa Edgar che, pur aprendo in forze con la generosa luppolatura americana tra l'agrumato e il fruttato, vira poi su un corpo maltato più gentile ed un finale di un amaro elegante - direi la più gradevole, "facile" e beverina tra le birre di B2O; e infine la birra natalizia, caratterizzata dall'uso - forse un po' troppo evidente al palato, a mio modo di vedere - dei fichi secchi, con notevoli sentori zuccherini e di frutta sotto spirito. In tutto ciò, rispetto al B2O mi porto a casa l'impressione di un birrificio a cui piace sperimentare e vuole farlo con tutto ciò che ne consegue: risultati a volte "estremi", a volte "stravaganti", rispetto ai quali è difficile rimanere neutrali - finendo per amare o odiare senza mezze misure le birre che escono da questi fermentatori. A voi - se ancora non le avete mai provate - l'ardua decisione: osare o non osare?